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Autore: Shainareth    30/11/2017    7 recensioni
Qualcosa fendette l’aria sulle loro teste, allontanandosi e tornando poi indietro come un boomerang; colpì la creatura alla nuca con violenza, facendola crollare al suolo. Marinette quasi non riuscì a realizzarlo, che qualcuno l’afferrò per la vita, sollevandola da terra e portandola via da lì, fin sul tetto della scuola. «Sarà meglio allontanarsi da qui», disse la voce ferma e rassicurante del suo salvatore.
«Chat Noir…» balbettò la ragazza, sorpresa e felice a un tempo.
Lui le rivolse un gran sorriso. «Sempre al servizio delle
damsel in distress», le fece presente con orgoglio. «Pronta a volare sui tetti di Parigi in compagnia di questo bel gattone?»
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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SOGNI




Stavano per lasciare il laboratorio di scienze quando un boato enorme riecheggiò all’interno dell’istituto. Molti studenti si lasciarono scappare un grido di spavento e altri ancora si rifugiarono sotto ai banchi, temendo che stesse per crollare parte del soffitto dell’edificio. Non a torto, perché diversi calcinacci caddero dalle pareti quando qualcosa le colpì con violenza; fino a che non ne collassò una, rivelando la figura incappucciata di una creatura che fluttuava a mezz’aria e fissava l’intera classe dall’alto. Non sembrava molto alta ed era abbastanza minuta, ma soprattutto indossava qualcosa che ricordava un mantello viola dal taglio asimmetrico, cucito piuttosto alla buona, che le copriva la testa e le nascondeva il volto.
   Qualcuno urlò di nuovo, fuggendo dalla parte opposta, mentre madame Mendeleiev si parava davanti ai suoi alunni, pronta a difenderli con il proprio corpo. Adrien e Marinette scattarono immediatamente sul chi va là, decisi ad aprirsi un varco per poter ricorrere ai propri poteri non appena la situazione gliel’avesse consentito.
   «Dov’è, lei?» ringhiò la creatura, rivelando una voce femminile e tenebrosa.
   D’istinto, in molti si voltarono verso Chloé, che subito protestò. «Non ho fatto niente, stavolta! Lo giuro!»
   «Non tu!» confermò con un gesto di stizza quella che Adrien, nella sua testa, soprannominò Cappuccetto Viola. La figura si guardò attorno e quando il suo sguardo catturò l’obiettivo che si era prefissato, ruggì: «Lei
   Marinette sbiancò. «Io?!» esclamò incredula, non aspettandosi minimamente quel risvolto. «Non ho idea di chi tu sia!»
   «È proprio questo, il punto!» urlò la creatura, pronta a colpirla con la grossa spola che aveva nella mano destra. La ragazza si scansò, ringraziando il cielo di essere sì goffa, ma anche e soprattutto dotata di riflessi fuori dalla norma. Cappuccetto Viola riprovò con un secondo attacco e lei sfuggì anche a quello, gettandosi dietro la cattedra e scappando poi fuori dall’aula.
   Udì un forte rumore alle sue spalle, ma non si volse, preferendo piuttosto continuare a correre. Doveva allontanarsi da lì, subito. E non solo per non mettere a repentaglio l’incolumità dei suoi compagni e della sua insegnante, bensì per trovare un posto sicuro in cui effettuare la trasformazione in Ladybug. L’altra, però, aveva un enorme vantaggio su di lei, poiché era in grado di volare. Fu per questo che la corsa di Marinette durò appena una manciata di secondi, cioè fino a quando la creatura non le tagliò la strada. Lei provò a scartarla di nuovo e l’altra la incalzò, riuscendo infine a chiuderle tutte le vie di fuga e a bloccarla in un angolo. Messa con le spalle al muro, la ragazza si sentì perduta. Poteva ancora ricorrere ai propri poteri, certo, ma avrebbe fatto in tempo, prima che il mostro decidesse di farla finita?
   Qualcosa fendette l’aria sulle loro teste, allontanandosi e tornando poi indietro come un boomerang; colpì la creatura alla nuca con violenza, facendola crollare al suolo. Marinette quasi non riuscì a realizzarlo, che qualcuno l’afferrò per la vita, sollevandola da terra e portandola via da lì, fin sul tetto della scuola. «Sarà meglio allontanarsi da qui», disse la voce ferma e rassicurante del suo salvatore.
   «Chat Noir…» balbettò la ragazza, sorpresa e felice a un tempo.
   Lui le rivolse un gran sorriso. «Sempre al servizio delle damsel in distress», le fece presente con orgoglio. «Pronta a volare sui tetti di Parigi in compagnia di questo bel gattone?»
   «Aaah…» temporeggiò Marinette, come se ci stesse davvero riflettendo su. «Sì, direi di sì», rispose con sollievo. «Anche perché non credo di avere davvero molta scelta, vero?» scherzò poi, allacciando le braccia attorno al collo del giovane e abbandonandosi alla sua volontà. Che altro avrebbe dovuto fare, dopotutto? Impossibilitata com’era a ricorrere all’aiuto di Tikki, tanto valeva fargli credere di avere davvero a che fare con una di quelle donnicciole incapaci di difendersi da sole.
   «Speravo potessi mostrare maggior gratitudine», borbottò Chat Noir, lanciando un’occhiata a Cappuccetto Viola che, ancora intontito dalla botta ricevuta, stava cercando di rimettersi in piedi con fare maldestro. «Tieniti forte.» Preso lo slancio, si librò nel cielo con l’ausilio del proprio bastone, allontanandosi dalla scuola e anche dalla casa di Marinette. Se davvero quella creatura ce l’aveva con lei, sarebbe stato proprio quello il primo posto in cui l’avrebbe cercata.
   Quando ritenne di aver messo sufficiente distanza fra loro e quella che aveva tutta l’aria di essere un’akumizzata, Chat Noir fece sosta sul tetto della Biblioteca Nazionale, facendo scivolare giù la ragazza e stando attento che lei riuscisse a trovare un buon equilibrio sulle gambe prima di lasciarla andare del tutto. «Hai una vaga idea di chi sia quella tipa?»
   Marinette scosse il capo. «Non l’ho mai vista prima. Non che sia facilmente riconoscibile, conciata in quel modo, ma…»
   «Hai fatto un torto a qualcuno, di recente?» chiese ancora il giovane, cercando di capirci qualcosa.
   Di nuovo lei non fu in grado di rispondergli. «Non che io sappia.»
   «Accidenti…» mormorò Chat Noir, grattandosi la nuca con aria perplessa. «Tu e Chloé ne create di casini, in giro…»
   «Scusa?!» s’indispettì la ragazza, incrociando le braccia al petto.
   «Dovrei davvero pensare di stampare delle tessere salvataggio e rivenderle: ogni dieci, uno è gratis. Fra tutte e due voi, diventerei milionario nel giro di pochissimo.» Quando si accorse del suo sguardo omicida, l’eroe sfoderò un sorriso da autentico ruffiano. «Tu però sei più carina.» Marinette alzò gli occhi al cielo, preferendo lasciar perdere. Chat Noir tornò a stringere nel palmo della mano il proprio bastone, lo aprì ed inviò una chiamata destinata alla collega, senza successo. «Ladybug non risponde», constatò con un certo disappunto nel tono della voce. Sapeva di essere importante nella lotta contro Papillon, tuttavia sapeva anche che senza la sua partner era del tutto impotente, poiché era lei a purificare le akuma e a garantire davvero il cessato pericolo in seguito ad uno degli attacchi del nemico.
   «Forse… sta già affrontando quella creatura…» buttò lì Marinette che, accortasi del suo cambio repentino d’umore, cercò in qualche modo di tirarlo su. Benché fosse conscia di non avere alcuna colpa per ciò che stava accadendo, si sentiva in qualche modo responsabile.
   Lui le rivolse un nuovo sorriso, questa volta senza artifici. «Può darsi», convenne, deciso a non darsi per vinto. Aveva pur sempre un compito di grande importanza da portare a termine. «Nel frattempo, ti scorterò in un luogo sicuro. Poi penserò al da farsi.»
   Non finì di dirlo che qualcosa di molto grosso e pesante gli sfiorò la testa, rischiando di prenderlo in pieno se Marinette non gli avesse urlato di abbassarsi. Il giovane si voltò appena in tempo per vedere Cappuccetto Viola volare a folle velocità nella loro direzione, lanciando altri oggetti non meglio identificati. «Marinette Dupain-Cheng!» gridò con quanto fiato aveva in corpo. «Ti distruggerò!»
   Chat Noir si gettò sulla ragazza, riuscendo a scansarsi dalla traiettoria della loro avversaria e, al contempo, ad artigliarle il mantello con una mano, finendo col ridurre buona parte della stoffa a brandelli. Dopo di che, non perse tempo e tornò ad arpionare Marinette per la vita, saltando giù dal tetto e dandosi di nuovo alla fuga con la speranza di guadagnare un po’ di tempo prima dell’arrivo di Ladybug. «Sei davvero sicura di non averle fatto niente?!»
   «Comincio a credere di sì, ma non ho idea di cosa!» giurò Marinette, stringendosi a lui con tutte le sue forze e disperando di uscire viva da quella situazione, se non avesse chiesto subito l’aiuto di Tikki. «Non so neanche chi sia!» Osservò la figura dietro di loro, che li inseguiva sbraitando nuovi insulti infantili contro di lei. L’unica persona che la ragazza poteva aver indispettito, nel giro delle ultime ore, era sicuramente Chloé per via di uno dei loro soliti, inutili battibecchi nati senza una ragione precisa; però la sua compagna di classe era in aula con lei, quando quel mostro aveva fatto irruzione a scuola. Dunque, chi diavolo era, quella pazza?!
   Accorgendosi dello stato della sua cappa, Cappuccetto Viola urlò e deviò la sua traiettoria per sparire dietro ad un palazzo. Chat Noir non rallentò la sua corsa e, anzi, ne approfittò per mettere maggior distanza fra loro e quella creatura. Per quanto ancora avrebbero continuato a fuggire? Non era giusto, pensò Marinette, lasciare che quel poveretto la scarrozzasse sulle spalle per tutto il giorno, ignaro del fatto che Ladybug non sarebbe venuta in suo aiuto per il semplice fatto che non poteva.
   La fortuna forse fu dalla loro parte, poiché dopo aver di nuovo attraversato l’intera città, bisognoso di tirare di nuovo il fiato, Chat Noir si fermò sulla cima dell’Arc de Triomphe. Si guardò attorno con fare nervoso, ma della loro inseguitrice neanche l’ombra. Che l’avesse finalmente seminata?
   «Chat Noir?» chiamò il suo morbido bagaglio parlante.
   Lui la mise giù con gentilezza e la sostenne per le spalle, temendo potesse avere un giramento di testa a causa di tutto quel movimento. «Stai bene?»
   «Sì, grazie», rispose Marinette, incerta su cosa fare. Avrebbe voluto dirgli che non era necessario che lui le stesse così addosso; non perché non gradisse le sue premure, quanto perché era capace di cavarsela da sola e temeva che potesse succedergli qualcosa a causa sua.
   «Sta’ tranquilla, non le permetterò di farti del male.»
   «Non è di questo che mi preoccupo», gli assicurò in tutta sincerità. Si fidava di lui e sapeva che avrebbe dato la vita per proteggerla. «Però credo che l’akumizzata ormai si sia arresa, quindi puoi anche portarmi a casa. Sarò al sicuro, lì.»
   Chat Noir mosse le braccia in un gesto perentorio che esprimeva tutta la sua contrarietà al riguardo. «Sa chi sei, perciò potrebbe risalire facilmente al posto in cui abiti. Non ti lascio da sola.»
   «Però…»
   «È fuori discussione.» Il suo tono non ammetteva repliche e Marinette ne fu anche lusingata, ma al tempo stesso non poteva fare a meno di mordersi le labbra con fare nervoso: se il giovane le fosse rimasto accanto tutto il tempo, lei non avrebbe potuto aiutarlo in alcun modo e l’akumizzata avrebbe continuato ad eseguire gli ordini di Papillon. «Andiamo, Ladybug, dove sei?» borbottava frattanto Chat Noir, intento di nuovo ad inviare una chiamata alla propria collega. Quest’ultima non rispose e lui le lasciò un messaggio in segreteria, serio, a testimonianza di quanto ritenesse grave quella situazione.
   Marinette avvertì il cuore stringersi in una morsa: davvero non poteva fare nulla, per evitare che lui si sentisse così impotente senza di lei? E, d’altronde, anche a parti invertite sarebbe stata la medesima cosa: forse Ladybug aveva il potere di catturare e purificare le akuma, ma senza il prezioso supporto e la costante protezione di Chat Noir non era affatto certa che ci sarebbe riuscita facilmente. Anzi.
   «Mi dispiace…» mormorò con fare mortificato. Lui si volse a guardarla con aria stupita e lei abbassò lo sguardo. «Sto creando dei problemi a tutti e neanche so perché.»
   «Sai quanta gente strana c’è in giro?» cercò di tirarla su il giovane.
   «Dovrebbe essere una consolazione?» scherzò Marinette, facendolo ridere.
   «In effetti non suona come tale, hai ragione…» Lo vide sospirare e massaggiarsi la nuca, indeciso su cosa fare. «Se rimaniamo così allo scoperto, l’akumizzata potrebbe attaccarci da qualunque direzione.» Dovevano trovare un posto dove rifugiarsi, e al più presto. Tanto più che il sole era ormai al tramonto e l’aria si era rinfrescata parecchio.
   «A casa mia», tornò a dire la ragazza, questa volta con maggior convinzione. «Se davvero ce l’ha con me, prima o poi verrà a cercarmi lì, e ci sarà senza dubbio anche Ladybug, visto il messaggio che le hai lasciato.»
   «Non hai paura di mettere a rischio i tuoi genitori?»
   «Certo che ce l’ho, ma…» Si strinse nelle spalle, incapace di pensare ad una soluzione migliore di quella. «Magari potremmo evitare di farne parola con loro, così almeno non si preoccuperanno troppo sapendomi in pericolo…»
   Chat Noir serrò le labbra, lo sguardo perso all’orizzonte: se avesse avuto una figlia, lui avrebbe voluto essere messo al corrente della cosa? Sì, senza se e senza ma. Da figlio, però, si rendeva conto che ciò che diceva Marinette aveva senso: anche suo padre teneva moltissimo a lui e, a dispetto delle apparenze, glielo aveva ben dimostrato quando era stato akumizzato a sua volta da Papillon. Proprio per questo non voleva dargli ulteriori preoccupazioni, sperando di non dovergli mai rivelare di essere uno dei due eroi che mettevano fin troppo spesso a repentaglio la propria vita per il bene dell’intera Parigi.
   «Sta bene», si arrese a dire, lasciandosi andare ad un lungo sospiro. «Ti lascerò a due passi da casa, così potrai tornare da sola e i tuoi genitori non si preoccuperanno. Resterò nei dintorni e ti terrò costantemente d’occhio. Non ti accadrà nulla, hai la mia parola», le promise solennemente, fissandola dritta nelle iridi chiare.
   Marinette gli sorrise di cuore, avvertendo tutto il calore di quel giuramento. «Mi fido di te.»

Come da accordo, non disse nulla ai suoi genitori riguardo al vero obiettivo della vittima di Papillon. Disse solo che alla fine delle lezioni, a scuola, era arrivato un mostro e che poi era andato via grazie all’intervento di Ladybug e Chat Noir, che ancora gli stavano dando la caccia. A cena però mangiò poco, adducendo come scusa lo spavento preso poche ore prima. «Posso portare qualcosa in camera mia?» chiese alla madre, mentre riempiva il piatto di altra roba. «Sono sicura che più tardi mi verrà fame», spiegò giusto un attimo prima di alzarsi da tavola e sparire di sopra sotto allo sguardo stupito dei suoi genitori.
   Richiusa la botola che portava nella sua stanza, Marinette imboccò poi quella che conduceva al balcone, dove credeva avrebbe trovato Chat Noir. Lo vide invece appollaiato più su ancora, sul tetto, con i verdi occhi felini che vagavano tutt’intorno, da buona sentinella. Abbassò la guardia solo quando la sua protetta richiamò la sua attenzione e gli mostrò il piatto pieno di cibo. «Mangia qualcosa, ti prego», gli disse, facendogli cenno di scendere giù.
   Lui l’accontentò più che volentieri: adesso che aveva quelle leccornie sotto al naso, non poteva più ignorare i morsi della fame. «Ti ringrazio, in effetti, dopo tutto quel movimento, ne ho proprio bisogno», ammise contento, prendendo il piatto dalle sue mani e sedendo sul muretto per lasciare libera la sdraio per Marinette.
   «Ancora nessun segno di quella tizia?»
   «No, sembra scomparsa nel nulla», rispose distrattamente il giovane, portandosi il primo boccone alle labbra e sciogliendosi per l’ottimo sapore. Non che fosse nulla di complicato o di particolare, rispetto a ciò che preparava lo chef professionista che lavorava in casa di suo padre; più semplicemente, quello era il cibo cucinato con amore da una mamma e lui lo conosceva bene. Gli mancava, e quella constatazione quasi gli fece male al cuore.
   «Tutto bene?»
   Riportò lo sguardo su Marinette, che lo fissava quasi con ansia: forse non gli piaceva la cucina di sua madre? Le sorrise con calore. «È ottimo, grazie.»
   Lei si rilassò, posando i gomiti sulle ginocchia e intrecciando le mani davanti a sé. «Mi spiace che tu sia costretto a rimanere qui per colpa mia.»
   «Non dirlo neanche per scherzo: almeno posso scroccare del buon cibo», ragionò con fare serio Chat Noir, strappandole una risata. In realtà, il pensiero di mancare così tanto da casa lo preoccupava un po’: suo padre sarebbe andato su tutte le furie, ma che altro avrebbe potuto fare? Abbandonare Marinette? Mai. Avrebbe cercato di farsi perdonare, in qualche modo, magari inventandosi di essere rimasto bloccato da qualche parte a causa dell’attacco di Papillon.
   «Ancora nessuna notizia da Ladybug?»
   «No, ma, come hai detto anche tu, sono certo che arriverà al momento opportuno.» Sollevò gli occhi dal piatto e, sbirciando nella direzione della ragazza, domandò: «Sei preoccupata per la sua assenza?»
   Lei scosse le spalle con noncuranza. «Ci sei tu, tanto mi basta», confessò in tutta serenità, senza aver alcun bisogno di mentire. Se pure al momento non le era possibile trasformarsi, sapeva che non appena l’akumizzata fosse tornata a farsi viva, lei avrebbe benissimo potuto fingere di fuggire all’interno dell’appartamento per tornarne poi fuori con le sembianze di Ladybug. Era l’unico modo che aveva per tranquillizzare Chat Noir senza per questo dovergli necessariamente rivelargli la propria identità o, peggio ancora, farlo sentire inutile.
   «Lo so, faccio quest’effetto alle donne», confermò lui, annuendo soddisfatto e tornando a mangiare di gusto. Vide l’altra ridere di nuovo e comprese di non essere stato preso sul serio, ma non se ne risentì, tutt’altro: gli capitava di rado di vedere Marinette ridere in modo così spontaneo. Di solito, quand’era con lei con le sembianze di Adrien, si mostrava spesso nervosa, al punto che lui si era convinto che dovesse essere molto timida, soprattutto con i ragazzi. Gli piaceva anche per questo, perché non era sguaiata come tante altre, anche se avrebbe tanto desiderato che almeno con lui riuscisse a comportarsi in modo più spigliato. «Non hai compiti da fare?»
   «Domani non c’è scuola.»
   «Oh, è vero…» si ricordò in quel momento. «Beh, ma sicuramente avrai qualcosa di meglio da fare, piuttosto che rimanere qui a farmi compagnia.»
   «Posso rigirarti la domanda?» ribatté lei, fissandolo sorniona.
   «Beh, ma proteggere le belle ragazze è compito mio.»
   «Mh», prese a ragionare allora, facendosi pensierosa. «Quindi ai bei ragazzi ci pensa Ladybug?» A Chat Noir andò di traverso l’ultimo boccone e lui iniziò a tossire così forte che gli vennero persino le lacrime agli occhi. Marinette si alzò per battergli dei colpetti dietro alla schiena. «Non morirmi sul balcone di casa, grande eroe… Sia mai che il grande Chat Noir venga sconfitto da una forchettata di soufflé.»
   Le spalle del giovane, ora, erano scosse più dalle risate che dai colpi di tosse. «Sarebbe alquanto ridicolo», commentò con voce provata, mentre agguantava il bicchiere d’acqua che l’altra gli stava porgendo. «E comunque no, sono certo di essere l’unico della sua vita.»
   «Della vita di Ladybug?»
   «Credi che possa davvero amarne un altro quanto me?»
   «Di gatto non credo proprio», lo tranquillizzò Marinette, provando tenerezza nei suoi confronti. Ci teneva così tanto, alla sua collega?
   Lui fece una smorfia: era davvero necessario che lei specificasse la parola gatto? E se in effetti Ladybug non era raggiungibile perché in dolce compagnia? Il solo pensarci gli faceva andare il sangue alla testa. «Marinette», cominciò allora, mettendo via le stoviglie e prendendole con trasporto entrambe le mani, facendola irrigidire all’istante. «Mi trovi affascinante?»
   «Ehm… certo», rispose con troppa enfasi. «Insomma, sei un eroe! Il prode Chat Noir che sta facendo di tutto per proteggermi dalle grinfie di Papillon!» cinguettò, cercando di dargliela a bere.
   Il giovane la scrutò negli occhi, forse nel tentativo di capire se fosse sincera o meno; alla fine, comunque, si ritenne soddisfatto di quella risposta e la lasciò andare. «È quello che pensavo.»
   Tirando un sospiro di sollievo, l’altra fece un passo indietro e nascose le mani dietro alla schiena, ridacchiando fra sé per l’ego spaventoso di quel ragazzo. «Vuoi che ti porti qualcos’altro?»
   «No, grazie, sono a posto così», rispose Chat Noir, tornando in piedi e stiracchiando le membra anchilosate a causa della lunga veglia. Ormai il sole era tramontato da un po’ e la luna in fase crescente sorrideva nel cielo scuro. Dove diavolo era finita Cappuccetto Viola?
   Di sotto, Sabine chiamò sua figlia. «Scusa, cercherò di tornare il prima possibile», disse Marinette, portando via con sé le stoviglie e lanciandogli un ultimo sguardo prima di scendere giù per la botola.
   Il giovane le sorrise. «Non preoccuparti, fa’ pure con comodo.»
   E come faceva, lei, a non preoccuparsi? Si sentiva già abbastanza in colpa a tenerlo bloccato lì – e per chissà quanto ancora ci sarebbe stato – ma il pensiero di lasciarlo anche da solo era un po’ come la ciliegina sulla torta. «Tikki, credi che dovrei dirgli la verità sul perché Ladybug non si è ancora fatta viva?»
   «Questo sta a te deciderlo», rispose il kwami, facendo capolino dal colletto della sua giacca. «Pensi di poterti fidare di lui?»
   Certo che poteva farlo, però forse non se la sentiva ancora di compiere quel grande passo. Inoltre, a torto o a ragione, non escludeva la possibilità che lo stesso Chat Noir non fosse ancora pronto, altrimenti sarebbe stato il primo a rivelarsi, giusto? Invece aveva solo espresso il desiderio di conoscere l’identità di lei e non il contrario. Marinette non lo trovava poi troppo giusto.
   «Oh, allora alla fine hai mangiato tutto», constatò Sabine, quando lei la raggiunse in cucina.
   La ragazza sorrise con fare incerto. «Sì, credo fosse solo un po’ di nervosismo…»
   «Va meglio, adesso?»
   «Sì, grazie», affermò, iniziando a lavare i piatti sporchi. «Mi avevi chiamata per qualche motivo?»
   «È che non mi hai più detto com’è andato a finire il concorso», spiegò sua madre, aiutandola a mettere in ordine le ultime cose.
   Marinette corrucciò lo sguardo. «Quale concors…» Le parole le morirono in bocca quando si ricordò di ciò a cui si stava riferendo sua madre, e cioè di un contest di moda online al quale aveva partecipato due mesi prima, inviando uno schizzo fatto in pochi minuti. Si trattava invero di una cosa di poco conto alla quale aveva partecipato quasi per noia e che aveva poi rimosso dalla mente nel giro di circa una settimana. «È vero!» esclamò allora, affrettandosi a ripulire tutto. «I risultati dovevano uscire stamattina!»
  «Davvero te ne eri dimenticata?» domandò Sabine, un sorriso rassegnato sulle labbra: possibile che sua figlia fosse così sbadata? «Dovresti cercare di tenere a mente anche queste piccole cose, sai. Per il futuro, soprattutto.»
   «Hai ragione, è che ho avuto altro per la testa, ultimamente…» A cominciare dal gran daffare che le dava Papillon. O dal pensiero fisso sul come fare per dichiarare il suo amore ad Adrien, al quale la sua mente tornava ogni secondo.
   Quando ebbe finito di lavare i piatti, mise l’acqua sul fuoco e, aspettando che bollisse, tirò fuori dalla tasca dei pantaloni il cellulare per controllare i risultati del concorso. Ci mise persino qualche attimo per ricordarsi quale fosse l’indirizzo internet giusto, ma quando lo fece e recuperò la pagina del contest, lesse il proprio nome in cima alla classifica e sgranò gli occhi. «Ho vinto!» esclamò contenta, nonostante tutto. «Guarda, mamma! Sono prima!»
   «Congratulazioni, tesoro», si complimentò la donna, certa del talento della propria figlia. «Non è neanche la prima volta, se non sbaglio.»
   «È vero, tempo fa avevo vinto anche il concorso della scuola con quella bombetta.» Bombetta che era poi stata indossata da Adrien durante un servizio fotografico, pur fra decine di starnuti a causa dell’allergia del giovane alle piume. A Marinette era dispiaciuto molto, ma l’idea era stata vincente e lo stesso padre di Adrien, che aveva fatto da giudice, non aveva avuto nulla da ridire al riguardo. Fu pensando a questo che le sovvenne che anche Chat Noir era allergico alle piume. Strana coincidenza, in effetti…
   Il bollitore fischiò, distraendola da quel pensiero. Spento il fuoco per lei, Sabine si congedò con un bacio della buonanotte. «Cerca di non fare troppo tardi», le raccomandò, prima di raggiungere il marito, ritiratosi a letto prima per via della consueta sveglia alle quattro del mattino.
   «Buonanotte», salutò Marinette, versando l’acqua calda nella propria tazza. Aspettò che sua madre fosse sparita dalla stanza per recuperare un secondo mug e riempirlo fin quasi all’orlo. Pochi minuti dopo, si ritrovò a fare l’equilibrista sulla scaletta che portava in camera sua, reggendo fra le mani un vassoio con il tè caldo e un piatto colmo di cookies preparati quella mattina da suo padre. Aiutata da Tikki, richiuse la botola, recuperò un plaid e tornò sul balcone, dove Chat Noir era tornato a scrutare il cielo buio di quel venerdì sera che entrambi avrebbero potuto trascorrere in compagnia dei loro amici piuttosto che in quello stato di snervante attesa, con quella maledetta spada di Damocle sulle loro teste.
   Quando sentì qualcuno muoversi alle sue spalle, il giovane si volse e rimase stupito da ciò che la ragazza aveva portato con sé. La vide posare il vassoio sul tavolino e i suoi occhi furono subito catturati dai biscotti: se erano opera del padre di Marinette, come lui sperava che fossero, allora c’era davvero di che rallegrarsi. Le sue ghiandole salivari si misero al lavoro e a lui parve davvero di non essere troppo diverso dal gatto che rappresentava in quel momento. «Hai puntato un uccellino?» lo prese in giro la ragazza, notando il suo sguardo concentrato sul cibo.
   Rise di se stesso e riservò a lei un’occhiata colma di gratitudine. «Sei un tesoro», le disse di cuore, senza alcun preavviso.
   Marinette avvertì il sangue affluire al viso. Stava arrossendo per un complimento di Chat Noir? Balbettò qualcosa di insensato e gli offrì la coperta. «Inizia a fare freddo.» Lui la fissò senza dire nulla, un sorriso sincero sulle labbra e uno sguardo che lei gli aveva visto in volto solo quando era Ladybug a fare qualcosa di eccezionale. Quando le dita del giovane sfiorarono le sue per prendere il plaid, le parve di avvertire un tuffo al cuore, molto simile a quello che aveva sentito quel lontano giorno, davanti l’ingresso della scuola, quando Adrien le aveva prestato il proprio ombrello per non lasciarla sotto la pioggia scrosciante. Era stato in quel momento che si era resa conto di essere innamorata di lui. E allora perché adesso le sembrava di provare la medesima sensazione di calore nel petto?
   Senza dire una sola parola, tornò ad accomodarsi sulla sedia a sdraio, lo sguardo basso e la tazza di tè fra le mani. Quei pensieri erano davvero stupidi. Non avevano alcun senso. Anzi, era probabile che fossero dovuti ai sensi di colpa che provava nei confronti del collega. Decise che doveva essere per forza così, pertanto si fece coraggio e disse, sia pur con una certa timidezza: «Volevo… ringraziarti per quello che stai facendo per me.»
   «Credimi, ti stai sdebitando ampiamente», la rassicurò Chat Noir, sgranocchiando uno dei biscotti, i sensi sempre all’erta. Era preoccupato per il ritardo di Ladybug, certo, eppure una piccola parte di lui era quasi felice di avere l’opportunità di poter rimanere così a lungo insieme a Marinette, per la quale provava un affetto profondo e sincero. In verità, gli piaceva molto, solo che, abbagliato com’era dalla grandiosità delle gesta della sua collega nella lotta al male, Adrien non era ancora riuscito a capire fino a che punto.
   Lei sorrise e si strinse nelle spalle, rabbrividendo per il freddo. Il giovane allora le sedette accanto e la circondò con metà della coperta, così che entrambi potessero godere del suo calore. «G-Grazie…» balbettò la ragazza, irrigidendosi quando il suo corpo entrò a contatto con quello di lui. Avrebbe dovuto esserci abituata, viste le baraonde delle battaglie in cui combattevano fianco a fianco; ciò nonostante non riusciva a non provare un certo disagio per quella vicinanza.
   «Rilassati, non ti mangio mica», disse Chat Noir, ridendosela sotto ai baffi. Chissà perché la parte più maliziosa del suo cervello si metteva in moto solo quando indossava la maschera… Sarebbe stato di grande aiuto, altrimenti, e gli avrebbe aperto gli occhi molto prima su ciò che provava la sua povera compagna di classe. «Sei carina da morire, ma il mio cuore è già impegnato, mi dispiace.»
   Marinette aggrottò la fronte, stizzita. «Ah», esordì, schioccando la lingua sotto al palato. «Che peccato.»
   «Non sei troppo brava a nascondere il sarcasmo», rise ancora lui.
   «Non lo stavo nascondendo, difatti», gli assicurò l’altra, portandosi il tè caldo alle labbra. L’orgoglio le bruciava a tal punto da indurla a gettare al vento ogni prudenza e a comportarsi in modo più che naturale, anche a costo di lasciar uscire la Ladybug che c’era in lei. «Tu sarai anche uno degli eroi di Parigi e non c’è dubbio che io ti sia debitrice per avermi salvato la vita non so più quante volte, ma… anche il mio cuore è già impegnato.»
   Per Chat Noir, o per meglio dire per Adrien, quella era una novità. «Davvero?» gli scappò di bocca con tono sorpreso, mentre un inspiegabile senso di smarrimento si impadroniva di lui. Cos’era? Ansia? E per quale motivo quella notizia avrebbe dovuto renderlo nervoso?
   «Eh…» borbottò un attimo dopo Marinette, troppo sincera per inventarsi panzane come invece aveva già fatto una volta il suo compare, che se ne stava lì seduto con le orecchie ben tese nella speranza di cogliere un qualsivoglia dettaglio che gli consentisse di scoprire l’identità del fortunato che aveva conquistato il cuore di lei. «Ma… mi vede solo come un’amica.»
   Era sollievo, quello che stava provando adesso? Adrien si sentì una persona orribile. Tanto più che non aveva alcun motivo per remare contro i sogni amorosi della ragazza, anzi; proprio perché le voleva bene, avrebbe dovuto incoraggiarla a non arrendersi. Lui per primo, dopotutto, sapeva bene cosa significava avere un interesse romantico a senso unico. «Anche lei…» prese a dire infatti, quasi come se il detto mal comune mezzo gaudio avesse realmente un valore. «Anche lei credo mi veda solo come tale.» Marinette lo fissò da sotto in su e notò subito la malinconia del suo sguardo. Ne fu molto colpita, tanto da iniziare a provare grande empatia per il suo povero collega. «Ho provato mille volte a farle capire quanto la amo, ma… non mi prende sul serio.»
   «Ma è orribile!» scattò, sinceramente dispiaciuta per lui. Quale persona poteva essere così superficiale da non accorgersi della sincerità dei suoi sentimenti? Poi le sovvenne un particolare non indifferente. «Forse…» Tacque, preoccupata di dire qualcosa che non avrebbe dovuto. Chat Noir la guardò, mostrando di provare interesse per la sua opinione. Lei quasi arrossì. «Lo so che non sono affari miei, ma… forse potresti evitare di… insomma… di fare il bellimbusto con tutte le altre», suggerì con un vago timore.
   Lo vide fare una smorfia. «Mi comporto così solo con lei», replicò, distogliendo lo sguardo.
   Marinette si permise di dissentire. «Beh… non è che con me tu sia stato del tutto naturale… di certo non la prima volta che ci siamo visti.»
   Chat Noir aprì la bocca per protestare, ma la richiuse un attimo dopo rendendosi conto che la ragazza non aveva tutti i torti. «Però ora ho smesso», obiettò allora, non potendo negare l’evidenza.
   «Mh. Più o meno», gli concesse lei, benché, ignorando quale fosse l’identità della persona che aveva conquistato l’amore del giovane, avrebbe voluto fargli notare che con Ladybug non aveva smesso affatto.
   «E tu?» domandò l’altro, ancora curioso di scoprire per chi spasimasse la sua amica. «Glielo hai mai detto?»
   Il viso di Marinette quasi andò a fuoco per l’imbarazzo. «N-No, figurati!» iniziò a balbettare, tornando ad essere la stessa ragazza impacciata che lui ben conosceva. «Ma ancora non mi spiego come lui non se ne sia accorto…»
   «Perché dici così?»
   «Non so nascondere quello che provo, tanto che tutti ormai hanno capito.»
   «Tranne lui», concluse Chat Noir in sua vece. «Cos’è? Stupido?» domandò senza pensarci. Se lo avesse fatto, avrebbe forse compreso di chi stessero parlando.
   Oltraggiata per quell’affronto, Marinette si alzò di scatto, fronteggiandolo con una determinazione che il giovane le aveva visto in volto solo in un’occasione, e cioè quando si erano incontrati per la prima volta a scuola. «Non è affatto stupido!» esclamò agguerrita, gli occhi che scintillavano di rabbia. Adrien ne fu persino affascinato: avrebbe dato la vita per essere amato in quel modo dalla sua Ladybug. «È solo meravigliosamente modesto! A differenza tua!» si sentì rinfacciare.
   «Wow…» esalò senza quasi avvedersene, un sorriso inconsapevole accennato sulle labbra. «Sappi che lo sto invidiando da morire…» le fece sapere, allora, divorandola con lo sguardo.
   Quella frase, unita a quell’espressione quasi sognante, riuscirono a farle sbollire di colpo l’irritazione, inducendola piuttosto ad abbassare il capo e ad arrossire ancora. E poi Chat Noir si meravigliava se la ragazza che amava non lo prendeva sul serio… per forza! Era lì a fare gli occhi dolci a un’altra!
   Un sibilo fendette l’aria e qualcosa saettò fra loro, andando a piantarsi nel muro esterno dell’edificio: un paio di forbici da sartoria. Si volsero di scatto e sul tetto di uno dei palazzi che si trovavano dall’altra parte della strada videro la figura incappucciata che li aveva inseguiti per buona parte del pomeriggio. «Marinette Dupain-Cheng!» gridò ancora, mentre Chat Noir si parava all’istante davanti all’amica.
   «Va’ dentro, ci penso io a lei.»
   «Sta’ attento, per favore», lo pregò la ragazza, lanciandogli un ultimo, preoccupato sguardo prima di calarsi giù dalla botola. Quando fu all’interno della propria camera, corse a nascondersi dietro al séparé. «Questa volta non ti lascerò combattere da solo, chaton», promise a se stessa, decisa a farla finita con tutta quella storia. «Tikki, trasformami!»
   Ignaro di quanto stava avvenendo a pochi metri da lui, di fuori intanto Chat Noir era salito in piedi sulla ringhiera del balcone e fissava la sua avversaria con fare astioso, l’arma ben stretta fra le mani. «Mi spieghi per quale dannato motivo ce l’hai con lei?»
   «Lei ha osato battermi!» rivelò finalmente l’akumizzata, urlando contro il cielo la propria frustrazione. «Quella maledetta!»
   «Non sei un tipo molto sportivo, vero?» fu la domanda retorica che l’altro le rivolse. Lei lo fulminò con lo sguardo. «No, decisamente non lo sei», concluse l’eroe, portandosi il bastone dietro la nuca e reggendolo in equilibrio sulle spalle con aria annoiata. Aveva bisogno di prendere tempo, nella speranza che Ladybug si decidesse a farsi viva, e per fortuna lui era un tipo di molte parole. «Piuttosto, dov’eri finita? Ti abbiamo aspettato per tutta la sera.»
   Cappuccetto Viola afferrò i lembi del lungo mantello fra le mani, allargandoli al lato del corpo e mostrando le decine di orribili rammendi che era stata costretta a fare per via degli strappi causati dagli artigli di quel gattaccio nero. «È solo colpa tua, se ho dovuto attendere così a lungo per la mia vendetta!»
   «Papillon dev’essere messo male, se non riesce nemmeno a sistemare con la magia questo genere di cose…» ragionò fra sé Chat Noir, fortemente interdetto. «Di sicuro non sa scegliersi le vittime.»
   Piccata per tutte quelle offese, l’akumizzata non perse altro tempo in chiacchiere e mise mano al proprio arsenale nascosto fra le pieghe del mantello: afferrò fra le mani altre paia di forbici e le scagliò contro il giovane, che riuscì a scansarle tutte.
   «Ehi!» vociò qualcuno alle sue spalle, lanciando qualcosa che colpì in mezzo agli occhi la vittima di Papillon e la fece cadere all’indietro. «Non lo sapete che è pericoloso giocare con le lame?!»
   Chat Noir volse il capo e s’illuminò alla vista della sua collega. «Ah, finalmente ti sei degnata di arrivare!»
   «Credevo volessi un po’ di privacy per il tuo appuntamento romantico», ribatté Ladybug, prendendo in giro entrambi, mentre si affiancava a lui e afferrava al volo lo yo-yo appena tornato indietro. In fin dei conti, benché non vi fosse stata alcuna vera malizia, doveva riconoscere che forse ad occhio esterno quel loro incontro a tu per tu avrebbe anche potuto apparire sotto una luce molto diversa. La cosa la disturbava? No. Ed era proprio questo a darle da pensare.
   «Con la piccola Marinette?» domandò lui, stentando a credere a ciò che aveva appena sentito. «Lo sai che nel mio cuore ci sei solo tu», obiettò in tutta sincerità, enfatizzando quella confessione con una mano sul petto. Tuttavia, dal modo divertito in cui lei lo guardò, comprese che ancora una volta la sua dichiarazione non era stata presa sul serio. Sbuffò, temendo che prima o poi ci sarebbe passato anche lui, tra le fila degli akumizzati di Papillon. «Dov’eri finita?»
   «Che fai, mi controlli?»
   «No, ma avevo bisogno di una mano.»
   «Chi è la nostra nuova compagna di giochi?»
   «Non ho ben chiara la dinamica delle cose, ma… pare che Marinette l’abbia battuta in qualcosa.»
   Lei inarcò un sopracciglio: di che diamine poteva mai trattarsi? Le sovvenne che quella pazza aveva usato delle forbici da sartoria per attaccare Chat Noir e, ricordandosi del concorso di moda al quale aveva partecipato, fu colta dal più che giustificato sospetto che quella fosse una degli altri concorrenti. Serrò le labbra, mortificata per quanto successo: lei aveva partecipato a quel contest quasi per gioco, vincendolo; mentre quella persona doveva averci messo fin troppo impegno, se, vedendosi sconfitta, era arrivata a nutrire tanto risentimento nei suoi confronti.
   «Dov’è Marinette?» le domandò Chat Noir, preoccupato per l’incolumità della ragazza.
   «Al sicuro», rispose lei, apprezzando ancora una volta la sua premura. Si era dunque davvero affezionato anche alla sua controparte civile? Le affiorò spontaneo un sorriso alle labbra e lo guardò con dolcezza. «Grazie per quello che hai fatto finora.»
   Stupito per quell’espressione, il giovane schiuse la bocca per dire qualcosa, se non che venne bruscamente interrotto da una nuova sfuriata della loro avversaria. «Maledetti guastafeste! Me la pagherete cara!» urlò come un’isterica. «Ma prima di vendicarmi su quella dannata Marinette, mi prenderò i vostri miraculous
   «Portiamo lo scontro lontano da qui», propose Ladybug, balzando via dal balcone per evitare che i suoi genitori venissero coinvolti nella lotta.
   «Mi chiedo dove sia la sua akuma», rifletté Chat Noir, stando attento che Cappuccetto Viola li seguisse, e a giudicare dalla pioggia di aghi che rischiò di investirli, non c’era pericolo che non lo stesse facendo.
   La sua partner fece mente locale riguardo ai lavori degli altri partecipanti al concorso e alla sua memoria tornò il ricordo dello schizzo della cappa viola dell’ultima classificata, molto simile a quella indossata ora dall’akumizzata. «Che sia nel mantello?» ipotizzò pur con qualche riserva.
   «Impossibile», rispose il giovane. «Gliel’ho affettato ben bene con gli artigli, ma non è venuta fuori nessuna akuma.» Ed era anche un bene che non fosse successo, altrimenti quella avrebbe finito per moltiplicarsi e creare un esercito di Cappuccetto Viola in giro per Parigi, come già i due campioni cittadini avevano sperimentato durante il loro esordio come eroi.
   Arrivati dalle parti della Senna, qualcosa lo afferrò per la caviglia destra, facendogli perdere l’appoggio. Cadde pesantemente contro il tetto di un palazzo, spaccando persino qualche tegola. «Chat Noir!» gridò spaventata Ladybug, prendendo lo slancio contro un comignolo per tornare indietro e soccorrerlo.
   Lui si rimise seduto a fatica, ma si sentì nuovamente tirare per la gamba e fu allora che entrambi si accorsero che ad avvilupparlo era stato un metro a nastro. Chat Noir provò a districare il piede, senza alcun successo. «Mi spiace dovertelo dire, ma non puoi fare nulla per liberarti!» lo avvisò Cappuccetto Viola, ridendosela dal basso della strada sottostante.
   «Ah, davvero?» replicò lui, poco convinto della sua affermazione. Le mostrò con fare giocoso la mano destra e, con un sorriso beffardo in volto, esclamò: «Cataclisma!» Un attimo dopo, non solo era di nuovo ritto sulle gambe, per di più il metro a nastro dell’avversaria era ormai solo un ricordo che si portò via il vento.
   Quella imprecò in modo fantasioso, pestando un piede come una mocciosa. «Ti odio! Ti odio!»
   «L’ho già detto che non sei un tipo molto sportivo?» tornò a ripetere Chat Noir, annoiato, mentre Ladybug squadrava la sua rivale da capo a piedi. Eppure era certa che quella fosse proprio la stessa mantella realizzata dall’ultima classificata… ed era persino rattoppata in maniera oscena, e ciò la illuminò circa il motivo per cui quella tipa non avesse vinto il concorso.
   Di colpo la sua attenzione fu attirata dalla fibbia che chiudeva la cappa attorno alla gola: era di forma ovale e presentava dei ghirigori curvilinei tipici dei gioielli di foggia celtica. Che l’akuma fosse lì? Tanto valeva provarci. «Lucky Charm!» esclamò, decisa a non coinvolgere oltre il povero Chat Noir in quella vendetta senza senso. Un attimo dopo, Ladybug si ritrovò una sparachiodi fra le mani.
   «Hai deciso di darti al bricolage?» volle sapere il giovane, continuando a fissare con aria perplessa la loro avversaria, che ancora sbraitava a proposito dell’ingiustizia e della corruzione dei concorsi di fashion design. «Sai, credo che stavolta Papillon abbia fatto un pessimo lavoro», non poté fare a meno di commentare, grattandosi una guancia come se provasse imbarazzo per il loro acerrimo nemico.
   «Non che il lavoro di lei in fatto di cucito sia encomiabile…» si lasciò scappare la sua collega. Non voleva infierire al riguardo, ma…
   «Hai ragione, se uno non ha la stoffa, dovrebbe lasciar perdere.»
   «Chaton, non costringermi ad usare quest’affare sulla tua bocca», ringhiò nella sua direzione, sventolandogli la sparachiodi a pois sotto al naso. «Piuttosto, ho bisogno delle tue mani.»
   Chat Noir inarcò entrambe le sopracciglia e si passò la punta della lingua sulle labbra, temendo di aver capito male. E poiché lei non si corresse, non resistette oltre e parlò ancora: «Le mie mani sono sempre a tua disposizione, my lady
   Lei arrossì e masticò un’imprecazione. «Va’ da quell’incapace e riducile il mantello a brandelli!» gli ordinò, quasi tentata di spingerlo giù dal tetto.
   «Sissignora!» scattò l’altro, ridendosela sotto ai baffi. E mentre lui spiccava un balzo e ruotava il proprio bastone per planare verso il punto in cui si trovava Cappuccetto Viola, Ladybug si preparò a seguirlo, pronta ad un attacco frontale nonostante la pericolosità delle lame che l’avversaria stava già sfoderando.
   Fu un assalto incrociato, che ebbe come effetto quello di rovinare la mantella incriminata: lacerata in più punti a causa degli artigli affilati di Chat Noir e inchiodata per l’orlo inferiore all’asfalto grazie alla sparachiodi dell’altra eroina. Cappuccetto Viola urlò per l’oltraggio e, dimentica delle armi che aveva in pugno, le lasciò cadere attorno a sé per afferrare il proprio indumento nel tentativo di liberarlo senza per questo strapparlo più di quanto già non fosse. Non solo non funzionò, per di più rischiò di strozzarsi per l’attaccatura troppo stretta al collo. Senza pensarci un secondo di più, sganciò la fibbia e rovistò fra le pieghe di quel che rimaneva del mantello, alla ricerca di qualcosa che potesse aiutarla a togliere quei maledetti chiodi. «Adesso ci metterò di nuovo un secolo per ricucire tutto!» piagnucolò con voce isterica.
   Approfittando della sua distrazione, Ladybug recuperò la spilla e la spezzò con un gesto secco delle mani, liberando infine l’akuma, che un attimo dopo lei intrappolò e purificò per mezzo del proprio yo-yo. Poiché non erano stati arrecati grandi danni alla città, non sembrò cambiare nulla attorno a loro, a parte l’aspetto della vittima di Papillon, che si rivelò essere una ragazzina di forse dieci o undici anni. Ciò spinse Marinette a comprendere meglio il suo comportamento e a sentirsi ancora più in colpa nei suoi confronti.
   Si inginocchiò davanti a lei che ancora si guardava attorno con aria spaesata, la fibbia di foggia celtica di nuovo integra nel palmo di una mano. «Tutto bene?» le domandò con voce gentile.
   «Ladybug…» mormorò la bambina, fissandola con occhi sgranati.
   Lei sorrise intenerita. «È un tesoro prezioso?»
   L’altra abbassò lo sguardo sulla spilla. «Era di mia nonna…» spiegò con voce incerta, dal momento che ancora si stava chiedendo come diamine fosse finita lì. «Era una sarta, sai?»
   «E vuoi diventarlo anche tu?»
   Annuì, cercando di impedire al suo labbro inferiore di tremolare per le lacrime che salirono a bagnarle le ciglia. «È andata in cielo un mese fa… e io… io vorrei tanto seguire le sue orme… Per questo ho provato a partecipare ad un concorso, ma… ma… sono ancora troppo piccola e certe cose non mi riescono bene…»
   «Ehi, ehi…» la consolò l’eroina, cingendola con le braccia e stringendola al petto. «Non avere fretta. Hai tutto il tempo del mondo per imparare.»
   «Ladybug ha ragione», intervenne Chat Noir, rimanendo fermo dov’era a fissarle intenerito. «Non devi scoraggiarti se non riesci ad ottenere subito ciò che desideri. Per realizzare un sogno, se ci credi veramente, devi essere perseverante.»
   «E tanto, tanto paziente», concordò la sua collega, allentando l’abbraccio e guardando la bambina negli occhi. Le sorrise di nuovo, scostandole una ciocca di capelli dalla fronte. «Non importa quanto tempo ci vorrà. Sono sicura che, se ti impegnerai, un giorno ce la farai.»
   I loro miraculous suonarono in quell’istante, interrompendo quell’insegnamento fondamentale per la crescita di quella ragazzina. I due eroi si scambiarono uno sguardo, non sapendo se fosse il caso di lasciare la loro nuova amica lì, da sola, in quelle condizioni e per di più a tarda ora. Per loro fortuna, alcuni agenti di polizia che erano stati avvisati di ciò che stava accadendo nei dintorni, si fecero vicini e loro si sentirono liberi di allontanarsi senza rimpianti. Salutata la piccola, si affrettarono a spiccare un balzo lungo gli edifici adiacenti, fino a scomparire alla vista dei presenti.
   Correvano ancora l’uno accanto all’altra su uno dei tetti di Parigi, quando Chat Noir prese la sua decisione. «Ladybug, aspetta!» chiamò, prima che lei potesse prendere una direzione differente dalla sua, perdendosi nella notte. La ragazza rallentò e si fermò, lo yo-yo pronto all’uso. «C’è una cosa importante che vorrei dirti.»
   «Non puoi farlo la prossima volta?» chiese, preoccupata che la trasformazione si sciogliesse lì, davanti ai suoi occhi.
   Lui scosse i capelli biondi con decisione. Parlare con Marinette, quella sera, lo aveva fatto riflettere parecchio, e le parole che entrambi avevano rivolto alla bambina, poco prima, gli avevano aperto gli occhi riguardo a ciò che avrebbe dovuto fare: se aveva davvero un obiettivo da perseguire, doveva mettercela tutta. «Anch’io ho un sogno», disse allora, avvicinandosi a lei per fissarla dritta negli occhi azzurri. «Ed è qui, davanti a me.»
   Il cuore di Marinette sussultò: era dunque di lei che stava parlando, quando, sul suo balcone, si erano fatti quelle confidenze riguardo alle persone amate? La ragazza non seppe cosa dire, ma quando lui mosse una mano nella sua direzione, fece d’istinto un passo indietro e scivolò, rischiando di cadere giù. Chat Noir urlò spaventato e l’afferrò appena in tempo; ciò nonostante, lei si divincolò subito, recuperando la distanza. «Non posso», disse soltanto, un nodo in gola, avvertendo lo stesso, identico dolore che stava infliggendo al giovane. Questi non fiatò, incassando quel rifiuto come se gli avessero inferto un violento colpo al plesso solare. Ladybug sentì le lacrime salire agli occhi. «Mi… dispiace…» esalò con un filo di voce. Voleva molto bene a Chat Noir, ma non voleva prenderlo in giro, né poteva tradire il proprio cuore. «C’è già qualcuno», fu la sincera spiegazione che gli diede. «E anche se Adrien non ricambia i miei sentimenti…»
   «Adrien?!» ripeté d’istinto lui, interrompendola e fissandola come se lei fosse impazzita di colpo. La ragazza si morse il labbro inferiore: proprio non si era resa conto di pronunciare quel nome, presa com’era dalle proprie emozioni… Vide Chat Noir aprirsi in un bellissimo sorriso, quasi come fosse sul punto di rinascere a nuova vita. Non seppe come interpretare quella reazione, ma quando provò a dire qualcos’altro, lui l’anticipò: «Plagg, trasformami.»
   Colta alla sprovvista, Ladybug non osò muoversi e non appena i suoi occhi si specchiarono in quelli verdi di Adrien, sentì le gambe tremare. Boccheggiò a vuoto, mentre il piccolo kwami nero dalle sembianze di gatto prendeva a fluttuare accanto al suo possessore. «Posso ancora considerarti il mio sogno?» si sentì domandare dal giovane, che le porse una mano per invitarla ad avvicinarsi di nuovo a lui.
   Il suo cuore stava scoppiando di gioia: Adrien era lì, davanti a lei, ed era Chat Noir, che l’amava più di ogni altra cosa al mondo. Non seppe dire quanto tempo passò prima che il suo miraculous emettesse l’ultimo segnale sonoro, ma non le importò. Non osò accettare la sua mano, non ancora, e Tikki volò via dai suoi orecchini, mentre lei riprendeva le sembianze di Marinette, lasciando l’amico – e collega – a bocca aperta per quell’insospettabile scoperta: era davvero lui la persona di cui la sua compagna di classe gli aveva parlato prima, quella che lei aveva difeso a spada tratta con tutta se stessa?
   «E… tu…» balbettò la ragazza, rossa in volto per la felicità e l’imbarazzo del momento, «ti stai ancora invidiando?»
   Adrien scosse di nuovo il capo, questa volta con estrema lentezza, il braccio ancora teso nella sua direzione, le labbra incurvate in un sorriso commosso. «Mi sento il più fortunato del mondo.»
   Non vi furono altre parole e la mano che lui le stava porgendo non venne mai riempita da quella di lei, poiché Marinette si lasciò sopraffare definitivamente dalle proprie emozioni e si lanciò verso l’amato, cogliendolo alla sprovvista e facendogli perdere l’equilibrio. Adrien cadde a sedere all’indietro, ancora incapace di credere alla propria fortuna: non soltanto aveva scoperto la vera identità dell’eroina che gli aveva rubato il cuore, rivelandosi essere una delle persone a cui lui teneva di più in assoluto; per di più, Marinette ricambiava appieno i suoi sentimenti. La strinse fra le braccia con tutta l’anima e si sentì davvero stupido come si era definito prima, quando lei gli aveva rivelato che la persona di cui era innamorata non si era mai accorta di essere oggetto del suo amore. Giurò a se stesso che non avrebbe mai più commesso quell’imperdonabile errore proprio mentre lei faceva la medesima cosa: non avrebbe mai più sottovalutato ciò che Chat Noir le avrebbe detto da quel momento in poi.












Mi chiedo chi li abbia tirati giù dal tetto, poi... ma non ho avuto cuore di interrompere l'idillio e ho preferito non specificarlo alla fine della shot. Di questa, in verità, non sono del tutto soddisfatta. In origine avevo in mente qualcosa di molto più semplice, una storiella di due o tre paginette; in capo a pochi giorni sono diventate dodici e ciò mi ha disorientata, facendomi dubitare della validità della shot. Inoltre, non avrebbe dovuto finire così, lasciando ancora una volta i nostri eroi in sospeso. Però... gne, sotto sotto sono una romanticona e ogni tanto ho bisogno di zucchero anch'io.
Spero di non aver combinato pastrocchi enormi, perché quando scrivo qualcosa di così lungo mi succede spesso. In caso, fatemelo notare, per favore; dal canto mio, prometto di leggere e rileggere alla ricerca di eventuali errori e/o sviste, così che io possa sistemare tutto.
Ringrazio chiunque abbia letto, chi ha intenzione di lasciare un commento e ovviamente anche chi inserisce la presente shot nella lista delle storie preferite/ricordate/seguite.
Buona giornata! ♥
Shainareth





  
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