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Autore: Anil    10/11/2017    5 recensioni
Cosa succederebbe se Akito e Sana potessero leggersi nel pensiero? Basterebbe per risolvere le loro solite incomprensioni?
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Naozumi Kamura/Charles Lones, Sana Kurata/Rossana Smith, Tsuyoshi Sasaki/Terence, Un po' tutti | Coppie: Naozumi/Sana, Sana/Akito
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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C’è un costruire che è molto più dannoso di qualunque distruggere
(Guido Ceronetti)
 
 
SABATO
POV. SANA
“Cavolo Kurata, ma si può sapere perché sei così tonta?”
“Hayama non fare il deficiente, non l’ho fatto apposta a slogarmi la caviglia.”
Dannato Hayama, ma cos’ha tanto da strillare?! Lo sanno tutti che praticamente ho due piedi sinistri e inciampo ad ogni mattonella messa male. Lo sa perfettamente anche lui visto che non si contano le cadute di cui ha sghignazzato come un forsennato. Di gusto per giunta.
“Sta zitto Hayama ed aiutami!”
Si dovrebbe anche sbrigare visto che la gente comincia ad indicarmi. Sono seduta nel bel mezzo del grandissimo salone all’ultimo piano dell’osservatorio di Tokyo, il palazzo più alto della città. Mi sono distratta cercando Fuka e sono inciampata. Hayama è ancora seduto, o meglio, stravaccato su una delle poltroncine e ride divertito. Ride è una parola grossa. Hayama non ride: ghigna. Odioso. Davvero odioso.
“Vuoi rimanere lì a guardarmi o mi aiuti? Non voglio rimanere tutto il sabato qui.”
Hayama si guarda intorno allungando il collo come in cerca di qualcuno.
“Cosa fai adesso Hayama?” Mi sto davvero innervosendo, e per giunta la caviglia mi fa male.
“Sto cercando qualcuno che possa aiutarti.”
“Non essere stupido, neanche io muoio dalla voglia che tu mi tocchi, ma gli altri sono già scesi. Purtroppo per me ci sei solo tu qui.” Protendo le braccia perché mi aiuti. Sul serio, non voglio che mi tocchi, ma ora è una necessità.
“Hai detto purtroppo Kurata?” Hayama si avvicina tenendosi fuori dalla portata delle mie mani. Si poggia le dita sul mento assumendo una posa da pensatore.
“Cavatela da sola allora.” Si volta e si avvia verso le scale.
“Akito per favore! Mi fa male!” urlo prima di rendermene conto. Io non lo chiamo MAI per nome. E lui fa altrettanto. Non più almeno. Mi è solo scappato per una questione di bene superiore, insomma non posso morire di inedia su questo pavimento freddo. Hayama si blocca sulla porta che dà alle scale e torna indietro.
“Mi sei debitrice Kurata” dice passandomi la mano sotto le braccia e tenendomi saldamente contro il suo fianco.
Ok. Ce la posso fare. Sana, non sei più una bambina. Datti un contegno. Concentrati sul dolore alla caviglia. Mi accorgo che non è così difficile in effetti concentrarmi sul dolore alla caviglia perché fa veramente “UN MALE CANE” urlo alzando il piede.
“Mi hai perforato un timpano Kurata!” Hayama passa l’altro braccio sotto le ginocchia e mi prende in braccio. “Così va meglio?”
Cosa? Chi? Chi sono io? Ah sì Sana Kurata, 20 anni. Attrice e studentessa universitaria. Bene va meglio. Non devo guardare Hayama e dargli la soddisfazione di vedere gratitudine ed emozione sul mio volto. Non ci tocchiamo da anni, e infatti tiene le braccia tese in avanti, quasi non mi fa toccare il suo corpo, fa il doppio della fatica in questo modo, ma è meglio così. 
“Mhm” mugugno.
“Dove stai andando Hayama?” mi accorgo che si sta avviando verso le scale.
“Alle scale” risponde come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Lo guardo negli occhi: due secchi di oro fuso, che un tempo erano capaci di farmi perdere qualsiasi pensiero coerente.
“H-Hayama sei impazzito? Sono 70 piani!” urlo.
“E allora?”
Si si fai lo sbruffone solo perché sei un campione di Karate e hai più muscoli che cervello. Mi guardo bene dal dirglielo però perché devo pur scendere da questo maledetto palazzo. E poi diciamolo… per amore del vero. Ha pure il cervello lo stronzetto. Ha preso il corso di medicina con specializzazione in fisioterapia ed ha anche una delle medie più alte.
“E allora, potresti inciampare e farmi cadere. Inoltre sto per impazzire dal dolore. Con l’ascensore faremo prima.”
Non fa una piega. Brava Sana, quando mi ci metto sono anche abbastanza logica e convincente.
“Io non inciampo Kurata. Ti fa veramente così male?” Mi chiede scrutandomi.
Sono un’attrice mio caro. E comunque sì mi fa male, non da impazzire forse, ma io il dolore fisico non lo sopporto proprio. Faccio una smorfia e sgrano gli occhioni annuendo.
“E va bene, ma con questo fanno due debiti Kurata. Come intendi pagarli?”
Nascondo un ghigno trionfante posando la testa sulla sua spalla. Oh diamine che buon profumo. Sana fai la brava. È oggettivo, ha un buon odore, non rompere coscienza del cavolo.
“Facciamo tutto un conto Hayama. Ti comprerò del sushi.”
Infondo basta poco per far felice Hayama: un po’ di sushi, forse anche il Karate…
“Il sushi me lo posso comprare da solo, deciderò io il tuo conto Kurata.”
Sbuffo sonoramente, non è una buona cosa essere in pugno ad Hayama.
Lo sento prendere un respiro profondo e mettermi giù. Siamo nell’ascensore di vetro. Saltello fino alla vetrata da cui si vede tutta Tokyo, è davvero meravigliosa. Quella distesa immensa di cemento e anime che mi fa sentire piccola e viva.
“Non stai morendo dopotutto” Hayama stringe gli occhi accusatori fermo sulla porta dell’ascensore.
Mi accascio contro il vetro sedendomi sulla moquette e lo guardo piegando la testa di lato per scrutarlo meglio, chissà se ricorda che qui mi ha baciata per la prima volta...
 “La vista mi ha distratta un attimo Hayama tutto qui” mi massaggio distrattamente nel punto dolorante che intanto si è davvero gonfiato.
Hayama fa un passo incerto dentro l’ascensore adocchiando il pallone che ha preso il posto della mia caviglia e pare convincersi.
“Serve del ghiaccio” sentenzia dando subito le spalle a me e alla vista della città sotto di noi. Hayama soffre di vertigini. Lo so che ha paura dell’ascensore di vetro, ma cavolo deve pur controllare le sue paure! È un uomo adesso.
Hayama schiaccia il pulsante del piano terra e le porte si chiudono con un cigolio. Lui rimane ostinatamente voltato verso la porta. Gli osservo le spalle ampie fasciate dalla camicia azzurra, le gambe muscolose strette nel Jeans e i capelli biondo cenere che si riavvia nervosamente con la mano. E’ davvero un bell’uomo. Sospiro. Perché sospiro?
“Perché sospiri Kurata?”
Ecco appunto. Me lo stavo proprio chiedendo. Perché? Beh non c’è un motivo, studi scientifici dicono che sospirare serve a raffreddare il cervello. O quello era lo sbadiglio?
“Mi fa male la caviglia” mento spudoratamente.
66° piano
65°
64°
63°
62°
BUM! L’ascensore si ferma di colpo e ci sbalza mandando me a sbattere contro la vetrata e Hayama contro il pavimento. Ci metto un po’ a riprendermi dalla botta alla testa. Mi tocco un punto imprecisato del volto e sento una sostanza viscida e calda sulle dita. Cerco di mettere a fuoco ciò che mi circonda, ma faccio fatica perché l’occhio destro è appannato. Con l’occhio buono vedo Hayama premere furiosamente il bottone di soccorso.
“H-Hayama che succede?”
Hayama si volta verso di me e sbianca, mi si avvicina in un balzo e mi tampona con la manica della sua camicia il lato destro del viso, sorreggendomi la testa con l’altra mano.
“Stai sanguinando Kurata” mi dice prendendomi di peso e spostandomi dall’altro lato dell’ascensore. Continua a pulirmi la guancia e l’occhio permettendomi di vedere di nuovo. Poi si china e per un momento infinito credo che mi voglia baciare sulla fronte, invece prende delicatamente fra le labbra l’angolo del sopracciglio lasciando una strana sensazione di bagnato. La mia testa galleggia e non so se per la botta o per le labbra di Hayama sul mio viso. Labbra Hayama. Mio Viso. Vietato immaginare queste cose insieme.
“Ehi” protesto spingendolo leggermente.
“La saliva disinfetta” dice semplicemente e mi abbandona per tornare a premere il pulsante. Finalmente una voce metallica risponde alla chiamata di soccorso:
Prego signori indicateci il problema.
“Siamo bloccati nell’ascensore, torre di osservazione di Tokyo 62° piano, siamo in due. Una persona è ferita.”
Pausa. Provvederemo subito a mandare soccorsi. Rimanete vicino alle porte e non fate movimenti bruschi.
Cosa significa non fate movimenti bruschi? Vedo Hayama sbiancare ancora di più, e credo di avere anche io lo stesso aspetto cinereo, più sangue e palla alla caviglia annessa certo. Hayama si lascia scivolare di fronte a me.
“Stai bene Kurata?” mi chiede guardandomi.
“Credo di sì” mi tocco lievemente l’occhio e sussulto per il dolore.
“Tu come stai?”
Scuote la testa, spero che non vomiti sul pavimento.
“Avrei dovuto prendere le scale” dice lanciandomi uno sguardo accusatore.
Eccolo che parte alla carica, la sua interminabile voglia di irritarmi non arretra proprio davanti a niente eh?
“Stronzo” sussurro.
“Cosa hai detto scusa?”
“Niente.”
“Sei davvero una ragazzina egoista Kurata.”
Io egoista? Hayama, decisamente sei fuori strada caro. Fra noi due l’egoista, egocentrico, egoarca ed egolatra sei solo tu! Adoro questi termini, li ho imparati apposta per insultarlo. Mi mordo la lingua però, perché sebbene muoia dalla voglia di rispondergli a tono, riconosco che ha fatto uno sforzo per salire sull’ascensore ed aiutarmi. Quindi mi limito a sbuffare.
“Ecco brava, stai zitta una buona volta.”
Eh no, così mi provochi e non si fa Hayama. Nu-nu-nu!
“Fosse per te la gente comunicherebbe a gesti Hayama” musone che non sei altro, te ne stai sempre zitto, indifferente a tutto…
“Fosse per te invece sarebbe tutto un grande Show.”
“E cosa c’è di male? Almeno io ci metto gioia nelle cose che faccio! Tu cosa ci metti Hayama?
“Sei irritante Kurata, cosa avrai da essere così contenta non si capisce.”
“E tu cosa avrai per essere così musone non lo capisco.”
“Non lo devi capire infatti, non ti riguarda.”
“Bene, e a te non riguarda la mia gioia.”
“Bene.”
“Bene.”
Ci guardiamo accigliati un attimo prima di affondare ognuno nei propri pensieri. Questo è adesso il nostro rapporto. Come un lungo deja vù, ma adesso non c’è nessun ragazzino che io debba salvare, ora devo soltanto salvaguardare me stessa. Hayama tiene la testa fra le ginocchia e io mi giro di lato per sentire il freddo dell’acciaio sulla ferita. Mi dà un po’ di sollievo, solo la caviglia continua a pulsare dolorosamente. Mi stendo sulla moquette mettendo la borsa sotto la testa. Il mio orologio da polso segna le cinque, è già un’ora che siamo qui dentro e pian piano la luce proveniente dalla vetrata sta scemando. Spero che ci portino via di qui prima possibile, non voglio rimanere con Lui tutta la notte. Il caldo e l’ansia ci fanno grondare di sudore, respiro un po’ affannosamente, e vedo che anche le spalle di Hayama si alzano e abbassano faticosamente. Vorrei che il nostro rapporto fosse più semplice da permettermi di rassicurarlo o toccarlo, ma le barriere fra di noi sono massicce ed impenetrabili. Faticosamente e meticolosamente costruite in anni di duro lavoro. Mentre osservo quello che un tempo è stato il centro esatto della mia esistenza mi sento scivolare nell’incoscienza.
Un cigolio sinistro mi desta, mi rizzo a sedere terrorizzata. Hayama balza in piedi e riprende a pigiare sul pulsante di soccorso.
Stiamo arrivando signori, ancora poche ore.
“Poche ore?” urla Hayama, nessuno di noi due ha idea di quanto tempo sia passato. Fuori è buio e ad illuminare la scatola d’acciaio in cui ci troviamo sono delle inquietanti luci a neon che fanno apparire tutto sinistro e tremulo.
Signore rimanga calmo, l’intervento è delicato. Presto uscirete illesi.
“Maledetti inetti” urla ancora Hayama prima di andare a rimettersi seduto. Un secondo dopo l’ascensore sembra riprendere vita, solo che il cigolio è davvero inquietante e l’ascensore comincia a prendere sempre più velocità. Siamo morti, lo so. Ci schianteremo.
BUM! L’ascensore si riferma con uno schianto e io e Akito siamo nuovamente sbalzati, sbatto ancora la testa e l’ultima cosa che vedo è Akito chiudere gli occhi guardandomi.
   
 
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