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Autore: Prince Lev Swann    17/11/2017    1 recensioni
“Succo d’arancia, Swan?”
Killian posa un vassoio di brioches sulla scrivania, prima di sedersi sul letto; fisso per qualche secondo l’arancione intenso del succo nel bicchiere al di sopra di esso, perplessa. Fu una delle prime cose che mi chiese, il succo d’arancia.
“Emma...”
Da parte mia, nessuna reazione. Ho bisogno di qualche altro secondo.
“Tesoro, mi dici che c’è che non va?”
Sollevo lo sguardo, ricambiando quello dei suoi intensi occhi azzurri. Sembra davvero preoccupato; fa quell’espressione quando pensa che gli stia nascondendo qualcosa che mi preoccupa. Sotto la più superificiale agitazione ne traspare quel po’ di rancore che riserva ai miei ostinati tentativi, mai svaniti del tutto, di non lasciare che mi scopra completamente, di impedire a chiunque, lui compreso, di toccarmi nell’animo. Lo so, è fastidioso, ma sono sempre stata così. E sebbene Uncino sia l’unico in grado di oltrepassare le mie barriere, non mi nasconde più quell’aria di delusione, quasi di disappunto, nel constatare che ogni tanto mi riparo ancora dietro a quei muri. Ma ha ragione, e non se lo merita.
Stringo il pugno e faccio un sospiro. Basta muri.
“Sono incinta.”
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Henry Mills, Killian Jones/Capitan Uncino, Regina Mills, Un po' tutti
Note: Cross-over, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!
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Afferro delicatamente i manici bollenti delle due tazze e mi dirigo verso il salone, dove Lily mi aspetta sul divano con qualcosa in mano. È la foto incorniciata che ci siamo fatti io ed Henry prima di separarci, nel regno di Cenerentola.
“Non dirmelo, è tuo figlio?” dice Lily prendendo in mano la sua cioccolata.
“Già.”
“È cresciuto molto. È carino!”
Sorrido lievemente. “Sì, è cresciuto.”
“E non sono passati poi tanti anni” aggiunge lei. Non ha torto.
“A quanto pare nel reame dove si trova ora il tempo scorre un po’ diversamente” spiego.
“Ah”, quindi beve un un piccolo sorso della bevanda, ancora bollente. “Non mi soprende. Ma come mai si trova in un altro reame?”
Esito, passandomi una mano tra i capelli con aria stanca. “È alla ricerca della sua storia, a quanto pare”. Mi hanno fatto questa domanda così tante volte, ormai, che ripeterlo ancora è quasi esasperante.
“Uh, lo capisco bene allora” mormora lei, rannicchiata con i gomiti sulle ginocchia e la tazza stretta fra le mani, sotto il mento, fissando un punto del muro di fronte con aria assente.
“A proposito, adesso che ti sei ripresa, ti dispiacerebbe parlami della tua storia? Che è successo? Non ti vedevo da non so quanti anni…”
Lily, disincantata, volge il capo verso di me sospirando.
“Be’, come ti ho detto sono confusa. Ancora non riesco a ricordare bene come sono finita qui. Ricordo solo mia madre che mi dice di aspettarla, e...”
“Aspetta. Tua madre? Malefica era con te? E dov’è ora?”
Riflettendoci, non vedevo né Lily né Malefica da anni; da prima di diventare la Signora Oscura, addirittura. Regina mi aveva accennato qualcosa sull’aver sentito Aurora e Filippo accennare che lei e Malefica erano partite per un altro reame poco dopo, ma non se n’è parlato mai più…
Con calma Lily manda giù un altro sorso di cioccolata e si passa la lingua sul labbro superiore, prima di rispondermi.
“Lei… Io, be’, ricordo che eravamo nella Foresta Incantata, al suo castello, e che mi aveva detto di aspettarla fuori dalla sua stanza mentre lei prendeva… delle vecchie cose, ma...”
“Aspetta, la Foresta Incantata…? Quindi siete rimaste lì per interi anni?”
“No, abbiamo viaggiato per altri reami. Diversi, in effetti. Cercavamo...”
“…Tuo padre” termino per lei, annuendo ripetutamente. Il ricordo dell’ultima conversazione avuta con Lily, prima di assorbire la grande Oscurità di Tremotino e salvare Regina, è ritornato ormai ben definito.
“Sì.”
“E l’avete trovato?”
“No.”
Mi risponde in tono secco, rassegnato.
“Oh, mi dispiace...”
Per Lily la questione genitoriale sembrava avere una certa importanza, ai tempi, e non esagero se dico che nessuno la può capire meglio di quanta possa io.
“Ma non importa. Se gli fosse importato di me, in tutti questi anni sarebbe venuto a cercarmi. Invece l’unica ad averlo fatto è stata mia madre… E a tal proposito, devo tornare da lei.” Dicendolo, molla la tazza sul tavolino del salotto e si rimette in piedi. Indossa vestiti semplici; un paio di pantaloni neri e un cappotto dotato di pelliccia dello stesso colore, mentre una lunga treccia di capelli scure le ricade sulla spalla sinistra.
“Aspetta. Non mi hai ancora raccontato tutto. Come ti aiuto, se non so…”
M’interrompo, riflettendo.
“Se non sai cosa?”
“Be’, ecco, magari anche tua madre è qui. Sei sicura di non ricordare proprio come sei arrivata a Storybrooke?”
Lily si blocca, riflettendo per qualche secondo. “A dirti la verità, Emma, proprio no.”
“Be’, la perdita di memoria è qualcosa di estremamente ricorrente da queste parti. Se chiedessi a… ah, no. Se ne sono andati entrambi…”
“Di chi parli?” chiede Lily, aggrottando la fronte.
“Di chi, secondo te? Tremotino, Regina…”
“Ah, già. Senza quei due dev’essere una vera noia da queste parti...”
Perplessa, bevo un lungo sorso di cioccolata, prima di prendere una decisione. “Sai cosa?” sbotto posando anch’io, producendo un leggero tonfo, la tazza semivuota sulla superficie di vetro del tavolino. “È tardi, dovremmo andare a dormire. Se vuoi io e Killian abbiamo una stanza in più, e per noi ovviamente non è un problema…”
“Cosa non è un problema?”
Uncino spunta improvvisamente dal corridoio, indossando dei vecchi indumenti sporchi e un sorriso stanco ma sempre abbagliante. “Ero nel capanno a fare alcuni lavoretti… E tu sei… un momento...”
Quindi riflette per qualche secondo, prima della sentenza. “La ragazza drago. Tu sei… Lily!”
“Già. Ciao, Uncino. Non sei cambiato affatto.”
Gli risponde in tono molto leggero, quasi indefferente.
“Be’, bentornata a Storybrooke” le sorride. “Come se la passa tua madre?”
“Parlavamo proprio di questo, Killian. Lily non si ricorda nulla. È molto confusa, e stanca…”
“Sì, sembra un po’ scossa”.
E in effetti Lily non è molto partecipe. Sempre di meno, da quando l’ho raccolta nei pressi dell’ospedale, un’oretta fa. Inoltre si è alzata dal divano solo per riappoggiarcisi sul bordo, mentre fissa il pavimento con aria assorta.
“Non preoccuparti, Emma” dice all’improvviso. “Non voglio disturbare oltre.”
“Ma non disturbi…”
“No, davvero, tranquilli. Inoltre credo che mi sentirei più a mio agio da… Granny. Sì, una stanza lì andrà bene.”
Se prima potevo illudermi fosse semplicemente stanca, adesso non ho più dubbi; la mia antica amica del cuore mi sta nascondendo qualcosa. La cosa fastidiosa, e me ne rendo ora per la prima volta, è che con lei il mio superpotere non funziona.
“E Granny sia, allora. Però ti do un passaggio”.
“Oh no, non è necessario” replica lei. “Granny è in questa zona, se non ricordo male… E due passi all’aria fresca non possono che farmi bene”. Quindi si scosta dal bordo del divano e si avvicina lentamente al corridoio che conduce all’ingresso.
Con un’ansia che mi tradise, le corro dietro e la supero, sbarrandole la strada.
“Ma non...”
“No, Davvero” m’interrompe Lily. “Non insistere, Emma, per favore…”
C’è qualcosa di evidentemente poco amichevole nel modo in cui lo dice. Una nota di avvertimento; una velata minaccia. Come ai vecchi tempi…
Anche Killian sembra averlo notato. Mi si è avvicinato e mi tiene la mano sulla spalla, esortandomi silenziosamente a lasciarla passare. Io mi arrendo, almeno per ora.
“Va bene, ma fai attenzione”.
“So badare a me stessa” dichiara guardandomi negli occhi, prima di voltarsi. “Buonanotte, Emma. Uncino…” fa un cenno del capo e sparisce oltre la porta del corridoio, ma io la seguo fino all’ingresso.
“Ci vediamo domattina, per discutere la faccenda di tua madre. La rintracceremo, te lo prometto!” esclamo dalla soglia di casa mentre Lily scende rapidamente le scale e si avvia in strada.
“Come no…” replica la figlia di Malefica, dileguandosi nella notte. Per un breve attimo sono tentata dall’idea di seguirla, ma poi Killian mi costringe a rientrare e mi invita ad andare a dormire. Ci metto circa un secondo a rendermi conto di essere esausta; quindi mi chiudo la porta alle spalle e mi dirigo con Uncino dove nessuno, almeno per un po’, ci potrà disturbare.

*   *   *




Mi trovo al confine meno conosciuto della città, intenta a fare ciò di cui prima si occupava Regina. I rifornimenti di cibo e altri prodotti a cui ormai il popolo della Foresta Incantata si è inesorabilmente abituato non vengono con dei camion o cose del genere, come succede per le città normali. Quando ho chiesto a Regina come funzionasse per le scorte dei supermercati mi ha dato una risposta a cui forse non sarei mai arrivata, da sola: magia. Quindi ho capito come, in effetti, se su diecimila persone anche solo una possiede la magia, ed è disponibile, i mezzi di sopravvivenza non destano molta preoccupazione.
“Per 28 anni ci ha pensato il Sortilegio” mi ha spiegato Regina quando le ho domandato come facesse davvero a mandare avanti Storybrooke.
“Sì, intendo semplicemente che i supermercati, i negozi e tutto il resto si rifornivano da soli. Ogni giorno era sempre uguale, o quasi, e nessuno si chiedeva da dove provenisse tutta la roba.”
Al che le chiesi se di fatto proveniva da qualche luogo o, semplicemente, era tutta opera di magia.
“Il problema non sono i vestiti, l’elettricità o cose simili, a dire il vero. Il generatore elettrico di Storybrooke è pura magia, niente di speciale… Ma per il cibo, be’, quello è un altro paio di maniche.”
Ne parlava con molto interesse. Ricordo che quella sera avevamo bevuto un po’.
Mi spiegò in maniera molto diretta che tutto ciò che arriva a Storybrooke, subito prima sparisce da altri posti. Letteralmente.
“Ma no, non è rubare… Cioè… Lo è?” ridacchiò.
Al che io sorrisi, ruotando il capo.
“Oh, insomma!” rispose lei, contrariata. “Quando ho lanciato il Sortilegio Oscuro, cattivo per definizione, non mi sono certo curata di futili dettagli etici. Ma se proprio vuoi che il popolo di Storybrooke torni nella foresta a pescare pesci nel fiume e a raccogliere patate fa pure, costringi tutti. Se la caveranno… O forse no!”
Quindi si piegò in un’altra, allegra risata.  È curioso pensare che solo in quel modo, da brille, mi venne in mente di chiederle informazioni come questa. Se adesso non ne fossi al corrente, semplicemente non saprei bene come mandare avanti questa città.
“E poi se ci pensi, è improbabile che qualcuno, lì fuori, si accorga dell’assenza di una decina di barattoli di fagioli in scatola. La magia funziona così. Non prende tutto nello stesso posto, ma piccole quantità da tanti luoghi diversi, e in ogni parte del mondo. Così quest’intera città continua a funzionare, senza che nessuno ne soffra in particolar modo…”
Al che fui io a ridere.
“Ma non si può semplicemente far apparire il cibo dal nulla, come per tutto il resto?” chiesi, incuriosita.
“Oh no, certo che no, Emma. Sarebbe troppo facile… Ma non hai imparato nulla dai miei insegnamenti?”
Scrollai le spalle. In precedenza non avevamo mai approfondito ogni singolo aspetto della magia, ma più che altro solo ciò che ci potesse essere utile in battaglia o in situazioni di pericolo.
“Anche quando io faccio apparire dolcetti o altro, in realtà li sto… b e’, li sto prendendo da qualche altra parte. Ciò che faccio è semplicemente evocare ciò che mi serve...”
“Quindi, fammi capire, se tu ti fai apparire un dolcetto bell’e pronto in mano, vuol dire che dalla vetrina di qualche pasticceria, là fuori, quello è svanito nel nulla, magari davanti agli occhi di qualcuno? E poi scusa, come fai a sapere che non è già stato toccato, o persino buttato…?”
“No, cara Emma, non ci sei ancora. Non funziona così, la magia ruba, è vero, ma lo fa indirettamente. Con discrezione. È probabile che l’incantesimo, in un frammento di secondo, si procuri gli ingredienti necessari per il dolcetto, li mescoli insieme, ne alteri le condizioni fisiche affinché il tutto si trasformi in quello che desideri e… puff, via al diabete!”
A quel punto avevamo decisamente sollevato il gomito. Ma pensarci mi fa ancora sorridere.
Persa nei ricordi, quasi non mi accorgo dell’enorme cassa che mi si materializza davanti, carica di scorte. Disincantata, chiudo gli occhi, mi concentro su un momento felice del mio passato – in questo caso il mio matrimonio – e la cassa svanisce nel nulla. So già che tutte le scorte sono al loro posto, ogni prodotto nel magazzino del negozio adeguato.
Forse è fin troppo facile. Alla lunga, gestire questa città sta diventando monotono. È uno dei motivi per cui io e Killian sentiamo spesso il bisogno di viaggiare, di muoverci; ci bastano la Jolly Roger e qualche fagiolo magico preso dalla coltivazione di Regina (prodotta subito dopo l’avventurosa partenza di Henry, in un impulso di apprensione) per concederci qualche piccola vacanza in mezzo ai fiordi di Arendelle, tra le dune di Agrabah o, semplicemente, nella pacifica residenza estiva della Foresta Incantata. Ma in quanto sceriffi, viste le continue necessità di una città come questa, non ci fermiamo mai più di due o tre giorni; passare la maggior parte del poco tempo libero che ci è concesso nello stesso posto, senza quindi cambiare aria più di una o due volte, è un lusso che non ci possiamo proprio permettere.

*   *   *

“Tutto bene?”
La rassicurante voce di mia mamma mi fa alzare il capo di colpo, e poso la custodia di nuovo sulla mensola vicino al televisore.
“Sì, non preoccuparti.”
“Sicura? Cos’è che guardavi?”
Senza aspettare una risposta, mamma si avvicina alla mensola e a sua volta prende in mano il gioco per Play Station 4.
“È quello a cui giocava sempre Henry prima di partire, giusto?”
Annuisco. “Sì, è ciò che in primis gli ha dato l’idea, oltre alla fine della storia con Violet e la faccenda dell’Autore.”
“Davvero?”
Sospiro. “Sì, l’incipit in particolar modo. Il protagonista è un ragazzo che vuole scappare dalla sua piccola isola per visitare altri mondi, e quindi scoprire la sua storia. Quello che poi ha fatto lui, insomma…”
Mia madre alza le sopracciglia mentre si rigira l’oggetto tra le mani, incuriosita.
“Mamma, mi dai una caramella…?”
Neal spunta fuori dalla cucina e corre verso di noi, con un pupazzo di Topolino in mano e il pigiama di Star Wars addosso. “No, amore mio. È quasi ora di pranzo. Avrai le caramelle più tardi, se farai il bravo.”
Vederli così mi fa sempre sorridere. Mi prenderei a schiaffi quando ripenso al comportamento infantile che ebbi durante i suoi primi mesi di vita, quando non era altro che un fagottino… ma poi mi ricordo che allora ero praticamente una persona diversa, non avevo il controllo delle mie emozioni, o tantomeno della mia magia, e venivo continuamente messa alla prova dal destino, dallo sbalzo di temperatura e da gelataie un po’ fuori di testa.
Mia madre si gira verso di me inspirando di colpo, dandomi l’impressione che le sia appena venuta un’idea.
“E se...”
Il suo sguardo si sposta rapidamente dalla mensola a Neal, da Neal alla mensola.
“Che ne dici se…cioè, gli piacerebbe, non credi? Mi sembrava molto carino quando vedevo Henry giocarci… e poi sai, ci sono tutti i personaggi delle favole, e noi stiamo tentando di fargli capire chi siamo… da tutti i punti di vista, intendo… quindi, potrebbe essergli utile anche per questo, no?”
Mia madre sta quasi tremando. Fa così quando cerca di proporre un’idea a un’idea a qualcuno senza svelarne i veri intenti… che in questo caso sono ovvi.  
“Mamma, innanzitutto calmati… E certo che ci può giocare, anche se forse è ancora troppo piccolo per apprezzarlo davvero.”
“Allora perché non ci giochi con lui?”
Appunto. Giocare a Kingdom Hearts è qualcosa che ho iniziato a fare con Henry, circa un anno prima della sua partenza. È un’altra cannella nella cioccolata, non so se mi spiego.
Comunque, sebbene mia madre mi abbia fatto leggermente innervosire, sorrido prima in direzione di Neal, ora occupato a fare capriole sul divano, e poi a lei, prendendole una mano. “Certo che giocherò con lui” mormoro. “Ma non per supplire alla mancanza di Henry. Mamma, l’ho superata.”
“Lo so.”
Quindi anche lei mi sorride, spostando lo sguardo sulla mia pancia. Sono in attesa da circa un mese, non di più, pertanto non si nota nulla. E se non consideriamo i parenti più stretti e pochi altri, io e Uncino abbiamo deciso che è ancora presto per rendere la cosa ufficiale.
“Devo andare ora” mormoro all’improvviso, guardando l’orologio. Poco fa ho mandato un messaggio a Lily, chiedendole di vederci alle undici da Granny, e inaspettamente ho ricevuto un “va bene, a dopo” immediato. “Cos’hai da fare, oggi? Emma, devi riposarti…” protesta mamma in tono apprensivo.
“Mamma, sono incinta, non ho il cancro. E neanche una profezia che preannuncia la mia morte per mano di qualche neonato troppo cresciuto, se è questo che ti preoccupa…”
Mia madre inclina il capo di trenta gradi, fulminandomi con uno sguardo torvo. Evidentemente non ha apprezzato l’ironia del mio commento.
“Dài, scherzavo. Ma devo andare davvero, c’è un caso urgente di cui devo occuparmi…”
Mentre lo dico, con la mano destra stringo la stella marina nella tasca del mio giubbotto, come per accertarmi che ci sia ancora. Da quando l’ho trovata, ieri, me ne sono seperata solo per dormire.
“Cosa?”
Mamma fa scattare il capo all’indietro aggrottando la fronte, come fa sempre quando è perplessa o sbigottita.
“Te ne parlerò dopo, promesso.”
“Ma non può occuparsene Uncino? O magari tuo padre?”
Quindi si avvicina alle scale. “David!” chiama. “David!” ripete più forte. Il tentativo di trattenerla, neanche a dirlo, è stato fallimentare.
“Che c’è?” risponde la voce di mio padre. Sembrerebbe arrivare dal bagno.
“Mamma, no. Faccio da sola” insisto, avvicinadomi a mia volta. “Papà, non ti proccupare!” urlo, mentre mia madre suote la testa in segno di disapprovazione.
“Ehm… va bene…?”
“David, vieni!”
“Insomma, mettetevi d’accordo!”
Ma io, esasperata, sono già alla porta.
“Ci vediamo più tardi, mamma, promesso.”
Mia madre sospira e si mette una mano sulla fronte. “Sei impossibile.”
“Ho preso da te, in effetti. A dopo, piccolo principe” aggiungo, sorridendo nuovamente al piccolo Neal e uscendo. Per un attimo faccio per dirigermi al mio maggioliono giallo, ma poi guardo di nuovo l’orologio e decido di ricorrere a una scorciatoia. Quindi sollevo l’avambraccio, concentrandomi, finché dopo circa mezzo secondo un alone di denso vapore bianco non mi avvolge dalla tasta ai piedi. Quindi svanisco.
 



 
   
 
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