Premessa:
Salve a tutti!
Allora, eccomi con un nuovo “esperimento” alquanto
particolare; come sempre, oserei dire. La premessa è
doverosa per spiegare il
significato di tale storia: le Viclock non sono sicuramente la mia
passione, ma
volevo alimentare ancora l’universo da me creato con
“Wild Thoughts”. Questo
mio scritto si può infatti considerare un prequel della
storia, quindi credo
che sia necessario aver letto la sopracitata per comprendere e per
farsi
contagiare dall’angst pesantissimo che è
intrinseco in queste righe. Volevo
anche specificare che la Sherlock diciannovenne di questa OS mi pare
alquanto
OOC; mi dispiace, poiché apprezzo il rimanere nel
personaggio, ma durante la
stesura mi sono fatta come mio solito prendere dai miei sentimenti
personali ed
alla fine il risultato mi è sinceramente piaciuto
così come è. Spero che le mie
parole possano emozionarvi. Buona lettura!
"Momenti no.
Unsent letters."
“Quanti momenti no, quanti progetti; e
poi?
Nonostante ti amo non funziona tra di noi.
Ma se ti incontro per la strada con un'altra non
lo so..
Le prenderò di scatto il collo, la
spingerò e la strozzerò.”
03/05/2012
Fin dove può
spingersi la follia umana? È una domanda che mi pongo di
continuo, rinchiusa in
camera, accompagnata soltanto dalle mie fedeli cuffie nelle orecchie e
da
questi stupidi pensieri. Stupidi, perché fanno male.
Stupidi, perché sono veri.
Reali. Tangibili.
Mi rispondo che
non c'è limite alla pazzia, come non c'è cosa che
possa mettere la parola
“fine” davanti alla cattiveria, alla
malignità, alla sofferenza.. all'amore.
Mi sono riscoperta bastarda, da quando non ci sei più tu;
l’indifferenza che mi
ha sempre contraddistinto ha lasciato il posto ad un disagio che mi
attanaglia
minuto dopo minuto. I miei pensieri si sono fatti pian piano sempre
più
stronzi, impregnati di odio e di malessere. Perché
è proprio vero: quando non
stai bene tu, non vuoi che stiano bene neanche gli altri. Non ci
credevo,
prima, o forse non ci volevo credere: guardo con disprezzo le coppiette
felici
ed auguro loro una prossima rottura; mi disgustano i volti sorridenti e
mi
giovo di lacrime e lamenti. L'uomo è per natura un essere
egoista, no? Lo so,
il mondo non gira intorno a me. Ed io sono solamente l'ennesima persona
innamorata, dichiarata, rifiutata. Ma come posso
fare a meno di questo
egocentrismo, se è l'unica cosa che mi rimane? Se smetto
pure di pensare a me
stessa, dov'è che vado a batterlo, questo mio fottuto capo? 'Affanculo,
mi rispondo ironicamente. Ti ci ho mandato così tante volte,
in questo
rinominato posto..
Mi piacerebbe
raggiungerti.
Eppure avrei
dovuto dirtelo tanto tempo fa, “amami di
più quando commetto sbagli, quando
non me lo merito”. Perché non so come
hai fatto a non capirlo, o magari
l’hai compreso adesso; io sono un
errore
continuo. Sbagli, cazzate, pentimenti: la mia vita si
è sempre basata su
questo ciclo di azioni e sensazioni negative. Non ho mai fatto la
scelta giusta
ed ancora ci penso sopra, “come sarebbe stato
se..?”.
Ma è inutile
parlare al condizionale. A dir la verità attualmente mi
sembra inutile anche respirare,
o scrivere questa roba. Non ho mai scritto in tutta la mia vita,
Victor, lo
sai? Non so perché sto facendo tutto questo; forse
perché ai miei occhi ogni
cosa appare come abbastanza mediocre, da quando la nostra storia
è finita.
Anche stanotte ti
ho sognato; non ne posso più, lo ammetto. Ma eravamo dentro
una macchina, molto
probabilmente quella di mia madre, e tu mi ripetevi in una sorta di
litania che
te ne dovevi andare.
“Resta, resta,
resta.” ti dicevo io in
risposta, avvicinandomi sempre di più. Ti abbracciavo
tremando e muovendomi a
scatti, con il timore che tu ti allontanassi; ti toccavo la pelle come
se non
l'avessi mai fatto.
“Ti amo, ti amo,
ti amo.” ti ripetevo
ancora, accarezzandoti una guancia ed evitando di guardarti negli
occhi: non lo
volevo proprio vedere, quel tuo sguardo freddo e distante che ormai mi
riservi
da un po’. Fa veramente male.
Ma all'improvviso
ecco che rispondi al mio abbraccio; mi inizi ad annaspare nervosamente
su una
spalla e poi mi fissi, indecifrabile. Infine soltanto un piccolo tocco
di
labbra appena accennato; la tua bocca fredda che riesce a farmi andare
in
ebollizione il cuore.
“Mi manchi, mi
manchi, mi manchi.. da morire.” continuavo, mentre mi iniziavi a sfiorare la carne
nuda del bassoventre, facendomi eccitare in un attimo: solo tu sai dove
mi
piace essere toccata; solo tu sai farmi questo effetto.
Poi mi sono
svegliata. 'Fanculo.
Sono arrivata a
pensare che la mia sia proprio una fottuta dipendenza a tutti gli
effetti, sai?
Come quella che ho per le maledette sigarette, ma nel tuo caso
è molto più
grave.
E fa male, fa male
vedere ed avvertire che è una cosa a senso unico. Che per te
non è più così; mi
vuoi bene, ma poi? Come puoi semplicemente
voler bene ad una persona che hai amato, che hai baciato,
che hai tenuto
per mano, con cui hai fatto l'amore mille e più volte? Qual
è la differenza,
tra me e te? Io lo so. Tu, per me, sei stato l'unico.
Io, per te, sono
semplicemente stata una delle tante. Quelli provati
insieme a me sono
stati sentimenti che avevi già sperimentato; io invece non
avevo mai avuto una
storia come la nostra in tutta la mia vita. La mia prima
volta. I miei
primi ed unici pianti di felicità.
Adesso non c'è più
niente. Se piango è per dolore e se rido
è soltanto una messinscena
recitata male. Mi costringo ad andare avanti per inerzia, vivendo
queste mie
pessime giornate, una peggio dell'altra. Mentre mi distruggo il cuore
pensando
a te con lei, chiedendomi se le dici le stesse
identiche cazzate
romantiche e sdolcinate che sussurravi a me, che mi facevano
stupidamente
sognare una vita insieme. Mi hai ingannato dicendomi che ci saresti
stato per
sempre. Bugiardo.
Ma come faccio,
come faccio a cancellarti? Non mi è
possibile, lo sai meglio di me. Non
ho le tue stesse capacità di rimozione; sono stata capace di
tenere chiuso il
mio cuore per un decennio, poi sei arrivato tu ed hai rovinato tutto.
Ora anche
se scorgo la tua figura per un millisecondo dalla macchina mi si ferma
il cuore
e le lacrime spingono per uscire.
Sai, non ho mai
pianto così tanto in vita mia. Dovrei odiarti, per tale
motivo, ma non ci riesco.
Mi hai detto che
sarebbe una vigliaccata lasciare lei, ma non ti
pare una vigliaccata
anche farmi stare così? Nell'attesa, nel ricordo, in una
morte costante di
anima e cuore. Vivo solo quando sono insieme a te, ti vedo e ti tocco.
Il resto
del tempo è un continuo farsi logorare dalla tua assenza e
dai sentimenti che
essa mi fa provare.
Mancanza.
Frustrazione. Rabbia. Malinconia. Tristezza. Non li sopporto, Victor, non li sopporto più.
Io credo che
nessuno potrà mai amarti quanto ti sto amando io; e non lo
dico per
egocentrismo, lo dico perché lo sento.
Ho sopportato cose che nessuno
avrebbe mai accettato, ho combattuto contro tutto e tutti, ho tenuto
duro e
stretto i denti fino ad indolenzirmi la mascella. Ed adesso? È
questa,
la ricompensa?
Altre lotte, altro
da sopportare. Mi sembra quasi che tu mi stia mettendo alla prova.
Ma non ho più
niente da dimostrarti. Sono qui, senza riuscire a
staccarmi da te, mentre
tu ti diverti con qualcun'altra. Ed io continuo a RESTARE senza aprir
bocca,
anche quando mi sento dire “sarebbe meglio che tu
non mi dicessi che mi
vuoi, per rispetto di lei.”; mi fai gelare il
sangue, cazzo. Ma quale
rispetto? Come posso avere dei riguardi verso la persona che adesso
possiede
ciò che io più bramo; dimmi, fossi tu al mio
posto, ce li avresti veramente? Ho
già fatto tanto, le ho provate tutte ottenendo solo
insuccessi e fallimenti, ma
non riesco a darmi per vinta. Il mio cuore non me lo concede. Mi ordina
di
continuare a dimostrarti che TI AMO, che non posso stare senza di te,
che per
me continui ad essere LA MIA VITA. Anche se i risultati di
ciò che faccio per
te sono sempre riassumibili con un colpo doloroso al cuore, non
m'importa: TI
RIVOGLIO. Ti voglio al mio fianco, ti voglio chiamare almeno quattro
volte al
giorno, voglio vederti ogni pomeriggio o ogni sera, voglio baciarti,
voglio
accarezzare ogni centimetro del tuo corpo, voglio abbracciarti, voglio
ridere
insieme, voglio fare l'amore con te e sentirmi tua, solo tua.
Sai, adesso mi
sento come se fossi di nessuno.
Ma non lo vedi che
quando mi tocchi tremo, mi si velocizza il respiro?
Ma non lo vedi con
che sguardo ti osservo, perso nel cercare di memorizzare ogni tuo
piccolo dettaglio,
perché ogni volta che ci vediamo vivo con il timore che sia
l'ultima?
Ma non ti accorgi
che io e te non possiamo stare lontani, che siamo fatti l'uno per
l'altra?
La verità è una,
secondo me non c'è alternativa: io e te facciamo rima. Tu
sei capace di
mandarmi in Paradiso o all'Inferno con un unico gesto, con una sola
parola.
Tipo ieri notte, quando mi hai chiamata all'una per domandarmi come
stavo; ero
contentissima ed il cuore mi batteva a mille. Avrei voluto stare al
telefono
con te almeno un'ora, come ai vecchi tempi, quando ci vedevamo la sera
ed
appena arrivavo a casa ti richiamavo per darti la buonanotte “per
bene”.
Era fantastico, non trovi?
Dici “la
minestra riscaldata non è mai buona”, ed
io potrei capirti e potrei darti
anche ragione, se tu ti riferissi ad una storiellina qualsiasi. Ma
davvero hai
il coraggio di pensare queste cose di noi? Io lo so, io so
già tutto di un
nostro futuro possibile. Perché me lo sono immaginato giorno
per giorno in
questi due mesi d'Inferno; da quando ci siamo lasciati. Sognare
qualcosa che
prima o poi spero si avveri è l'unica attività
che mi fa stare bene. Sono
patetica, lo so.
Ma non ci sei più
ad ascoltarmi tutti i giorni, a farmi stare bene anche se ho passato
una
giornataccia. A farmi i complimenti quando prendo un bel voto a scuola,
a dirmi
“secchiona di merda”. Ho paura
anche di chiamarti, di sentirmi ripetere
ancora “non ho tempo, non ho tempo, non ho
tempo!”.
Sai, ho trovato
una tua foto su facebook, nel profilo di quel tuo caro amico che mi sta
sulle
palle. Risale al 2007, sembri quasi un bambino: l'ho salvata sul
computer ed ho
passato almeno mezzora a guardarla. Hai una frangina piastrata
veramente
sudicia, con le labbra serrate fai un sorriso strano, ti senti gasato e
si
vede. Ma sei bellissimo, davvero. Non saprei
spiegare a parole cosa io
provo verso di te, ma è dalla seconda superiore che ti trovo
magnifico, ti rendi
conto? Io, la glaciale ed
inarrivabile Sherlock Holmes: eppure ho rimuginato su di
te per tre
anni, senza avere nessuna speranza di poterti avere. Guardandoti da
lontano
mentre te ne stavi con un'altra idiota, sognandoti ogni tanto per poi
dirmi “Sherlock,
smettila, non ha senso pensarlo”. Riuscivi a
spezzarmi il cuore senza
nemmeno conoscermi, ma io continuavo a trovarti il ragazzo
più bello e speciale
di tutti. Con quei dentini che tu odi, ma che io trovo tenerissimi. I
tuoi
occhi un po' stranamente orientali, il nasino all'insù. La
pelle chiara, i
capelli che fanno sempre e comunque i cazzi loro. Amo anche i tuoi
peli, te lo giuro. Anche se
mi hanno sempre
dato fastidio, adesso li accetterei pure se si fossero moltiplicati. Le
tue
voglie più chiare sulla pelle, le cicatrici. L'ombelico con
i perenni pelucchi
delle canottiere di lana, la barba a chiazze, il pancino. Le unghie
sempre
troppo lunghe e le tue mani grandi e forti, che tenevano le mie e mi
facevano
sentire al sicuro; una sensazione che mai avevo provato prima: la
voglia di
lasciarmi andare, la consolante resa delle mie impenetrabili difese.
Ti amo tutto. Ti rivoglio,
tutto.
Non c'è nessuno
che possa cambiare il mio sentimento per te, lo sai? Questo
perché finché ti
amo, non potrò mai innamorarmi di nessun altro: il mio cuore
è pieno di te ed
in stand-by per il resto del
mondo. Adesso sono di nuovo fatta di ghiaccio: non ho sensazioni, non
voglio
bene a nessuno. Esco il sabato sera, mi ubriaco pesantemente e trovo
qualcuno
con cui scopare; il mio è solo un aprire le gambe come un
automa ed un
lasciarsi prendere provando piacere fisico e nessun trasporto emotivo.
Tornata
a casa, mi sento peggio di prima e penso che mi
faccio schifo.
Quando sono lì
autorizzo me stessa pensandola come una specie di ripicca: vorrei tu
fossi
geloso. Vorrei che mi dicessi “sei mia, mia e
basta, non farlo più”.
Eseguirei i tuoi
ordini, se non l'hai capito.
Vorrei che capissi
che non ce la faccio a voltare pagina. Questo libro, il mio
ed il tuo,
per me non è ancora finito: ci sono almeno altre mille
pagine da scrivere.
Vorrei che quello che sto vivendo adesso fosse solo un capitolo di
intermezzo,
un’inserzione insignificante: “fra poco
passerà”; dimmelo, per favore.
Ne ho troppo bisogno.
04/05/2012
Ed invece eccomi
ancora qui, davanti a questo computer a scriverti ed a fumare una
sigaretta
dopo l'altra; anche se ho una tosse che fa paura, chissenefrega.
Preferisco tossire fino a vomitare un polmone piuttosto che togliermi
questo
vizio: sarà anche una cosa solamente psicologica, ma mi
viene naturale nei
momenti di crisi affidarmi ad il fumo di un cicchino. Mi tranquillizza,
almeno
un po'. Ognuno ha le sue, no?
Di recente mio
fratello mi ha detto che secondo lui sono una malata di mente
patologica,
perché continuo a correrti dietro come un cagnolino. Dice
che non te lo meriti,
che non ne vale la pena; che potrei trovare centinaia di ragazzi meglio
e che è
inutile sprecare tempo, lacrime e forze per un tipo come te. Io ho
risposto che
è tutto vero, questo suo tipico e razionale discorso da
persona anaffettiva non
ha una virgola fuori posto, ma la verità è che
lui non sa. Non sa di
tutto quello che abbiamo passato, di tutti i sorrisi, le emozioni. Non
sa delle
lacrime, dei pianti, dei baci. Non sa delle fughe in motorino, della
complicità
che c'era tra me e te, come se ci conoscessimo da una vita. Non sa
proprio niente.
Però mi sorge un
dubbio, adesso: non è che anche tu hai scordato
tutto?
Ho paura, forse
per la prima volta in tutta la mia vita. Paura di
restare per sempre qui
da sola, ad aspettare un treno che non arriverà mai. Paura
di continuare ad
esistere in questa maniera; anzi, a sopravvivere.
Senza riuscire ad
andare avanti e trascinandomi di qua e di la, fra una discoteca e
l'altra
ubriacandomi, non capendo nemmeno il senso delle azioni che faccio.
Stampandomi
un sorriso accattivante sulla bocca, spengendo il cervello
perché è così che
deve essere e basta. Niente ha un significato preciso, ho perso anche
l'appetito e la voglia di abbuffarmi delle poche cose che mi piacciono:
non
hanno sapore. Tutto è solamente una grande merda.
Dormo coi pupazzi
che mi hai regalato stringendoli forte, cercando di ricreare
quell'abbraccio
intenso; ma essi sono solo oggetti inanimati, neanche riescono a darmi
calore.
Piango dentro quel letto che ha raccolto tante nostre notti, a
dormicchiare
stretti stretti o a fare l'amore piano, per non essere scoperti.
Come faccio ad
assopirmi tranquilla dentro un mare di ricordi? Eppure il sonno è l'unico rimedio a
questo stato di malessere perenne. Quando dormo, sto bene. Vorrei
addormentarmi
e non svegliarmi più. Sai, credo che la mia adesso non si
possa denominare
vita: un'esistenza così orrenda non vale la pena di essere
vissuta, detto
sinceramente. E con questo non voglio farti recepire il messaggio “o
torni
da me o mi ammazzo”; è solo una mia
verità: non dico cazzate quando ti
scrivo che non riesco a vivere senza te.
Here without you: ho deciso di
tatuarmelo sulla nuca perché non c'è frase
più azzeccata. È dedicata a lui,
è dedicata a te. Non c'è
più mio figlio, non c'è più il mio
amore. Sono
sola, senza le due persone più importanti per me. Dilaniata
da un dolore forse
troppo forte per questo corpo fragile, per quest'anima provata. Non
c'è pace
per me, ormai questo l'ho capito; pensavo di poterla trovare, credevo
che ce l’avrei
fatta sempre, nonostante tutto. Ma non ha senso se
l'unica cura per
l'anima è l'amore quando è proprio quest'ultimo a
farti impazzire.
Here without you: me lo tatuo sulla nuca
perché il mio corpo ormai è poco più
di un foglio di carta, ed io ci scrivo
sopra quello che non voglio dimenticare. Un senso di te
e di lui rimarrà
sempre stampato sulla mia pelle, e per quanto chiunque potrà
impegnarsi a
cancellarlo, non se ne andrà mai via. Rimarrai imprigionato
insieme a quel
ricordo spietato; ancora ben impresso nella mente insieme ai segni di
una
crudeltà che non mi meritavo. Perché mi
ha spezzato, troppo.
Here without you: lui non
potrà mai tornare indietro; mi dovrò arrendere ad
una convivenza con questo
lutto eterno. Ma tu puoi, tu puoi tornare qui.
Rivivere quei
momenti ed inventarne di migliori. Puoi cambiare radicalmente tutta la
mia vita
attuale con un solo “sì”,
oppure decidere di continuare a portare avanti
questo martirio su di me. Ma lo sai, lo sai che io non me ne
andrò mai. Perché
senza di te sarei più libera, ma intanto sbatterei i pugni
contro un muro per
riaverti. Ed allora ti chiedo di portarmi altrove, dove non
c'è nessuno che
sappia di noi.
Perché non
proviamo a ricominciare da capo? Fammi vedere come si muore senza che nessuno viva
di
noi. Solo io e te, stavolta. Nessun altro nel mezzo, né
genitori, né amici
scomodi. A me basti tu, Victor.
05/05/2012
Non mi chiami e mi
distruggi. Non c'è neanche un attimo di tempo per me, nella
tua vita. Me ne
accorgo da queste piccole cose; nemmeno un "oh, come stai?"
mi
merito, evidentemente.
Quanto valgo
ancora, per te? Vorrei poter entrare nella tua testa, nel tuo cuore,
per
osservare adesso che posto mi è stato riservato. L'ultimo?
O magari
nemmeno quello?
È in momenti come
questo che vorrei mandarti a quel paese e sparartele a zero, infamarti
fino a
non avere più fiato, vomitarti addosso tutta la mia rabbia
ed il mio dolore,
per farti capire che conseguenze hanno le tue azioni su di me. Ma a
cosa
servirebbe? Proverei sollievo per la prima mezz'ora, poi me ne pentirei
e
verrei a chiederti scusa. E tutto ricomincerebbe da capo, ancora.
Grazie a questo
anno praticamente chiusa in casa ho capito che a nessuno gliene frega
un cazzo
di me: nessuna chiamata, nessun messaggino, nessun “Sherlock,
rimettiti
presto”.
Sono sola come un
cane, ma a te di questo fatto te ne importa il giusto, no?
Anche tu mi hai
abbandonata come tutti. Questa vita mi fa sempre più schifo
e non ho proprio
più voglia di affezionarmi a nessuno. Forse è
vero, Mycroft ha ragione: meglio
soli che mal accompagnati. Meglio soli, apatici e privi di sentimenti.
Meglio
soli e freddi come il marmo. Meglio soli per tutta la vita.
Eppure mi domando
una cosa: se tu riuscissi ancora a leggermi dentro come prima, a vedere
quanto
grande è il mio amore, avresti davvero il coraggio di
trattarmi così? Sai, io
come una stupida bambina giro ancora ogni volta la sigaretta del
desiderio
pensando a te.
Mi hai richiamata
verso le 15. Hai dormito fino a tardi e ieri sera eri in paese con lei.
Beh, mi sono abituata a non fare più domande e ad evitare di
chiedere
spiegazioni: non ne ho il diritto. Mi adeguo a quel che tu mi dici. Lo
sai
cosa mi sconvolge di più?
L'impassibilità con la quale ascolti e rispondi
alle cose che ti dico al telefono. Discorsi pieni di silenzi e di frasi
fatte,
nessun commento degno di nota; parole che sembrano entrarti da un
orecchio ed
uscirti dall'altro. Ma forse tu non puoi comprendere il fatto che io
soppeso
ogni minima sillaba che esce dalla tua bocca. Faccio finta di niente,
mi sforzo
di parlarti serenamente: sembra l'unica maniera per continuare la
conversazione. Ma anche in quel caso essa viene portata avanti quasi ed
esclusivamente da me; allora mi sorge un dubbio: non è che
tu non riesci più a
parlare con me? Eppure dal vivo è diverso. Quando sei
davanti a me vedo i tuoi
occhi che non sembrano affatto scocciati; la tua bocca pronuncia
velocemente
parole ed il tuo corpo mi cerca, mi vuole. Certe
cose riesco a notarle
facilmente, lo sai, no?
È come se tu
volessi costruire una barriera: quando hai a che fare soltanto con la
mia voce
recepita attraverso un apparecchio elettronico ce la fai, ma faccia a
faccia è
tutta un'altra storia. Poi potrei sbagliarmi, certo, ma la mia
sensazione è
questa.
Quanto vorrei che
non esistessero i cellulari: i rapporti sarebbero più
semplici e più veri,
anche. Al massimo ci si potrebbe servire di qualche lettera; no
problem,
attualmente sembra essere il mio forte.
Ti ho raccontato
di un libro che mi commuoveva, ricordi? Anche se un po' me ne vergogno,
vorrei
narrartene la trama: una ragazza nipponica fa un viaggio a Roma e
lì incontra
un uomo, se ne innamora. Quando torna in Giappone viene a scoprire che
suo
padre – mai conosciuto – è morto e che
ha un fratello; egli è il ragazzo di cui
si era innamorata durante il suo viaggio in Italia. Iniziano da qui una
serie
di disavventure per la coppia incestuosa, che pur sapendo di non
potersi amare
non riescono a fare a meno di questo sentimento. Tutti sono contro di
loro, li
giudicano e cercano di allontanarli, a volte anche riuscendoci. Alla
fine
decidono di scappare di nuovo in quel luogo che li aveva uniti per la
prima
volta; il treno però si schianta e tutti danno per morto il
ragazzo. Lei,
sconvolta e distrutta, decide di rimanere comunque a Roma, andando
tutti i
giorni ad aspettarlo nel posto in cui si erano visti ed innamorati sin
dal
primo istante. Lui arriva, tutto era una messinscena: vivono felici e
contenti.
"Ma che
cazzata di libro!" penserai, quasi sicuramente. Ed invece ti
smentisco:
è bellissimo, uno dei racconti più emozionanti e
tormentati che abbia mai
letto. Una storia d'amore difficile, piena di sentimenti contrastanti,
odio-amore.
Ho pianto, sai? Anche se ormai
non è più una novità, mi sono rivista
in quella protagonista incostante, che
lascia la persona che ama seguendo il giudizio degli altri, che se ne
pente,
torna indietro. Gelosa fino al midollo marcio, egoista ed egocentrica,
ma che
non si arrende mai perché sa che stare senza lui sarebbe
peggio che morire.
Bene, questo libro nonostante tutto ha un lieto fine. E noi?
07/05/2012
Oggi, dopo quasi
otto mesi, il maestro privato che ha assunto mia madre ha fatto di
nuovo la sua
comparsa: il mio lutto, a detta dei miei e di Mycroft, può
dirsi finito. Ho
indossato la mia maschera d'impassibilità ed ho dato il
meglio di me stessa. So
recitare bene, non te lo ricordi? Mi reputo una grande falsa. Ora come
ora
credo che nessuno mi conosca veramente, soprattutto i miei genitori.
Neanche
te, a dir la verità. Mi hai cambiata; questa
non è un'accusa, è soltanto
la verità.
Non ho molto da
scrivere. Domani mi tocca andare a Londra per fare una visita di
controllo ma
non ne ho per nulla voglia. Non vedo l'ora sia Mercoledì per
tatuarmi. Vorrei
che mi chiamassi di tua spontanea volontà ma non lo fai. Mi
domando una cosa:
se smettessi di mandarti messaggi, per te farebbe lo stesso? Credo che
tu non
abbia né voglia di sentirmi, né di vedermi. Lo
fai perché senti di doverlo fare
o forse perché ti faccio pena?
Sono assillata da
pensieri negativi che continuano a moltiplicarsi, giorno dopo giorno. E
non si
fermano, non si fermano mai. Non posso fare a meno
di voler rimanere
nella tua vita ma allo stesso tempo ho paura di farlo: e se non sono
desiderata
veramente?
E se tu non
tornerai mai? Non lo nascondo, ogni mio gesto ed ogni mia parola ha un
secondo
fine: riaverti. Ed è inutile fare finta
di nulla, nascondersi dietro
definizioni scialbe tipo “amici” e ridere di gusto
senza volerlo fare. Per
adesso è questo ciò che mi concedi; ma te ne
accorgi pure tu, vero? Quello che
tu vorresti costruire insieme a me sarebbe solo una castello di sabbia,
qualcosa di patetico. Tu quando mi guardi mi mangi con gli occhi, ed io
faccio
lo stesso con te. Cerco qualsiasi contatto, anche solo un semplice
sfiorarsi,
pur di saggiare ancora la morbidezza della tua pelle.
Se tu fossi qui in
questo momento ti bacerei fino a farti sanguinare le labbra. Ti direi
che te lo
meriti perché mi hai privato di esse per troppo tempo e poi
continuerei a
morderti, passando al collo ed a quella determinata zona che ti fa
rabbrividire. Poi ti chiederei di fare di me qualsiasi cosa
tu voglia,
perché è questo ciò di cui necessito:
voglio sentirmi sotto il tuo possesso.
Che tu mi butti su un letto o da qualsiasi altra parte; non voglio che
tu mi
tolga i vestiti, me li devi strappare di dosso. Desidero risentirti
addosso,
strusciarti contro il mio corpo come un animale, senza ritegno e senza
alcuna
vergogna. Avvertire di nuovo quella passione mai estinta che ancora mi
porto
dentro e che mi fa impazzire dalla voglia; mi sento malata,
a volte.
Perversa fino al midollo, arrossisco per colpa dei miei stessi
pensieri, ma
fremo davanti ad essi.
Vieni qui, vieni
qui. Prendimi,
prendimi. Non voglio altro. Io e te, nudi, e quel momento che
è sempre stato il
più perfetto: in un giardino, dentro una macchina, in mezzo
ad un bosco, sul
divano, sul tavolo, in doccia, in vasca, nel lavandino..
Voglio graffiarti
la pelle. Voglio lasciarti lividi ovunque. Voglio che mi dici che sono
la più
bella, la più brava; l'unica. Come prima.
Costringimi a fare
anche ciò che non voglio fare. I miei “no”
sono stati sempre e solo
recite; fingevo di essere una brava ragazza ed intanto mi eccitavo
ancora di
più vedendoti non desistere. Sono cattiva? Sono
troia? Io vorrei
soltanto essere la tua puttana. Perché mi piaceva troppo,
quando m'infilavi le
mani nelle mutandine davanti ad altra gente senza che nessuno si
accorgesse di
nulla. Mi piaceva troppo, quando facevamo l'amore in luoghi pubblici
d'Estate
con l'ansia perenne che qualcuno ci potesse scoprire che faceva
aumentare
l'adrenalina. Mi piaceva troppo, quando mi provocavi ed io da brava
bambina
cercavo di resistere, per poi lasciarmi andare a sensazioni che mai
avevo
provato. Mi piaceva troppo, mi piacevi tu.
Mi piaceva tanto,
fare l'amore con te.
08/05/2012
Oggi è stata
veramente una giornata pessima; arrivati a Londra ci hanno rimandato a
casa
immediatamente perché il medico chirurgo che mi ha operata
era assente e nessun
altro voleva prendersi le responsabilità di toccare lo
scempio che mi porto
addosso. Mycroft ha pure minacciato un'infermiera recitando qualche
punto del Giuramento
di Ippocrate a memoria; beh, se tu ci fossi stato avresti riso a
crepapelle, ci
scommetto. Io invece avrei voluto tanto sotterrarmi.
Continui a non
farti sentire mai. Questa cosa mi opprime, sai?
Evidentemente non
ti interessa sapere se sono guarita, o se magari sono in punto di morte
in
ospedale; per te è uguale, no? Che io ci sia o non
ci sia. Che io esista
o che sia all'altro mondo. Per te, adesso, è tutta piana. Io
invece in ogni
minuto delle mie giornate mi domando cosa tu stia facendo; verso l'una
penso
che stai quasi per svegliarti, poi ti immagino mentre ti prendi un
caffè e ti
fai una doccia. Ti mangi un panino o due, guardi un po' di televisione
e poi
vai a bivaccare a giro. Ti penso mentre indossi il primo jeans e la
prima
maglietta che ti capita, inforchi gli occhiali da sole e ti metti le
cuffie
nelle orecchie. Accendi svogliatamente un cicchino, o magari una canna,
e poi
esci.
Le tue serate però
non voglio immaginarmele, sai? Non la voglio proprio neanche pensare di
sfuggita, l'immagine di te e di lei insieme. E la
notte, mentre cerco
inutilmente di addormentarmi, fantastico sulle tue possibili reazioni
davanti
ai messaggi che ti invio.
A volte ti vedo
scocciato, altre ti stampo sulla faccia un sorriso malinconico; la
maggior
parte di esse faccio lavorare al massimo la fantasia e do vita astratta
ad un
mio grande desiderio: vederti piangere. Come quando
leggesti la mia
prima lettera, come quelle tante sere al telefono a dedicarci canzoni.
Vorrei
vedere qualche lacrima; anche una sola mi basterebbe. Vorrei vedere che
qualche
emozione sono ancora capace di fartela provare, ecco tutto.
Oggi mi sono
ritrovata a pensare a quel giorno davanti al bar, quando minacciai di
scomparire per sempre dalla tua vita, richiedendoti tutte le mie cose.
Tu
arrivasti presentandoti con un solo libro, dicendomi che
così ci saremmo
rivisti altre cento volte. Mi abbracciasti come se fossi preziosa, mi
baciasti
il collo facendomi sentire desiderata. Il tuo corpo fremeva ed io
pensavo di
essere in un sogno: stava accadendo veramente? Eri
lì, vicino, come non
lo eri da molto tempo. Sentivo che qualcosa si stava riparando; stava
tornando
tutto come doveva essere. “A Mycroft ho risposto
che non durerà a lungo,
questa situazione. Lo sai che io e te non riusciamo a stare lontani,
no?”;
mi dicesti, sorridendo appena. Ed il mio cuore si sciolse, grazie ad un
solo
sguardo: il momento di riaverti sembrava veramente lì, ad un
passo.
Ma il giorno dopo
era di nuovo tutto cambiato. Freddo come il marmo, schivo, distaccato. Mi venisti a parlare di
lei, di come fare a
risolvere i vostri problemi. Ed io intanto mi tormentavo; ho sbagliato
ancora,
ho frainteso, mi sono illusa?
Tu, nel frattempo,
non rispondevi. Portavi avanti un silenzio glaciale, pungente ed
abbastanza
fastidioso: ero nulla, ero spazzatura, contavo meno
di niente. Questo
era il tuo messaggio, sintetizzato con parole chiare. Quelle
che tu non hai
mai usato.
Non so se tu sia
veramente confuso o se forse ti piace fingere di esserlo. Alla fine ho
pensato
che la cosa migliore sia far finta di nulla, non litigare: mi distrugge
farlo,
non ne ho più voglia; sono
così stanca,
Victor. Prendo quello che mi dici, lo soppeso un po', decido
se fidarmi o
no e vado avanti portandomi addosso il peso di una montagna di dubbi
che tu
però non sai o non vuoi togliermi. Non so, forse ti piace
avermi qui a dirti
che ti amo e che lo farò per sempre;
magari ti fa sentire appagato. Non
ti giudico: molto probabilmente una situazione del genere lusingherebbe
anche
me. Ma spero che non sia solo questo.
Spero che tu sia
semplicemente combattuto, che tu non abbia la forza di fare una cosa
che sai ti
porterebbe via questa situazione di stabilità che adesso ti
sei creato attorno.
Una stabilità fatta di amici, girate in macchina a notte
fonda, nessuno che ti
rimprovera le tue mancanze ogni giorno. Ecco, io nei miei momenti
più ottimisti
la penso così.
Che non sia quella
persona a piacerti così tanto, ma che lo sia più
che altro il contesto che lei si
porta appresso. Io, a confronto, che ti
offro? Persone che ti
odiano, genitori che non ti possano tollerare, guerre quotidiane
disarmanti.
Non è tutto rose e fiori, proprio no; è una
situazione difficile da sopportare
e da sostenere.
Ma io ti amo,
cazzo. Ed ecco cosa ti
voglio dare, veramente: questo cuore straziato che ti desidera con
tutto sé
stesso, che non riesce a guardare le cose con razionalità ed
a cui non importa
proprio niente di tutto il resto. Voglio espellerti addosso tutto
questo amore,
farti soffocare in esso e poi dirti che quello che ci circonda
è il
niente, non ha importanza. Non hanno senso la tristezza, la rabbia, la
malinconia ed il disprezzo di chi non comprende che L'AMORE VA SOPRA
OGNI COSA.
L'amore non ha spiegazioni logiche, l'amore perdona ogni cosa,
l'amore
sopporta tutto. Tutto, davvero; io l’ho capito
grazie a te.
Amore è quel messaggio
che ti mando la sera per ricordarti che esisto, che sono ancora qui ad
attenderti. Amore è quel pupazzo a forma
di particella molecolare che
stringo al mio petto la notte, pensandoti. Amore sono
album di foto
nascosti, ma tirati fuori e riguardati ogni giorno. Amore
è mettersi a
ridere stupidamente ricordando tutte le volte che mi addormentavo sulla
tua
spalla la sera, ma non volevo comunque che te ne andassi. Amore
è
annusare la maglia del tuo pigiama che conservo ancora nell'armadio. Amore
è arrivare ad autodistruggersi pur di riaverti. Amore
è mangiare un
piatto di noodle e commuoversi pensando a tutte le volte che l'ho
condiviso con
te. Amore è sentirti nell'aria, in
ogni dove.
Amore è scriverti,
ancora e ancora. Amore
è non arrendersi mai.
Amore, per me, sei
tu.
09/05/2012
Mi sono fatta il
tatuaggio, anche se non ancora colorato. Giovedì prossimo
rimedierò.
Ha fatto un male
cane, il dolore fisico più grande che io abbia mai provato.
Sentivo l'ago
pungermi gli ossi battitura dopo battitura, trafiggermi la pelle ed andarsene.
Il ronzio della macchinetta mi era entrato nel cervello, me lo
devastava: la
punta dell'oggetto intanto continuava a battermi sul cranio, in
prossimità dell’inizio
della colonna vertebrale. Ogni volta che affondava era una fitta che mi
percuoteva tutto il corpo, che mi faceva stringere le mani in un pugno
di
sopportazione; "resisti, Sherlock, resisti!".
Ho creduto di
morire lì, su quella poltrona. Con la testa rasata a
metà ed arrossata,
macchiata d'inchiostro nero oramai indelebile. Il battito del mio cuore
aveva
preso il ritmo delle fitte ed i miei occhi strizzati premevano per far
fuoriuscire calde lacrime. Ma non ho pianto, proprio no: non sono quel
genere
di persona che piagnucola per colpa del dolore fisico, questo lo sai
bene. Ho
pensato a te, cercando di distogliermi da quella tortura. Non
è servito a
niente. Poi ho pensato a lui. A tutto quello che il
nostro piccolo può
aver provato nel momento in cui è soffocato dentro la mia
pancia, per poi
essere estirpato e dichiarato morto ancor prima di essere nato.
“Questo dolore
atroce me lo merito.“ mi son detta, in quel momento.
Ed è vero. Me lo
sono proprio meritata tutto.
Me lo meriterò per
sempre.
Vorrei fartelo
vedere adesso, in quest'istante, e vorrei che tu scoppiassi a piangere.
Un
pianto afflitto, mesto, senza speranza: proprio uguale ad uno
dei miei.
Ma so che non sarà
così; al massimo mi dirai che è bello, che ti
piace. Invece ti dovrebbe
disgustare, ti dovrebbe distruggere: questa è una cicatrice,
una cicatrice
del cuore.
E non c'è niente
che possa risanarla. Le ferite dell'anima non guariscono mai; illuso
chi pensa
il contrario. Illuso te, che pensavi di poter fare
qualcosa. Ti sei
arreso, come chiunque, ma in realtà ti invidio: vorrei
essere come te, capace
di andare avanti nonostante tutto questo. Capace di non
pensarci mai.
Scusa. Oggi sono a pezzi
e penso si denoti; vorrei scappare e lasciarmi tutto alle spalle. Tu
intanto
non mi chiami e ciò aggrava la situazione. Adesso vorrei
soltanto avere un
bambino di otto mesi che mi gattona attorno sillabando a stento “mamma”
e che non mi concede nemmeno un attimo di tempo per mettermi a pensare
a cose
brutte. Magari non mi credi; ed
invece mi basterebbe, davvero.
17/05/2012
“Sei un'altra cosa che ho perso, che mi
e' scivolata, che mi e' caduta
Io c'ho provato ma non ti ho tenuto.
Vabbé pazienza, credimi posso farne
senza, sei già un ricordo in dissolvenza e non fai
differenza con tutto quello
che ho perso senza rendermene conto, come ogni volta che perdo un
tramonto ed
il giorno dopo lo affronto lo stesso, magari piove come adesso ed ho
perso
l'ombrello ed il cappello, ma il bello è questo.
È il duello che ogni minuto ho fatto
con la vita e quando la sorte mi si e' accanita contro sapevo che
dovevo trovare
veloce una via d'uscita, procurandomi qualche ferita, che non si chiude
e
ancora brucia.
Ma fa niente e' solo un'altra cosa
persa o forse una cosa data e dopo tolta all'improvviso, senza
preavviso, che
rende inferno ciò che era paradiso.
Ore passate a misurare dolore, dolore
di testa, dolore di occhi, dolore di cuore, dolore d'anima, di sangue,
di ossa.
Ma ciò non vuol dire che non possa darmi una scossa.
In fondo e' solo una scommessa che ho
perduto, una promessa a cui ho creduto e che non hai mantenuto.
Già, basta non
perdere la dignità, almeno curandola un po' con un bicchiere
pieno come le tue
frasi, adesso tutte perse come un mazzo di chiavi. Tu che cercavi
parole per
farmi capire che eri pulito, ma per finire poi sei riuscito a perderle
come
mille lire. Ed adesso credimi non ne voglio più sentire,
voglio guarire.
Guardando l'altra faccia di te che ho
scoperto, pensandoti solo come una cosa che ho perso.
Ho perso treni e aerei, più d'una volta
il portafoglio; ho perso indirizzi, soldi ma mai l'orgoglio. Il che e'
una
sbaglio se mi fa perdere l'autocontrollo, però non mollo,
c'ho fatto il callo e
resto in ballo.
Sei solo un'altra cosa uscita dalla mia
vita che presto o tardi verrà sostituita.
In un futuro dove tu sarai passato remoto,
cancellato, dimenticato; sarai una foto buttata sul fondo di un
cassetto
chiuso, coperta da qualche maglia che non uso.
E disillusa ci proverò ad odiare, se
non ci riuscirò mio malgrado dovrò amare; ma mai
come cura per un vuoto da
colmare e non mi scrivere, non mi chiamare, non mi pensare.
Perché da oggi un'altra cosa cerco e ne
sono certa:
sarà diversa, da
quella cosa che ho perso.”
Sono queste le parole che vorrei
dedicarti oggi. Oggi, un giorno come tanti, un
giorno come tutti che mi
conferma quello che tu sei diventato: un grandissimo pezzo di merda.
Uno
stronzo senza un minimo di premura, un cuore. Sei come tutti
gli altri;
ecco, l'ho pensato, l’ho detto, l’ho scritto. Non
hai niente in più di quei
coglioni qualunque che hai infamato tanto. Non sei migliore di loro;
anzi,
forse sei peggio: loro ti amo non me l'hanno mai detto. Non hanno mai
affermato
di volermi bene, né di tenere a me; il loro ed il mio
messaggio è sempre stato
chiaro, “voglio solo scopare”.
Ma tu, invece? Mi vuoi tanto bene, vero?
Ma vaffanculo. Di cuore.
E vaffanculo a me. Perché sono stata
io a permetterti di trattarmi come un fottuto zerbino da quattro soldi.
Hai
anche il coraggio di chiedermi perdono; ma chi cazzo te la da la forza
di
essere così falso? Sei un bugiardo di merda. Ora come ora mi
fai solamente
schifo, e mi disgusta il fatto di continuare ad amarti così
tanto. Sì, perché
nonostante tutto ti vorrei ancora qui con me; ti amo ancora,
già. Ma sai
com'è, c'è un limite a tutto; sia alla sofferenza
che alla pazienza. E la mia
sta finendo, è agli sgoccioli: cerco di restare calma, di
non mandarti un
messaggio con una sequela di infamate che nemmeno ti immagini. Tanto
non
servirebbe a niente, no? IO NON ESISTO PIU'.
Le mie parole non ti toccano..
Ho scritto che ti amo. In realtà non so
se mi riferisco a te, o al tuo ricordo: tu non sei
più quella persona
con cui ho condiviso un anno e passa della mia vita. Quel ragazzo non
mi
avrebbe mai trattata così, ne sono certa. Mi umili, mi
ferisci, mi cancelli.
Forse hai sempre finto di essere qualcuno che in realtà non
esiste..? In un
momento del genere questa domanda mi sorge spontanea. In un momento del
genere
vorrei venire sotto casa tua con una mazza da baseball e spaccarti la
faccia a
suon di bastonate. Vorrei vederti devastato, sanguinante, con qualche
costola
rotta. Vorrei sfogare tutta questa rabbia, tutto questo cazzo di
dolore, TUTTO!
Così capiresti.. capiresti che mi hai uccisa.
Voglio vederti soffrire. Te lo meriti,
bastardo. Mi dici in poche parole che sono divenuta una zoccola, che
sono una
cretina e che la devo smettere di fare ciò che faccio. Io
vorrei risponderti
che questa troia l'hai creata tu, che è tutta
colpa tua. È colpa tua se
la mia vita fa schifo, se riesco a spengere il cervello soltanto
ubriacandomi o
drogandomi, cercando un oblio della mente che non ho mai desiderato.
Sei tu che
mi hai rovinato l'esistenza, sei tu che mi hai fatto stare male senza
mai prenderti
le conseguenze delle tue azioni. Non te ne frega un cazzo nemmeno del
tatuaggio
che ho fatto per nostro figlio. Vero?
Tanto sono io quella che se
l'è
portato in pancia, quella che ci ha condiviso nove mesi sentendolo
crescere,
sopportando crampi e restando notti intere a parlarci. Sono io quella
che ha
dovuto sopportare il giudizio dei propri genitori e di mio fratello, la
denominazione di “troia” da parte di mio padre, la
loro rabbia. Sono io quella
che è andata in quel fottuto ospedale, in quella schifosa
corsia, a finire
tutte le mie lacrime mentre intorno a me avevo il disinteresse o al
massimo la
pena di tutti. Sono io quella che ancora combatte
con questo macigno
sulle spalle, camminando a fatica. Sono io, l'omicida.
Tu non c’entri
proprio un cazzo, vero?
Ma va bene così, ecco. Finalmente ho
capito chi sei veramente.
Finalmente ho compreso che tutti
avevano sempre avuto ragione; non vali un cazzo,
Trevor. Non vali queste
parole, questi pianti, queste lacrime. Non vali l'amore che ti ho dato,
la vita
che avevamo progettato, il bene che ti ho fatto.
Non ti meriti nemmeno il mio odio,
quindi la faccio finita.
Addio, amore mio.
The end
Note:
Le due
canzoni citate sono “Momenti no” di Fabri Fibra e
“Un’altra cosa che ho perso”
degli Articolo 31.
Eccomi di
nuovo qua! Allora, che aggiungere? È difficile commentare
questo scritto, anche
perché è la prima volta che mi cimento in
qualcosa del genere. Rileggendo “Wild
Thoughts”, che reputo onestamente uno dei miei lavori
più impegnativi, sentivo
come se mancasse qualcosa al personaggio di Sherlock. La sua sofferenza
era
palpabile, ma nel finale mi pareva che il tutto si fosse mosso in
maniera
troppo sbrigativa: volevo dare una spiegazione in più,
volevo descrivere il suo
martirio di adolescente innamorata; non una sociopatica, non un essere
privo di
sentimenti. Una semplice ragazza un po' fuori dal comune che si
è ritrovata a
combattere contro qualcosa più grande di lei, uscendone
palesemente sconfitta.
La fine del primo amore, quell’amore che le aveva promesso il
meglio, e che
invece le ha donato solamente il peggio. Le date servono a descrivere
il progressivo
deterioramento della sua stessa vita e del sentimento che la lega a
Victor. La
lettera del 17 Maggio rappresenta il punto di svolta; la storia, nella
mia
testa, continua con lei che si trasferisce a Londra, mantenendosi da
sola. Infine
conosce John Watson, e tutto va come è stato già
scritto e come deve andare. Mi
piaceva anche cercare di creare un cambiamento caratteriale fra la
Sherlock-adolescente e la Sherlock-adulta; spero di esserci riuscita.
L’abitudine
di andare per locali, ubriacandosi e lasciandosi andare a del sesso
occasionale, è accennata lievemente anche in “Wild
Thoughts” mentre il
tatuaggio non è presente perché è una
cosa a cui ho pensato soltanto scrivendo
questa storia (per questo è sulla nuca, così
può essere nascosto dai capelli). Mi
rendo conto che i miei Victor sono sempre delle merde; che ci posso
fare, Johnlock
forever and ever. :)
Beh, penso
di aver spiegato più o meno tutto. Credo che
scriverò ancora su questo
universo, magari prossimamente vi ritroverete un bel sequel romantico
sulla
storia fra John e Sherlock. Questa volta è andata
così, chiedo venia.
Fatemi
sapere cosa ne pensate, se vi va: apprezzerei davvero delle opinioni a
riguardo.
Ciao a
tutti,
AintAfraidToDie