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Autore: Sacapuntas    04/12/2017    0 recensioni
Sin dal giorno in cui il suo sangue si è mescolato agli scoppiettanti carboni ardenti, Eric Coulter ha la reputazione di essere il ragazzo più spietato, rude, indifferente e gelido della suo nuova Fazione. La sua fama lo precede, ma la cosa non sembra disturbarlo minimamente, e si gode i suoi vantaggi da Capofazione in completa solitudine. Ma a volte basta solo una parola di troppo, un profumo particolare e due grandi occhi ambrati per stravolgere e riprogrammare la mente di qualcuno.
Sentitevi liberi di aprire, leggere e, se la storia vi appassiona, lasciare una recensione, mi renderebbe davvero felice!
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eric, Four/Quattro (Tobias), Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 18 - Il clown triste



Quando mi sveglio, mi accorgo immediatamente di due cose.
Una è la piccola creatura appisolata sul mio petto, avvolta in una felpa nera con il cappuccio alzato sulla testa, che però non riesce a coprire la selvaggia chioma di capelli bruni tutti arruffati intorno ad un tenero viso rilassato.
La seconda, è che qualcuno sta bussando insistentemente alla porta. Riconosco la voce alterata di Quattro, che mi chiama a gran voce sbattendo i pugni contro il legno.

Sbuffo e, facendolo, desto Elizabeth dal suo sonno profondo. La Candida alza il capo, disorientata, gli occhi socchiusi e l'espressione assente di chi è appena stato strappato da uno dei sogni più emozionanti di sempre. Si guarda intorno, e sorride quando si rende conto di essere ancora nel mio appartamento. Mi dà un fugace bacio sulle labbra, prima di spostarsi e mettersi a sedere sul materasso.
"Cristo, ho sognato di poter volare." mormora distrattamente. "La sensazione più brutta della mia vita"
"Ringraziami per averti svegliato, allora." le rispondo, altrettanto assonnato.

"Dobbiamo cambiare le lenzuola." ridacchia "Sembra una scena del crimine."
"Se ci fosse un omicidio all'interno della Residenza darebbero tutta la colpa a te, in ogni caso."
"Ma come? Sono assolutamente contraria alla violenza, io." la Candida fa spallucce e si passa una mano fra i capelli, infastidita dal continuo bussare di Quattro. "Ma che diavolo vuole?" ringhia, guardando torvamente la porta che quasi minaccia di cedere sotto i colpi dell'Abnegante.
"Devi sapere che Quattro è il mio amante: di solito viene verso quest'ora per una sessione mattutina di coccole."

"Solo coccole?" ride "Che delusione. Sarebbe interessante assistere a uno spettacolo più spinto con..."
"Va bene, basta così." dico allugando un braccio e tirando la Candida a me.
"Vado ad aprire io." dice, dirigendosi verso la porta. "Divertiamoci un po'."
Sto per dirle di non farlo, di nascondersi da qualche parte e lasciare a me il compito di parlare con Quattro, ma qualcosa mi ferma. Forse sono curioso di vedere la reazione del Rigido? Probabilmente sì. Inoltre, voglio sapere cosa ha in mente Elizabeth. I suoi modi di divertirsi, molto spesso, sono esilaranti, oppure tremendamente pericolosi.
Prima di aprire la porta, la Candida mi guarda. "Stai al gioco." mi intima sorridendo. Alzo le mani in segno di resa. Certo che starò al gioco, se ciò implica far impazzire Quattro.

Elizabeth si sistema i capelli con un gesto veloce della mano, e cerca di imitare un'espressione seria. Si abbassa la cerniera della felpa molto più al di sotto delle clavicole ed io aggrotto la fronte e la guardo confuso, cercando inutilmente di capire le sue intenzioni.
Quando apre la porta dell'appartamento, rivelando la figura del Rigido, il ragazzo ha un pugno alzato, come se si stesse preparando per bussare di nuovo. Lascia cadere il braccio lungo il fianco, vedendo Elizabeth scollata come non mai, incapace di pronunciare anche solo una parola.
"Ciao." balbetta Quattro, a disagio. Mi lascio scappare una risata, attirando la sua attenzione. "Ti devo parlare, Eric. Qualcuno è entrato nel mio computer."
Per un istante il cuore minaccia di esplodermi in petto, tanta è la paura di essere stato scoperto.

Poi, però, Elizabeth gli si avvicina, sfiorandogli la mano e guardandolo intensamente.
"Oh, andiamo, non parliamo di lavoro proprio adesso." dice allegra "Perchè non ti unisci a noi? Sembri molto stressato."
"Che cosa intendi con unirmi a voi?" farfuglia imbarazzato Quattro, rosso in viso come soltanto un Abnegante può diventare al solo alludere al sesso.
"Forza Elizabeth, lo sai che i Rigidi non fanno queste cose." dico io, alzando la voce per farmi sentire dai due individui alla mia porta. L'istruttore mi fulmina con lo sguardo da sopra le spalle della Candida.
"E dai, Quattro, non dirmi che non ti piacerebbe." mormora lei, nascondendo una risata palesemente divertita.

La ragazza lo tira a sè, e il suo allenatore non riesce a toglierle gli occhi di dosso, ipnotizzato dalla sensuale creatura dallo sguardo magnetico che ha di fronte.
"E poi" continua "Eric è molto attento e premuroso. Non mi ha fatto male, stanotte, non ne farà neanche a te."
"Come?" sbotta Quattro all'improvviso, allontanandosi dalla Candida come se gli avesse appena detto di avere una gravissima malattia contagiosa.
.
Mi porto una mano alla bocca, ostentando indifferenza, per nascondere il sorriso divertito che la reazione del Rigido mi ha provocato. È così ingenuo, a pensare che una ragazza come Elizabeth possa mai voler venire a letto con lui, che non mi sento neanche avvampare di rabbia per la piega che questo scherzo ha preso. Anzi. Se tutti gli scherzi fossero così, riderei più spesso.
"Scusate, ma devo andare." farfuglia velocemente lui, cercando di riprendere il controllo invano.
"Dai, potremmo fare una tregua per un'oretta, Quattro. Poi ricominceremo ad odiarci, se non finirai con l'innamorarti di me, chiaramente." infierisco, imitando un tono amichevole ma altezzoso, e mi godo la sua espressione oltraggiata.

"Io non sono gay!" sbotta, rosso in viso, stavolta per la rabbia.
"Non c'è bisogno che tu lo neghi, di certo non ti guarderemo in modo diverso." spiega Elizabeth, il tono di voce dolce e comprensivo.
"Ci sono molti ragazzi come te, in questa Fazione, non devi vergognartene." grido dall'altra parte della stanza. Mi siedo sul bordo del letto, infilandomi il primo paio di boxer puliti che riesco ad individuare.
"A me piacciono le ragazze." ringhia il Rigido, seguendomi con lo sguardo mentre mi avvicino ad Elizabeth.
"Non ti ho mai visto guardare una ragazza, da quando sono qui." commenta Elizabeth, come a sottolineare quell'argomento tanto scomodo quanto imbarazzante per Quattro.
"È perchè non osservi bene." è la sua risposta.

Sia io che la mia ragazza ci lasciamo sfuggire una genuina risata, sincera reazione divertita a quella stupidissima affermazione.
"Stai dicendo che io non presto attenzione a ciò che mi circonda?" ride lei, anche se nel suo tono di voce colgo un qualcosa simile al disprezzo.
"Provami il contrario." la sfida Quattro, leggermente intimorito.
"Dopo il sesso sono un po' stordita." spiega lei, facendo arrossire il suo istruttore. "Non che tu proverai mai una sensazione del genere." commenta poi sottovoce.
"Ti serve un po' di ghiaccio, Rigido?" rido, posando le mani sulle spalle della ragazza. "Perchè questa brucerà fino alla fine dei tuoi giorni."

"Vuoi sapere cosa so di te, Quattro?" chiede lei all'improvviso "Allora, cominciamo con-"
"Devo andare." farfuglia, affrettandosi ad alzare i tacchi e andarsene per il corridoio che porta alla mensa.
"Ci vediamo all'ora di pranzo!" cinguetta Elizabeth, sporgendosi dalla porta.
"Spero caldamente di no!" grida Quattro, e la sua voce rieccheggia profonda dei tunnel della Residenza.

***

"Stasera c'è una festa." ci informa Samuel, sorridendo ad Alice e agli altri presenti al tavolo. "Volete venire?"
"Ho una riunione molto importante, questo pomeriggio." rispondo io, il chiasso della mensa che quasi sovrasta la mia voce. Guardo Elizabeth, seduta al mio fianco, e lei mi fissa come se non capisse a cosa mi stia riferendo. Poi abbassa lo sguardo e annuisce, ricordandosi dell'assemblea volta a trasferire il suo amico Daniel fra gli Intrepidi. "Non ho idea di quanto possa durare."
"Se non vai tu non vado neanche io." sussurra lei, facendosi sentire solo da me.
"Elizabeth però verrà. Ci sarà per tutti e due." dico, ignorandola, tenendo gli occhi fissi su Quattro, che da quando si è seduto non ha osato alzare lo sguardo neanche per guardarsi intorno.

Il mio sguardo cade su Jonathan, che è stato in silenzio da quando abbiamo cominciato a mangiare. Accanto a lui, il Candido sorride soddisfatto, per poi sussurrare qualcosa all'Intrepido. Non mi ha ancora rivolto la parola, dopo quello che è successo in palestra, ed io non mi aspetto che lo faccia.
Sento Elizabeth che sibila un'imprecazione, ed io la fulmino con lo sguardo. Osservo la sua postura ingobbita e la mano nei suoi capelli. Mi guarda intensamente, i suoi occhi gelidi nascosti da qualche ciocca.

"Certo, dopotutto non vedo mai l'ora di partecipare a qualche grande festa piena di gente, con la musica tanto alta da impedirmi di pensare e impazzire in un angolo finchè qualcuno non mi fa ubriacare tanto da dimenticare persino la mia Fazione d'origine." dice, con il suo tipico tono di voce freddo e distaccato, voltandosi verso Samuel, che abbassa lo sguardo, imbarazzato.

"Non dirmi che hai paura dei posti affollati." ride Richard, seduto alla sinistra di Jonathan. La Candida tace e smette di masticare la sua insalata, fissandola come se fosse stata proprio quella verdura a pronunciare quelle parole. Elizabeth lancia un breve sguardo a Quattro, seduto a capotavola, poi i suoi occhi cercano i miei solo per un istante brevissimo.
La ragazza aggrotta leggermente la fronte e si schiarisce la voce, prima di annuire due volte in risposta all'Erudito.

"Prima gli aghi, ora questo!" esclama Richard "Mi aspetto che la prossima paura della quale verremo a conoscenza sia all'altezza della tua fama!"
"Cosa vuoi dire?" chiede Alice, alla mia destra, con un tono di voce quasi offeso.
"Che nella Residenza Elizabeth è nota per essere estremamente... impavida. Per non dire sconsideratamente aggressiva." spiega Jonathan, senza alzare lo sguardo dal piatto. La ragazza alza lo sguardo verso l'Intrepido, confusa ed allo stesso tempo lusingata dal complimento. "In realtà, non ci aspettavamo neanche che avessi paure."

"Forse è umana anche lei, dopotutto." gli sorride Richard, un sorriso strano, molto più che un semplice gesto d'amicizia. Aggrotto la fronte e guardo il sorriso timido che compare sulle labbra di Jonathan quando incontra gli occhi dell'Erudito. Quando si accorge che lo sto fissando a dir poco perplesso, l'Intrepido abbassa lo sguardo ed avvampa per l'imbarazzo.
La sgradevole sensazione delle labbra dell'iniziato sulle mie si va vivida per il più breve degli istanti, necessario per farmi avvertire un brivido lungo tutta la schiena.

"Vi piacerebbe." ride lei.
"Quindi..." Samuel cattura l'attenzione della Candida "...Stasera non verrai? Voglio dire, non sei costretta a farlo se... Insomma, se non ti va."
Elizabeth alza gli occhi verso di me e si morde l'interno della guancia. Apre la bocca per dire qualcosa, poi si ferma e posa la forchetta sul tavolo per giocherellare con una ciocca dei suoi capelli.
"No, no, verrò. Mi farà piacere stare con voi." smette di torturare la sua capigliatura e poggia il mento sul palmo della mano, sforzandosi di sorridere, ma Samuel -essendo anch'egli un Candido, seppur non sveglio come lei- si accorge subito che la sua amata sta mentendo.
"Godetevi questi giorni di festa" dice all'improvviso Quattro, la sua voce profonda che rompe il silenzio. "Tra otto giorni ci sarà la Prova Finale. Dovete prenderla seriamente. Non c'è bisogno che Eric vi ricordi cosa succederà se non supererete il test."

"Oh, non fare il Rigido." sorrido io, lo sguardo ancora fisso su Elizabeth. Mi volto verso Quattro, godendomi la sua espressione tesa nel sentir pronunciare quel tanto odiato soprannome. Anch'io, se fossi nato Abnegante, preferirei nasconderlo. "Facciamoli divertire, almeno stasera." continuo, mantenendo il mio studiato tono di voce freddo e distaccato.
Tutti si voltano sconcertati verso di me, come se avessi appena parlato in una lingua a loro sconosciuta. Aggrotto la fronte.
"A meno che non preferiate passare l'intera giornata nel vostro Scenario della Paura." mormoro, la voce profonda e minacciosa appena udibile nel chiasso della mensa.
Gli iniziati distolgono lo sguardo in fretta, rivolgendolo di nuovo verso i loro piatti. Tranne Jonathan. Stavolta, però, quando i miei occhi si posano sui suoi, lui non abbassa la testa ma, al contrario, mi fissa intensamente, le labbra storte in una smorfia amareggiata.
"Ti devo parlare." leggo il suo labbiale, attentamente nascosto da una mano poggiata distrattamente sulla guancia.

Sento una bolla fredda espandersi dentro il mio petto, una sensazione di paura che si irradia in tutto il mio corpo. Mi volto verso Elizabeth nascondendo a fatica la tensione, ma lei sta parlando con Richard e sorride tranquilla. Per un attimo, ho temuto che scoprisse tutto, anche solo da uno scambio di sguardi troppo intenso.
Annuisco senza guardare Jonathan, perchè so che lui mi sta fissando, ma, in realtà, non ho la minima intenzione di parlarci, perchè so esattamente di cosa vuole discutere.
Ed io sto facendo di tutto pur di dimenticarlo.

"Eric." una voce profonda mi risveglia dai miei sgradevoli pensieri. È Max, in piedi accanto al mio tavolo. "L'assemblea comincerà fra mezz'ora, preparati."
"Sono nel tuo ufficio tra pochi minuti." rispondo. Max mi dà una pacca sulla spalla e sparisce fra la calca di Intrepidi urlanti.
Sospiro e mi passo una mano sul viso. Faccio per alzarmi, ma Elizabeth, da sotto il tavolo, mi trattiene per il polso.

Mi giro verso la mia ragazza, rivolgendole uno sguardo stanco e accondiscentente. So cosa vuole, so cosa mi sta chiedendo, anche se non sta emettendo un solo verso.
Lei alza le sopracciglia, stanca di aspettare tanto per avere un piccolo, innocente, casto bacio sulle labbra.
"Dannazione, mi farete vomitare." farfuglia Alice, divertita "Se dovete baciarvi, fatelo ora."
Il sangue comincia a scorrermi veloce nelle vene, ed il cuore inizia a correre all'impazzata. Posso avvertire lo sguardo di Jonathan addosso e sento che mi viene da rimettere.

"Devo andare."è la mia risposta. Lascio andare la stretta di Elizabeth e mi alzo e, anche senza voltarmi indietro, riesco a percepire gli occhi di tutti gli iniziati su di me. Mi scrollo tutte quelle attenzioni di dosso sparendo nella folla e imboccando il tunnel che conduce al mio appartamento.

Apro la porta di colpo, e mi abbandono di peso sul letto senza neanche disturbarmi a chiuderla. Mi prendo la testa fra le mani e mi stringo i capelli fra le dita, ma che cosa ho fatto? Devo badare a troppe cose, troppe faccende. Tutto è confuso nella mia testa, che ora si è ridotta ad un turbinìo di pensieri informi e disordinati. Ciò che è successo con Jonathan, le Simulazioni, l'Assemblea, Elizabeth...
Qualcuno bussa e, prima ancora che possa alzare la testa, riconosco la voce dell'Intrepido, in piedi sulla soglia della porta, visibilmente a disagio.
Mi alzo di scatto. Prendo l'iniziato per la maglietta e lo scaravento dentro l'appartamento, chiudendo la porta con furia. Ci mancavano soltanto lui e i suoi "Ti devo parlare":
"Io..." comincia Jonathan, chiaramente intimorito dalla mia reazione.
"Tu cosa? Cosa vuoi da me? Non ti sono bastate tutte quelle minacce? Perchè non mi lasci in pace, dannazione?" grido, a pochi centimetri dal suo viso rosso per l'imbarazzo.

"Perchè non ci riesco! Ogni giorno ti siedi al mio stesso tavolo ed io non riesco a guardarti senza pensare a quello che è successo in palestra!"
"Oh, Cristo.." sospiro esasperato, le mie parole si accavallano alle sue.
"...Non posso fare finta di niente, capisci?" alza il tono della voce "Non posso!"
"E cosa vuoi che faccia io?" urlo, ormai non mi importa neanche più che qualcuno mi possa sentire.

Jonathan tace, rimane immobile al centro della stanza a torturarsi le dita lunghe ed esili. Poi, prima che io possa rendermene conto, si avventa su di me con la stessa violenza della quale mi ero servito io in palestra, e le nostre labbra si toccano. Si aggrappa al mio collo, come se ne dipendesse la sua vita, mentre con l'altra mano cerca il lembo della mia maglietta.
All'inizio sono talmente sconvolto che rimango immobile, poi, però, trovo la forza di reagire, e spingo Jonathan con tutta la forza che mi è rimasta in corpo. L'iniziato barcolla all'indietro, e forse potrebbe anche evitare di cadere, se non fosse che la mia mano sta reagendo senza il mio controllo e finisce per schiantarsi contro la mascella dell'intrepido. Cos'era? Un pugno?
Guardo il viso del ragazzo, contorto dal dolore, e sulla sua guancia destra è comparsa una manata rossa. No, era uno schiaffo. Be', meglio così.

"Merda, Eric..." sta sibilando lui, ma le sue parole vengono interrotte dal suono che, in quel momento, meno avrei voluto sentire.
Qualcuno bussa alla porta e, oltre al legno, sento la profonda voce di Max. Impreco. Una volta, due, tre. Faccio segno a Jonathan di alzarsi. "Nasconditi in bagno, appena è sicuro esci dalla finestra." sussurro. Il ragazzo annuisce imbarazzato, poi fa quanto richiesto e si rifiugia nel piccolo bagno.
Cercando di riprendere il controllo, apro la porta.
"Cos'era tutto quel fracasso?" sta chiedendo Max, la fronte corrugata in numerosi solchi nella pelle scura.
"Niente, sono pronto. Possiamo andare." dico in fretta, cercando di mantenere un tono di voce distaccato e tranquillo, anche se dentro il cuore mi sta battendo più veloce di quanto mi piaccia ammettere.

Faccio per girare la chiave e chiudere la porta, ed il mio pensiero va immediatamente a Jonathan. Se chiudo la porta adesso, non potrà più uscire dalla stanza. E Dio soltanto sa quanto se ne lamenterà al mio ritorno. Senza pensarci un'altra volta, do tre mandate alla serratura con eccessivo impeto, e mi volto verso l'uomo con un'espressione quasi colpevole in viso.
"Andiamo, allora!" esclama Max, allontanandomi sempre di più da quella maledettissima porta che mi pento di aver chiuso.

***

Dopo ore passate a discutere, rivedere documenti su documenti, parlare con i responsabili sparpagliati per tutta la città, e discutere una seconda volta, l'assemblea si è finalmente conclusa. Per un motivo o per l'altro, la maggior parte della riunione si è dovuta svolgere nel Quartier Generale dei Candidi ed io, non appena messo piede in questa mastodontica Fazione bianca e nera, non ho potuto nascondere un sorrisino malizioso. Quindi è cresciuta qui, mi sono ritrovato a pensare.
Ora che l'assemblea è giunta al termine, i partecipanti si stanno congedando cordialmente, dirigendosi verso la grande uscita a vetri dell'edificio. Nonostante fuori sia ormai sera, l'interno della Fazione dei Candidi è di una luminosità accecante, tanto da farmi male agli occhi.
Max sta parlando con Jeanine, ultimamente quei due non fanno altro che svolgere pratiche insieme. Forse non sono l'unico a far parte di una tresca amorosa che non dovrebbe esistere.

Sto per spostarmi dall'imponente simbolo della bilancia asimmetrica sul pavimento, e quindi raggiungere Max per spronarlo ad andarcene, quando vedo una sagoma vestita di bianco che si dirige proprio verso di me, partendo dal fondo dell'enorme sala luminosa. Non è tanto il fatto che sia un Candido che si avvicina a me a caatturare la mia attenzione, quanto qualcosa di curiosamente familiare nel suo viso. È un uomo alto e corpacciuto, sulla cinquantina, i capelli grigi e corti aggrovigliati in tante piccole nuvolette brizzolate sulla testa.
Quando è abbastanza vicino, i suoi gelidi occhi azzurri mi inchiodano sul posto. C'è qualcosa, c'è qualcosa... Continuo a ripetermi.
Ma, prima ancora che nella mia mente si accenda quella scintilla, l'uomo è di fronte a me, l'espressione fredda e disinteressata.
"Sei tu il Capofazione Intrepido?" chiede, il suo tono di voce è, anch'esso, stranamente familiare. Profondo, roco, minaccioso.
"Uno di loro, sì." rispondo io, incrociando le braccia sul petto e mettendo quindi in evidenza i tatuaggi sulle braccia e sulle spalle.

L'uomo non sposta lo sguardo dai miei occhi, neanche quando il Capofazione Kang, alle sue spalle, grida il suo nome per richiamare la sua attenzione.
Il sangue mi si congela nelle vene, solidificandosi e impedendo l'afflusso fino al mio cervello. La mia mascella si chiude di colpo e, nel mio stomaco, sento qualcosa agitarsi e diventare irrequieta.
"Signor Ride." ripeto le parole di Jack Kang, sperando che Max venga a salvarmi al più presto.
"Sono venuto a sapere di ciò che è accaduto la scorsa notte." il padre di Elizabeth va dritto al punto "So che mia figlia minore si è introdotta nel Quartier Generale degli Eruditi. E so che c'eri tu con lei." aggiunge, gelido.
"Sissignore." non vorrei rispondere, ma lo faccio comunque. È come un riflesso del tutto naturale.

"Bene, giovanotto, ora stammi a sentire." sussurra, avvicinandosi a me pericolosamente. Solo ora capisco cos'è che accomuna padre e figlia: la capacità di fartela fare addosso senza neanche sfiorarti con un dito. "Mia figlia Elizabeth ha scelto di cambiare Fazione, e la sua è stata una scelta che mi ha distrutto. Ma ciò che è stato è stato, e ormai non posso fare più nulla per cambiarlo. So che voi due siete molto... legati, se così si può dire."
Vedendomi sbiancare, il suo sguardo si fa ancora più sospettoso e freddo.
"Mia figlia Julia mi ha informato su tutto quello che c'era da sapere, anche se avrei preferito essere all'oscuro di certe faccende." continua, inchiodandomi al pavimento di marmo con le sue parole, pronunciate in maniera bassa e terrificante. Certo, non si può negare la somiglianza nei modi di fare fra padre e figlia. "Ma non sono qui per minacciarti, figliolo. Non mi sembri uno che si spaventa facilmente."

Non riesco a sorridere a colui che ha rovinato la vita alla persona che più amo al mondo. Il padre di Elizabeth non ha mai fatto nulla per aiutarla, e non si è mai preoccupato di porre fine agli abusi di sua madre. Quando lo guardo non vedo un uomo come gli altri, vedo solo una delle cause principali delle insicurezze di Elizabeth.
"Un'ultima cosa, giovanotto."
"Eric."
"Eric." ripete lui, quasi sorpreso. "So che non mi è permesso chiederlo, ma d'altronde, per la famiglia si fanno cose che vanno ben oltre il concesso. Come... Come sta andando mia figlia? Sai, è sempre stata così chiusa, insicura, da piccolina... Non deve trovarsi bene , vero?" dice, sorridendo compiaciuto. So cosa vuole sentirsi dire: che sua figlia è una frana, che non riesce a combinare nulla di buono, che sono sorpreso che non sia stata scaraventata fuori dalla Residenza dal primo giorno. Credo fortemente che se assistesse anche ad un solo spezzone di vita Intrepida della mia ragazza, a quest'uomo verrebbe un infarto.

"È sorprendentemente brava, una delle migliori. Fa a botte molto spesso, e ne esce sempre vincitrice." sorrido, palesemente irritato "Abbiamo pensato anche di farla Capofazione degli Intrepidi."
E questo, effettivamente, è vero. Quando ancora non la conoscevo bene, Max aveva espresso i suoi giudizi positivi su Elizabeth, sostenendo che sarebbe stata una leader con i fiocchi, ed io, ovviamente, neanche gli prestai attenzione. Ora invece non posso che dargli ragione.
"Non le manca per niente la vita nei Candidi. Parole sue." aggiungo, ed il mio sorriso si allarga ancora di più.
La reazione dell'uomo mi riempie di soddisfazione: è chiaramente offeso dalle mie parole, ed è proprio lì che volevo mirare.
Sta per dire qualcosa in risposta, ma sento Max chiamarmi: ha smesso di parlare con l'Erudita tutta cervello e niente emozioni, ed ora è tempo di tornare alla Residenza.
"Buon proseguimento di serata, signor Ride." mi congendo, esibendomi in un breve inchino e godendomi la reazione oltraggiata del vecchio. "Porterò i Suoi saluti a sua figlia. Sono sicuro che ne sarà entusiasta."

"Chi era quello?" chiede Max, leggermente divertito dall'espressione dell'uomo. Quando usciamo, inspiro una profonda boccata d'aria fresca, e sento tutte le ossa congelarsi.
"Il padre di Elizabeth." rispondo, scandendo ogni parola in tono palesemente divertito. Max ride e mi dà una pacca sulla schiena.
"Problemi di cuore?" chiede, alzando le sopracciglia, utilizzando un tono di voce che fa alludere a qualcosa di più di un semplice problema di cuore.
"No, voleva solo sapere qualcosa di più sull'andamento della figlia." rispondo. Il Capofazione tace qualche secondo, prima di sospirare, il sorriso che ancora aleggia sulle sue labbra.
"La Fazione prima del sangue." mormora, infine, quasi triste.
"La Fazione prima del sangue." ripeto, il pensiero che va immediatamente alla splendida ragazza che mi aspetta nella Residenza.

***

La musica è assordante, e pensare è difficile. Ma è anche difficile perchè ho bevuto qualche bicchiere di qualcosa, e non sono sicuro di essere sobrio. Al diavolo, ovvio che non sono sobrio: è una festa! Sono arrivato qui solo da cinque minuti, eppure non ho ancora trovato chi sto cercando. Ho trovato l'alcool, però. Ma chi stavo cercando?
Elizabeth. Chiaro, io cerco sempre lei.
Mi faccio spazio fra la folla danzante di Intrepidi ubriachi e, nel passare, vedo Jonathan e Richard addossati ad una colonna, concentrati in un'attenta esplorazione l'uno della bocca dell'altro. Superandoli, non posso trattenermi dal dare una pacca sulla spalla a Jonathan. Ben fatto, Royston, almeno ti sei dimenticato di me.
"Eric!" una voce si alza alle mie spalle, sovrastando la musica martellante, una voce profonda, forte, autoritaria . Mi volto. Il mio viso si illumina di gioia quando riconosco lo splendido volto di Elizabeth, ora illuminato dalle luci psichedeliche del locale. Ha l'espressione accigliata, perplessa. Per quello che riesco a vedere, non sembra molto contenta di vedermi.
C'è qualcosa di diverso in lei, nel suo sguardo, qualcosa di più... sensuale.
Oppure sono solo ubriaco.

La bacio, noncurante della marea di gente che ci circonda. Chi ci noterebbe qui, dopotutto? Sono tutti impegnati a ballare o a limonare con la persona che hanno accanto. Nonostante ciò, Elizabeth non ricambia la mia dimostrazione d'affetto. Lascio cadere il bicchiere pieno del liquido alcolico per terra, in modo da stringere il piccolo corpo della Candida fra le mie braccia.
"Mi sei mancata così tanto." le sibilo all'orecchio, un sorriso mi si forma sulle labbra. Succede sempre così, quando sto con lei. La ragazza ride senza troppa convinzione, e allora rido anch'io. Non perchè la situazione è divertente, ma perchè sono ubriaco.
"Devo parlarti, Eric!" grida, per farsi sentire, ma io non capisco. Lo ripete. Non capisco neanche stavolta.

La ragazza sbuffa e mi prende per mano. Ci allontaniamo dalla festa per imboccare uno dei tunnel che portano al mio appartamento. Ora, senza le luci colorate del locale che alterano la sua figura, riesco a vedere bene Elizabeth. Ha i capelli più lisci del solito, ed ora sembrano anche più lunghi di quanto mi ricordassi. Indossa sempre un top corto nero e dei jeans dello stesso colore. Dev'essere il suo outfit da party, questo.
Quando si volta verso di me, vedo che il suo sguardo felino è ancora più tagliente grazie all'eye-liner che qualcuno, probabilmente Alice, deve averla costretta a mettere. Elizabeth non ama truccarsi, me l'ha detto lei.
Ma ringrazio chiunque l'abbia trasformata in questo modo, perchè, se possibile, mi sembra ancora più bella, stasera.

Entriamo nell'appartamento, e subito mi accorgo di una cosa strana: la porta non è chiusa a chiave. Ma perchè? Io chiudo sempre la porta a chiave... Merda, Jonathan! Sarà riuscito a scappare? E se fosse ancora qui dentro? Ma soprattutto... Perchè non ho chiuso la porta a chiave?
Rimedio subito, dando tre mandate alla serratura. Sospiro di sollievo, e sposto immediatamente lo sguardo sulla mia bellissima ragazza che ora, con le mani sui fianchi ed un'espressione severa in viso, mi guarda accigliata. Cristo, come è bella, Dio solo sa cosa le farei. No, non è vero, lo so anche io. E forse anche Elizabeth.
"Eric, dobbiamo parl-"
"Parliamo dopo." la interrompo velocemente, ringhiando parole che mi arrivano all'orecchio quasi lontane, come se non le avessi pronunciato io.

Mi avvento contro di lei, sollevandola e quasi scaraventadola sul materasso. È passato troppo tempo dall'ultima volta che l'ho vista, e oggi che è ancora più bella del solito mi risulta impossibile starle lontano. La bacio con passione, aspetto questo momento forse da tutta la giornata. Nella sua bocca sento il sapore dell'alcool, ma probabilmente si tratta del mio. Ha detto che non si sarebbe ubriacata stasera.
"Eric..." sospira nel mio orecchio, mandandomi all'altro mondo. Le blocco i polsi sopra la testa con una mano, mentre con l'altra le sollevo il top scuro, accarezzandole la pelle liscia e fresca dei fianchi.
Le bacio il collo, mentre tento di levarle quello stupido indumento di dosso, ma con la mia lucidità attuale la trovo un'impresa assai ardua. E allora opto per l'opzione più logica: lo strappo. Gliene comprerò uno nuovo.
"Eric." mi chiama di nuovo, ma io sono altrove.

Elizabeth si contorce sotto il mio peso, evidentemente anche lei non vedeva l'ora di passare un po' di tempo con me, da soli. Mormora ancora il mio nome, stavolta più forte, la sua voce profonda ma tremolante rieccheggia fra le pareti dell'appartamento, ed io sto per perdere quel poco di controllo che non è stato rivendicato dall'alcool.
Armeggio con la sua cintura di cuoio, sfilandola via dai passanti con violenza e strattonando giù i suoi pantaloni, scoprendo gran parte delle cosce, o almeno quanto basta per farmi completamente perdere la testa.
Ritorno a baciarla sul collo, e le mie dita stanno già scivolando nei suoi slip, quando la sua voce squarcia il silenzio.
"Eric!" grida, la voce distorta da quel qualcosa che mi fa fermare immediatamente.

Alzo lo sguardo verso di lei, perplesso, perchè ha urlato? Fino a poco fa gemeva dal piacere, perchè ora mi ha fatto fermare? Quando i miei occhi si adattano alla penombra della stanza ed incrociano i suoi, sento un macigno pesante cadermi in testa, la sensazione simile a quella di un treno che ti investe a tutta velocità, colpendoti proprio al petto e facendoti provare il dolore più struggente mai sperimentato in vita tua.
I suoi occhi sono rossi, le lacrime che scorrono senza fermarsi sul suo volto a dir poco terrorizzato, le sue labbra tremano per la paura, ed i suoi polsi lottano sotto il mio palmo per liberarsi dalla mia stretta mortale.
Come risvegliato da un incubo che non augurerei a nessuno, la lascio immediatamente andare, e lei si alza dal letto, il volto privo di colore.
Si sistema i vestiti con fare intimorito. Ed eccola, tremante sulle sue stesse gambe, i capelli lisci ora tutti scompigliati, ed il mascara che le riga le guance di nero, facendola sembare uno di quei pagliacci tristi che ogni tanto ho visto in qualche libro.

Non erano sospiri di piacere, ma di terrore.
Non si stava contorcendo per il desiderio di avermi, ma per quello di scappare da me.
Non stava chiamando il mio nome per esortarmi a continuare, ma per pregarmi di smettere.
Dio...
Non è successo davvero...
Non a me...
Che cosa ho fatto...

"Elizabeth..." cerco di avvicinarmi, ma lei fa un passo indietro, terrorizzata dal mostro che ha di fronte. È questo che sono ora, un viscido cane che sta guaendo per il perdono del padrone.
"Non ti avvicinare! Non mi toccare!" grida, disperata, le lacrime scorrono senza sosta, bagnando il suo viso e rendendolo ancora più addolorato. La sua voce rieccheggia fra le pareti, arrivandomi più e più volte alle orecchie come un costante promemoria della mia meschinità.
Mostro.

Vorrei dire qualcosa, qualsiasi cosa, specialmente ora che mi sento più lucido che mai, come se mi avessero tirato una secchiata d'acqua fredda in pieno viso, ma Elizabeth non me ne dà il tempo e afferra le chiavi dal comodino. Scappa verso la porta, come se fosse inseguita da un assassino, e si fionda nel corridoio, il top strappato sul petto che le scopre gran parte della pancia e dell'addome.
Vorrei poter essere capace di ragionare razionalmente. Vorrei poter avere la mia tipica capacità di trovare immediatamente la soluzione ad un problema. Ma non c'è niente, niente, che possa svegliarmi da questo incubo che mi rembra anche troppo reale.
Forse vorrei urlare, oppure correre dietro Elizabeth e fermarla. Ma non servirebbe, non servirebbe a niente.

Ho ferito la persona più importante che avevo, ho tradito la sua fiducia e distrutto un sudato rapporto che si basava sul rispetto reciproco e sull'empatia. Ho semplicemente fatto cadere un enorme castello, ed ora ogni singolo mattone mi sta franando sul cuore, schiacciandolo e impedendomi di respirare.
Vorrei poter provare qualcosa, qualsiasi cosa. Ma l'unica cosa che riesco a percepire è un'estrema, terribile, atroce consapevolezza del mostro riflesso nello specchio che ho davanti. Sta ridendo, perchè è da quando è arrivata Elizabeth che sogna distruggere ogni mia relazione, smantellare la mia felicità, ritornare ad essere tutt'uno con me, ritornare ad essere l'Eric di prima.

In qualche modo, mi ritrovo ad avanzare verso lo specchio e infrangerlo in mille frammenti argentei che riflettono la luce pallida della sera. Quando cadono sul pavimento, si sporcano delle gocce di sangue che fuoriesce dalle mie nocche tagliate, lacerate dai taglienti riflessi del passato.
Ma questo dolore non è nulla rispetto a ciò che sto provando dentro.
Sento che potrei vomitare.

Mi accascio sul bordo del letto, tenendo lo sguardo fisso su ciò che è rimasto dello specchio, incapace di pensare ad altro.
Mostro. Mi ripete il mio riflesso, guardandomi disgustato ma allo stesso tempo compiaciuto. Non posso dargli torto. Cosa sarebbe successo se Elizabeth non mi avesse fermato? No, no, non posso neanche pensarci. Non voglio, non me lo posso permettere.
Ho rovinato tutto. Ho reso concreta una delle sue peggiori paure.

Prima che io possa fare niente per fermarla, una lacrima scende sul mio viso, senza che io lo voglia. Poi ne arriva una sorella, e poi un'altra ed un'altra ancora. Prima ancora di rendermene conto, sto singhiozzando come un bambino. Mi conficco le unghie nella carne e mi dispero in un lungo, furioso, inconsolabile pianto, urlando alla mia viscida vigliaccheria.
Nel momento stesso in cui Elizabeth ha varcato la soglia, col suo passo frenetico e terrorizzato, una parte di me si è persa, evaporata come una pozza d'acqua in una giornata di sole cocente. Un dolore struggente mi ha attanagliato il cuore e l'ha ridotto a brandelli piccoli e sanguinanti. Ogni singola particella d'aria in questa stanza mi ha gridato, urlato, sbraitato contro che sono solo la feccia della feccia dell'umanità.

E per un momento, solo per il più breve degli istanti, l'unica cosa che sono riuscito a pensare era che avevo messo in fuga quel pericoloso felino dagli occhi famelici, allora grondanti di dolore, e che mi sentivo ancora più spaventato di prima. 
   
 
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