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Autore: Federica_Peanut    08/12/2017    1 recensioni
Questo breve racconto è stato scritto per un'edizione speciale col tema della follia per un giornalino scolastico.
Un gatto randagio senza fissa dimora si affezionò ad una paziente di un manicomio, e vedendo come la trattavano, decise di andare, attraverso i suoi occhi innocenti, a vedere come venivano trattate anche le altre persone della struttura.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Attraverso occhi innocenti
 
 
Aveva fame.
Erano giorni che non mangiava, non trovava nulla per la strada, nemmeno un bocconcino di pane sporco. Non aveva nemmeno le forze per cacciare un misero cucciolo di animale.
Con l’acqua si arrangiava, in un qualche modo riusciva a bere, ma il cibo … oh, il cibo. Quello non si trovava ovunque e tutti se lo tenevano stretto, ma come non biasimarli? Era questo il motivo che un giorno lo spinse ad avvicinarsi agli esseri umani: era tutto pelo, pelle e ossa. Da allora si affezionò ad un’umana particolare, che stava in un posto particolare.
Due occhietti gialli tendenti al verde, stavano scrutando un'enorme costruzione da dietro un grande cancello nero. Passò in mezzo alle sbarre del suddetto cancello e cominciò ad avanzare proprio verso quell’edificio bianco con finestre tutte uguali poste in sequenza.
Saltò su d’un preciso davanzale d’una precisa finestra, anch’essa con delle sbarre.
Miagolò.
Non ricevette risposta.
Miagolò ancora più forte e finalmente una donna grassottella con lunghi capelli ricci color caramello aprì la finestra e attraverso le sbarre gli fece scivolare una manciata di cibo per umani. Non aveva altro da dargli.
Il gatto era un randagio, non tutti i giorni si riusciva a trovare del cibo facile, quindi anche se non era molto buono, mangiò tutto. Aveva troppa fame per capire se era commestibile o meno.
L’inverno era alle porte e sia il gatto che la donna lo sapevano; allora la donna lasciò la finestra aperta, quel poco che permettesse al gatto magro e scavato di poter entrare.
 Il gatto aveva freddo ed era da un po’ che non dormiva in un posto asciutto. Entrò senza troppi complimenti, l’aveva fatto anche altre volte. Quando decideva di fermarsi un po’ per riposarsi al caldo ed entrava, la donna non faceva altro che parlare a ruota libera: raccontava che non aveva nessuno con cui parlare, tranne quando lui la veniva a trovare quelle rare volte; che i medicinali erano la sua unica compagnia, che a volte si sentiva talmente tanto sola, che un giorno avrebbe finito per impazzire!
 Raccontava come fosse finita in quel postaccio, reclusa come fosse una pazza: “Ero allegra, ero euforica, la donna più felice del mondo! Ma ero anche triste, di una tristezza che solo chi toccava il fondo poteva conoscere. Mi piaceva farmi vedere allegra, così non avrei destato sospetti, ma quando mi colse una crisi più forte di depressione se ne accorsero e i miei famigliari mi rinchiusero qui. E da allora non ricevetti più nemmeno una visita, nemmeno dai miei figli”.
Glielo ripeteva ogni volta, come se volesse che almeno lui sapesse che lei non aveva niente che non andasse … era solo triste.
Quella donna dai capelli disordinati stava soffrendo molto, ma lui non poteva fare molto per aiutarla … l’unica cosa che potesse fare era starsene acciambellato sulle sue gambe ascoltandola parlare e resistere più che poteva al sonno. Lei lo aveva aiutato quando era mezzo moribondo per la fame, e lui l’avrebbe aiutata come poteva.
Però a causa di quel tepore dovuto al calduccio presente nella stanza e della sua stanchezza, finiva sempre che prima o poi Morfeo lo richiamasse a sé, prendendolo tra le sue amorevoli braccia.
Però Morfeo non poteva tenerlo per sempre con sé; quando la donna sentiva dei colpi contro la sua porta di ferro, succedeva tutto molto in fretta: prendeva in braccio il gatto, apriva la finestra, lo spingeva fuori e richiudeva la finestra dietro di sé. Subito dopo entrava un uomo o una donna entrambi in camice bianco, che con poca delicatezza le facevano prendere dei medicinali o la spintonavano da qualche parte fuori dalla stanza. Il gatto si chiese cos’avesse fatto quella povera donna per meritarsi un trattamento simile dalla sua stessa specie.
Un giorno il gatto si avviò sempre verso quell’edificio, ma non andò sul solito davanzale, invece decise di andare a guardare cosa succedeva alle altre persone all’interno del complesso. Voleva sapere se anche agli altri riservavano lo stesso trattamento.
Passava di davanzale in davanzale e ogni volta la stessa scena: persone portate via con la forza, altre gridavano, altre legate al letto, altre se ne stavano tutto il tempo sul proprio giaciglio di loro spontanea volontà, chi se ne stava in piedi con la faccia rivolta al muro, chi faceva avanti e indietro per la stanza incapace di starsene fermo … perché questi umani erano rinchiusi tutti in un’unica struttura e si comportavano così? Perché altri umani dovevano far del male ad altri umani? Proprio non riusciva a capirlo.
Quando decise di aver visto abbastanza, scese dall’ultimo davanzale visitato e andò dalla sua umana, aveva un certo languorino: non mangiava da un giorno o due.
Si ritrovò davanti la finestra chiusa.
Miagolò.
Nessuna risposta.
Vide la donna riversa sul letto a piangere, poteva udirne i singhiozzi mal trattenuti.
Provò a miagolare ancora più forte.
La donna lo udì, si girò a guardarlo e cominciò a piangere ancora più forte, ormai senza neppure più provare a trattenere i singhiozzi.
Decise che era meglio lasciarla sola e andare a cercare del cibo commestibile altrove; forse il macellaio avrebbe avuto pietà di lui e gli avrebbe lanciato un pezzetto di carne … o magari la vecchietta all’angolo della strada. Sì, la vecchietta sarebbe stata più facile da convincere. Anche lei parlava parecchio, ma era una brava donna. Il giorno prima era andato a cercarla e non l'aveva trovata. Chissà se stava bene… il marito l'aveva tradita in viaggio di nozze e da allora, la povera signora aveva comportamenti strani con parecchi sbalzi d’umore. La vecchietta gli aveva raccontato tutto passando dall’euforia più assoluta, alla tristezza più profonda.
Anche quella signora anziana lo aveva aiutato molte volte quando lui non riusciva nemmeno a reggersi in piedi. Le mancava un arto superiore dalla nascita, ma era incredibile come riuscisse a sbrigare tutte le faccende domestiche in modo quasi impeccabile! In quell’edificio strano e bianco ne aveva viste molte di persone senza arti, ma quelle non si potevano muovere dal letto. Invece quell’anziana non stava ferma un attimo e non andava mai dai vicini a chiedere aiuto. Era deciso, sarebbe andato dalla sua vecchietta.
Mentre usciva dalle sbarre del grande cancello nero, di lì stava passando una giovane coppia a braccetto. Si mise seduto ad osservarli.
Stavano parlando. La donna si fermò davanti all’edificio e affermò: “Dicono che questo sia il peggior manicomio della zona… fa venire i brividi solo ad osservarlo!”.
E l’uomo col sorriso sulle labbra rispose: “Allora attenta a non disubbidirmi, moglie, o potresti finire qui”. Ed entrambi si misero a ridere.
“Ma cosa ci troveranno di così tanto divertente in tutto questo?” si chiese il gatto rivolgendo l’ultimo sguardo all’edificio bianco.
Con testa alta e coda ritta si diresse verso la casetta di quella vecchietta. L’ultima volta che era entrato in quella casa era messa bene, ordinata da cima a fondo, non c’era nemmeno un dito di polvere sulle mensole, il camino sempre acceso e spesso qualche pentola sui fornelli.
Ma nemmeno questa volta era presente la signora.
A distanza di dieci giorni la porta d’ingresso era ancora semi chiusa e da dentro non si intravedeva nessuna luce di nessun focolare.
Entrò ugualmente, un posto asciutto era sempre meglio della fredda strada.
C’era puzza: sul tavolo era ancora presente una scodella di zuppa alle cipolle e non serviva assaggiarla per capire che era andata a male.
C’era già un lieve strato di polvere che copriva tutta la casa.
Era tutto buio e immobile, sembrava come se senza la sua padrona, l’abitazione avesse perso la propria vita.
Ma dov’era finita la vecchietta?
   
 
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