Anime & Manga > Detective Conan
Ricorda la storia  |      
Autore: Laix    10/11/2017    2 recensioni
Conan e Ai non si parlano da settimane.
L'errore che il detective ha commesso nei suoi confronti, in modo del tutto impulsivo, ha una portata tale da essere mal digerito perfino da un carattere come quello di Ai.
Tuttavia, c'è sempre qualcosa che si può fare per rimediare.
---
“Magari poi ti tratterà sempre male, con sufficienza, ti ferirà pure. Ma tu potrai solo accettarlo con un sorriso, perché sai che quella è in fin dei conti la sua natura. E che ti piace così com'è."
***Ai/Conan Friendship Shot***
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa | Coppie: Shiho Miyano/Shinichi Kudo
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

||| Pet Therapy 
***





Non parlavano da settimane.

Entrambi, sotto sotto, erano sicuri che sarebbero bastati pochi giorni per rendersi conto che così non poteva andare, che presto si sarebbero riappacificati. Che erano abbastanza grandi da non tenersi un muso continuo e che infine, con un sorriso imbarazzato e una pacca sul braccio, tutto sarebbe tornato a posto. Un litigio brutto tra amici può capitare, anzi. Capita proprio tra gli amici migliori.
Ma nonostante questo, era durata molto di più. Non si rivolgevano neanche la parola, quasi non si guardavano se costretti a stare in compagnia. In quei momenti Ai teneva gli occhi bassi. Conan gli occhi alti, diretti ad una linea d'aria che stava tra la cima degli alberi e il cielo.

Conan capiva che la colpa era la sua, non di Ai. Era capace di intendere quando il torto fosse a suo carico e non aveva intenzione di negarlo. Solo che, in casi estremi come quelli, che peraltro aveva creato lui con le sue stesse mani – no, parole – era altrettanto difficile scusarsi in modo sincero, senza sembrare una macchietta o un disperato che striscia.


“Chissà perché mai Akemi ha deciso di farsi ammazzare per tirare te fuori da lì. Me lo chiedo ancora.”


Sole alto, cielo azzurro. Poche nuvole bianchissime e soffici a sorvolare pigre la città. Nel silenzio che governava il quartiere, Ai mescolava lentamente lo stufato di verdure fissando il sugo che si smuoveva al passaggio del mestolo. Era a casa da sola.
Occhi bassi da sembrare chiusi, movimenti lenti. Bocca serrata e respiro appena accennato.
Una goccia di sugo bollente schizzò fuori con insolenza dalla pentola, facendola sussultare. Sbuffò e scosse la testa, riprendendosi da una leggera trance che si era impadronita di lei fino a quel momento. Afferrò il coperchio della pentola che adagiò sopra di essa, abbassando il fuoco, dopodiché si allontanò sospirando.
Sospirò di nuovo e con più pesantezza quando si lasciò cadere sul divano del salotto, sfinita da qualcosa di sconosciuto, iniziando poi a fissare un punto nel vuoto siderale che si apriva di fronte a sé.
Qualcuno, poi, suonò alla porta di casa. Lei non si mosse.

- Ai? Ai-chan, sei in casa?
La voce di Ayumi, seguita poi da quella dei bambini. Non si mosse.

- Ai, sappi che... Conan non c'è... ti va di uscire con noi? - la voce incerta di Mitsuhiko.
Seguirono svariati tentativi, tutti a vuoto. Udì i passi dei ragazzini allontanarsi da lì.

***

- Stasera passo.
- Sicuro, Conan? Le serate a casa di Sonoko sono sempre un po' impegnative, è vero, però lei ci terrebbe che venissi... è il suo compleanno.
- Non gliene frega nulla, che io ci sia o meno. Vai pure solo tu, Ran, e divertitevi.
- Conan...?
Lui sollevò lo sguardo dalla rivista manga che stava leggendo e si voltò a guardarla, rispondendo al suo richiamo. Lo sguardo che Ran gli rivolgeva era strano, amaro. Gli occhi ben sbarrati a denotare il suo stupore.
- Sì, scusami, va tutto bene – si affrettò a rispondere a quegli occhi eloquenti. Aveva già ferito una donna, e quasi mortalmente, senza che si impegnasse a ferirne una seconda con le sue risposte sfrontate e spente. - Tutto okay.
- Non sembrava... - biascicò lei.
Conan sospirò sottovoce, poiché di fronte a lei ogni sua reazione era meglio fosse dosata e sempre sottovoce, e riabbassò lo sguardo sulla rivista. Un mucchio di disegni, espressioni, scritte, fumetti. Gli occhi si persero sulla pagina e non lesse più nulla.
- Stasera sarai coi tuoi amici? - provò ancora Ran, sotto tono. Siccome Conan non rispose, poiché probabilmente neanche l'aveva udita, puntualizzò maggiormente. - Sarai con Ai-chan?
- No. - rispose Conan nell'immediato.
- E' da un po' che non la vedo. Da molto tempo, a dire il vero – sussurrò Ran.
Nessuna risposta.
- Resta tanto in casa a studiare? Una bambina della sua età dovrebbe uscire di più con gli amici... all'aria aperta...
Disegni, espressioni, scritte, fumetti. Tutto mescolato e completamente privo di senso.
- Magari andrò a trovare sia lei che Agasa, nei prossimi giorni - disse la ragazza.
- Se per caso ci vai... - e in teoria doveva continuare con “dimmi come sta”, ma non si azzardò a completare la frase.
- Sì?
- Niente.
- Ti farò sapere come se la passa. Va bene.
Conan si agghiacciò. Strinse le dita attorno alla rivista, la carta ruvida e spessa.
Era tutto così evidente?
- Da quanto tempo non parli con Ai-chan? Che cosa è successo?
- Io... non è accaduto nulla.
- Qualunque cosa sia mi dispiace. E mi dispiace che non me ne parli... pensavo ti fidassi di me, Conan – sorriso gentile e triste.
- Mi fido. Mi fido sempre. Non è successo niente...
Sorriso più gentile e più triste.
- Cerca di parlare di nuovo con Ai. Siete così amici che sarebbe un vero peccato buttare via tutto al vento...

“Chissà perché mai Akemi ha deciso di farsi ammazzare per tirare te fuori da lì. Me lo chiedo ancora.”

Dietro lo sguardo di Ran, vedeva la lunga finestra dell'agenzia investigativa dietro cui la sera aveva cominciato a dipingere il vicinato di blu scuro. I lampioni si erano da poco accesi.
Non era riuscito in alcun modo a governare le proprie emozioni, quel giorno.
Tutto ciò che di più orrendo gli potesse uscire dalla bocca, era uscito.

Era arrabbiato per gli ultimi antidoti che aveva assunto, dalla durata ormai ridicola. Arrabbiato dall'aver fatto di tutto per restare con Ran e avanzare nel suo rapporto con lei, quando invece tutto cospirava contro quel suo piano; arrabbiato con sua madre, che lo aveva chiamato nei momenti meno opportuni per motivazioni che lui riteneva futili ma che per lei erano fondamentali, e con cui aveva quindi finito per litigare furiosamente malgrado Yukiko fosse famosa per non prendersela mai veramente troppo – quel giorno, invece, l'aveva spedito al diavolo scoppiandogli poi a piangere al telefono, prima di riagganciare senza più farsi sentire. Arrabbiato con Heiji, che invece di rassicurarlo un minimo lo prendeva soltanto per il culo per la sua incapacità di gestire il suo tempo con Ran quando si trovava nella sua forma adulta, arrabbiato con Sonoko che ad alta voce insinuava i dubbi in Ran intimandole di lasciar perdere quello sfigato di Kudo, arrabbiato con Kogoro che lo prendeva a cazzotti senza motivo e che si sbronzava, arrabbiato coi bambini che gli urlavano nelle orecchie, con gli uomini in nero che gli rovinavano la vita, con il mondo intero. Faceva tutto schifo in quel periodo, e sì, era arrabbiato anche con Ai, che pareva essersi tramutata nell'ibrido di tutti loro. Che come Heiji lo prendeva in giro a più non posso, come sua madre gli faceva le ramanzine, come Sonoko sbraitava scempiaggini, come Kogoro cercava di tirargli qualche schiaffo, come Ran si amareggiava all'improvviso.
E ad un certo punto, dopo ore passate in quel modo in sua compagnia, semplicemente lui non ci aveva più visto.


“Hai proprio voglia di divertirti, eh, Haibara?”

“Ti piace quando me ne sto zitto a farmi torturare dal tuo sarcasmo tagliente? Sì?”


Il problema era che lei aveva addirittura risposto di sì. Per scherzare in modo macabro, certo, ma era stato un sì.

“Chissà perché mai Akemi ha deciso di farsi ammazzare per tirare te fuori da lì. Me lo chiedo ancora.”


***

- L'unica tua possibilità... - mormorò Agasa, cercando bene le parole. - ...è trovare qualcosa apposta per lei. Qualcosa che sai potrebbe farle piacere perché è lei, e che non può quindi essere altrimenti, senza margine di dubbio.
- Ehm... tipo? - Conan non aveva capito quasi niente.
- Tipo, non i fiori di cui parli. E neanche le borsette alla moda. Ma per favore. Anche perché sono troppi, ridondanti... non c'è unicità in doni simili.
- Ma io so che fiori piacciono ad Haibara. Non le regalerei dei fiori a caso...
- Poco importa. Le regali un fiore, e quindi? Cancelli in qualche modo ciò che hai fatto, che le hai detto?
- Puntualizziamo che nulla, in questo mondo, potrà cancellarlo.
Il telefono sembrò vibrargli in mano, quando emise quella frase.
- Questo è vero. Ma qualcosa, in questo mondo, qualcosa pensato apposta per lei e perché è lei, potrà sicuramente mitigarlo. - e dal tono che udiva, Agasa stava di certo sorridendo. - Tuttavia questa cosa non potrà mai essere un fiore né una borsa.
- Non so se davvero mi sta aiutando, professore. Mi boccia tutte le idee.
- Mi piace più pensare che sto restringendo il tuo cerchio – disse, e sì, se la rideva proprio.
- Mah, sarà. Sta di fatto che non so più cosa fare per riguadagnarmi la fiducia di Haibara... anche solo l'un per cento, per dire.
- Perché l'hai fatta un po' grossa, non credi?
- Lo credo, lo credo.
Conan chiuse gli occhi, li strizzò e poi li riaprì di scatto, stringendo assieme il cellulare all'orecchio. Si lasciò sfuggire un sospiro grave.
- Ho l'impressione di averla fatta così grossa da aver bruciato tutto.
Quando il dottor Agasa non rispondeva immediatamente, fosse anche con un versetto caricaturale da vecchio ometto simpatico e sempre disponibile, c'era da preoccuparsi.
- Dottore...
- Io posso capire il tuo smarrimento, Shinichi...
- Non so se può capirlo. Mi sento senza risorse, senza...
Non volevo dirti quella cosa orrenda, Haibara. Non volevo farti questo.
Non ho mai voluto.
-
Non posso essere io. Lo capisci? Perché Ai ha bisogno che sia tu, Shinichi Kudo, a riparare alla situazione, da solo. Non Hiroshi Agasa che ti spiffera le soluzioni.
- Mi insegni almeno ad essere saggio in questo modo...
- Sono certo che tu lo sia abbastanza da imparare dai tuoi errori... non raggomitolarti in te stesso.

Il ragazzino stava per rispondergli, ma sbarrò gli occhi.
Raggomitolarmi?
- Shinichi, ci sei ancora?
- Ce l'ho, prof. Ho capito cosa fare!
- Cos...?

***

Al terzo squillo da parte di Kudo, Ai premette il tasto di annullamento chiamata e spense il cellulare.
Chissà perché ancora si ostinava a chiamarla. Credeva di essere stata chiara nel dirgli di non volerlo sentire più per molto tempo, possibilmente per tutta la vita.

Il fatto che iniziasse a mancarle in modo soffocante, beh, era un altro conto. La consapevolezza peggiore. Perché non avrebbe proprio voluto sentirne gli effetti.
Si sdraiò sul divano, fissando il soffitto bianco. Era marchiato da macchie gialle appena visibili e aveva bisogno di una verniciata ben assestata, ne avrebbe parlato col dottore.

Erano settimane.

Non ore, non giorni. Settimane intere in cui non si rivolgevano parola. In cui non si scrivevano. Senza quel pretesto, mai si era resa conto di quanto lui fosse entrato a fondo nelle fasi della sua vita, delle sue singole giornate, come una piantina che viene posata a caso su un prato e la cui radice penetra così nel sottosuolo da non riuscire poi più a sradicarla. Magari la sradichi anche, come in questo caso, ma farà male. Farà male alla terra, che verrà bucata e ferita, farà male alla vista, perché ormai ci si era abituati ad osservare la piantina e il modo in cui cresceva giorno dopo giorno.
Le prudeva la cima del naso, i suoi occhi si annacquarono. Sospirò, attirando l'attenzione del dottor Agasa che sedeva sull'altro divano.
Il dottore era una persona discreta che tendeva a rimanere sulle sue, anche quando una situazione gli richiedeva di entrare più arditamente nella questione. Vi entrava infatti con circospezione, valutando i termini più appropriati, mettendo al primo posto la sensibilità dell'altro. Ma questa volta lasciò che fosse il cuore a parlare.
- Quando hai intenzione di smetterla, Ai-chan?
Sentendosi brutalmente tirata in causa, Ai sollevò solo la testa dal divano, guardando incredula in direzione del dottore, il quale la fissava con sguardo fermo e vagamente amaro.
- Che cosa? - e in qualsiasi altra situazione si sarebbe alzata per pestare i piedi a terra, ma stranamente sentiva di non averne le forze.
- Ci stai male anche tu. Sei dentro questo circolo di sofferenza esattamente come lui, non è il caso di uscirne?
- Non importa. Evidentemente... è così che deve andare.
- Così che “deve andare”? Cioè dovete stare male tutti e due, non ci sono alternative?
- E' lui che deve riparare e svegliarsi, non io.
- Ce la sta mettendo tutta, Ai... prova a telefonarti, a venire qui a sorpresa, a riallacciare i rapporti e...
- Non me ne faccio niente, di tutto questo.
A
gasa si trovò a constatare come il cemento armato si sarebbe sgretolato, a contatto con una testata di quella piccola dolcezza.
Bene, pensò Ai, l'aveva zittito. Meno male, perché si sentiva già fuori gioco e con la testa che girava.
Alzò di molto il petto e buttò fuori aria, ripiombando con la testa sul bracciolo del divano e portandosi un braccio sugli occhi.

- Hai ragione, piccola.
- E allora perché stai dalla sua parte?
- Sto dalla parte di entrambi. Voglio vedervi contenti.
- Io sono contenta così.
- Ai... io non sono un genio sui sentimenti, ma so capire quando diventi apatica. Specialmente per periodi prolungati.
Mamma mia, che colpo basso. Bassissimo.
- Cosa devo fare con qualcuno che mi dice frasi simili? Qualcuno che pensavo mi volesse bene davvero, che mi fosse amico? - la voce le si stava spegnendo. Voleva dell'acqua, la gola era secca. - E che in fin dei conti si sta chiedendo perché mai io sia ancora viva, quando c'era qualcuno che se lo meritava di più...?
- Era arrabbiato, Ai.
- Non mi interessa!

- La rabbia può farci dire cose orrende che non pensiamo veramente.
- O ci fa trovare finalmente il coraggio di dire ciò che pensiamo da tempo?
- Ti ha fatto del male, ma credimi se ti dico che ne ha fatto anche a se stesso.
- Oh, poverino.
- Dico sul serio...
- Il problema, forse, è che ha detto la verità. Ed io lo so. Ecco tutto.
- Non dire stupidaggini. Nessuno merita di vivere più oppure meno rispetto a qualcun altro...
- Nel mio caso sì, mia sorella se lo meritava. E lui l'ha semplicemente capito. - le stava montando nel petto una pressione calda, un quintale di sabbia adagiato addosso.
- Ai, desidero chiudere qui la questione, non stai più ragionando in maniera lucida. A fra poco – il dottore si alzò un po' a fatica dal divano, ma con grande determinazione. La guardò con espressione priva di stimoli. - Vuoi dell'acqua? Qualcosa da bere?
Lei nemmeno tolse il braccio dalla faccia per guardarlo e dirgli di no. Sentì i suoi passi da uomo pesante allontanarsi, appena in tempo da non consentirgli di vedere le strisce d'acqua salata che da sotto il braccio facevano capolino.
Ma tanto, essendo praticamente suo padre, l'aveva di certo capito. Voleva solo lasciarla un po' sola.


Dopo quelli che non le parvero attimi, ma ere geologiche, udì il cellulare vibrare. Lo afferrò, constatando che era un messaggio da Kudo – e lo lesse subito. I suoi messaggi li leggeva sempre, anche se non osava rispondergli.
Le chiedeva semplicemente a che ora sarebbe stata fuori casa l'indomani, poiché doveva consegnare un oggetto da riparare ad Agasa e non voleva correre il rischio di incontrarla.
A quel messaggio Ai fu lieta di rispondere, scrivendo soltanto quattro numeri che segnalassero orario di inizio e di fine. Nient'altro.

***

Il dottore non si sbrigava a venire ad aprire la porta.
Era un problema, poiché Ai sarebbe rientrata da un momento all'altro. Conan suonò per la terza volta il campanello. E per la terza volta, quel suono sembrò agitare lievemente ciò che stava ai suoi piedi. Si abbassò.
- Stai buono ancora per un paio di minuti... okay? Ti prego!
Il dottore aprì la porta e, dopo qualche secondo di sbigottimento, se la rise. Poi annuì, soddisfatto.

***

Il primo biglietto lo trovò lungo il viale in cui abitava, molto prima di villa Kudo e di villa Agasa, attaccato ad un muro.

“Non sempre ama la compagnia, anche se te lo lascia pensare.”

Era la prima frase di un lungo messaggio, considerando che già vedeva altri biglietti appiccicati in vari punti lungo la via. La scrittura era quella di Kudo. Il fatto che fosse spezzettato in questo modo e che tracciasse un sentiero...
Doveva forse chiarirle le idee?

“Ha questo modo sospetto di comportarsi, come se avesse bisogno di te ma, al contempo, ti schifasse quasi. E forse è proprio questo che fa: necessita la tua presenza, schifandoti.”

Ai ridacchiò tra sé e sé, in quanto non capiva dove Kudo volesse andare a parare. Il terzo foglietto lo trovò ancora più avanti, attaccato saldamente con lo scotch alla grata di un tombino.

“Per qualche ragione questo suo atteggiamento riscuote successo. Perché basta una volta, una volta sola in cui ti mostri la sua riconoscenza e il suo bisogno di te, perché tu non riesca più a fare a meno di dimostrargli che ci sei. Perché tu non riesca più a stargli lontano.”

La ragazzina si fermò sul posto, smettendo prima di respirare, poi riprendendo a farlo in modo leggermente più sentito. Rilesse il biglietto un paio di volte. Una nuvola oscurò il sole gettando ombre sull'asfalto, sul quale notò un quarto biglietto svolazzante che si affrettò a recuperare.

“Magari poi ti tratterà sempre male, con sufficienza, ti ferirà pure. Ma tu potrai solo accettarlo con un sorriso, perché sai che quella è in fin dei conti la sua natura. E che ti piace così com'è.
Trovi che sia semplicemente perfetto e non lo scambieresti con nulla di esistente.”


Ai dovette fermarsi ancora. Che cosa stava a significare tutto questo?
Stava descrivendo lei? O sennò cos'altro?
Si ritrovò a correre verso il biglietto seguente, senza accorgersi che era quasi arrivata di fronte alla casa del dottore.

“Molti credono che non abbia la capacità di amare, di affezionarsi. Questo pregiudizio porta ad un certo distacco, alla consapevolezza che non ti darà mai quello che vuoi e che forse cerchi. Ma è sbagliato. E solo chi ha voglia di rimanere e di provare ancora e ancora, capirà che l'affetto c'è. E che è così raro da essere speciale, insostituibile.”

Il foglio tremava nelle sue mani. Non capiva il perché, ma tremava, non c'erano dubbi.
La luce calda del sole tornò. Il prato della casa divenne di nuovo verde acceso.
Ai alzò lentamente lo sguardo verso la casa, individuando un biglietto sulla porta d'ingresso. Probabilmente l'ultimo.
Se lo sentiva.
A passi lenti e misurati si avviò lungo il vialetto d'ingresso, con tutti gli altri fogli accumulati stretti in una mano, lasciandosi avvolgere dal silenzio del quartiere e dal suono cantato dagli uccelli.
Prese l'ultimo biglietto.

“Tutto ciò che potevo sbagliare con te, l'ho sbagliato.
Avevo trovato questo affetto così raro, l'avevo trovato e l'ho messo a repentaglio, senza pensarci.
Per me è difficile fare tutto questo. Ma ci sono momenti in cui va fatto, perché a questa creatura basta un solo errore per farti rimpiangere tutto. Si è lasciata toccare, si è lasciata andare e questo è già tanto... quindi adesso non sbagliare più.
Adesso non sbaglierò più.

Mi dispiace, Haibara. Per tutto.”



Ai rilesse il biglietto deglutendo più e più volte, poi chiuse gli occhi. Inspirò lentamente aria, molta aria, e la ributtò fuori con la stessa lentezza. Riaprì gli occhi, percependo già una certa percentuale di pacifismo dentro di sé. Dovuta a cosa, non si sa.
Entrò in casa.

Si guardò attorno e non sembrava esserci nessuno, solo molto silenzio.

- Dottor Agasa?
Niente. Fece un altro giro delle stanze al piano terra, con passo felpato, come se lei stessa dovesse nascondersi da qualcosa. Perché, comunque, le pareva di percepire un'altra presenza in quella casa.
- Kudo? - provò, non senza una certa esitazione. - Vieni fuori, dai. -
Dopo quel richiamo, udì un rumore soffice. Si voltò verso il divano, da dove le pareva provenisse.
C'erano delle coperte di pile ammassate su una parte del divano, che non le pareva di aver lasciato lì. E per un attimo le aveva viste muoversi in modo impercettibile.
- Kudo, ma sul serio? - disse, avvicinandosi all'ammasso di coperte. - Ti sei nascosto qui sotto? Sono arrabbiata, sì, ma non mi pare proprio il caso di... - tirò via le coperte.
Un miagolio. Molto pelo bianco. Due piccoli occhi zaffiro. Zampe. Baffi lunghi e argentei.
Ai rimase come una stoccafissa a guardarlo.

“Non sempre ama la compagnia, anche se te lo lascia pensare.”

Ai si chinò molto, molto lentamente sul divano, avvicinando il suo viso a quello del piccolo gatto bianco che la fissava di rimando con una certa perplessità.
Con molta delicatezza e cura, provò ad afferrare l'animale dai lati del petto e lo sollevò per tenerlo in braccio. Era leggero e morbidissimo, se l'accostò al petto. A quella vicinanza lo fissò molto bene, specchiandosi nei suoi occhi grandi e blu oceano. Il gatto rimase zitto, muovendo appena il nasino e guardando Ai con vivo interesse.

Perché basta una volta, una volta sola in cui ti mostra la sua riconoscenza e il suo bisogno di te, perché tu non riesca più a stargli lontano.”

Il gatto miagolò appena, un miagolio sommesso che pareva avere intonazione interrogativa. Ai si lasciò sfuggire un risolino a dir poco emozionato.
Sentì il proprio petto sussultare a contatto col corpo peloso e caldo del gatto.
Era davvero al limite.
Quel gatto era meraviglioso.

“Ogni tanto ti ferirà ma potrai solo accettarlo con un sorriso, perché sai che è quella la sua natura. E che ti piace così com'è.”

Il gatto, ad un certo punto, sembrò mettere da parte la sua diffidenza e strofinò con convinzione il proprio muso contro il naso di Ai, una volta, due, tre volte. Ricominciò a miagolare, con fusa annesse. Mosse una zampina nella sua direzione, con la volontà forse di conoscere la sua nuova padrona.
Ai rise. Dapprima piano, poi sempre più forte, una risata colma di emozione incontenibile. Afferrò la testolina del gatto con delicatezza e se la riportò vicino, affondando il volto nel suo pelo.

“Molti credono che non abbia la capacità di amare, di affezionarsi, ma è sbagliato. E solo chi ha voglia di rimanere e di provare ancora e ancora, capirà che l'affetto c'è.”

Non capiva perché, ma le lacrime le scendevano copiose lungo il viso. Era come se avesse trattenuto dentro di sé un uragano così a lungo da avergli permesso di alimentarsi della sua negatività e delle tempeste interiori, e che ora stesse uscendo, ma in una versione dolce e pacifica. Perché erano state scelte le condizioni giuste, per farlo uscire così.

“E' un affetto così raro da essere speciale, insostituibile.”


- Il gatto non è l'unica creatura ad avermi ispirato certi pensieri.
Ai riconobbe all'istante la voce che parlò alle sue spalle. Strinse di più il pelo del gatto, facendo attenzione a non fargli male, tirò su col naso e aspettò un paio di secondi. Il cuore le batteva forte. Si voltò, sempre cingendo con amore la creatura tra le braccia.
Guardò Conan da sopra la testa del gatto. Con gli occhi arrossati lo guardò bene in volto con un'espressione poco decifrabile e lui resse pienamente il confronto.
Il gatto lanciò un miagolio.
- Ecco, io... - iniziò Conan sottovoce, grattandosi la nuca. - Io l'avrei già chiamato Poe.
- Fermo. Alt.
- Che c'è? Non ti piace?
- Ancora gialli? Non puoi proprio farne a meno? - si accorse che la sua voce era poco più che un sussurro, troppo provata dall'emozione di aver trovato un gattino bellissimo in casa propria e anche dallo sconvolgimento di dover affrontare Kudo. Lui, comunque, non sembrò darvi peso.
- Ma è carino. Non trovi?
- Pensavo quasi di darglielo io, il nome.
- Hai ragione...
Silenzio, ineluttabile silenzio. Smisero di guardarsi, occhi bassi entrambi. Altro lieve miagolio da parte del felino.
- Però è vero. Poe è molto carino. E poi, quando l'hai pronunciato... lui ha drizzato le orecchie.
Conan sorrise, rialzando lo sguardo insicuro su di lei, che sorrideva appena.
- E allora... mi sa proprio che è fatta.
- Già.
- Ti prego, perdonami. Sono una persona orribile.
- Kudo, non...
- Non esiste nulla che possa riparare al danno. Nemmeno un gatto, e guarda che lo so.
Ai riabbassò gli occhi e perse lo sguardo nel pavimento, nascondendo metà del viso nel pelo bianco e continuando ad accarezzare in modo meccanico la testolina e il dorso di Poe. Sentire la morbidezza del pelo le stava facendo bene.
Si poteva quasi dire pronta a perdonarlo.
- Posso sapere dove l'hai trovato?
- Viene da una riserva di gatti abbandonati. Li riadottano, li puliscono, garantiscono loro una casa. Ti va bene, vero?
Questa notizia le piaceva. Aveva sempre desiderato occuparsi di animali provenienti da cupi background, per poter ridare loro una seconda possibilità. Conosceva piuttosto bene quel genere di situazioni.
- Hai addirittura convinto Agasa a tenere un animale in casa. Mi va benissimo.
- Sono lieto che ti piaccia, comunque. Mi pare abbiate fatto amicizia. Non hai allergia, vero? Se hai allergia dimmelo che ti procuro i giusti metodi – continuò Conan, trafelato e convulso. - Adesso vado al negozio di animali e prendo qualche croccantino, lettiera, scatolette, giocattoli e magari...
- Kudo. - lo fermò Ai, ridacchiando di gusto. - Va tutto bene. Posso andare io. O posso venire con te...
- Sì, okay! Vieni con me. Io ho paura di perdermi in quei posti.
- Lo so. - concluse lei, con un bel sorriso.
Lasciò girare Poe per la casa, consentendogli di prendere confidenza con l'ambiente; se la rise quando vedeva che annusava tutti i vestiti, le coperte, i tappeti, in grande esplorazione. Ai continuava ad arginarlo e a riempirlo di coccole senza riuscire a controllarsi un minimo, non poteva farne a meno.

E quando guardava Kudo, adesso, veniva colta dalla voglia di abbracciarlo mista alla voglia di prenderlo a botte.

Sulla strada verso il negozio di animali del quartiere, Ai riusciva solo ad essere di buonumore. Sempre un po' cupa, con una dose di amarezza negli occhi che forse col tempo si sarebbe dissolta, ma generalmente contenta.
Era sempre andata matta per i gatti.
Meno matta all'idea di passare improvvisamente del tempo da sola con Kudo, dopo ciò che era successo.
- Haibara... - iniziò lui. - Non so come intavolare il discorso...
- Forse perché non ha più senso intavolarlo... io ho capito, ho capito benissimo.
E aveva anche apprezzato molto il suo gesto, sia la storia dei messaggi... sia il gattino stesso. Solo che non aveva intenzione di dirglielo, non ancora, almeno.
- Non ho mai voluto... io... cioè... - continuò Conan, senza guardarla e incespicando sulle proprie parole, tanto che ad un tratto quasi inciampò e Ai lo dovette sostenere al volo dal braccio. - Intendo. Allora. Che io quel giorno, ehm, voglio dire, non è giustificabile, ma quando ti succedono tante cose assieme e non sai come, cioè...
- Kudo, posso rivelarti una cosa sconvolgente?
- Devi!
- Sei molto più bravo coi fatti che con le parole. Comunichi dieci volte di più con un semplice gesto, che con tutti questi discorsi inconcludenti. Anche se forse generalmente ti sembra il contrario.
Sì, a Conan di solito sembrava il contrario. Ma a quel punto la fissò, indeciso se lo stesse prendendo in giro o meno – no, era seria, molto seria. E certamente si riferiva alla storia del gatto, ma non glielo chiese per non fare la figura del fesso.
Lei, dal suo canto, non disse nulla di più.

Perché si sa come fanno, certe creature. Se sono soddisfatte non te lo dicono apertamente, ma forse, col tempo, te lo faranno capire.








***********************
NOTA:

Ciao a todos!
Ogni tanto mi tornano e mi pigliano questi flash ConanAi, storielle brevi dove sottolineare ancora una volta la loro amicizia sempre presente. Questa volta ho scelto un registro un pochino diverso, quello che si sviluppa tramite un litigio o, più propriamente, un grosso errore commesso ai danni dell'altro: qui Kudo, in preda ad un suo personale delirio rabbioso e continuamente punzecchiato da Ai, che in tutto questo si diverte perché è un po' bastarda, le rivolge d'impulso una frase molto sgradevole per farla stare zitta – quella su Akemi – per la quale sancisce la fine apparente della loro amicizia. Solo molto dopo a Conan viene in mente un metodo geniale (almeno per i suoi canoni xD) per recuperare ciò che ormai sente di aver perso, tenendo in grande considerazione le passioni di Ai in fatto di animali. Si sa, infatti, che lei stravede anche e soprattutto per i gatti.

Spero vi sia piaciuta! Lasciatemi un commentino in quel caso, please, dopo aver scelto di pubblicarla mi farebbe piacere una vostra opinione. Che siete sempre tanto belli e attenti <3
Alla prossima!

  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Detective Conan / Vai alla pagina dell'autore: Laix