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Autore: PiscesNoAphrodite    29/11/2017    12 recensioni
Misty sollevò la testa, scostando un ciuffo ribelle di capelli davanti agli occhi: la sua attenzione fu catturata da una piccola creatura, un rettile, tanto aggraziato ed elegante, una lucertola. L'osservava guizzare tra le sterpaglie per poi fermarsi, immobile, a crogiolarsi sotto un raggio di sole. Contemplò la grazia dell'animaletto pensando alle parole di Aphrodite, a quando gli aveva suggerito che la bellezza può celarsi ovunque.
***
(I personaggi presenti in questa storia, realizzata senza scopo di lucro, non mi appartengono ma sono proprietà di M. Kurumada)
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Gemini Saga, Lizard Misty, Pisces Aphrodite
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'La bellezza della Giustizia '
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L'angelo della morte





 


 

Le Stanze di Arles


 

Egli mosse alcuni passi all'interno dell'edificio. Era un luogo divenutogli abbastanza familiare e, come in tutto il Santuario, persisteva al suo interno un'aura evocativa di spazio senza tempo: le imponenti colonne, l'architettura sacra, rimandavano ai fasti di un'epoca lontana eppure sempre viva e presente.

Il Gran Sacerdote occupava il proprio scranno, rivestito con gli usuali paramenti, i capelli grigi erano sparsi sulle spalle e il volto era immancabilmente celato dalla maschera nella quale rifulgevano degli inquietanti occhi cremisi. Osservò da lontano il Santo di Lacerta, che rimase silente in attesa di un suo cenno: sedici anni, era uno dei più giovani appartenenti alla casta dei Santi d'Argento, quel giorno lo aveva convocato per incontrarlo ed era passato ormai qualche anno dal momento della sua investitura.
Si levò dal trono e si avvicinò al giovane Santo d'Argento, ne ammirò i tratti del volto, che emergeva dalla memoria come quello di un bambino dalle sembianze angeliche. In quell'occasione lo ritrovò incredibilmente bello: aveva un viso delicato, quasi muliebre, incorniciato da lunghi boccoli biondi; gli occhi come gemme preziose, azzurri e luminosi, nei quali brillava una scintilla di orgoglio. Il ragazzo indossava i semplici indumenti che i Santi erano soliti indossare durante le sessioni di addestramento, e svelavano una figura elegante, di alta statura.
Arles affrontò il suo sguardo: “Il mio Santo prediletto, uno dei più affidabili”
Saga… , pensò il ragazzo, senza proferire risposta ma esprimendosi con un assenso.
Osservava il proprio interlocutore, turbato dal tono terribile di quella voce, autoritario, ma stranamente gentile e conciliante nei suoi confronti; era consapevole di relazionarsi con l'alter ego del Santo di Gemini. La parte più malvagia e temibile. L'incarnazione del dio della guerra, Ares. Erano in pochi a conoscere gli intrighi che si celavano dietro la figura del Gran Sacerdote, e quei pochi mantenevano il riserbo assoluto occultando il segreto nei propri cuori. Misty conosceva una mezza verità ma non si poneva domande poiché era certo, nella sua innocenza, che quello era il corso della giustizia: se quell'uomo era assiso sul proprio scranno, nelle vesti del Patriarca, era perché così doveva essere.

***

Alcuni anni prima.

Era una giornata torrida sul campo di addestramento, gli aspiranti Santi erano tutti poco più che bambini, alcuni più spavaldi e robusti di altri: alcuni orfani, con un passato ignoto alle spalle. La selezione era un percorso irto di ostacoli e i più fragili spesso perivano. Chi era debole o inadeguato era destinato a soccombere per mano dei più forti. La diversità era un deterrente, e quel bambino possedeva già una bellezza e una sensibilità insolita rispetto agli altri. La delicatezza e il portamento gentile venivano scambiati per inettitudine. Giaceva esanime con il volto riverso nella polvere e, inconsciamente, benediva l'approssimarsi della morte affinché giungesse a liberarlo dalla propria maledizione. Il suo corpo privo di sensi, abbandonato dai coetanei, attirò l'attenzione di uno dei Santi d'Oro.
Non tutti risiedevano nelle Case Zodiacali loro assegnate al Santuario e spesso si allontanavano per missioni e incombenze.
L'uomo imponente, catafratto nell'aurea armatura, rivolse la propria attenzione al bambino e lo prese tra le braccia per soccorrerlo, sembrava morto e il movimento gli fece scorrere rivoli di sangue dalla bocca e dal naso. Il Santo si premurò di asciugare il sangue e pulire la sporcizia dal viso, svelandone i tratti: la gracile figura era altresì avvolta da una vaga aura, il cosmo era potente, avrebbe dovuto imparare a gestirlo, si disse Gemini e in quel momento il piccolo sembrò rianimarsi.
“Odio... il sangue”, sussurrò.
“Puoi dirmi cosa è successo? Chi è stato?”
Alcune lacrime e un eloquente silenzio in risposta, era palese che non desiderasse rievocare l'ennesima, sgradevole, esperienza subita ma ne represse il ricordo, relegandolo nei più reconditi recessi della memoria.
“Ho capito, va bene, non è importante. Non voglio conoscere altri dettagli”, lo rassicurò Saga, rimuovendo con un gesto compassionevole le lacrime dal suo volto.
Il bambino si rasserenò e posò la testa sul petto del Santo, celando il volto delicato dallo sguardo di altri curiosi. Era la prima volta che qualcuno non lo umiliava per le sue lacrime. Tutto ciò aveva la parvenza di una sessione di addestramento andata male e qualcosa lasciava presupporre soprusi, protratti nel tempo, da parte di ragazzi più grandi, avvezzi all'assenza di regole e onore nel combattimento: non si trattava di un caso isolato bensì di una consuetudine spesso taciuta. Non era opportuno interferire in certi casi e il destino doveva seguire il suo corso, tuttavia qualcosa nella coscienza del Santo gli suggeriva di fare una scelta, uno strappo a regole ferree e crudeli che vigevano normalmente. Si soffermò, ancora per qualche istante, a contemplare il volto angelico del bambino e prese una decisione: soggiornerai al Santuario...
La nobiltà d'animo e la generosità erano i tratti salienti che caratterizzavano la personalità bipolare del Santo di Gemini quando la sua parte malvagia non prendeva il sopravvento. In quel periodo, il lato buono e razionale riusciva ancora a emergere, tenendo a bada il lato oscuro che a breve sarebbe divenuto predominante contro la sua volontà.

***

Santuario di Atene, qualche tempo dopo...

Il custode della Dodicesima Casa era una persona che non disdegnava la solitudine, alcuni avrebbero potuto sorprendersi a causa delle sue abitudini inusuali.

“Esteta, mi hanno incaricato di affidarti un allievo! Posso lasciarlo passare?”

“Non ho tempo per addestrare discepoli, ho altro di meglio a cui pensare che non occuparmi di insulsi e indisponenti mocciosi”, replicò Pisces, dall'impervia altura in cui era ubicato il suo Tempio, con malcelata insofferenza.

“Sei un cultore della bellezza? Lascia passare il ragazzino.”

Una breve esitazione intercorse tra i due ma era un silenzio con il quale il Santo d'Oro acconsentì alla richiesta, la quale egli aveva già intuito provenisse dalle alte sfere del Santuario.

“Vai, piccolo. Buona fortuna.” Il subalterno si congedò dal bambino con un cenno del suo sguardo rassicurante.
“No, aspetta non andartene, non lasciarmi. Io non comprendo ancora bene la vostra lingua.”
“Non preoccuparti, abbi fiducia. Sei molto intelligente, ancora poco tempo, e riuscirai a parlare il Greco come la tua lingua madre e, poi, ti dimentichi di Aquarius. Lui potrà esserti d'aiuto ogni volta che ne avrai bisogno.”
“Si chiama Camus?”
“Sì, Camus. Ora vai, non fare aspettare il tuo maestro o potrebbe spazientirsi. Addio.”

Misty si approssimò al Tempio di Pisces, non senza qualche timore, e proseguì lungo la scalinata per giungere all'ingresso di quella magnifica residenza. Oltrepassò la soglia e subito dopo giunse all’interno di un immenso atrio avvolto da una fresca penombra: drappi e tessuti preziosi lambivano le pareti del tempio, bracieri e candelieri a soffitto illuminavano appena l'ambiente circostante, pervaso da un'inebriante essenza.

“Dunque, saresti tu”, soggiunse una voce nella vaga oscurità.

Quando Misty ebbe il tempo di abituarsi al cambiamento di luce, finalmente, riuscì a riconoscere il volto del ragazzo dinanzi a lui. Dicevano che il Custode della Dodicesima Casa fosse bellissimo e, in quel momento, ne ebbe l’assoluta conferma. Senza fiato, ne ammirò i limpidi occhi cerulei e i capelli indaco che gli incorniciavano il volto perfetto. Non a caso portava il nome della dea Aphrodite; aveva un'espressione che esternava grande determinazione. Nonostante le fattezze delicate del volto, la sua figura appariva forte e virile, ben delineata sotto l'elegante tunica che indossava.
Aphrodite fronteggiò il giovane ospite e fu colpito a sua volta da quel volto serafico dall'eterea bellezza: era un ragazzino alto, esile, dall'apparenza delicata, dimostrava tredici o quattordici anni ma Pisces sapeva che in realtà doveva averne quattro o cinque in meno.
Gli sollevò il mento con un dito per rivolgergli uno sguardo quasi sprezzante: “Adesso capisco l'insistenza di quel servo e di chi ha pensato io potessi apprezzare il tuo aspetto e trovare una sorta di affinità. E, in effetti, le tue fattezze sono davvero piacevoli ma non credere che ciò sia sufficiente al fine di conquistare la mia benevolenza”, affermò con distacco.
“Non sei gentile”, esordì Misty, esprimendo a voce alta i propri pensieri perché infastidito dall'ostilità dell'interlocutore, ma si pentì subito del proprio ardire udendo la replica del Santo d'Oro.
“Bene, sei anche presuntuoso e insolente ma ricorda che il concetto di bellezza fine a se stessa non è fondamentale come la beltà della vittoria in battaglia. Hai davvero molto da imparare, stupido ragazzo!”
Misty tacque e comprese che non avrebbe conseguito alcun vantaggio da un'inutile contesa con Aphrodite, in quanto il Santo sembrava essergli superiore in tutto e per tutto. Il ragazzino biondo era abbastanza perspicace da intuire quale fosse il modo opportuno di rapportarsi con lui ma, in realtà, il primo sentimento che si fece largo nel suo animo fu un connubio di ira e frustrazione. Tuttavia, fu lesto a reprimere quelle emozioni poiché provava una sincera ammirazione, che nacque dal primo istante in cui lo aveva visto. Rimase in silenzio, distogliendo tristemente il proprio sguardo. Aphrodite aveva già gettato le basi su ciò che sarebbe stato il loro rapporto e assaporò, compiaciuto, il primo successo.
Destò nuovamente l'attenzione del discepolo, rivolgendogli uno sguardo dal basso verso l'alto: “E ora vai a cercare i servitori e dì loro di procurarti dei vestiti decenti. Non posso tollerare la tua presenza al mio fianco con quegli stracci che indossi.”
“Stracci?” Misty si era sorpreso e dissimulò un forte risentimento.
“Un'altra cosa: non ricordo di aver udito il tuo nome. Come ti chiami?”
“Misty.”
“Bene, Misty, ora sparisci dalla mia vista e ritorna quando avrai eseguito il mio ordine.”

Il discepolo strinse i pugni e, senza esternare il proprio disappunto, si allontanò da quel luogo nell'intento di compiacere il maestro.

Pisces rimase solo, nella sua dimora, immerso in cupi pensieri. L'audacia e la bellezza del bambino gli rammentavano niente meno che se stesso alla stessa età. Percorse, a ritroso nel tempo, con la memoria, gli avvenimenti antecedenti l'epoca della sua investitura e riemersero ricordi spiacevoli che avrebbe desiderato dimenticare. Aveva vissuto sulla propria pelle lo svantaggio che gli derivava dal suo bellissimo aspetto. Perché adesso si atteggiava con ostilità nei confronti di un bambino? Non avrebbe dovuto essere tollerante e comprensivo quando lui stesso aveva vissuto le medesime esperienze negative? No, perché non è con la dolcezza che si forgia un Santo di Athena. La giustizia è sempre dalla parte dei più risoluti, chi è debole va protetto ma è destinato a soccombere. Sentenziò.
Non ricordava di aver ricevuto comprensione durante gli anni del suo addestramento, ed era, forse, per quel motivo che sembrava così arido di sentimenti. Il suo animo era tormentato e combattuto tra molti interrogativi.

Il giovane allievo ricomparve, dopo un po' di tempo, ma esitava a dare un segno della sua presenza; titubante, rimase per qualche istante nascosto dietro a un pilastro. L'atteggiamento di Aphrodite, scostante e cinico all'apparenza, lo indisponeva e gli dava qualche ragione in più per essere diffidente. Il Santo d'Oro si avvide ugualmente di lui e lo esortò a palesarsi, senza troppi preamboli: “Cosa stai aspettando, hai forse smarrito la tua baldanza?”
Il tono non era diverso da quello usato in precedenza, in contrasto con l’aspetto affabile e seducente che avrebbe lasciato presupporre l'esatto contrario in merito alla sua personalità.
Misty si fece coraggio e avanzò verso di lui. Aveva qualche problema a celare la propria insicurezza, il respiro sembrava fermarsi in gola a causa del disagio che gli infondeva la solenne imponenza di quel Santo: elevò il proprio sguardo e fissò il volto di Aphrodite provando sentimenti discordanti.

Questi ricambiò la sua attenzione col contegno di superiorità che gli imponeva il proprio ruolo fino a quando il ragazzino non riuscì più a sostenerne lo sguardo.
Aphrodite sorrise, e un'espressione compiaciuta gli s'impresse sul volto affascinante: continuava ad osservare il più giovane, che si era presentato indossando nuovi abiti come gli aveva ordinato, i quali in realtà non differivano molto dai precedenti né da quelli indossati dagli apprendisti, ma erano soltanto di una foggia e di un tessuto un po' più ricercati, tanto da assecondare i suoi vezzi.

“Così va meglio, sebbene i tuoi modi siano ancora inadeguati… ma imparerai”, esordì brevemente. “Seguimi e fai attenzione a non toccare le rose, sarò io a dirti a quali potrai avvicinarti.”

Vi era un incantevole giardino nei pressi della Dodicesima Casa, quello era il luogo dove il custode coltivava le rose; un angolo paradisiaco che rispecchiava la personalità di colui che se ne occupava. Aphrodite si destreggiava tra le piante ed esse sembravano percepire l'aura benevola del loro signore, oscillando ed emanando una fragranza sublime, come se volessero porgergli omaggio; si soffermò e mostrò il palmo della mano, in esso si materializzò una rosa.
“Questa è la rosa di sublime bellezza, essa ha facoltà di privare della vita senza alcuna sofferenza.”
“Sembra simile a quelle che ho visto sulla scalinata dietro al Tempio” confermò Misty, appoggiandosi contro al capitello di una colonna in rovina giacente al suolo.
“Esattamente, sono velenose, ed è per questo che non devi toccarle” rispose Pisces, cogliendo la svenevole leggerezza con cui l’allievo avvolgeva, intorno al dito, i lunghi e setosi fili dei suoi capelli ma proseguì la spiegazione come se nulla fosse.
“La rosa nera è la rosa del fatale incanto, essa divora qualsiasi cosa tocchi tra atroci sofferenze” soggiunse gettando il fiore ai piedi di Misty, che indietreggiò, sgomento.
“Sei proprio ingenuo, la rosa che sto usando è innocua!” Aphrodite sorrise, il suo era un sorriso beffardo pervaso dalla solita vena sprezzante.
“Infine, abbiamo la rosa bianca, che diviene rossa assorbendo il sangue dal cuore dell'avversario” disse materializzando un altro fiore nella mano. Socchiuse gli occhi, inalandone il profumo.
Misty lo osservava con ammirazione e non riusciva a distogliere lo sguardo, ma Aphrodite lo destò dai suoi vagheggiamenti:
“Stai sognando a occhi aperti?”
“No, non stavo sognando.”
“Che rapporto hai con te stesso?”
Misty fu colto alla sprovvista dalla domanda insidiosa e gli risultò più semplice tacere, imbarazzato, ma Aphrodite fu lesto a toglierlo d'impiccio: gli sfiorò il volto con un dito e, a dispetto della presunta gentilezza, quel gesto elusivo non sembrava essere sinonimo di alcuna cortesia.
“Tu sei un vanesio egocentrico, non pensare che non me ne sia accorto” esordì, disorientando il giovane interlocutore. “La bellezza può essere un ostacolo e non solo un vanto da sfoggiare. Tuttavia, qualcosa mi dice che tu abbia già avuto modo di sperimentarlo.”

Misty non riuscì ad articolare una sola sillaba, era scosso da quelle dure e lapidarie affermazioni alle quali non avrebbe saputo ribattere. Tacque, con gli occhi bassi e l'attenzione volutamente rivolta alla ciocca di capelli che teneva ancora avvolta tra le dita, per evitare d'incontrare quello sguardo. Nella sua ingenuità non riusciva a comprendere in cosa avesse mancato al punto di suscitare la disapprovazione del suo mentore: cos'ho fatto di male? Si chiese, senza capire che era proprio il suo spontaneo modo di porsi a infastidire Aphrodite, il quale sembrava nutrire una profonda avversione verso atteggiamenti che reputava poco virili e consoni allo status di un Santo di Athena.
“Non mi piace il tuo atteggiamento superficiale e immodesto, dovrai imparare a essere umile e rapportarti con deferenza innanzi a chi ti è superiore.” Sembrava molto serio, e non c'era più alcun intento canzonatorio nelle sue affermazioni. Aphrodite si discostò da lui, allontanandosi dal giardino e dandogli le ultime indicazioni a distanza. “Sta scendendo la sera, puoi cenare e andare a dormire nel quartiere dei Santi d'Argento, domani cerca di essere puntuale.”
Il più giovane rimase a fissarlo da lungi e, rimuovendo con un lembo di stoffa una lacrima che gli scendeva lungo il viso, decise di defilarsi a sua volta.

***

Misty cresceva e apprendeva in fretta gli insegnamenti di Aphrodite: quelle tecniche con cui affrontava i contendenti, senza sporcarsi le mani o venire a contatto con l'avversario, erano in sintonia con la propria personalità.

“Se il mio attacco fosse volto a uccidere non avresti scampo.” Il maestro si era rivolto a lui con una nota di rimprovero. “Possiedi un cosmo davvero potente, prova a concentrarti e disponi la tua difesa di conseguenza.”
“Non riesco, sembra tutto così complicato” rispose Misty, in preda allo sconforto. “Sono distratto.” Si giustificò.
Pisces si avvicinò, intenzionato a comprendere il motivo di un simile turbamento: “Se vuoi possiamo riprovare più tardi.”
Il più giovane si limitò a stringersi contro di lui in un abbraccio e, al tempo stesso, gli rivolse un labile sguardo velato di tristezza, nascondendo il volto contro il suo petto.
“Il problema sei tu, hai paura di farti male” soggiunse Aphrodite, dopo averlo indotto a sollevare la testa. “Le ferite non sono disonorevoli e la perfezione può essere insita anche in molte altre cose non legate all'aspetto fisico, prova a pensarci, Misty.”
“Essa è insita anche nella morte.”
“Nella morte?”
“Sì, nel modo in cui si muore, anche nel modo in cui le tue rose dispensano la morte... vi è bellezza.”
“Ma lo è anche nella vittoria” soggiunse Aphrodite. “In verità, la si può scorgere in ogni dove con un occhio attento.”

Entrambi sedevano, fianco a fianco, sulle gradinate del Tempio, beandosi della brezza tiepida di quella serata estiva. Aphrodite era assorto in contemplazione e Misty poggiava il capo sulla sua spalla, lo sguardo del più giovane si perdeva nei colori surreali del tramonto che tingevano il cielo, le nubi, e il paesaggio che si poteva ammirare in virtù della posizione elevata su cui sorgevano quelle antiche mura.

“Perché hai pensato alla morte?”
“Non lo so ma è un pensiero ricorrente.”
“La vita dei Santi è precaria, il nostro destino è appeso a un filo, ma fa parte della missione a cui siamo votati” disse Pisces, come se avesse sondato gli inquieti pensieri che si agitavano nella mente di Misty.
“Tu credi alla predestinazione, maestro?”
“In un certo senso sì anche se, spesso, siamo noi stessi gli artefici del nostro destino.”

Misty annuì con un cenno, ponendo un braccio intorno alla vita di Aphrodite, si strinse a lui e quel contatto parve infondergli conforto e sicurezza.
Il maestro gli sorrise: “Smetti di pensare alle cose tristi e concentrati su ciò che desideri ottenere. Questo è il consiglio migliore che posso darti.” Lo rassicurò, infine, con una carezza sulla guancia.


Misty sembrava fiero del proprio aspetto e non era esagerato ammettere che amava se stesso. Quella particolarità era molto sgradita agli occhi di Aphrodite e, tuttavia, questi si ripromise di tollerarla poiché anch'egli riconosceva di non essere esente da difetti. Era sensibile dinanzi alle cose belle ma non si preoccupava della propria apparenza, il suo interesse propendeva verso concetti più astratti quali la determinazione e la gloria. Biasimava Misty e la di lui vacua vanità ma riusciva a cogliere gli aspetti fragili della sua dolce indole, celati dietro la maschera dell'arroganza: sarebbe una sorta di difesa? Un modo per proteggersi? Questi erano gli interrogativi che Aphrodite si poneva pensando a lui, anche la paura di sporcarsi o di ferirsi era un pericoloso deterrente e poteva esporlo al rischio di non sfruttare al massimo le sue potenzialità. Era molto probabile che fosse di nobili origini, contrariamente alla maggior parte dei bambini che venivano reclutati dagli orfanotrofi per divenire Santi di Athena. Sapeva leggere, scrivere, ed era molto più riflessivo rispetto ai suoi coetanei, dotato di un'intelligenza sottile.

Un giorno, Aphrodite sorprese l’allievo davanti allo specchio, pavoneggiarsi con una rosa tra i capelli e visibilmente ammaliato dall'immagine che vedeva in esso riflessa.
Lo osservò in disparte, senza essere notato: “Cosa ci fai nelle mie stanze private, chi ti ha dato il permesso di entrare?” chiese, muovendogli un aspro rimprovero ma, nello stesso tempo, stentò a reprimere una risata, combattuto tra sentimenti contrastanti.
Si avvicinò a lui: “Tu sai quanto odio questi atteggiamenti, non è vero?” Lo aveva richiamato, strappandogli la rosa dai capelli in malomodo.
Il più giovane serrò le palpebre aspettandosi il peggio, temeva che il maestro volesse colpirlo, ma Aphrodite si limitò a ghermirlo per la tunica e lui si ritrovò con il volto contro la fredda superficie dello specchio.
“Si narra di un antico mito in cui un fanciullo s'invaghì, perdutamente, di se stesso e dopo perì per l'amore non corrisposto. Abbastanza sciocco e controproducente, non credi, Misty?”

Udendo quelle parole, il più giovane arrossì dalla vergogna ingoiando le lacrime. Il mentore non perdeva mai l'occasione per umiliarlo.

“Stupido vanitoso, femminuccia, e tu vorresti diventare un Santo di Athena?!” insisté Aphrodite, allentando la stretta con cui lo tratteneva, per poi lasciarlo andare. “Ora esci fuori, se ti ritroverò ancora qui senza il mio permesso saranno guai!”

Senti chi parla, pensò Misty, ricordando di averlo sorpreso scambiarsi un bacio lascivo con il Santo di Cancer e non era l'atteggiamento simbolico da accomunarsi all'omaggio feudale - di questo ne era convinto - ma convenne saggiamente che non erano affari di cui doveva interessarsi. Per sua fortuna li aveva colti sul fatto di nascosto e non osava immaginare la ritorsione che Aphrodite avrebbe avuto nei suoi confronti, se si fosse reso conto che li aveva spiati.

Si dileguò in fretta per consentirgli di placare la sua furia imminente, desiderava soltanto piangere senza essere visto, doveva sempre trattenere le lacrime in presenza di Aphrodite perché questi non tollerava la debolezza.
Misty guadagnò l'uscita, diretto verso la scalinata che lo avrebbe condotto al di fuori dal Tempio; aveva bisogno di schiarirsi le idee e di cambiare aria, ma era così distratto che non si avvide della presenza di un'altra persona; così assorto da non percepire il cosmo del Santo con il quale si scontrò durante il cammino.
“Ma sei distratto o cosa?” esordì Death Mask, porgendogli una mano per aiutarlo a rialzarsi da terra.
“No, scusami, è che non mi sono accorto della tua presenza” Misty, imbarazzato e confuso, provò a giustificarsi. Quel tipo lo turbava, l'aura di crudeltà e potenza che emanava era insostenibile, pertanto cercò di aggirare l'ostacolo in tutta fretta.
Cosa ci troverà di tanto interessante il mio maestro in uno come questo? Sarà che gli opposti si attraggono oppure, in verità, sono abbastanza simili tra loro. Si arrovellò, tacitamente, premurandosi di guadagnare un discreto margine di distanza, e senza distogliere l'attenzione dal Santo di Cancer lo guardò con la coda dell'occhio. Interesse che quest'ultimo parve ricambiare perché - a sua volta - lo seguì con lo sguardo per tutto il tempo, fino a quando il ragazzino non scomparve al di là della ripida scalinata.

“Dido, non sapevo avessi un fratello più giovane.”
“Ti ho già ripetuto altre volte di non usare quel tono confidenziale con me. Fratello? Quale fratello?”
Aphrodite era sorpreso e, dopo un fugace attimo di smarrimento, riuscì a riordinare i propri pensieri per poi realizzare in un lampo a cosa voleva riferirsi il suo compagno d'armi: “Come ti permetti di attribuirmi un legame di parentela con quel moccioso insignificante? Non è altri che il mio discepolo, un ragazzino supponente e viziato che mi è stato affidato a metà della sua formazione.”
“Beh, ti somiglia. Non sembri aver una buona opinione di lui. Insignificante, dici? Ne sei davvero convinto? Aspetta ancora un paio d'anni e diventerà uno splendore quel ragazzo.”
“Non avevo dubbi. Sei e rimarrai sempre un pervertito.”
Cancer sorrise, sembrava divertirsi ogni volta nell'urtare la sensibilità di Aphrodite.
“Dopotutto, è grazie a te se ho imparato ad apprezzare la bellezza …” replicò con parole che avrebbero potuto suonare come un affronto, ma sottintendevano adulazione. "Comunque, sembrava abbastanza sconvolto, dovresti essere più morbido con gli apprendisti.”
“Proprio tu sputi sentenze a proposito di buone maniere e gentilezza, ma non farmi ridere!”
Il Custode della Quarta Casa rise, ancora più divertito, in risposta alla reazione di Aphrodite ma quest'ultimo, impassibile, gli voltò le spalle e rimase a braccia conserte rivolgendo il proprio sguardo all'orizzonte, ammirando la visuale che si stagliava oltre la balaustra edificata sulle rocce del Tempio.
“Non ho tempo per simili sciocchezze, ci sono altre cose che mi preoccupano.”
“A cosa ti riferisci?”
“Strane sensazioni, come se l'avvento di una svolta importante si celasse dinanzi ai nostri occhi. Vorrei continuare a vivere in pace, ambisco a una vita serena più di qualsiasi altra cosa.”
“Questa riflessione vuole riferirsi a qualcuno in particolare?”
“No, è dovuta a un presentimento. Temo che in futuro potrebbero presentarsi degli ostacoli.”
“Stiamo vivendo un periodo relativamente tranquillo, il Gran Sacerdote ha una condotta irreprensibile.”
“La Giustizia implica il potere e la pace può essere garantita unicamente da uomini forti e virtuosi, io confido nella sua autorità” soggiunse Aphrodite, gravemente, trattenendo ancora tra le dita la rosa che aveva strappato dai capelli del discepolo.

Misty aveva già oltrepassato le Dodici Case, attraverso un percorso accidentato, intrapreso per evitare d'incontrare qualcuno dei guardiani, preposti alla custodia dei rispettivi Templi, e dover magari dar loro qualche spiegazione a proposito del suo depresso stato d'animo. Si fermò, addentrandosi nella selva che adombrava d'arcana quiete l'area che si estendeva attorno al Santuario. Aveva le lacrime agli occhi e non dovendo più preoccuparsi di reprimerle, pianse liberamente. Sedette all'ombra di una pianta secolare e, in quel momento, meno che mai, avrebbe desiderato imbattersi in qualche essere vivente. Si asciugò gli occhi, soffermandosi ad ascoltare il silenzio, non si era mai sentito così solo. Si sentiva triste ancorché, in cuor suo, sapesse di godere di un immenso privilegio e forse sarebbe già morto se qualcuno non si fosse mosso a compassione nei suoi riguardi. Viveva a stretto contatto con l'élite del Santuario, frequentava un luogo inaccessibile a molti, aveva veduto in volto i Santi d'Oro, dei quali i più ne ignoravano l'esistenza quasi si trattasse di figure leggendarie facenti parte del mito. Egli stesso era posto sotto la tutela di un Santo d'Oro: il più splendido e potente tra i dodici. Avrebbe dovuto rallegrarsi soltanto per questo, eppure ciò non bastava a rincuorarlo poiché realizzava che non avrebbe potuto essere se stesso; doveva reprimere la propria indole sotto una scorza, con tutte le debolezze infantili e i futili vezzi. Misty sollevò la testa, scostando un ciuffo ribelle di capelli davanti agli occhi: la sua attenzione fu catturata da una piccola creatura, un rettile, tanto aggraziato ed elegante, una lucertola. L'osservava guizzare tra le sterpaglie per poi fermarsi, immobile, a crogiolarsi sotto un raggio di sole. Contemplò la grazia dell'animaletto pensando alle parole di Aphrodite, a quando gli aveva suggerito che la bellezza può celarsi ovunque. Peccato, si disse, che una creatura tanto affascinante abbia una costellazione di appartenenza le cui stelle brillano fiocamente.

***

Nei momenti di tranquillità Aphrodite si dedicava alla cura del roseto, sembrava incredibile che fiori di una tale grazia potessero rivelarsi armi letali nelle mani di quel Santo spietato. Sì, perché quella era la fama di cui egli godeva presso i suoi avversari.
Il discepolo lo osservava intento nel suo lavoro: comunicava amorevolmente con le piante ma distolse, per un momento, l'attenzione dal compito che stava svolgendo.
“Hai perfezionato la tua tecnica difensiva, Misty?”
“Non del tutto, maestro, la mia barriera d'aria è ancora debole” rispose l'altro, annusando leziosamente il profumo di una rosa che rigirava tra le dita.
“Hai una buona padronanza delle correnti atmosferiche ma dovresti applicarti con maggior dedizione. Sei troppo concentrato su te stesso invece. Pensa alla gloria, insita nella vittoria, e a quanto possa essere umiliante una sconfitta.”
Misty non rispose nulla, riflettendo sulle parole appena udite dal proprio mentore, il quale gli rivolse uno sguardo benevolo, una blanda dimostrazione d'affetto che gli concedeva in rarissime occasioni: “Devi lasciare da parte l'ossessione di un corpo immacolato, non devi temere le ferite o la sporcizia poiché la tua immagine non ne risulterebbe alterata.”
“Ci proverò, mi impegnerò più di quanto non abbia mai fatto fino ad ora.”
“Fallo per me, piccolo Narciso” disse Aphrodite, scostandogli i capelli per posargli un leggero bacio sulla fronte.
Misty arrossì, si emozionò poiché lo venerava in segreto e Aphrodite rappresentava per lui un modello irraggiungibile. La considerazione insita in quel tenero gesto gli colmò il cuore di gioia, ma non smarrì la propria compostezza e mostrò il palmo della mano al suo maestro.
Con il cosmo, Misty aveva materializzato un candido giglio: “Questo è per te” affermò senza lasciar trapelare i propri sentimenti.
“Come hai fatto?”
“Qualcosa sono riuscito ad imparare, osservandoti.”
Pisces sorrise dolcemente, prendendo il dono dalle sue mani: “Molto gentile da parte tua, grazie, Misty.”

***

Misty svolse le bende, a protezione delle mani e delle braccia, e si sciacquò il viso. La sua sessione di allenamento era terminata e quel giorno era soddisfatto, presto sarebbe riuscito a dominare le correnti d'aria, ad assoggettarle alla sua volontà, al fine di creare una barriera difensiva efficace. L'aria era sempre stata, per qualche motivo, l'elemento a lui più affine e, in effetti, si sentiva un po' come il vento, libero, imprevedibile.

Libero di aggirarsi per il Santuario, spinto dalla sua naturale, ingenua curiosità, giunse - percorrendo un sentiero secondario - nei pressi del Tempio principale quasi adiacente alla Dodicesima Casa.
Non gli era stato espressamente vietato di visitare altri luoghi che non fossero il Tempio di Pisces e la sua coscienza era abbastanza tranquilla, in quanto pensava che non ci fosse nulla di male a soddisfare almeno un poco della propria curiosità. Quella struttura austera, imponente, lo incuriosiva moltissimo, chissà come doveva apparire all’interno e quali segreti custodiva.
Le mura di marmo, candide come neve, contrastavano con il terso e sconfinato etere, scevro da nubi e di un blu così intenso da ferire lo sguardo. Non vi era alcun preposto di guardia, probabilmente le rose di Aphrodite erano uno strumento affidabile contro qualsiasi intruso ed egli stesso era un guardiano terribile e ligio al dovere. Si avventurò in direzione dell'ingresso al Tempio e si rese conto che poteva entrarvi indisturbato poiché sembrava essere vuoto al suo interno. Si soffermò ad ammirare il virtuosismo architettonico, gli elementi artistici che caratterizzavano l'ambiente, le slanciate colonne doriche, gli spazi immensi. Era un ambiente cupo, freddo, decorato con specchi e drappi scarlatti, il quale, per qualche ignota ragione, gli infondeva un'incomprensibile sensazione di angoscia; come se una dimora divina e luminosa fosse pervasa da una sorta di arcana inquietudine. Sì, era una sensazione strana, irreale e innaturale, in un luogo che si poneva da estremo avamposto a custodia della statua consacrata alla dea, la quale incarnava il supremo ideale della Giustizia. Vi era un maestoso e ridondante trono che si ergeva al centro dell'aula, doveva essere lo scranno del Gran Sacerdote, nei pressi del quale si giungeva camminando su di una guida, anch'essa cremisi come il colore del sangue.
Che stupido sono stato a farmi trascinare dalla curiosità, pensò, dopo aver udito dei rumori alle spalle; il ragazzo fu svelto a dissimulare la sua presenza celandosi in una delle nicchie dell'edificio, in prossimità del peristilio. Aveva altresì imparato a nascondere il cosmo affinché nessuno si accorgesse di lui.
Comparvero sullo sfondo alcune figure di Santi d'Oro, rivestiti con le rispettive armature. Com'era affascinante e imponente Aphrodite e che meraviglia la sua armatura, una delle più belle che avesse mai visto. Infine comparve il Patriarca, che guadagnò la sua posizione elevata. Le persone presenti diedero inizio alla loro discussione, che sembrava affrontare temi di estrema importanza. Misty era troppo distante per poter afferrare il senso della conversazione e, in verità, non desiderava nemmeno intromettersi in affari che non erano i suoi. Riuscì a carpire solo alcuni frammenti incoerenti del dibattito, mentre quell'atmosfera di lugubre oscurità sembrava avvolgere i presenti e l'ambiente, come se vi fosse l'influsso nefasto di qualche entità avversa e malvagia.
Si avvide di essersi appropriato di un diritto che non gli competeva, in quanto non aveva ancora ricevuto l'investitura come Santo di Athena e non concorreva nemmeno per un'armatura d'Oro, che gli avrebbe garantito il privilegio d'intrattenersi tra quelle mura; aveva compiuto un'azione molto grave. Se ne pentì. Non poteva scappare in quel momento perché lo avrebbero notato, attese, con ansia, che i presenti abbandonassero la riunione per potersi eclissare a sua volta.

Non rincasò subito perché temeva di farsi scoprire, il turbamento che traspariva dal proprio essere lo avrebbe tradito. Aphrodite si era già liberato dalle sacre vestigia ma un sospetto, che si era fatto strada nella sua mente, lo tormentava. Sospetto molto più prossimo alla verità che non alla mera insinuazione.
Varcò nervosamente la soglia della Dodicesima Casa per poi dirigersi all'esterno sondando l'ambiente circostante, finché non gli capitò d'imbattersi nel suo allievo e lo trattenne per un braccio. “Tu, pensi che io sia uno stupido, non è vero? So che sei in grado di dissimulare la tua presenza nascondendo il cosmo, ma il trucco con me non ti riesce più. Ti conosco troppo bene!” disse afferrando il polso di Misty, imprigionandolo in una stretta, in modo che non riuscisse a sfuggirgli.
“Non toccarmi, mi stai facendo male. Non è come pensi.”
“Osi ribellarti? Ti darò una lezione, affinché tu impari a rivolgerti a me nel modo adeguato!”
“Non cambierò per farti piacere”, replicò il più giovane, come incapace di misurare le parole, e una fiamma parve brillare nei suoi occhi.
Aphrodite reagì, offeso da quell'affermazione: “Persisti a mantenere quel contegno altezzoso, è una sfida? Evidentemente non ti è chiaro il concetto di autorità superiore da rispettare, ma ti piegherò e questo è solo l'inizio.” Lo affrontò, per poi colpirlo. “Allora, cosa saresti in grado di fare contro di me, dato che non vali nulla?”
Misty percepì il sapore del sangue sulle labbra:  perché lo hai fatto? Come hai potuto? Se questo è quello che pensi davvero perché sprechi il tempo a tramandarmi le tue conoscenze? Perché lo fai, se hai un'opinione così bassa di me? Non voleva ammettere, nel suo orgoglio, che quella persona - oggetto della sua più grande devozione - lo svilisse a tal punto. Disillusione, frustrazione, erano solo alcune sensazioni che emergevano da una moltitudine di pensieri deprimenti. Odio? No, non riusciva a provare rancore nei confronti di chi lo stava umiliando.
Il Santo d'Oro rilevò l'espressione incredula su quel bel viso, era la prima volta che alzava le mani su di lui, e vedendolo così indifeso provò quasi un blando rimorso.
Malgrado ciò, la collera prevalse annullando ogni pensiero razionale, il Santo di Pisces era davvero furente, trascinò il discepolo per i capelli all'interno della residenza.

“Hai trasgredito le regole del Santuario, non sapevi, forse, che a quelli come te è precluso l'accesso alle Sacre mura? Fingevi di non saperlo per appagare la tua stupida curiosità e vanità. Sei un arrogante, vanesio! Lo sai che la pena per aver disatteso il regolamento è la morte? Se il Patriarca sapesse... Sono io a rispondere delle tue azioni! Parla, irresponsabile, che cos'hai appreso?!” gridò, costringendolo a ridosso della parete.
L'impronta delle cinque dita era rimasta impressa sulla guancia, ma Misty sembrava aver smarrito la facoltà di esprimersi; era come pietrificato, immobile, con lo sguardo assente e perso in chissà quali ricordi.
L'aura del Santo parve accrescersi di pari passo con l'ira, Misty realizzò, in un rapido istante, che il suo maestro avrebbe potuto anche ucciderlo ed ebbe l'istinto di svincolarsi.
“Dove credi di andare? Dovrai deciderti a dire la verità, io so essere davvero crudele se lo desidero.” Aphrodite lo esortò a parlare, trattenendolo con la forza, e lui scivolò verso il basso, non riusciva più a contenere le lacrime. Avrebbe potuto espandere il cosmo e difendersi, la sua gracile figura emanava una flebile aura, ma la volontà di reagire sembrava inibita.

“Stai piangendo come una femminuccia, vergognati, sei una nullità!” esclamò Pisces, con il desiderio di umiliarlo, “La debolezza non ti fa onore. Ricorda: solo il più forte ha diritto a imporsi.”

“Questo non è vero, non è giusto!” protestò Misty, con indignazione.

“Non sarai mai un Santo di Athena. Sei debole e patetico.”

Aphrodite era consapevole di aprire una profonda ferita nell'ego di quel presuntuoso narciso - così come lo definiva - e, anche in questo, sembrò non disattendere la promessa di dimostrarsi crudele.
L'ennesimo schiaffo scagliò Misty contro il lastricato di pietra, e questi si impose di recuperare un contegno dignitoso; avrebbe desiderato levarsi in piedi ma si sentiva davvero così debole, proprio come gli aveva rimproverato il maestro. Le lacrime erano dovute più alla schiettezza, insita in quelle parole, che non al vero e proprio dolore fisico provato in quel momento.
“Saga... è Arles... ” confessò.
“Perché ti trovavi in un luogo dove non sei stato invitato?” incalzò con asprezza Aphrodite, ancora in preda alla collera e all'apparenza privo di qualsiasi slancio compassionevole. Era simile a un angelo tramutatosi in demone.
Misty trovò la forza per asciugarsi il sangue dalla bocca con il dorso della mano: “Ero lì per caso. Non ricordo il tema della discussione, sto dicendo la verità. Non volevo, mi dispiace” pronunciò a fatica le ultime parole con cui sacrificava il suo amor proprio.
“Non farai parola con nessuno a proposito di ciò che hai visto.”
“Te lo prometto. Lasciami andare.”
“Non è ancora finita, piccolo arrogante. Credo che tu sia ancora in debito, adesso porgimi le scuse per la tua condotta inqualificabile.”
Il più giovane sembrava riluttante a obbedire alla richiesta, ma risolse di riconoscere i propri errori: aveva agito da sprovveduto e ne subiva le conseguenze, sapeva che la colpa era soltanto sua e Aphrodite aveva tutto il diritto di rivalersi nei suoi confronti. Si trascinò ai suoi piedi e rimase a capo chino, senza avere il coraggio di guardarlo negli occhi e mostrargli il volto, infine si scusò con lui.
Aphrodite si rilassò dopo aver colto la sincerità in quel gesto – Misty non lo stava ingannando – era sconvolto, esausto, inorridito per ciò che l'insana collera gli aveva fatto compiere.
Si chinò davanti a lui e gli prese il volto tra le mani: come ridestatosi da un incubo, iniziò ad asciugargli le lacrime. Non osava affrontare il suo sguardo, era affranto, si sentiva come un disgustoso verme che aveva abusato di una creatura più debole. Non si perdonava per averlo schiaffeggiato; di averlo insultato, umiliato: si trattava forse di invidia, latente nel suo inconscio, e ora la bestia si era destata rivelandosi in tutto il suo orrore?
Aphrodite non lo sapeva ma era certo di sentirsi come un mostro, della peggior specie: sono un vile bastardo, ecco cosa sono.
Abbracciò il discepolo semi svenuto, lo raccolse da terra, lo trasportò nella propria stanza e lo adagiò sul letto.
“Potrai mai perdonarmi per quello che ti ho fatto? Perché non ci può essere perdono per un'azione così infame. Siamo soltanto vittime infelici in balia di un destino crudele che non abbiamo scelto.” Nelle ultime parole pronunciate dal Santo d'Oro si evinceva un'impietosa realtà, come se questi avesse sondato non soltanto nel proprio animo ma anche in quello di Misty.
Il più giovane udì l'inattesa rivelazione del maestro e trovò il coraggio per confidargli un segreto che, da tempo, teneva gelosamente in serbo nel proprio cuore: “Ti perdono, Aphrodite, nonostante quello che mi hai fatto, perché sei la prima persona per la quale provo ammirazione, oltre me stesso… Non posso odiarti.”
Il Santo udì la confidenza. Osservò che Misty aveva chiuso gli occhi e si era già addormentato; si approssimò a lui, lo coprì, e si premurò di uscire. Quella notte, Aphrodite la trascorse insonne, lontano dal proprio alloggio privato e dalla stanza, sita nell'ala più profonda e inaccessibile del Tempio, che aveva ceduto per la prima volta a un'altra persona. Si soffermò sul loggiato esterno a contemplare la volta celeste punteggiata di stelle, lottando contro i sensi di colpa.

***

Misty, proveniente dal quartiere dei Santi d'Argento, nel quale solitamente alloggiava, incontrò Aphrodite all'ingresso del giardino come ogni mattina e quasi sempre alla stessa ora.
“Buongiorno, Misty.” Lo salutò quest'ultimo, notando che il suo volto era ritornato perfetto, salvo qualche lieve ombra che ne velava il candore.
“Buongiorno, maestro.”
“Oggi sarà una giornata diversa, non praticheremo il solito addestramento, ho bisogno di parlare con te.” Gli comunicò Aphrodite, indicandogli un angolo del giardino dove vi erano un tavolo e due panchine di pietra. “Siediti e aspettami un momento, immagino tu non abbia ancora fatto colazione.”

Misty sedette in attesa, amava deliziarsi in quel meraviglioso luogo di pace dall'aspetto neoclassico e decadente, ingentilito dalla regale magnificenza della varietà di rose, colori e fragranze.
Aphrodite tornò con un vassoio dove aveva disposto alcuni biscotti e due tazze di tè, lo appoggiò sul tavolo, e prese posto dinanzi a lui. Riprese il discorso: “La gente del Santuario ha fatto osservazioni a proposito dei segni che avevi sul volto?”
“No, mi sentivo osservato ma non hanno osato proferire parola, probabilmente pensano che ho meritato ogni cosa”, replicò Misty, laconico, e le sue considerazioni rispecchiavano un'ipotesi plausibile. Qualcuno tra gli apprendisti e i Santi doveva aver davvero pensato che quel ragazzino vanaglorioso avesse ricevuto, finalmente, una bella lezione. Non tutti tolleravano il suo atteggiamento di superiorità, a prescindere, non importava se fosse forzato o se si trattasse di un aspetto naturale del suo carattere.
“E tu cosa pensi?” chiese Pisces, intingendo una galletta nella bevanda.
“Che è la verità.”
“Mi fa piacere che tu lo riconosca, significa che non sei così superficiale come credevo all'inizio, ma io ho esagerato” sospirò con rammarico. “Non volevo farti del male.”
“Lo so, maestro, ma non preoccuparti. Non è la prima volta che succede.” Gli confidò Misty, nel tentativo di alleviare quei sensi di colpa, e poi sorseggiò il tè.
“È successo altre volte in passato, a causa del mio aspetto così… efebico” interruppe la frase a un certo punto.
Il Santo intuì la parola non espressa che Misty aveva omesso dalla sua affermazione ed ebbe una stretta al cuore: “Beh, la bellezza funge spesso da bersaglio per gli invidiosi e il tuo viso non è femmineo, ma è semplicemente perfetto, la perfezione e la delicatezza dei tuoi lineamenti rimandano alla purezza degli angeli.”
“Grazie, è bello udire queste parole, soprattutto se provengono da te” rispose il ragazzino dai capelli biondi e Aphrodite colse nelle sue riflessioni qualcosa d'inconciliabile con la giovane età.
“Adesso vorrei parlarti in merito a qualcosa di molto importante, inerente a ciò che hai visto quel giorno nel Tempio del Patriarca.”
“Ma, maestro, non importa io ho già dimenticato tutto.”
“No”, rettificò Aphrodite. “Tu hai il diritto di sapere, essendo stato coinvolto in questa storia contro la tua volontà. Tra non molto sarai un Santo d'Argento e devi apprendere la verità, a proposito di Shion e dell'ascesa di Saga allo status di Gran Sacerdote.”
“Credo che non importi conoscere i dettagli della successione, in quanto, Saga/Arles è il diretto rappresentante di Athena. Mi è sufficiente sapere questo per adempiere ai miei doveri.”
“Questo è implicito, Misty, ma non è tutto.”

***

Aphrodite.

È trascorso un periodo di tempo relativamente breve dall'episodio che, in qualche modo, ha segnato la vita di entrambi. Ho investito tutte le energie di cui disponevo affinché il mio giovane allievo acquisisse le abilità che gli avrebbero consentito di guadagnare la sua armatura. Tuttavia, provo ancora un profondo rammarico, una ferita sanguinante che si rimarginerà soltanto se Misty riuscirà a conseguire l'obiettivo di divenire un Santo di Athena. Egli è riuscito nell'intento di sviluppare i suoi talenti e a conseguire abilità tali da renderlo un avversario temibile; ha imparato a concentrare il cosmo ed è in grado di affrontare gli avversari, in modo incruento ma letale, similmente al modo in cui agiscono le mie rose. Tutto questo è coerente con la sua tendenza ad aborrire il sangue. L'impatto tra l'uragano delle tenebre e la rosa del fatale incanto ha generato uno scontro di mirabile bellezza. Misty è finalmente riuscito a combinare un attacco e una difesa bilanciati. Posso dirmi soddisfatto poiché questo è un risultato a cui ambivo da tempo. L'Anfiteatro ospita gli spettatori sulle gradinate e gli sfidanti che, in breve, si affronteranno facendo il loro ingresso nell'arena. Misty procede, tranquillo, i boccoli biondi incorniciano il suo splendido volto. Lo sguardo altero. Sembra imperturbabile nei semplici indumenti, nonostante sembri udire, distintamente, gli umilianti commenti dei presenti sulle gradinate: ci sono molti rappresentanti delle varie categorie, alcuni proferiscono insinuazioni oscene, rozze e volgari; altri degli insulti, risate. Maledetti, per vostra fortuna oggi mi trovo qui in veste di spettatore! Esseri infami, che si dilettano a dileggiare chi ritengono più debole ai loro occhi. Codardi senza onore!

“Quel ragazzo efebico è l'allievo di Aphrodite, è così delicato, virginale, come un'avvenente fanciulla.”

Ho visto Misty voltarsi verso i commentatori, replicare soltanto con una gelida occhiata sprezzante.

Osservo e ascolto in silenzio, passeggio in un'area sopraelevata del Colosseo, lontano da sguardi indiscreti. I miei pensieri più profondi sono rivolti a te.
Coraggio, ragazzo, impartisci una severa lezione a questi vermi bastardi! So che puoi farcela! Questa è la mia esortazione, piccolo Misty, spero che tu riesca a coglierla, so che desideri rendermi orgoglioso. Sei davvero magnifico... è bello vederti così sicuro di te stesso.


Aphrodite sistemò lo stelo di una rosa rossa tra le labbra, atteggiandosi a braccia conserte, in disparte, con il suo contegno notoriamente impassibile; sfoggiò lo splendore dell'armatura, le falde del regale e candido manto ondeggiavano, appena, al sussurro del vento...


***

Le Stanze di Arles

Il Santo d'Argento continuava a osservare il proprio interlocutore. Il Gran Sacerdote rimosse la maschera blu cobalto: Arles era Saga, di questo, Misty ne era da tempo al corrente. Chi immaginava vi fosse un vecchio decrepito celarsi sotto quel travestimento, i capelli grigi e l'imperioso timbro di voce, s'ingannava perché Saga era in realtà un giovane adulto nel fiore degli anni.
In verità Misty non giudicava le azioni riprovevoli compiute da Gemini per ascendere a tale posizione di prestigio.
Il Santo d'Argento riconosceva l'autorità del Gran Sacerdote ed era ligio a essa, Saga era un uomo vigoroso, aveva l'età adeguata, ed era legittimato a ricoprire quel ruolo: come gli aveva spiegato Aphrodite, la pace può essere garantita soltanto delegando le redini del comando ad uomini forti, al di là dai mezzi utilizzati per ottenerla e preservarla.
Misty osservava l'uomo dinanzi a sé e riusciva a discernere in lui l’identità assennata di Saga, il suo sguardo rassicurante, i tratti gentili e avvenenti come quelli di un dio: riusciva a intravedere la personalità buona e razionale del Santo di Gemini, la persona che pochi anni prima lo aveva sottratto alla polvere e salvato, in un certo senso. Lealtà, riconoscenza, erano i sentimenti ricorrenti nei suoi confronti. Tutto questo avveniva nonostante l'influsso della parte predominante e malvagia, che si palesava attraverso i capelli grigi e lo sguardo feroce e spietato di Ares.
Lo temeva, nello stesso modo in cui lo temevano i suoi subalterni e gli altri Santi ma, a dispetto di quella voce terrificante, Saga/Arles, aveva un positivo ascendente sul Santo di Lacerta.

“Sei cresciuto” disse, sfiorando il suo volto delicato con la mano.

Allora, Saga si ricorda di me malgrado l'influenza di Ares, egli è ugualmente conscio degli atti compiuti dalla sua parte benevola. Oh, dev'essere terribile convivere con due entità contrapposte ed esserne consapevole. Dove trai la forza, per sopportare quest'orribile peso che grava sulla tua anima e sulla tua coscienza?, pensò, provando ardente compassione.

Non distolse la propria attenzione dall'uomo, il quale conservava l'irresistibile fascino conferitogli dal potere e, nonostante la malvagità dirompente del lato oscuro, la bellezza del volto del Gemini buono persisteva inalterata.
Quel tocco delineò il volto del Santo e anche le sue labbra, esso si protrasse fino alla radice dei capelli per portarsi lungo il collo. Misty rabbrividì, non poteva defilarsi e non poteva reagire con un diniego, almeno non nei confronti di quella suprema autorità. Avrebbe dovuto accettare quelle particolari attenzioni suo malgrado, lo avrebbe assecondato di sua sponte.
Arles sapeva che il ragazzo era condiscendente, non avrebbe avuto il bisogno di plagiarlo con i suoi poteri… almeno per il momento.
Le loro labbra si sfioravano e si schiusero. Misty non sapeva fin dove quell'uomo desiderasse spingersi, non poteva prevederlo. Arles tratteneva il suo volto tra le mani e il bacio divenne più audace. Il Santo rabbrividì dal terrore, cercava di auto convincersi: tutto ciò che ne sarebbe derivato doveva essere giusto, si trattava di una volontà superiore, di un disegno divino al quale non avrebbe potuto sottrarsi e si ripromise di non porsi troppe domande... un turbine di pensieri, orrore, inquietudine, lo travolse.

“Mi è giunta voce a proposito del tuo valore” soggiunse Arles, discostandosi leggermente dal volto del ragazzo. “La tua reputazione al Santuario è nota. Il primo ministro mi ha riferito che sei il più valente Santo d'Argento, colui che non ha mai versato una goccia di sangue in battaglia, e dicono che il tuo sembiante delicato è fuorviante rispetto alla tua vera indole.”

Misty ascoltava gli elogi sebbene faticasse a sostenere quello sguardo.

“Devo affidarti un incarico che, so, porterai a compimento.”

Il Santo d'Argento assentì in silenzio.

“Devi porre fine all'esistenza di quei Santi di Bronzo ribelli e recuperare il reperto, illecitamente trafugato. Sono degli impostori, insieme a colei che si proclama come la reincarnazione della divina Athena. Hanno violato le regole del Santuario. Le Sacre armature appartengono alla Grecia!”

“Seiya?! Non foste voi a consegnargli l'armatura di Pegasus?“ domandò Misty, sorpreso. Non riuscì a dissimulare il proprio stupore, gli si stava chiedendo espressamente di uccidere a sangue freddo. L'espressione contrariata del suo sguardo sembrava palesarne lo stato d'animo.

“Fu fiducia mal riposta. In quanto a te, so che non mi deluderai! Darai esempio della differenza che intercorre tra un dio e un verme!” tuonò, violento, Arles intenzionato a dissipare i dubbi esternati dall'espressività di quel volto innocente.

Misty non fece ulteriori tentativi per ribadire la propria esitazione, l'autorità del Gran Sacerdote non ammetteva contraddizioni, egli percepì quasi come un velo ottenebrargli la mente e abbassò lo sguardo con umiltà: “Sono disposto a compiere i vostri ordini. So che la Giustizia è dalla vostra parte, non ho alcun dubbio. Sono degli impostori e, come tali, meritano la morte” confermò.
Il giovane Santo era combattuto tra sentimenti contrastanti, dal timore e dalle lusinghe, ligio alla propria natura di narcisista, amava essere adulato ma, al contempo, un lato ragionevole gli imponeva diffidenza. I suoi begli occhi azzurri esternavano inquietudine ma l'essere malvagio, che lo teneva in scacco, si compiaceva di esser temuto e l'insicurezza malcelata dinanzi a lui gli dava maggior ragione per esercitare il suo insano potere. Arles lo prevaricò, annullando la sua volontà, trascinandolo in un vortice oscuro, al tempo stesso affascinante e perverso...


Misty giaceva dormiente con la testa appoggiata sul petto di Gemini Saga e quando dischiuse gli occhi, infastidito dal filtrare della luce del giorno, realizzò di trovarsi nell'alcova del Gran Sacerdote. Era sconvolto e fu sopraffatto da un repentino disgusto, ma rammentò, a un tratto, gli avvenimenti che avevano preceduto quel momento; ricordò il modo in cui quell'essere lo aveva sedotto e poi irretito, strappando la sua innocenza, tra sgomento e orribile consapevolezza. Provò vergogna. Avrebbe desiderato fuggire ma percepì una lieve carezza tra i capelli dorati. Il falso Gran Sacerdote catturò le sue labbra con un bacio, inducendolo a dischiudere la bocca e ricambiare suo malgrado.
Il Santo d’Argento persisteva a mantenere il silenzio, nuovamente vittima inconsapevole della fascinazione che la malvagia entità del dio della Guerra esercitava su di lui. Non poteva muoversi né pensare di ribellarsi e fuggire, no, lui era devoto al Grande Tempio e ad Arles, per mezzo del quale serviva Athena. Lo scopo della sua esistenza era quello di servire la dea, si sarebbe piegato, non avrebbe potuto agire diversamente. Una parte del suo inconscio insorgeva dinanzi alla realtà inaccettabile, ma il suo corpo permaneva inerte e la sua volontà di reagire era inibita dalla forza sovrumana di quella divinità incarnata, che lo tratteneva avvinto a sé al fine di evitare una possibile fuga. Si sentiva fragile e aveva la sensazione di tremare come una foglia al vento. I lunghi capelli sparsi, il volto efebico quasi infantile...
Un’impercettibile lacrima luccicò tra le sue folte ciglia, ma l’altro distolse l'attenzione da lui, come sopraffatto da nuovi pensieri: “Altre incombenze mi attendono” disse.
Misty dischiuse gli occhi e, questa volta, riuscì a sostenere quello sguardo terribile.
L'uomo che lo fronteggiava si ricompose:
“Sei un gradito ospite in questo luogo, puoi usufruire delle mie stanze private e beneficiare di ogni privilegio, a te sarà concesso tutto ciò che desideri” puntualizzò prima di allontanarsi.
Le sue preghiere erano state esaudite, finalmente era solo, si sollevò, avvolto nel lenzuolo di seta nera che copriva la sua nudità. Uscì dalla stanza e si mosse in direzione della piscina, desiderava lavarsi, purificare il suo corpo, la sua anima, dall'onta che ne aveva infangato la perfezione. Assorto in melanconiche riflessioni, procedeva, con lenti passi, incurante del disagio che la gelida superficie gli trasmetteva attraverso i piedi scalzi: avvolto in quel drappo nero che ricadeva alle sue spalle trascinandosi come un lugubre strascico.
E, così, giunse in prossimità del composto termale. L'aula era immensa, opulenta e austera al contempo: attorniata dalle colonne e altri elementi decorativi di età classica, la piscina, si allargava al centro, invitante. Fece scivolare il telo e discese i gradini, immergendosi in quelle tiepide acque che gli lambirono dolcemente il corpo. Indugiò contemplando il suo volto d'angelo riflesso nello specchio d'acqua, unitamente alla fiamma delle torce, il cui riverbero danzante era come lo sciabordare di pietre preziose; ma il suo fu un effimero divagare poiché ritornò serio, trasportato da tetri ed inquieti pensieri. Una sinistra tenebra albergava già nel suo cuore.

***

Com'è strana la vita, rimproveravo le tue lacrime ed ora sono io a piangere, si disse Aphrodite, deponendo un mazzo di rose su di una bianca e spoglia tomba.
Una volta mi domandasti se credevo nella predestinazione... ed io ti risposi che siamo noi a determinare il nostro destino, poi, ti ho visto pochi giorni fa, al ritorno da quella maledetta spedizione contro i Santi di Bronzo, giacente su una lastra di marmo: eri incantevole anche tra le braccia di Thanatos, immerso in un sonno senza risveglio. Ho posato un bacio sul tuo freddo e bellissimo viso per l'ultima volta. Oggi le mie convinzioni vacillano, molti dubbi s'insinuano nella mia mente, mi domando se non vi è qualcosa di errato nella via che perseguo con ostinazione. Non lo so ma voglio dirti che sono fiero di te, hai compiuto la tua missione. La nostra esistenza è perennemente in bilico e non ti biasimo per la sconfitta, poiché hai trovato la morte facendo il tuo dovere e la tua devozione ti eleva comunque alla gloria e ti onora.
Riposa in pace, piccolo Misty.

 

   
 
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