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Autore: papayasorridente    10/10/2017    3 recensioni
//The Great Gatsby- Reincarnation AU
L'alba stava con prepotenza inondando gli alti edifici della skyline, facendo rilucere la baia di un violetto stinto.
E per la prima volta in mesi Virgilio sentì di avere tempo, di avere sicurezza nella sua appartenenza alla realtà comune; quello scrittore, Alighieri, con la sua semplice gentilezza e intelligenza lo aveva strappato dalla vacuità della sua mente, in cui il tempo era un'agonia, e lo aveva restituito ad una vita in cui lo scorrere delle ore gli apparteneva e di cui poteva goderne.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Dante Alighieri, Virgilio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Estate 1922. NY

"E la terra? E la realtà?"

Virgilio aprì gli occhi in un sussulto. Quella visione; quell'incubo.

Caracollò dal letto fino al bagnetto attiguo e, ancora immerso nella claustrofobica sensazione del sogno, si gettò dell'acqua gelida sul volto a lavare via il sudore.

Quell'emozione.

Era arrivato a New York tre giorni prima, spinto da un orribile e codarda fuga dalla sua amata Italia. Un'ignobile e vile fuga dettata dall'impotenza; e quel senso di incapacità di fronte alla svolta politica del suo paese che lasciava presagire un futuro di potere e terrore.

E ora, nella stanza degli ospiti nella villa di Long Island del suo migliore amico, erano rincominciati i sogni. Quelle insostenibili visioni che lo lasciavano scombussolato da un attanagliante senso di perdita e nostalgia. Due anni prima era riuscito ad arginarli con un cocktail di notti insonni a scrivere e di serate di oppio sul bilico del proibito. All'epoca pensava che il suo incontro con l'esimio D'Annunzio gli avesse salvato la sanità mentale; per poi vedersi, fuori da sé, trascinato in un limbo di droga, licenziosità e versi auto-indulgenti.

Poi, una mattina di due mesi prima gli si era presentato il foglio di iscrizione al nuovo partito fascista, con l'implicita minaccia che se avesse voluto continuare ad avere successo nella letteratura, avrebbe dovuto necessariamente divenire parte attiva del partito.

Virgilio non era mai riuscito a seguire imposizioni diverse da quelle che il suo istinto dettava: e soprattutto, si era guardato intorno e aveva provato disgusto per se stesso. Un uomo di ventisei anni, sul vertice di un'effettiva dipendenza da droga, poeta affermato grazie a opere che non rappresentavano lui, ma la corrente futurista ed estetica in voga nella Milano di quegli anni.

Gli ultimi due mesi erano stati un turbinio di telegrammi oltreoceano e un'estenuante ricerca di un posto sulle numerose navi per la scintillante New York. E ora, a casa dei fratelli Valerio, Catullo e Saffo, cercava di mettere a posto la sua salute e la sua mente turbata.

"Virgi, dormi ancora?"

La voce squillante di Saffo lo raggiunse prima che la giovane donna aprisse la porta della stanza. I suoi occhi verdi lo scrutarono curiosi e dopo aver analizzato il volto scosso di Virgilio, le sue labbra colorate si contrassero.

"Ancora i tuoi sogni?" La donna entrò facendo frusciare la gonna e prese le mani dell'altro fra le sue.

"Siamo qui per te, se ne vuoi parlare. Sei come un fratello, ricordalo sempre."

"Grazie, Saffo. Lo so, non potrò mai ringraziarvi per avermi accolto."

Lei sorrise nella sua maniera comprensiva e giovanile.

"Allora dai al mio fratellino la soddisfazione di portarti in giro per la città; è sveglio da ore e non vede l'ora di partire" Aggiunse con una risata.
Al cenno di assenso di Virgilio gli depose un bacio sulla guancia e scivolò fuori dalla porta, lasciandolo con un mezzo sorriso sulle labbra.

-

Qualcuno lo scuoteva. Una mano salda cercava di strapparlo dal dolcissimo sogno in cui era immerso: una candida rosa, una luce permeante e uno struggente senso di abbandono. E il volto di Beatrice, che gli sorrideva, spezzandogli il cuore.

Aprì gli occhi, il corpo pesante e freddo e il sospiro sollevato di Guido di fianco a lui.

Dante rivolse il volto all'amico, il cui occhi erano infossati dalle sopracciglia dalla preoccupazione.

"Ancora Beatrice?"

Dante annuì e sfiorando la spalla di Guido afferrò il bicchiere d'acqua che l'altro gli porgeva.

"Ti prego, cerca di prendere le pastiglie che Mrs Donati ti ha prescritto, evita di-" Cavalcanti non finì la frase, trattenendo quelle parole che tante volte aveva pronunciato invano.

Alighieri esalò un sospiro esausto: "Lo so, Gui', devo evitare di crogiolarmi nel ricordo. Non è che non voglio prendere le pillole, capisci? È che ... Non voglio dimenticare il suo volto, i suoi occhi ... Questa volta sembrava davvero sul punto di dirmi qualcosa, sai? Come se avesse una cura per me."

Guido rilasciò la tensione dei muscoli delle spalle e lo sguardo che rivolse a Dante fu il solito, misto di preoccupazione, tenerezza e rassegnazione. Lo strinse in un abbraccio per qualche secondo.

"Ti aspetto giù per colazione. Ciacco ha fatto la crostata di mele."

E uscì, scendendo le scale con il suo passo leggero.

Dante sospirò: Beatrice, la sua musa, l'unica persona che avesse mai amato nella sua vita.

Si erano conosciuti da bambini, crescendo insieme nella colorata Firenze, rubando dolcetti al mercato e supportandosi in ogni decisione. Lei aveva ispirato Alighieri a scrivere, con i suoi occhi enigmatici e il suo sorriso che sapeva di eternità, con i suoi gesti quieti e regali. Lui l'aveva sostenuta nel suo sogno di diventare ballerina, ferocemente osteggiata dai genitori di entrambi.

E i loro sogni si erano realizzati grazie al reciproco supporto; a diciassette anni Dante aveva pubblicato la sua prima raccolta poetica, la Vita Nova, interamente dedicato a lei. E Beatrice aveva debuttato qualche mese dopo all'opera di Vienna come Giselle.

L'affetto infantile si era poi sviluppato in un tenero amore fatto di carezze, risate e spensieratezza. E per sei anni tutto era sembrato perfetto, le carriere avviate verso il successo e la sicurezza del loro legame a rinfrancarli. Neanche la Grande Guerra aveva distorto i loro sogni, saldi grazie alla certezza di essere vivi e insieme.

Poi, due anni prima, Beatrice contrasse il morbo spagnolo; e un paio di settimane di agonia la strapparono a Dante.

Ricordava quei giorni come un sogno: la loro casa di Firenze riposta negli imballaggi, le voci di Guido e Machiavelli a guidarlo nella sua veglia, la loro proposta di trasferirsi a Nuova York ("per una nuova vita, Dante, l'America"). Non riusciva a guardare le sue raccolte di poesie; ogni verso, ogni goccia di inchiostro era dedicato a lei, e senza di lei non aveva significato.

Allora si era dato alla saggistica, che gli aveva fruttato una certa notorietà al King's College, dove dava lezioni, incerto sui suoi passi ma arreso di fronte all'opulenza che il sogno americano offriva.

-

Glorioso. Tutto quello che lo circondava era un inno e una giustificazione dell'epoca d'oro che il nuovo mondo pretendeva. Mai aveva visto in Italia tante automobili nello stesso luogo, mai un tale lusso, una modernità nelle curve di ogni edificio che l'Art Nouveau parigina non avrebbe mai potuto eguagliare.

Era quasi soffocante, claustrofobica, quell'arroganza americana di pretendere di essere baluardo dell'umanità.

Catullo e Saffo erano celebri nella high society newyorkese; lui direttore del Met, affascinava tutti con i suoi progetti di rinnovamento della facciata in stile beaux-arts, lei, con il suo eloquio brillante e bellezza, aveva raccolto sotto la sua ala diversi artisti emergenti.

Dunque, la loro passeggiata era stata un continuo intervallarsi di volti nuovi e stravaganti, che consideravano Virgilio l'assoluta novità del momento e che egli aveva dovuto intrattenere durante il mattino e il pranzo.

Ora su una panchina di Central Park si era permesso di rilasciare lo sbuffo di stanchezza che lo aveva accompagnato durante la giornata.

"Suvvia, Virgi, ti ci abituerai. Sono tutti curiosi di conoscere il tormentato scrittore italiano ospite dei fratelli Valerio." Disse Saffo con un sorriso, mentre il fratello gli dava una sonora pacca sulla spalla, divertito dalla confusione dell'amico.

Poi i due si scambiarono uno sguardo da sopra la schiena piegata di Virgilio.

"Caro amico mio, forse tu non vedrai altro che palazzi gargantueschi e uomini d'affari, ma c'è un fascino irraggiungibile per ogni altro luogo, in questa città. Ti trovi al centro perfetto del più affascinante agglomerato di fauna umana che il mondo abbia mai visto; e i misteri che nascono in ambienti stretti e affascinanti come questo, sono l'ispirazione di tutti gli artisti della nostra generazione."

A queste parole, Virgilio corresse la postura e fissò intrigato Catullo: "Hai la mia attenzione. Prosegui."

Un sorriso soddisfatto si fece largo sulle labbra dell'amico.

"C'è un enigma che sta facendo parlare tutta New York quest'estate: un ricco signore del West Egg, ogni venerdì sera ospita nella sua villa centinaia di personaggi dei più diversi e disparati per dare ogni sera una festa più sfarzosa, ricca di ogni divertimento e attrattiva. Tutti sono invitati."

"Sembra piuttosto intrigante; voi conoscete l'anfitrione?"

I due si profusero in una risatina: "La particolarità di questi eventi è proprio il padrone di casa", continuò Saffo, "Nessuno l'ha mai visto; si fa chiamare Praeceptor Amoris e non si sa nient'altro di certo su di lui, solo pettegolezzi."

La giovane alzò un sopracciglio in un'implicita domanda.

Virgilio sorrise convinto e Catullo strizzò l'occhio alla sorella.

"New York sta per diventare mille volte più divertente per te, amico mio."

-

'P.A. ' riportava l'incisione al centro del cancello. E dietro di esso, l'inimmaginabile.

Un giardino di luci, festoni, ballerine, colmato dalla folla che vi dirompeva attraverso il cancello. Ed era magnifico; una visione di elegante frenesia, uno strappo dal mondo reale per vivere qualche ora di puro sogno.

Una stella del cinema muto vestita di piume di pavone, un principe di Savoia, un gruppo di broker pronto a sfidarsi sui segreti del mestiere, una tale varietà di personaggi che facevano fremere la fantasia di Virgilio, ormai già conquistato dalla magia delle serate del Praeceptor.

Catullo, in un appariscente completo avorio, faceva strada alla sorella e al suo entourage di artisti, e nel vedere l'amico esterrefatto sull'entrata della villa, sorrise richiamandolo a voce alta.

Le successive ore furono un tumulto di fascino e mani da stringere, persone da conquistare e da cui essere conquistato, ore in cui Virgilio si fece sommergere e rilasciare dall'incantesimo di quella circostanza, che lo avvolgeva ineluttabilmente.

Una flute di champagne in mano, la testa leggera, a un certo punto della serata si ritrovò sulla soglia di una gloriosa biblioteca, dove finalmente il brusio incessante della musica si affievoliva e i suoi pensieri potevano fluire in pace.

Virgilio si lasciò cadere su una poltrona imbottita e rimirò gli scaffali dorati con meraviglia.

"Vedo che anche lei è venuto alla ricerca di un gradevole silenzio in questa giungla umana."

Una voce lo fece sussultare leggermente, e lasciò vagare lo sguardo finché non incontrò una figura maschile girata di spalle, vestita di blu.

"Devo ammettere che, per quanto sia affascinante, è un evento alquanto impegnativo." Rispose incerto.

Lo sconosciuto si voltò verso di lui, rivelando un sorriso sicuro di sé e a grandi passi prese posto nella poltrona di fronte a quella di Virgilio, sotto lo sguardo interrogativo dell'altro.

"Si vede che siete in questa città da poco" esordì l'uomo in blu, "Ma non temete, nessuno ci si abitua davvero, il bello di questo posto sono le continue sorprese."

Virgilio sorrise di circostanza e alzò il proprio calice: "Alle sorprese, allora."

L'uomo di fronte a lui teneva in mano un elegante taccuino e una penna che aveva probabilmente sottratto alla biblioteca.

"Siete giornalista?"

Lo sconosciuto rise soffusamente: "No, spiacente deluderla, sono scrittore."

Poi, come se avesse avuto un'idea luminosa, disse:
"Senta, non vorrei mai disturbarla, ma sto cercando di trovare ispirazione per il mio libro in queste opulenti feste e dato che stasera non ho incontrato alcun personaggio interessante, mi chiedevo se non potessi usare voi come cavia."

Virgilio rise di cuore: "Ne sarei lusingato."

-

Dante era irrimediabilmente affascinato.

Quella figura longilinea, dalla pelle nivea esaltata dai colori scuri del completo, l'aria distratta e malinconica l'avevano bloccato ad osservarlo qualche secondo. Il cuore stretto da un inesplicabile senso di malinconia, sovrastato da un sussulto della sua anima quando l'uomo rivolse a lui il suo sguardo.

Fu come un dejà-vu; si figurò quel viso ancora più pallido, in un ambiente scuro, Dante stesso spaventato e spaesato. Fu un momento: ma bastò perché Dante sentisse una particolare attrazione per quel personaggio, invitandolo ad aiutarlo con il suo lavoro.

Gli raccontò come fosse arrivato a New York, delle sue difficoltà in Italia (parlarono a lungo di politica), di come Dante non avesse mai letto niente di suo (di Virgilio, infine si erano presentati) a causa del suo esilio da due anni dalla patria.

Virgilio invece si rivelò un suo estimatore, commentando di essere però più legato alla corrente futuristico-positivista, che a quella romantica a cui Dante si appoggiava.

Ma a prescindere dai discorsi, di certo impegnativi e accorati, intorno a loro si era sviluppata una sensazione di appartenenza. L'osservatore estraneo che sarebbe entrato durante quella conversazione avrebbe sentito una sorta di disagio, come entrare in un ambiente già conquistato da altre anime, menti ed emozioni.

E fu così che si sentì Cavalcanti quando, nella sua peregrinazione in ricerca di Dante, lo ritrovò nella biblioteca, i gomiti appoggiati sulle ginocchia e un sorriso divertito che da tempo non gli vedeva sulle labbra, immerso nella discussione con uno sconosciuto.

Sentendosi quasi timoroso di infrangere quell'atmosfera, con poche parole e una stretta di mano, sottrasse l'amico a quell'incanto, riconducendolo nel freddo mattino newyorkese.

-

L'alba stava con prepotenza inondando gli alti edifici della skyline, facendo rilucere la baia di un violetto stinto.

E per la prima volta in mesi Virgilio sentì di avere tempo, di avere sicurezza nella sua appartenenza alla realtà comune; quello scrittore, Alighieri, con la sua semplice gentilezza e intelligenza lo aveva strappato dalla vacuità della sua mente, in cui il tempo era un'agonia, e lo aveva restituito ad una vita in cui lo scorrere delle ore gli apparteneva e di cui poteva goderne.

In macchina con Catullo e Saffo, non riusciva a non pensare a quella sera.

"Ehi, Virgi sei scomparso per ore, ti eri addormentato da qualche parte?"

Gli chiese l'amico.

Virgilio scosse la testa, sorridendo lievemente al paesaggio al di fuori della vettura.

"No, no. Piuttosto, per caso conoscete un certo Dante Alighieri?"

Saffo emise uno sbuffo di risata.

"Non so chi sia, ma questo spiega le tue attività di stanotte."

I fratelli Valerio risero animatamente, mentre lui arrossiva, senza né negare, né confermare, deciso solo a capire il perché di quella sensazione.

-

Per quel weekend, Virgilio fu troppo impegnato nell'ultimare il trasloco per riflettere sullo strano incontro con lo scrittore italiano alla festa del Praeceptor Amoris. Fu per questo che, quando lesse su un trafiletto del Times che un certo Dante Alighieri avrebbe tenuto una lezione aperta al King's College, si sentí improvvisamente investito da tutte le sensazioni provate in quella notte.

Sentendosi quasi afflitto da una colpa dovuta a un segreto, abbandonò i fratelli Valerio, dicendo loro che invece che seguirli nei loro affari, avrebbe, per un giorno, preferito fare una passeggiata in solitaria.

Fu cosí che, alle 10 del lunedí mattina, si ritrovò a tentennare all'ingresso di un'aula universitaria, incerto se entrare o meno. Poi, affacciandosi cautamente sulla porta, riconobbe il profilo romano del professore e, sospinto dalla folla di studenti che prendeva posto, si lasciò condurre sulle gradinate.

L'argomento della lezione era l'importanza storica e sociale dei classici, concetti simili a mille altri che le università italiane avevano impartito a Virgilio.
Rimase per la maggior parte della lezione in dormiveglia, lasciando fluire i pensieri senza scopo. Poi uno scoppio di risate da parte degli studenti si alzò quando un esuberante ragazzo levò la mano. Doveva essere il polemico del corso e chiese una chiarificazione sull'idea di opera d'arte e sulle sue proprietà.

In uno sbuffo rassegnato, il professore si dilungò in una lunga spiegazione, di cui Virgilio colse l'ultima parte.

"Perchè alcuni manufatti sono considerati 'opere d'arte' rispetto ad altri? Lo studente di ginnasio direbbe che è perché sono dei classici; l'antropologo, perché riflettono un sentire universale; l'anziano alto-borghese, perché hanno determinato la cultura di un certo ambiente.

"Ma qualunque interpellato converrebbe sul fatto che sono manufatti intramontabili e insormontabili, dei modelli con cui la competizione è irrisa. Qui giace la problematicità di tale alta considerazione: questa idea ci pone di fronte al concetto che tutto é ormai già stato creato. Ma soprattutto, oltre che a togliere preziose possibilità, blocca il sentiero tra noi e la personalissima ricerca di bellezza che ognuno, interiormente,  coltiva. Questo, impedendo la realizzazione propria interiore e lasciando un forte complesso di inferiorità sulla sensibilità dell'individuo.

"Quindi se lei mi chiede se si possa scrivere una nuova Odissea, io le dico che farlo sarebbe controproducente per chi si accingerebbe a tale impresa, portandogli frustrazione e impotenza. A costo di sembrare sentimentale, vi dico che l'arte è frutto del conflitto tra l'individuo acerbo e il suo massimo apice, non tra singolo e aspettative esterne. In più, niente si ripete nella stessa maniera, quindi permettete a voi stessi di cambiare."

Dante tacque e una lieve inquietudine si fece strada in Virgilio, fino a che il professore non dismise la lezione e le gradinate iniziarono a vuotarsi.
Scese con calma e si fermò di fronte alla scrivania su cui Alighieri finiva di appuntare qualcosa.

"Ha delle domande? Temo di aver messo confusione ai concetti con le ultime risposte, sono desolato."

"Mi chiedevo solo ... il discorso che ha fatto sull'impossibilità di riprodurre un'opera, si applica anche alle vicende umane?"

"É il principio della scienza medica, siamo tutti biologicamente diversi." rispose ironicamente.

"Mi riferivo al ripetersi di circostanze, la sensazione di dejà-vu, può accadere che si ricrei una situazione in cui sia reso possibile il riprodursi di azioni con le medesime conseguenze?"

L'insegnante alzò lo sguardo, stranito, per fissarlo su Virgilio e sussultò quando lo riconobbe.

"Fino a qualche giorno fa le avrei detto che é di certo un'ipotesi inverosimile, signor Marone. Ma la prego, prima di affrontare certi argomenti, preferirei fare carico di zuccheri. Lei conosce la colazione americana?"

-

Fu buffo come l'argomento di discussione che si erano proposti di avere venisse dimenticato, in favore ad una scorrevole conversazione dettata dal riconoscimento di animi affini.

La colazione portò ad una passeggiata nel campus universitario, poi ad un leggero pranzo. Un taxi li portò di fronte ad crepuscolo gentile, su uno dei pontili delle spiagge di Long Island.

Il mare, come uno specchio, rifletteva una luce nebulosa, il rosa del tramonto che virava al celeste. Dante distaccò un attimo lo sguardo dal suo affascinante interlocutore, permettendo al discorso un silenzio per nulla imbarazzante, per farlo vagare sui colori del panorama.

"Sai, Virgilio, spesso ho dei sogni volatili, di cui non ricordo l'argomento ma dei quali mi rimangono impresse le luci e l'atmosfera." Iniziò Dante, sentendo gli occhi dell'altro rivolti al suo profilo.

"E spesso ricorre l'immagine di una notte stellata poco prima dell'aurora; e vicino a me una figura che mi ispira rispetto e sicurezza. Non so perché, ma ho la sensazione che questa sia la sera prima che quell'evento, quella sensazione, si ripeta."

Inspirando l'aria fredda della sera, Dante girò il volto verso Virgilio, per incontrarne l'espressione turbata ed emozionata. Virgilio si toccò nervosamente il collo, senza spezzare il silenzio.

E il tempo parve scorrere con una certa solennità, mentre i due uomini, sdraiati sul pontile, attendevano il miracolo di quel momento prima dell'alba.

-

Dante doveva essersi addormentato. Aprì gli occhi, rabbrividendo nell'aria notturna; e vide di fronte al sé la figura elegante di Marone, i capelli sfuggiti alla pettinatura e un broncio puerile nel sonno.

Un cambio di atmosfera doveva averlo destato. Ma ogni riflessione si zittì quando incontrò gli occhi scuri di Virgilio fissi nei suoi.

"Ho sognato questo momento; non questo ambiente, ma i tuoi occhi e l'aria del primo mattino. E la sensazione di poter respirare di nuovo, di uscire a rivedere le stelle. Non so come, ma tutta la mia vita prima di questo momento mi sembra essere stata un supplizio infernale, un limbo che pensavo eterno."

Queste parole raggiunsero Dante come un'epifania; una certezza di essere stato liberato o salvato da qualunque cosa lo avesse afflitto fino a quel momento. E con reverenza baciò Virgilio, sognando di averlo fatto in un altro tempo, in un altro luogo.

Sopra di loro le stelle del mattino andavano diradandosi, il giorno incombente ignaro dell'incanto che la notte aveva portato. 

 
   
 
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