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Autore: Urdi    24/06/2009    9 recensioni
[Seconda classificata al contest "Scegli la tua traccia" indetto da Rota23 e uchiha_girl]" “Sono gli hokage…- Sakumo teneva in braccio il figlio, che lo guardava attento. - Sono i ninja più valorosi e importanti del villaggio. Hanno lottato duramente per esso e per il nostro paese. E non solo: sono le nostre guide, gli esempi che dobbiamo seguire. Per questo se ne stanno là a guardarci e per questo si possono vedere ovunque ti trovi. Non dobbiamo mai dimenticarli.”
“Perché tu non sei hokage allora?” chiese il piccolo accigliato."
In un inverno fin troppo rigido, Kakashi decide di fare ritorno per la prima volta dopo anni nella antica dimora di famiglia. I fantasmi, i ricordi, il freddo, gli spaventapasseri… e un futuro che non sembra poi così male.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Kakashi Hatake
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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Dedicata a tutti quelli che mi hanno scritto per Lo Spaventapasseri, apprezzando quella fanfic. Grazie davvero, spero possiate apprezzare anche questa,

Urdi



"Ma tu che vai, ma tu rimani?
Vedrai la neve se ne andrà domani..."


-LO SPAVENTAPASSERI-
INVERNO



di Urdi



Arrivato in cima a questa collina sono sempre incredibilmente stanco.
L’inverno si è fatto rigido e tutto è così bianco da ferire lo sguardo.
I passi sono lenti, il respiro veloce, il cuore però sembra fermo. Si è congelato qui.
Il vento spazza la neve con il suo canto, mi scompiglia i capelli, mi raffredda la vista.

C’è una calma angosciante tra le rovine delle case: travi in legno nero bruciato dal fuoco e dal tempo, spezzate dall’abbandono.

A bucare il candore dei campi, spaventapasseri ormai sbilenchi sono gli unici ad assistere al mio pellegrinaggio.

Cos’altro aleggi qui, assieme al freddo e alla nebbia, non lo so, ma lo percepisco come qualcosa di denso: mi entra dentro poi esce fuori, spinge, deride. Come fanno anche loro, quei manichini di legno che portano il mio nome.

Vorrei poter dire a questo silenzio di fronde d’alberi e quiete nubi, che mi è mancato tanto.
E’ l’ultima cosa che del clan rimane.


Avanzo piano, il mantello che si scioglie dietro di me nell’aria, e cerco intorno le vecchie strade, il chiosco dove Anko veniva a rubare i dango, la casa che fa da tomba ai miei genitori e al loro amore.

Cammino e la fatica aumenta, il mio corpo intero è pesante. Ma ho promesso che sarei arrivato in cima, no? Allora proseguo, su per la strada, lasciandomi accanto le macerie della mia infanzia.
Percorro questa salita guardando in alto, dove la villa si erige a sfidare il tempo.

Quando finalmente arrivo davanti all’ingresso, con il respiro che si condensa in una nuvola e un senso di pesantezza nello stomaco, decido di voltarmi.
Giù nella valle, Konoha appare come se uscisse dal mare lattiginoso delle nubi. Più lontani ancora, appena accennati, sbiaditi, ci sono i volti degli Hokage.

“Guarda Kakashi!” posso ancora sentire quella voce profonda, ma non sono sicuro che l’intonazione sia giusta.
“Quei tre signori laggiù sono gli Hokage del nostro villaggio.” E so, anche se non riesco più a vederne il ricordo, che mi teneva in braccio mentre lo diceva. E so, che indicava lontano.
Sorrido, perché la sua mano invece la conosco a memoria? Potrei addirittura disegnarne le impronte digitali, le unghie curate e persino i calli, le cicatrici.
Con il senno di poi, mi chiedo se in realtà lui non volesse suggerirmi cosa sarebbe successo in futuro.

Ho sbagliato: avrei dovuto chiedertelo quando ti ho rivisto, mentre attendevo nel limbo tra la vita e la morte.
Avrei voluto parlare ancora, capire, rivedere la mamma, rivedere il quartiere, il clan… forse persino riavere l’altro mio occhio nero per potermi guardare allo specchio senza maschera e vedere quanto davvero io ti somigli.

Ma ero in ritardo come sempre e non ne ho avuto l’occasione. Vivo, quando sarei dovuto essere morto.



Il vento mi abbraccia e fugge via, scende lontano e io lo seguo con lo sguardo. Corre verso i sei volti a sgretolarne con uno schiaffo la superficie.
Un giorno anche quei miei lineamenti invecchieranno, nonostante la mia rappresentazione porti anch’essa il viso mezzo coperto.

Sorrido e percepisco forte la presenza della casa alle mie spalle. Quasi pulsa, quasi si allunga verso di me, forse vuole solo cacciarmi via. Non ne faccio più parte, no?

Allora la affronto: mi volto e spalanco lo shoji. Un po’ di neve, dopo lo spostamento brusco, scivola giù dalle tegole scure e un gatto balza via, attraverso un fusuma sfondato.

C’è poca luce e quasi più freddo di fuori.

Immobile, esito a fare qualsiasi cosa, bloccato sulle piastrelle del genkan.

Quante volte ho aspettato qui, guardando fuori, che mio padre tornasse, che mi raccontasse qualsiasi cosa? Quante volte, quante volte!

Faccio un passo e salgo il gradino senza curarmi di togliere le scarpe. Mamma, papà, perdonate la scortesia, ma non servirebbe. Il legno del pavimento del corridoio è marcio; i tatami, che intravedo oltre la soglia del tokonoma, sono logorati dall’umidità, sporchi di terra e piscio di gatto; i fusuma e gli shoji sono bucati, pieni di tarlature e in parte crollati.

Di sfuggita penso che avrei dovuto evitarlo.
Sarei dovuto rimanere qui, rimanere con voi, per mantenere questo luogo un po’ più accogliente.
Ma il pensiero sfuma nel freddo.


Raggiungo la soglia del tokonoma, ma non entro. Mi volto verso il fondo del corridoio, sulla destra. Le scale scheggiate non sembrano invitarmi a salire, ma io le ignoro.





Il piano di sopra ha un’aura ancor più tetra, sembra volermi respingere, ma vado avanti.


Arrivo fino alla loro stanza. Indugio davanti al fusuma chiuso, decorato con un motivo campestre sfumato ad acquerello.
Il cuore riparte, il gelo rimane.

Posso sentire entrambi muoversi dentro di me, mescolandosi ad un’ansia che non credevo di poter più provare. La caccio via. Devo.
Allungo la mano e apro la porta con un gesto secco. Il rumore, riecheggia per tutta la casa.


Mi accoglie immediato lo stesso odore di quella notte. Il capogiro arriva improvviso e fatico a rimanere in piedi.

“Papà!” il mio urlo di bambino, mi investe con prepotenza come se lo avessi liberato da una gabbia.

Mi accascio lentamente al suolo, non trovo il respiro e sotto il mantello fa davvero freddo.
Il vento riporta l’eco della mia disperazione infantile a scuotermi.

“Sei morto… morto, dannazione!”


La luce è pallida, offuscata dalla nebbia.



Scuoto la testa nel tentativo di cacciare via il dolore, ma è un gesto vano. Rimane lì, si attacca al mio cervello, scivola lungo la spina dorsale e va ad attorcigliarsi nello stomaco.

Coraggio!


Mi alzo dopo qualche minuto, reggendomi su gambe insicure, e guardo dentro. La prima cosa che noto, in questa luce ovattata e irreale, è la macchia di sangue che si espande al centro. I tatami sono rimasti lì, imbrattati dell’ultimo ricordo della sua vita. Ci sono piccole impronte di piedi, di mani e dita, un po’ ovunque attorno ad essa… le mie piccole mani di bambino. L’ultimo tocco rimasto nella memoria.

L’immagine quasi mi inumidisce gli occhi, ma forse è solo il gelo.




Non so neppure con quale forza io riesca a entrare, so solo che mi ritrovo al centro della camera, immerso completamente nella morte e nel tormento.
Da quando ci siamo parlati l’ultima volta, credevo che un peso si fosse tolto dal mio essere. Credevo che saresti finalmente scivolato in un riposo tranquillo e avresti smesso di angosciarti in questo posto. Invece, permane un alone di risentimento, di angoscia, di frustrazione. Lo sento, chiaro e tondo, incollarsi su me.

Chiudo gli occhi. Inspiro, espiro.

Ho bisogno di qualche attimo per fare chiarezza nei miei pensieri, per mettere a fuoco il reale motivo per cui mi trovo qui.

Apro gli occhi. Inspiro, espiro.

Mi volto verso la parete alla mia sinistra e lo vedo: come se il tempo non lo avesse minimamente sfiorato, il legno laccato nero dagli intarsi floreali in oro, il botsudan si erge a monito.

Non un filo di polvere o una traccia di umidità.
Mi avvicino, ne sfioro la superficie lucida.
E’ di piccole dimensioni, appoggiato a un mobile di pregiata qualità realizzato appositamente per esso.
Nell’ultimo periodo della vita di mio padre, aveva voluto tenerlo con sé e non nell’ingresso dove si trovava inizialmente. Anche se ero solo un bambino, capivo che cercava mia madre e in quel modo la sentiva più vicina.



Abbasso il capo e prego. Non so esattamente cosa, spero soltanto che questo serva ad alleviare un pochino l’angoscia.

Dovrei aprire il botsudan, accendere delle candele, versare il sakè e offrire riso, incenso e fiori. Ma non voglio farlo qui, voglio farlo una volta che sarò tornato alla mia nuova dimora, con calma, quotidianamente, come quando mi trovo davanti al Memoriale degli Eroi.

Adesso voglio solo dirvi che vi voglio bene e che siete sempre con me. Basta questo.
Papà, il resto ce lo siamo detti l’ultima volta.
Mamma, il resto te lo dirò quando ci vedremo.
Sappiate che vivo, che vado avanti e che ho delle persone da proteggere.
Sappiate che non temo la morte, né la desidero più.



Non ho bisogno di girandole di parole, di sproloqui al vento. Bastano questi semplici pensieri.

Apro gli occhi e tiro fuori un panno in cui avvolgere il contenitore; lo lego saldamente in modo da poterlo portare sulle spalle senza sforzo e che non si bagni, qualora ricominciasse a nevicare.

Poi senza un altro sguardo, senza voltarmi verso i ricordi che mi richiamano insistenti e lamentosi, me ne vado.

Forse qualcosa di me, in quel sangue asciutto, è rimasto e rimarrà per sempre qui.





Fuori si è alzato un vento forte di tramontana. Il freddo è secco, la nebbia è avvolgente e densa come cotone e tutto appare nella sua desolazione. Gli spaventapasseri si piegano sempre di più, quasi ad inchinarsi a salutare. I loro bavagli sono scivolati nel vento, le loro teste rotolano quindi scoperte per i campi, affondando nella neve.
Lo ricordo bene quel bambino il giorno in cui suo padre si uccise. Lo ricordo come se non fossi io, come se lo vedessi dall’esterno, che piange con il volto coperto.

Sorriderei davvero.
Konoha mi aspetta.
Il passato non rivedrà mai più il mio ritorno.












Nell’ufficio c’è un mobile adatto a sostenere il peso del botsudan.
L’ho riposto lì con cura, l’ho aperto, ho sistemato le piccole assi con i nomi dei miei antenati, ho acceso delle candele, offerto riso, sakè e fiori.
Nel silenzio ho pregato di nuovo, prima di indossare il copricapo rosso e il mantello bianco.

La cerimonia ufficiale per la mia entrata in carica si è conclusa questa mattina e adesso è il momento del discorso. Ci saranno tutti e io sono… in ritardo.


“Hokage-sama… ehm…” Shikaku Nara interrompe i miei pensieri.
“Arrivo.”
“E’ che siamo in ritardo e…” ma non continua la sua frase. Quando mi volto, lui rimane a fissarmi e mi rendo conto che non so se sono pronto a essere visto in viso.

Ma è un pensiero che si scioglie in un istante. Non ha alcuna importanza adesso. Non serve più nascondersi. Non per chi voglio proteggere.


Sorrido.



"Rifioriranno le gioie passate, col vento caldo di un’altra estate."




“Sono gli hokage…- Sakumo teneva in braccio il figlio, che lo guardava attento. - Sono i ninja più valorosi e importanti del villaggio. Hanno lottato duramente per esso e per il nostro paese. E non solo: sono le nostre guide, gli esempi che dobbiamo seguire. Per questo se ne stanno là a guardarci e per questo si possono vedere ovunque ti trovi. Non dobbiamo mai dimenticarli.”
“Perché tu non sei hokage allora?” chiese il piccolo accigliato. Insomma: com’era possibile che la Zanna Bianca della Foglia non avesse la più alta carica, dal momento che era una leggenda vivente?!
Sakumo rise di cuore, scompigliando i capelli del suo bambino.
“Beh, non ancora. Devi darmi un po’ di tempo per quello. E un giorno forse ci vedrai anche il mio viso.”




Sulla terrazza ci sono tutti i ninja più importanti, ma non guardo ancora nessuno, pur notando Naruto e Sakura in prima fila.

Osservo bene quel volto.
Non è proprio il tuo, ma gli somiglia molto.



Owari

[8 Giugno 2009]



L’amarezza di questo periodo mi fa scrivere cose melense. Penso di essere andata fin troppo OOC e sono amareggiata della seconda parte di questa fanfic, perché non mi convince per nulla. Ho perso una giornata di studio, mi sono fatta del nervoso inutile, insomma… piango!

Cosa dire? Mi sono ispirata alla canzone di Faber “Inverno” e spero che si colgano i riferimenti ad essa. “Rifioriranno le gioie passate, col vento caldo di un’altra estate” non mi appartiene… è una citazione pari pari. Il resto è tutto interpretazione mia.

Altra cosa: non credo che a Konoha esista un inverno tanto rigido da vedere nevicate, avevo pensato che siccome ho messo il quartiere del clan Hatake sulle colline, lì potesse farci più freddo, però alla fine mi è parso più bello fare Konoha innevata. Diciamo che anche questo rientra nel What if…


Glossarietto e note sul testo:
Genkan:
ingresso della casa tradizionale jap, solitamente piastrellato. Si trova più in basso rispetto al piano della casa, ed è usanza lasciarvi le scarpe quando si entra. Il non levarsele è segno di scortesia (ecco perché Kakashi si scusa quando entra)
Shoji: sono pannelli di legno e carta, solitamente usati per gli esterni (ma anche per gli esterni) come finestre/porte (vi passa la luce attraverso
Fusuma: sono pannelli scorrevoli che non hanno la trasparenza degli shoji e possono essere decorati, sono usati negli interni.
Tokonoma: è una specie di soggiorno o dove si incontrano gli ospiti (in questo caso io l’ho immaginato al centro del primo piano subito dopo l’ingresso)
Botsudan: è una sorta di altarino dove si pregano gli antenati, che può essere chiuso da ante e variare di dimensioni. E’ usanza, quando una persona muore, tenervi le tavolette con il nome sopra (nome che, da quel che leggo, non è lo stesso della persona in vita, ma ne viene dato un altro dopo la cerimonia funebre) per poter pregare e fare offerte. Ho cercato dove potesse essere collocato all’interno della casa tradizionale, ma non ho trovato altro se non che doveva trattarsi di una “stanza coi tatami”, quindi boh…potrebbe essere il tokonoma ma non ne sono sicura. Io ho preferito dire che Sakumo ha voluto tenerlo nella sua stanza per avere vicino la moglie scomparsa. Perdonatemi qualora ci fossero delle incongruenze.
Tatami: sono stuoie che compongono i pavimenti delle stanze tradizionali giapponesi.

Ho letto un libro di cui ora mi sfugge assolutamente il nome per quel che riguarda le abitazioni tradizionali giapponesi, ma comunque vi segnalo il sito da cui ho preso comunque qualche spunto:

http://www.aikikai.it/riviste/3101/CasaGiapponese.htm

Naruto e i suoi personaggi non mi appartengono, così come le canzoni di Fabrizio De André, non vi sono scopi di lucro.

p.s. Sì, questa fanfic è una specie di spin-off di “lo spaventapasseri” ma può essere benissimo letta da sé.

Questa ff ha partecipato al contest “Scegli la tua traccia”, arrivando seconda, sono contenta!^^ Faccio i miei complimenti alle altre due ragazze che sono rimaste con me: Hotaru (prima, bravissima!!!) e Arween88 (compagna di deliri!!! Bravissima anche tu!).

Io avevo scelto De André con la sua canzone Inverno. Ma a causa di questo contest sono nate anche altri pezzi di ff (ho cambiato idea 3 volte XD), quindi aspettatevi storie assurde °_°
Auguro infine a uchiha_girl, di sistemare i problemi che ha in questo periodo. Un bacio!
Urdi



Il responso della giudice (grazie mille Rota23):
Seconda classificata

-Titolo: Inverno
-Autrice: Urdi

*IC personaggi 9/10 Dal mio punto di vista il tuo Kakashi non è così OOC come tu avevi così timore. Egli è fondamentalmente un personaggio fortemente legato al suo passato pieno di rimorsi, e così l’hai descritto anche tu.
*Originalità 8/10. Non troppo originale, mi spiace. Il tema del rimorso a confronto col passato, se si prende in considerazione il personaggio di Kakashi, è uno dei temi più largamente usati nelle fanfiction del fandom.
*Attinenza alla traccia 9/10. Direi più che buona. Hai scelto una canzone dai toni malinconici, profondamente tristi, e l’intera tua ff è pervasa da tali sentimenti, nei gesti e nei pensieri stessi del protagonista. Un buon lavoro.
*Lessico, grammatica 9,5/10. Buonissimo, direi ottimo uso della lingua, ricco e ricercato lessico. Un solo errore di battitura presumibilmente dovuto alla distrazione, nulla di grave comunque.
*Ordine difficoltà 5/5
*Giudizio personale 4,5/5. Io non amo particolarmente Kakashi, ma hai reso questo personaggio materia sensibile e pensante. Mi sono sinceramente commossa, leggendo la tua ff.
*TOT: 45/50

  
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