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Autore: Napee    10/12/2017    8 recensioni
Storia partecipante al contest “Lotteria di Natale” indetto dal gruppo Facebook “Takahashi fanfiction Italia”
***
La luna brillava nel cielo maestosa ed imponente, illuminando il giardino rigoglioso a giorno. Lo sciabordio delle onde che morivano sulla spiaggia fungeva da dolce ninna nanna, accompagnata soltanto al frinire di qualche grillo molesto.
Sesshoumaru sospirò sconsolato chiudendo gli occhi.
Perché quella sensazione sbagliata non voleva saperne di andarsene?
Si sentiva come abbandonato senza lei o la sua vocetta instancabile nei dintorni.
Perché, se chiudeva gli occhi, il ricordo del suo sorriso illuminava il buio dietro le sue palpebre?
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Rin, Sesshoumaru, Un po' tutti | Coppie: Rin/Sesshoumaru
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Il mio posto nel mondo
 
 


La solida imbarcazione impattava contro le onde impetuose, quella mattina, facendone oscillare la carena violentemente. I passeggeri preoccupati si stringevano fra loro dandosi man forte l’un l’altro, mentre gli operosi marinai lavoravano senza sosta e senza fatica per far attraccare la nave.
Sesshoumaru si ergeva fra questo tumulto informe di persone, stretto nel suo smoking nero lucido e con una tazza di caffè fumante in mano.
Osservava con occhio stanco tutta quell’agitazione inutile per l’approdo della nave al porto, mentre l’acre puzza di sudore dei braccianti gli stuprava le fini narici senza ritegno alcuno nonostante vi fossero diversi metri fra loro.
Una smorfia impercettibile gli adombrò il viso, mentre si espandeva nell’aria il pianto stridulo di un bambino spaventato dal mare agitato.
Alzò gli occhi al cielo insofferente a quella lagna che pareva non avere fine, e poi rituffò gli occhi sul costosissimo tablet adagiato sul tavolo della colazione.
Controllò le mail un’ultima volta. Secondo l’itinerario, quella doveva essere l’ultima isola da visitare, prima che la nave da crociera ripartisse verso l’arcipelago giapponese.
Sospirò infastidito. Bora Bora non era esattamente un luogo che gli interessava visitare. L’isola spiccava principalmente per il suo mare cristallino e per la vita mondana che ogni sera si consumava fra pub rinomati e discoteche fantastiche.
Tutti elementi che discordavano completamente dall’ideale di vacanza perfetta del demone.
Portò la tazza di caffè fumante alle labbra e ne assaporò l’aroma intenso, mentre già la sua mente era all’opera.
Aveva tre giorni di tempo per adempiere al suo dovere.
Non sarebbe stato difficile e probabilmente gli sarebbe bastato rintanarsi in qualche foresta rigogliosa per sfuggire alla catastrofe che pareva incombere di lì a breve.
L’indirizzo di quell’inutile essere che era suo padre, lo aveva salvato sul telefono mesi fa, quando ricevette il biglietto pagato per quella crociera come regalo di compleanno. Non ci avrebbe messo molto a trovare la casa, anche volando. Dopotutto non era un’isola poi così grande.
Entro quel pomeriggio sarebbe riuscito egregiamente a trovare il genitore e la nuova compagna e consegnare i moduli ed i documenti aziendali per il trasferimento dei conti. Ma il problema era ben altro: come riuscire a sfuggire a quella trappola che erano le feste di Natale?
Suo padre già sapeva che lui non si sarebbe mai palesato da quelle parti, soprattutto in quel particolare periodo dell’anno dove, da secoli ormai, cercavano di attirarlo nelle case di vacanza per riuscire a trascorrere un Natale tutti assieme.
Poveri patetici stolti.
Come se già non avesse intuito la meta dove erano diretti suo fratello e la sua compagna, quando, una settimana prima, si erano congedati misteriosamente dall’azienda annunciando un “andiamo in vacanza per Natale”.
E lui doveva credere che fosse un caso, un mero scherzo del destino, che suo padre avesse deciso di trasferire parte dell’azienda di famiglia ai figli ma -disdetta ha voluto- che il computer della sua nuovissima casa a Bora Bora fosse accidentalmente finito in mille pezzi.
Tutte mere coincidenze.
Sesshoumaru corrugò le sopracciglia infastidito al sol ripensarci.
Odiava quella stupida festa umana, odiava l’atmosfera festosa che si dipingeva intorno a lui in quel periodo ed odiava ancora di più essere ingannato con mezzucci infantili.
Se solo non gli avessero revocato la licenza per la detenzione di armi demoniache, avrebbe sguainato Bakusaiga ed avrebbe disintegrato quell’inutile isola senza pensarci due volte.
Ed il Pacifico avrebbe contato un agglomerato di terra in meno.
Espirò cercando di calmarsi.
Avrebbe portato i documenti a suo padre e a suo fratello, glieli avrebbe fatti firmare con la forza se necessario (e sperava davvero che lo fosse), e poi si sarebbe rintanato in chissà che luogo sperduto dell’isola pur i non trascorrere quel dannatissimo giorno con loro.
Finì il restante caffè che aveva nella tazza candida di porcellana.
Tre giorni.
Tre fottuti giorni e sarebbe tornato a casa.
 
 
 
Dolci.
Zucchero, cannella e vaniglia per la precisione. Questi erano gli odori che regnavano sovrani nella nuova casa delle vacanze di suo padre e della sua compagna.
La giovane donna umana pareva sapere il fatto suo in cucina, mentre sfilate di vassoi pieni di biscotti gli passavano davanti agli occhi senza sosta.
Un sorriso accogliente adornava le sue labbra scarlatte, mentre suo padre non perdeva occasione per elogiarla e riempirla di inutili complimenti superflui.
Persino InuYasha e la sua compagna (inspiegabilmente pervenuti anche loro a Vaitape per le vacanze) parevano incredibilmente entusiasti di quei manicaretti succulenti.
Sesshoumaru aggrottò le sopracciglia già stufo di quella situazione.
Aveva decisamente già sopportato abbastanza. Ed ancora una volta si ritrovò a maledire il momento in cui gli fu revocata la licenza per le spade demoniache.
Che ci trovavano i suoi familiari in quella festa umana?
Cosa c’era di bello nel riunirsi assieme per mangiare?
“Hai visto quanto è brava in cucina Izayoi?” Chiese entusiasta suo padre, sfoggiando un sorriso soddisfatto ed orgoglioso.
“In effetti è spettacolare!” Gioì InuYasha divorando l’ennesimo biscotto a forma di omino di pan di zenzero.
“Nemmeno Kagome è così brava, il corso di cucina le è servito tutto… ma non dirle che ho detto una cosa simile.” Aggiunse infine a bassa voce, suscitando l’ilarità del genitore.
Sesshoumaru riuscì chiaramente a percepire la sua pazienza – o quel briciolo che rimaneva di essa – sgretolarsi all’istante.
Suo padre e suo fratello borbottavano concitati delle doti delle loro compagne, ignorandolo deliberatamente e snobbando le carte ed i documenti sparsi per tutto lo studio.
Si schiarì la voce più per mascherare un ringhio minaccioso che per vera necessità.
Un altro solo minuto in compagnia di quei due ed avrebbe raso al suolo l’isola, se lo sentiva.
“Mi servono i documenti firmati da entrambi, poi potrò infine portarli dal notaio.” Si era intromesso nei loro discorsi inutilmente frivoli ormai stremato ed esaurito da quella superflua atmosfera gioiosa.
Aveva poggiato la penna sul tavolo dinanzi ai due in un chiaro invito, ma l’espressione annoiata che ricevette in risposta da entrambi non fu facile da digerire.
“Potremmo firmarli anche più tardi, perché adesso non ci sediamo a tavola per il cenone?” Propose il genitore con un sorriso carico di aspettative.
“È pronto! A tavola!” Trillò Kagome entrando nello studio proprio in quell’istante.
Decisamente al momento giusto, sembrava quasi fatto a posta.
Sesshoumaru li squadrò entrambi con aria minacciosa, avvicinando maggiormente i fogli ai due.
“Non fare il guasta feste, Sesshoumaru, unisciti a noi! Tanto ormai sei già qui!”E  ci mancava quell’inutile di suo fratello a sottolineare l’ovvio.
“Come se non fosse solo un vostro stupido piano.” Berciò infine orami esausto. Era davvero stanco di tutta quella pantomima mal organizzata solo per averlo lì con loro quando lui non aveva nessun piacere a trascorrere del tempo in compagnia.
“Firmate i documenti.” Insistette ancora, ma i due snobbarono deliberatamente con un sospiro annoiato il suo ordine.
Stavolta, Sesshoumaru aveva ufficialmente esaurito la pazienza.
“Firmeremo i documenti soltanto dopo il cenone e se festeggerai il Natale con noi.” Fu la risposta di suo padre.
Chiara. Concisa. Decisa.
Decisamente irritante.
Come osava quel genitore degenere propinargli un simile ricatto?!
Fanculo alla licenza revocata.
Stava per materializzare le spade al suo fianco, stava per disintegrare qualsiasi cosa vi fosse dinanzi a lui, quando una manina calda ed affusolata osò poggiarsi sul suo braccio.
Voltò lo sguardo verso la pazza incauta che aveva osato tale affronto ed i suoi occhi di demone s’incontrarono con quelli scuri ed amorevoli di Izayoi.
“Resti anche tu, Sesshoumaru? Ci farebbe molto piacere averti con noi quest’anno.” Chiese speranzosa, con un sorriso radioso ad illuminarle il volto.
“No.” Secca risposta. Scarna e dura.
Ed in quel momento, gli occhi caldi e brillanti di aspettativa di Izayoi, si oscurarono all’istante feriti.
Un senso di soddisfazione gonfiò il petto del demone nel vedere quella reazione nell’umana.
Ma non bastava. Doveva ferirla ancora, di più, e che gli servisse da monito per gli anni successivi.
“Non bramo l’idea di mescolarmi a delle misere umane come voi due.”
E stavolta il labbro inferiore della donna tremò visibilmente, mentre i suoi occhi si riempiono di calde lacrime.
“Sesshoumaru!” Lo riprese irato suo padre, inasprendo la voce fattasi minacciosa.
“Non osare parlare in questo modo in casa mia.”
Un sorriso di scherno, debolmente accennato, andò ad innalzare l’angolo delle labbra del demone maggiore.
“Sia mai che ciò avvenga…” lo schernì il figlio uscendo dalla stanza con malcelata strafottenza.
E Fanculo anche ai documenti.
Inu fece per andargli dietro, pronto a riacciuffarlo e costringerlo lì con loro, perché in fondo sapeva che quella discussione era nata prettamente per dargli un motivo valido per andarsene, ma la mano di InuYasha lo trattenne per la spalla.
Si voltò verso il minore dei suoi figli con una muta domanda stampata in faccia.
InuYasha sospirò stancamente, massaggiandosi la tempia come se avesse mal di testa.
“Sai meglio di me quanto detesti stare in compagnia.”
“Certo che lo so, ma questo non lo autorizza a-…”
“Lo so, ma diamogli del tempo per abituarsi all’idea di pranzare con noi. Magari torna fra qualche ora e, senza dire una parola, si siede con noi.”
Inu sorrise debolmente rassegnato, dando mentalmente ragione a suo figlio minore.
“Spero tanto che tu dica il vero, figliolo.”
 
 
 
La pioggia cadeva incessantemente dal cielo scuro, scivolandogli addosso e lambendogli l’epidermide dolcemente.
Le gocce si susseguivano una dopo l’altra sul suo viso, carezzandogli le guance e scendendo velocemente sul mento, sul collo ed infine inzuppandogli i vestiti.
Il fango e la sterpaglia già gli insozzavano le scarpe ed i pantaloni, mentre si faceva strada a gran velocità attraverso la florida vegetazione.
Era quello ciò di cui aveva bisogno davvero.
Natura selvaggia, incontaminata, vivente, che si mostrava a lui in tutta la sua magnificenza e lo sfidava silenziosamente con la sua imponenza.
Foreste del genere, pulsanti di vera vita, ce ne erano rimaste ben poche ormai al mondo.
Come animali sfollati, i demoni si erano visti sottrarre il loro habitat naturale dagli umani con la forza della tecnologia.
Adesso, invece della natura incontaminata, il mondo era popolato da labirintiche città sterili.
Si fermò nel bel mezzo del bosco, circondato solo dal verde incontrastato.
Si sfilò la giacca ormai zuppa d’acqua e rimase in ascolto.
La foresta dialogava con lui come se fosse un vecchio amico, accogliendolo fra gli arbusti e cullandolo con il suono della vita che vi scorreva in essa.
Affondò le mani artigliate nel fango, sentendo la terra pulsante sotto i suoi polpastrelli.
Lo spirito della foresta fluì velocemente attraverso i suoi arti, rigenerando la sua anima stanca e stremata.
Troppo tempo aveva trascorso nelle metropoli di cemento, fingendo di essere ciò che non era e che non sarebbe mai potuto essere.
La vita del cagnolino addomesticato dall’uomo non faceva per lui, non si sarebbe mai fatto mettere al guinzaglio come suo padre o suo fratello.
Sesshoumaru aveva bisogno di stare a contatto con la madre terra, di vivere e respirare energia. Era un demone selvaggio dopotutto, ed aveva rinnegato la sua natura per troppo tempo.
Si liberò della camicia chiara.
Orami era diventata una seconda pelle tant’era attaccata al suo addome.
Chiuse gli occhi ed inspirò a fondo l’odore del bosco.
E fu appagante lasciarsi sopraffare da quell’energia, lasciarsi investire e ristorare completamente.
Espirò soddisfatto. Sentiva la sua aura demoniaca espandersi incontrastata, selvaggia.
Era tornato il Sesshoumaru di un tempo, il freddo demone spietato che solcava le terre dell’ovest mietendo vittime.
Aprì gli occhi vermigli, mentre le sue labbra si piegarono in un ghigno malefico.
La foresta che lo aveva accolto amorevolmente adesso era spaventata da quell’aura distruttiva e gli arbusti spaventati si piegarono terrorizzati.
E poi fu un attimo.
Era così concentrato sull’energia che lo circondava, così ebbro di quel potere che si era appena ristabilito nel suo corpo, che neppure se ne era reso conto.
Una donna, gli era piombata addosso di malagrazia, spedendolo con la faccia nel fango.
“Oh cielo ho steso un hippy!” Esordì la giovane con la sua voce squillante.
Si alzò lesta dalla schiena del demone e si mise al suo fianco pronta a scusarsi fino alla morte.
Sesshoumaru la ignorò deliberatamente e si mise in ginocchio cercando di togliersi più fango possibile dalla faccia.
“Ti chiedo scusa…” iniziò lei impacciata, rufolando nel suo enorme zaino giallo alla ricerca di chissà che cosa.
“Sai, normalmente sono un asso del trekking, ma questa pioggia ha reso scivoloso il terreno e non sono riuscita ad aggrapparmi.” Blaterava e blaterava inutili informazioni superflue che a Sesshoumaru neppure interessavano.
Si girò soltanto in quel momento verso di lei, ammutolendola con uno sguardo irritato.
La ragazza sorrise timidamente abbassando lo sguardo, mentre gli passava un panno pulito per pulirsi.
“Mi spiace tantissimo di esserti piombata addosso come una valanga.” Bisbigliò infine mestamente arrossendo.
Sesshoumaru accettò il panno e mentre si ripuliva la faccia dalla pioggia e dal fango, si prese del tempo per studiare quella bizzarra umana al suo fianco.
Era decisamente piccola di statura, molto piccola ed esile in confronto alla sua imponente stazza di demone maggiore.
Anche quando gli era piombata addosso non pareva pesasse chissà quanto.
Aveva viso imperlato di pioggia sul quale spiccavano due occhioni scuri ma dannatamente espressivi.
Non aveva trucco, il viso completamente pulito e l’epidermide liscia di una giovane umana. Non sembrava dimostrare più di vent’anni all’apparenza.
Un piccolo anello metallico le adornava la narice sinistra. E quel monile la faceva sembrare ancora più giovane di quel che era, conferendole un’aria vagamente ribelle.
Aveva i capelli scuri, lunghi, raccolti in una morbida traccia al lato della testa che le ricadeva placidamente sulla spalla.
Indossava una t-shirt rossa con uno stemma sportivo stampato sopra, mentre le gambe magre sporche di terra erano lasciate scoperte dai pantaloncini color cachi.
Ai piedi indossava degli scarponcini da trekking marroni. Parevano consumati e vecchi oltre che sozzi di fango.
Ma ciò che attirò maggiormente l’attenzione del demone fu l’enorme zaino che la ragazza si portava dietro.
Ad occhio e croce, pesava quanto lei se non di più.
“Non sono un hippy.” Esordì infine il demone, ridandole lo straccio ormai pieno di fango.
“Oh.” Pareva sorpresa dalla sua risposta e Sesshoumaru notò all’istante il lieve arrossamento delle guance della ragazza.
“Credevo di sì, non è che la foresta sia un luogo frequentatissimo. Insomma, quale decerebrato andrebbe nel bosco con un tempo del genere mezzo nudo per giunta?” Sorrise timidamente, forse in imbarazzo o forse a disagio.
Sesshoumaru non si soffermò troppo sulla sua domanda e continuò ad osservarla silenziosamente.
“Sono un demone.” Disse infine, come se ciò fosse stata una spiegazione ampiamente esaustiva.
La ragazza sbatté le palpebre due volte, in silenzio, guardandolo fisso come avrebbe fatto un gufo.
“… ok.” Concluse infine lei. Si vedeva chiaramente che era confusa e Sesshoumaru si scoprì leggermente interessato a lei, a quelle sue reazioni così strane e genuine, ingenue talvolta. Pareva quasi una bambina intrappolata nel corpo di una ragazza.
Decisamente non era una tipa che si incontrava tutti i giorni.
Bizzarra fu il primo aggettivo che gli balenò in mente mentre la osservava.
“Dunque, Signor Demone, ce l’hai un nome?” Chiese lei sorridendo amichevole, mentre si tirava su in piedi, scrollandosi il fango di dosso.
Sesshoumaru la imitò, ma non la degnò di risposta.
“Non sei un tipo loquace…” dedusse lei, ridacchiando fra sé e sé.
“Peccato, a me piace un sacco parlare!”
“L’ho notato.” Rispose lui serio, squadrandola infastidito.
Troppe, davvero troppe parole uscivano da quella minuscola bocca.
La ragazza rise e gli tese una mano per presentarsi.
“Sono Rin, piacere di conoscerti.”
Sesshoumaru squadrò lei, poi la manina protesa verso di lui, ed infine tornò ad osservare lei.
Davvero sperava che lui si presentasse?
Cosa pensava? Che diventassero amici?
Un verso stizzito abbandonò le sue labbra mentre, con strafottenza, si voltava per andarsene lontano da quella fastidiosa ragazza.
“Almeno permettimi di scusarmi a dovere!” Esordì lei alzando la voce.
Sesshoumaru si voltò incuriosito, guardandola con un sopracciglio alzato.
Davvero voleva scusarsi con lui?
Che gliene importava in fondo?
L’aveva trattata male per tutto il tempo, perché ci teneva così tanto?
“Abito qui vicino, puoi venire da me e lavarti e…ti presterò dei vestiti puliti così potrai toglierti i tuoi pantaloni super fangosi.”
“E come dovrei entrare in un tuo paio di pantaloni?” La domanda abbandonò le sue labbra prima ancora di essere stata completamente formulata nel cervello.
Davvero, ma che problemi aveva quella donna?
E perché lui continuava a restare lì impalato a parlare con lei?
Rin sorrise raggiante. Uno di quei sorrisi che abbagliano tanto sono splendenti; uno di quelli che ti fanno mancare l’aria e sentire bene, in pace con te stesso.
E Sesshoumaru si scoprì a disagio, distogliendo lo sguardo da quel visetto assurdamente felice.
Che diamine gli stava capitando?
Non era decisamente in sé quel giorno…
Rin, senza preavviso alcuno, lo acciuffò sotto braccio ed iniziò a trascinarlo a zonzo nel bosco, sotto la tropicale pioggia incessante, verso chissà quale meta.
E la cosa buffa, per Sesshoumaru, fu il fatto che gli piacque lasciarsi trasportare da quella mocciosa insolente che non finiva più di parlare.
Il contatto con la sua manina tiepida era strano, inaspettato, ma particolarmente piacevole.
Sesshoumaru sentiva che era una cosa sbagliata, contro la sua natura, contro tutto quello che era ed era sempre stato.
Ma non riusciva a sottrarsi a quella debole presa.
Di colpo, il potente demone si era trasformato in cucciolo docile.
Il profumo della sua pelle - che sentiva dannatamente intenso a quella distanza -  era dolciastro, invitante, come un frutto maturo, che si mescolava con l’odore del fango e del bosco.
Era dannatamente inquietante constatare che in fondo si sentiva tranquillo al suo fianco.
Scosse la testa confuso da tutti quei pensieri che gli vorticavano nella testa.
Che diamine gli stava accadendo?
 
 
La casa dove viveva l’umana non era poi così distante dal luogo del loro scontro.
Una piccola ma solida costruzione in muratura svettava al limitare del bosco, affacciata sulla spiaggia chiara dove le onde cristalline andavano a morire.
Entrò nel piccolo abitacolo del soggiorno, seguito a ruota dalla ragazza e da quel fiume interminabile di parole che le uscivano di bocca senza sosta.
In poco meno di dieci minuti, Sesshoumaru aveva appreso che Rin aveva ventisei anni, che si era trasferita a Vaitape molti anni fa per lavoro, si era laureata giovanissima ed aveva conseguito il dottorato in pochissimo tempo, era un’entomologa appassionata ed era alla strenua ricerca di un certo esemplare di scarafaggio che si accoppia soltanto in quel periodo dell’anno.
Praticamente, un sacco di dettagli inutili e superflui di cui Sesshoumaru avrebbe volentieri fatto a meno.
Si guardò intorno incuriosito notando per prima cosa la quantità mostruosa di libri di entomologia che infestavano letteralmente il pavimento del salotto, le pareti, il divano, il tavolo e la cucina appena a fianco.
Nei piccoli spazi non invasi dai libri, facevano bella mostra strani insetti variopinti sotto formalina o incastrati in teche di vetro.
La casa era arredata in modo minimale, giusto il minimo indispensabile.
Un’immensa libreria faceva bella mostra di sé sulla parete sinistra della casa, coprendola interamente.
Altri libri, farfalle variopinte in piccole teche di vetro ed un piccolo portatile dimenticato nel ripiano più in basso, infestavano le mensole della libreria.
Ma quanto leggeva quella donna?
“Perdona il disordine, ma non sono abituata a ricevere ospiti.” Si scusò lei sorridendole serena.
Sesshoumaru in risposta annuì sviando nuovamente lo sguardo. Quel sorriso era fin troppo raggiante per i suoi gusti.
“Seguimi, ti mostro il bagno.” Disse lei infine, sfilandosi gli scarponcini e lanciandoli in un angolo vicino alla porta. Inutile dire che il fango insozzò all’istante tutto il pavimento.
“Fai come se fossi a casa tua, usa tutti i prodotti che ritieni necessari, dopotutto è il minimo che posso offrirti per averti spedito gambe all’aria a fare i fanghi.” Ridacchiò lei, conducendolo in un piccolo corridoio adiacente al salone nel quale vi affacciavano due porte una accanto all’altra.
Rin entrò nella prima a destra, accese la luce ed illuminò lo stretto bagno piastrellato di azzurro chiaro.
Sesshoumaru entrò guardandosi attorno e notando – chi l’avrebbe mai detto?! – un altro libro di entomologia abbandonato sul bordo della vasca da bagno.
Lo prese in mano e lesse qualche riga sul nutrimento di alcune farfalle tropicali.
Definirlo un argomento soporifero era riduttivo.
Si voltò verso la ragazza con il libro in mano ed un vago ghigno derisorio ad innalzargli un angolo della bocca.
“Anche in bagno?” Chiese lui strafottente e godette immensamente quando sulle guance di Rin si accese un colore scarlatto di pura vergogna.
“Mi piace leggere durante un bagno caldo… non mi pare una cosa tanto strana!” Borbottò lei strappandogli il libro dalle mani.
“Qui dentro ci sono gli asciugamani puliti.” Esordì infine cambiando discorso ed indicando con la mano libera un mobile di legno scuro.
“I saponi che ho sono tutti a bordo vasca, scegli quelli che preferisci.
Mentre sei qui dentro, vedrò di pulire tutto il fango che mi hai sparso per casa! Grazie tante eh!” Sbuffò scocciata passandosi una mano fra i capelli fradici. Pareva pensosa, come se si stesse scordando qualcosa.
“Giusto! Il cambio!” Esordì infine schioccando le dita e sfoggiando nuovamente quel suo sorriso smagliante.
Perché sorrideva così?
Perché quel dannato sorriso pareva bellissimo agli occhi di Sesshoumaru?
E perché ogni singola volta si ritrovava a sviare lo sguardo dal suo viso?
“Ti porto subito una tuta da ginnastica. Dovrebbe andarti bene, era del mio ex e l’ha dimenticata qui anni fa… ma vuoi anche la parte superiore o solitamente vai in giro mezzo nudo?” Chiese lei scherzosamente, ma l’occhiataccia assassina di Sesshoumaru fece morire qualsivoglia intento.
“Okey okey, stavo scherzando! Signor Demone, sei davvero senza senso dell’umorismo!” E così dicendo si congedò chiudendosi la porta del bagno e lasciandolo da solo.
Sesshoumaru avrebbe voluto interromperla e dirgli il suo nome, perché quello stupido soprannome gli aveva già dato sui nervi.
 
 
 
Uscì dal bagno in una nuvola di vapore. I capelli bagnati gli ricadevano placidamente sulla felpona grigia scolorita, inzuppandola inevitabilmente.
I pantaloni gli stringevano leggermente sulle cosce, ma era un fastidio sopportabile dopotutto.
Gettò un occhio alla finestra: il temporale non aveva smesso di imperversare neppure per un minuto e fuori già il sole iniziava a calare.
“Hey, Signor Demone! Se devi bagnarti così la felpa, a che è servito il bagno caldo?!” Chiese lei retoricamente, venendogli incontro dalla cucina con una tazza fumante.
Sesshoumaru la scrutò incuriosito.
Che diamine aveva in mente?!
Gli porse la tazza fra le mani senza neppure attendere che l’avesse afferrata e gli piombò alle spalle iniziando ad almanaccare con i suoi capelli.
Sesshoumaru non gradiva essere toccato, non lo aveva mai tollerato, ma la lasciò fare domandandosi mentalmente il perché di quel suo comportamento così remissivo e così accondiscendente.
Un tempo, avrebbe staccato la mano a morsi a chiunque avesse anche solo pensato di sfiorarlo.
Invece quella ragazzina riusciva a fare tutto, aggirando la sua guardia in chissà quale maniera.
Rin gli attorcigliò i capelli in una crocchia malandata ed infine li fermò saldamente alla testa con un gommino.
Inavvertitamente, la ragazza, sfiorò con le mani gelide il collo caldo del demone, facendogli salire un brivido lungo tutta la schiena.
“Sei gelida.” Constatò il demone e, suo malgrado, Rin si ritrovò ad arrossire in imbarazzo.
“Scusa… ti sono venuti i brividi?”
“No.”
“Invece sì, li vedo chiaramente sul tuo collo!”
Sesshoumaru chiuse gli occhi sospirando. Quella ragazzina era davvero fastidiosa.
“Dovresti farti un bagno caldo.” Cambiò discorso lui, analizzando il dubbio contenuto della tazza che teneva in mano.
L’odore era pessimo: dolce, ma piccante. All’apparenza pareva cioccolato caldo, ma qualcosa non lo convinceva del tutto…
L’aroma di cacao era intenso e forte, ma qualche nota speziata riusciva a pungergli le narici.
Per quanto ne sapeva, poteva benissimo trattarsi di brodo di cavallette.
“Il bagno era occupato, sai com’è…” commentò lei squadrandolo divertita, mentre una tenue risatina gli fece vibrare la gola.
Il demone alzò lo sguardo verso di lei. Un sopracciglio inarcato a simboleggiare la sua insofferenza.
“Stai ridendo di me?” Chiese Sesshoumaru vagamente indispettito.
“Certo che sì! Stai guardando quella cioccolata da tre minuti buoni!” Lo derise lei, prendendo posto sul divano fra i mille libri.
“Guarda che non morde mica!” Concluse infine con una linguaccia.
“Non è solo cioccolato.” Esordì infine il demone prendendo posto anche lui sul divano.
Lontano da lei, seduto sul cuscino più distante, in mezzo a libri di ragni e scarafaggi.
Ma perché si era seduto?
Non voleva uscire da lì?
Perché adesso stava annusando ancora la sua cioccolata?
Perché il sul corpo non gli rispondeva più?
Rin rise divertita dal suo comportamento e per un secondo, un misero secondo, a Sesshoumaru piacque quel suono.
Era un risolino divertito, tintinnante, giocoso, affatto sfacciato o sgarbato. L’avrebbe definito quasi infantile.
Scosse la testa confuso come non lo era mai stato.
Che diamine di potere aveva quella ragazzina su di lui?
“Guarda che è buona, non ti avvelenerei mai, Signor Demone.” Scherzò lei sporgendosi verso di lui.
Sesshoumaru aggrottò le sopracciglia astioso. Era pronto a sbatterle in faccia quella dannata tazza ed andarsene. Era pronto a rimetterla al suo posto con un ringhio minaccioso perché davvero non riusciva più a tollerare tutta quell’insolenza.
Invece bevve.
Titubante e circospetto, ma sorseggiò leggermente la bevanda calda, trovandola molto buona.
“C’è del peperoncino nella cioccolata.” Constatò infine, voltandosi verso di lei per guardarla negli occhioni scuri.
Rin sorrise soddisfatta iniziando a blaterare della sua personalissima cioccolata calda con il peperoncino e qualche altra spezia segreta, una ricetta che le aveva tramandato sua nonna e prima ancora la nonna di sua nonna e bla bla bla.
Sesshoumaru smise di ascoltare davvero quel fiume infinito di parole declassandolo solo a lieve brusio mentre si gustava quella strana prelibatezza.
Il modo di fare di Rin era quanto di più odiasse al mondo. Tutto quel parlare e parlare, l’espansività, i sorrisi radiosi, tutto ciò che più si allontanava da lui.
Eppure trovava la sua compagnia tollerabile. A tratti, piacevole.
E si stupì lui stesso di quel pensiero, proprio lui che non riusciva a sopportare di stare nella stessa stanza con più di due persone per volta.
L’anormale loquacità della ragazza lo avrebbe costretto a fuggire a gambe levate se voleva astenersi dal commettere un omicidio e lasciare intonsa la sua fedina penale.
Ed era convintissimo che avrebbe commesso un reato senza esitare fino a pochi minuti fa, quando ancora erano nel bosco ricoperti di fango.
Eppure era ancora lì, fingendo di ascoltarla con la cioccolata nella mano destra e la sinistra ad accarezzare le pagine di un libro di scarafaggi.
Si riscosse dai suoi pensieri quando il flusso interminabile di parole della ragazza fu arrestato da uno starnuto.
Sesshoumaru si voltò verso di lei alzando un sopracciglio incuriosito e la vide arrossire in imbarazzo abbassando lo sguardo sulle sue cosce.
“Scusa…” Borbottò lei strofinandosi il naso sull’avambraccio.
Sesshoumaru sospirò esausto.
Accavallò le gambe, prese il libro di scarafaggi in mano ed iniziò a spulciarne distrattamente le pagine.
“Ti aspetto. Fai veloce.”
E doveva sembrare un ordine, una frase minacciosa del tipo “ti sta aspettando il principe dei demoni, quindi vedi di fare in fretta, ragazzina!”, una di quelle frasi minatorie che finiscono con un “altrimenti” che va a celare chissà quali disgrazie.
Invece non fu nulla di tutto ciò.
Fu una frase semplice, quasi un avviso, come una conferma e, a giudicare con il sorriso smagliante che le adornava le labbra, Sesshoumaru temette che somigliasse fin troppo a “ci sarò appena esci”.
 
In verità, Rin non ci aveva messo neppure molto per farsi quel benedetto bagno caldo.
Gli umani erano già molto fragili di per sé, figurarsi dopo un temporale tropicale in cui si è stati immersi nel fango!
E per l’ennesima volta quel giorno, Sesshoumaru si scoprì stupito di quei pensieri sulla salute di una sconosciuta.
In fondo, a lui, che gli importava di lei?
Che si ammalasse tutte le volte che voleva!
Chiuse il libro ormai giunto alla fine da un tempo vergognosamente lungo.
Eppure era ancora lì, con il culo sul divano.
“Hai atteso molto? Ho fatto più in fretta che ho potuto!” Chiese lei sedendosi nuovamente al suo posto, stavolta a gambe incrociate sul cuscino, completamente rivolta verso di lui.
Sesshoumaru voltò lo sguardo su di lei, studiandola attentamente mentre si frizionava i capelli umidi con l’asciugamano.
Le guance di lei s’imporporarono per il suo sguardo insistente e molesto, mentre la piega presa dal top celeste le lasciava scoperta una piccola porzione di pancia sulla quale spiccava un piercing ombelicale.
“No, non ho atteso molto.” Decretò infine, tornando a guardare dinanzi a sé, in quel mare di libri che parevano volerlo inghiottire.
“Ho visto che hai finito il libro sui Macropanesthia rhinoceros! Sai, sono degli animali rarissimi! Introvabili!” Si entusiasmò lei scorrendo sul divano fino a sfiorargli il braccio con il ginocchio.
Sesshoumaru fece per ritrarsi, rintanarsi più lontano da lei, perché in fondo non voleva essere toccato ancora.
Quella donna aveva una strana influenza su di lui ed era bene che la tenesse alla larga il più possibile.
In pochissimo tempo era riuscita a smorzare un carattere immutabile da centinaia di anni e il “come” ci fosse riuscita, restava ancora un mistero che Sesshoumaru non voleva scoprire.
Ma quando lei iniziò a parlare di quegli scarafaggi rari, con i suoi occhioni espressivi e le labbra distese in un sorriso innamorato, Sesshoumaru non riuscì a fare altro che ascoltarla per ore ed ore, mentre gli raccontava un sacco di cose davvero noiose.
E quando lei si sporse verso di lui, prendendogli il libro da sopra le gambe per mostrargli un’illustrazione, sfiorando inavvertitamente la sua mano, Sesshoumaru si scoprì interessato a quel tocco tiepido.
Durò pochissimo, millisecondi, eppure gli parve una sensazione piacevole quella della manina di Rin sulla sua gelida.
Una di quelle esperienze che avrebbe voluto ripetere.
Per un misero attimo, fu come se l’universo avesse smesso di muoversi e Sesshoumaru avesse infine trovato il suo posto nel mondo.
L’attimo dopo, l’incanto era già svanito e Sesshoumaru aveva brutalmente represso quelle sensazioni in un angolino buio e freddo della sua anima. Ammesso e concesso che ce l’avesse.
Rin seguitava a parlare instancabile, illuminando tutta la stanza con il suo sorriso festoso.
Poi, d’un tratto, balzò in piedi sul divano.
Sesshoumaru si ritrovò ad un soffio di distanza dalle cosce nivee della ragazza sulle quai spiccavano qualche graffio dovuto alla caduta o qualche vecchia cicatrice.
Inarcando un sopracciglio le chiese che cosa stesse facendo.
“Un attimo solo…” Gracchiò lei allungandosi verso la libreria alle loro spalle.
“Voglio farti vedere una cosa, ma non ci arrivo…”
Sesshoumaru si alzò di scatto facendo oscillare i cuscini del divano facendole perdere inesorabilmente l’equilibrio.
Rin rovinò sul morbido cuscino sopra al quale era stato seduto il demone fino a qualche secondo prima.
Si voltò verso di lui accigliata, pronta a chiedergli che caspiterina gli passasse per la mente, quando Sesshoumaru le sventolò davanti al naso un barattolo in formalina dentro al quale giaceva uno scarafaggio enorme.
“Volevi questo?” Chiese il demone apatico, portandosi il barattolo vicino al viso per poterne studiare meglio il contenuto.
Era un enorme scarafaggio, uno di quelli che fanno urlare terrorizzata la compagna di suo fratello.
“Quello è l’esemplare più raro di tutti.” Spiegò lei sorridendogli estasiata.
Come riuscisse ad innamorarsi di quei bacherozzi enormi restava un mistero.
“Vedi le macchie blu sulle zampe?” Chiese lei indicandogliele con il dito.
“Ecco, quelle identificano il sesso e l’età dell’esemplare. In particolare, questo è un maschio pronto per l’accoppiamento.”
“Lo intuisci dalle macchie?”
Rin annuì convinta, ricevendo in risposta soltanto uno sguardo scettico.
“La presenza di queste macchie indica che l’esemplare era nel periodo di corteggiamento quando è stato catturato. In pratica, i maschi sviluppato queste particolare colorazione per attirare le femmine.”
Sesshoumaru corrugò le sopracciglia assimilando quell’ennesimo rudimento di entomologia e lo accantonò in un angolo del suo cervello.
“Che sciocchezza…” Decretò infine poggiando il barattolo di formalina sul piccolo tavolino dinanzi a loro, sopra ad una pila di libri.
“Invece non lo è affatto!” Sbottò lei infine prendendo l’oggetto fra le mani e scrutandolo pensosa.
Si lasciò ricadere sul divano pesantemente, portandosi le gambe al petto e sospirando stancamente.
“Trovo bello che anche un insulso insetto come questo voglia distinguersi dagli altri anche se si tratta di accoppiarsi.
È come se cercasse di spiccare fra tutti… Insomma, non è forse quello che ognuno di noi cerca di fare?! Distinguersi dalla massa, lasciare un’impronta nel presente affinché chi verrà dopo possa sapere quello che hai fatto…” sorrise amaramente riadagiando l’oggetto laddove l’aveva depositato il demone.
“Non stiamo più parlando di insetti.” Constatò il demone sospirando.
Rin si morse il labbro inferiore a disagio e per un attimo un velo di tristezza le macchiò le iridi scure.
Alzò gli occhi dinanzi a sé, sul piccolo tavolo, e Sesshoumaru segui il suo sguardo fino ad una piccola foto sgualcita che fungeva da segnalibro.
Sul piccolo pezzo di carta svettavano sorridenti una ragazzina di pochi anni ed un giovane che la stringeva amorevolmente a sé, circondati da una fitta boscaglia.
Sesshoumaru dedusse che anche quell’uomo fosse un entomologo e che la ragazzina fosse una Rin più giovane. Entrambi immersi nel bosco alla ricerca di chissà che insetto da studiare.
Forse un tempo non gli sarebbe interessato, forse avrebbe lasciato perdere come se niente fosse, ma stavolta era diverso, lui era diverso.
Ed era inutile continuare a negarlo, quella ragazzina svampita lo aveva cambiato rincitrullendolo con le sue mille parole nel giro di un giorno.
Sospirò stanco.
“Tuo padre?”
“Mio fratello” lo corresse lei sorridendo mesta.
“Entomologo anche lui presumo.”
“Già… è grazie alla sua passione per gli insetti che è nata la mia. La maggior parte di questi libri li ho ereditati da lui, diceva che ero portata e che avrei scoperto qualcosa di sensazionale lasciando l’impronta nel mondo che lui non è riuscito a fare.”
Pronunciò quelle parole incassando la testa fra le spalle e distogliendo lo sguardo umido di lacrime dalla foto.
“Come è mancato?” Chiese il demone prendendo nuovamente posto accanto a lei.
“Un malore durante un’escursione nella foresta di Bora Bora. Stava cercando di studiare l’accoppiamento del Macropanesthia rhinoceros.” Spiegò lei rabbuiandosi completamente e sfuggendo agli occhi indagatori del demone.
Esattamente ciò che stava cercando di fare lei prima di spedirlo con la faccia nel fango. L’impronta che stava cercando di lasciare nel mondo era in onore del fratello, finendo ciò che lui aveva iniziato, riuscendo dove lui aveva fallito.
Sospirò stancamente. Il lavoro che aveva portato Rin a Bora Bora altri non era che il lavoro del fratello incompiuto. Stava cercando di concluderlo lei stessa, con le sue forze da chissà quanto tempo.
E Sesshoumaru non ci avrebbe mai creduto, non pensava neppure che fosse possibile una cosa del genere per uno come lui, ma quando la sua mano artigliata si poggiò placidamente su quella della ragazza se ne stupì lui stesso.
Un tocco effimero, pochi secondi, nel tentativo di confortarla.
Rin si voltò incredula verso di lui, un sorriso gentile ad adornarle le labbra rosee fra le guance umide.
“Grazie-…”
“Sesshoumaru.” La interruppe lui guardandola eloquente.
“Il mio nome è Sesshoumaru, quindi puoi smetterla di chiamarmi in quel modo ridicolo.”
E Rin rise divertita, sguaiatamente, semplicemente.
I pensieri tristi erano stati accantonati per un secondo e quel gesto di impacciato conforto l’aveva stupita e rincuorata.
Il rintocco dell’orologio della cucina la distrasse per un attimo costringendola a guardare l’ora.
Mezzanotte.
“Caspiterina! È Natale e tu sei qui con me! Non volevo monopolizzarti per tutto il giorno!” Trillò lei allarmata, schizzando in piedi come una molla.
“Non festeggio il Natale.” Spiegò lui brevemente sospirando annoiato.
“Ma sicuramente i tuoi amici e parenti lo festeggeranno ed io…” sospirò interrompendosi passandosi le mani nei capelli.
“Io sono stata una completa cafona, perdonami. Vuoi telefonare a qualcuno? Non ho un’auto, ma possiamo chiamare un taxi… credo che qualcuno ci sia ancora, forse”
Sesshoumaru la lasciò blaterare qualche secondo, poi si alzò dal divano ed andò verso la porta.
“A-aspetta!” Gracchiò lei a disagio guardandosi intorno confusa.
“Non ho intenzione di chiamare nessuno, Rin.”
“E come torni a casa? Siamo abbastanza lontani da Vaitape e-…”
“Volando.”
Rin lo guardò ammutolendosi con gli occhi sgranati.
“Mi stai prendendo in giro?” Chiese sospettosa incrociando le braccia al petto.
“No.” Rispose lui atono guadagnandosi un’occhiata scettica in risposta.
“Sono un demone.” Spiegò, come se la cosa fosse ovvia.
“Certo… è la tua spiegazione per ogni stranezza, vero?!” Lo derise lei sorridendole amichevolmente.
Prese il barattolo contenente il Macropanesthia rhinoceros e gli si avvicinò titubante.
“Anche se non lo festeggi… Auguri lo stesso!” Borbottò timidamente porgendogli il barattolo di vetro.
Sesshoumaru la scrutò incuriosito alzando un sopracciglio.
Perché quel comportamento? Perché regalargli qualcosa?
“Non occorre.”
“Invece sì!” Protestò lei mettendoglielo fra le mani con prepotenza.
“Se non lo vuoi come regalo di Natale, consideralo come un regalo di scuse!” Insistette lei ancora, sorridendole raggiante in quel modo che faceva mancare il respiro al grande demone.
Sesshoumaru sospirò ed accettò il regalo, ringraziandola con un cenno d’assenso.
Uscì dalla porta ed il fresco della sera gli carezzò l’epidermide del viso.
Non faceva freddo, erano su un’isola tropicale dopotutto, ma non c’era neppure quel caldo afoso che caratterizzava quei luoghi.
Per un misero istante gli parve quasi anormale allontanarsi da lei e tornare a casa di suo padre, ma represse quel malsano impulso scuotendo la testa ed innalzandosi in volo, lasciandola lì, in quella casa, a guardarlo con occhi sognanti.
 
 
 
“Quindi Sesshoumaru non ha mai instaurato il Legame con nessuna?” Chiese Kagome addentando l’ennesimo biscotto al cioccolato.
Se solo pensava a quanti ne aveva mangiati le veniva quasi voglia di andare a correre.
“Beh… ci fu quella Sara delle risorse umane!” Ricordò Inu passandosi una mano fra i capelli con fare pensoso.
“No papà, non aveva stretto il Legame con lei.”
“Dici? Sembravano affiatati…” ribatté il genitore trattenendo una risatina.
“Per quanto Sesshoumaru possa definirsi così… però passavano molto tempo assieme.”
“Erano scopamici! Per forza trascorrevano del tempo insieme!” Sbottò InuYasha diventando rosso l’istante dopo aver pronunciato quelle parole.
L’occhiataccia di sua madre per aver usato tale linguaggio non tardò ad arrivare ed il mezzodemone biascicò delle scuse.
“E poi sono mesi che non si vedono, se avessero stretto il Legame, a quest’ora sarebbero inseparabili!” Constatò InuYasha arraffando uno dei biscotti che Kagome aveva deciso di decimare.
“Ma c’è ancora speranza! Dopotutto è abbastanza comune che i demoni incontrino la loro anima gemella!” Esordì Izayoi prendendo posto accanto al marito e poggiando sul tavolo una teglia fumante di biscotti appena sfornati.
Il sorriso di Kagome si fece quasi diabolico vedendo così tanto dolcetti dinanzi ai suoi occhi.
“A dire il vero, per noi demoni cane è anche più facile.” Puntualizzò Inu tendendosi verso la teglia fumante con la mano, per acciuffare un biscotto, ma la moglie gliela schiaffeggiò via bonariamente.
“Sono per Kagome visto quanto le piacciono!” Spiegò la donna sorridendo soddisfatta che la cognata apprezzasse così tanto la sua cucina.
“Grazie Signora, sono spettacolari!” La festeggiò Kagome sorridente.
“Perché sarebbe più facile per voi?” Chiese poi, dopo aver trangugiato l’ennesimo biscotto.
“È come se venissimo calamitati verso la persona giusta… non è facile da spiegare, ma la nostra natura ci fa distinguere subito una cottarella passeggera dal vero amore.” Provò a spiegare InuYasha gesticolando all’impazzata per far capire alla compagna quel concetto semplice, ma complesso da spiegare.
“È come una sensazione, Kagome” intervenne Inu in soccorso del figlio.
“Sei diverso quando c’è questa persona. Ti migliora ed è difficile separarsi da lei, riesci a provare dei sentimenti molto più forti, amplificati.
Sei felice quando lei è con te e non sopporti stargli lontano. Ti senti abbandonato, svuotato.” Spiegò il demone rivolgendo uno sguardo innamorato alla sua compagna che, in risposta, arrossì timidamente.
“Come un cagnolino fedele quando il padrone esce e lo lascia a casa da solo” intervenne Izayoi con un sorriso scherzoso stampato sulle labbra.
Sia il marito che il figlio gli rivolsero uno sguardo scocciato, mentre Kagome scoppiò a ridere sguaiata sputacchiando briciole di biscotti ovunque.
“Eri più romantica quando ci siamo conosciuti.” Borbottò Inu scorbutico.
Izayoi gli catturò una mano e la strinse nelle sue, rivolgendogli il più luminoso dei suoi sorrisi.
“Non ho detto che sia una cosa brutta.”
In quel momento, il rumore sordo della porta dell’ingresso che si chiudeva li allarmò tutti quanti.
“È tornato?” Chiese bisbigliando Izayoi al marito ed Inu annuì silente.
Il demone si alzò dalla sedia ed attese che la figura del maggiore dei suoi figli si palesasse dinanzi a loro.
Non aveva dimenticato il modo in cui aveva trattato la sua compagna ed aveva tutta l’intenzione di far scusare Sesshoumaru come si deve.
Anche a costo di spargere il suo sangue per tutto il soggiorno.
Il giovane demone avanzò nel corridoio sentendosi come in un luogo sconosciuto.
Che diamine ci faceva lì?
Perché sentiva che era sbagliato?
E perché stringeva ancora quel barattolo di vetro fra le mani?
Oltrepassò l’arco in legno che affacciava sul soggiorno senza nemmeno degnare i presenti di uno sguardo, e si diresse sulla veranda che dava sul giardino privato.
InuYasha si voltò allarmato verso il padre, scambiandosi sguardi scioccati e confusi.
“… sbaglio o sembrava triste?” Azzardò il mezzodemone.
“Mi è sembrato anche a me…” concordò il genitore stupito da tale evento.
Suo figlio provava sentimenti?! Era in grado di fare una cosa del genere?!
“Come avete fatto a capirlo se ha sempre la solita faccia?” Bisbigliò Kagome a bassa voce per non farsi sentire dal cognato.
“Anni di esperienza.” Spiegò esaustivo InuYasha.
“Vado a parlargli.” Esordì infine Inu, facendo per aggirare il tavolo, ma Izayoi lo trattenne per la mano.
Il demone si voltò verso di lei confuso e la donna, con il sorriso sulle labbra, preparò un piatto di biscotti ed un bicchiere di latte.
“Vorrei andare io.” Spiegò mentre richiudeva la bottiglia in vetro.
“Cara, non credo…”
“Suvvia, Inu! Sono trent’anni che stiamo insieme e Sesshoumaru mi odia come se fosse il primo giorno.” Sospirò tristemente alzandosi da tavola.
“Vorrei almeno provare a farmi accettare…” Bisbigliò infine acciuffando il piatto ed il bicchiere per poi dirigersi verso la veranda dove era sparito il figliastro senza attendere risposta alcuna dai presenti.
InuYasha ed il padre si scambiarono uno sguardo preoccupato.
 
La luna brillava nel cielo maestosa ed imponente, illuminando il giardino rigoglioso a giorno. Lo sciabordio delle onde che morivano sulla spiaggia fungeva da dolce ninna nanna, accompagnata soltanto al frinire di qualche grillo molesto.
Sesshoumaru sospirò sconsolato chiudendo gli occhi.
Perché quella sensazione sbagliata non voleva saperne di andarsene?
Si sentiva come abbandonato senza lei o la sua vocetta instancabile nei dintorni.
Perché, se chiudeva gli occhi, il ricordo del suo sorriso illuminava il buio dietro le sue palpebre?
Il rumore della porta scorrevole della veranda lo distrasse dai suoi pensieri.
L’odore della compagna di suo padre gli punse le narici, accompagnato dal piacevole profumo di biscotti e latte.
Non si voltò verso di lei, non ne aveva bisogno per sincerarsi di chi fosse.
Quindi rimase lì, seduto sulla panchina in attesa che la donna lo raggiungesse.
Izayoi si sedette al suo fianco silenziosamente, porgendogli o biscotti ed il latte.
“Ho pensato che avessi fame.” Esordì lei sorridendo amorevolmente, ma ricevendo in risposta soltanto un tiepido sguardo.
“Che fine ha fatto il tuo completo?” Chiese all’improvviso la donna, stupita di vederlo con abiti comuni e semplici.
“È da Rin.” Rispose lui sospirando.
“Oh… e chi sarebbe? Un’amica?” Tentò la donna, ma Sesshoumaru si limitò a sospirare stancamente.
Izayoi si morse il labbro inferiore a disagio, cosciente del fatto che Sesshoumaru non si sarebbe mai aperto con lei.
Non l’aveva accettata in trent’anni, figurarsi se si fosse mai confidato con lei!
Ma che diamine le saltava in mente?! Fargli una domanda così diretta senza mezzi termini!
Non si sarebbe stupita se l’avesse mandata al diavolo in quel preciso istante! Dopotutto non erano affari suoi, come si permetteva…
“Non lo so.” Confessò il demone in un sussurro e la donna sobbalzò per lo stupore.
Era una conversazione quella che stavano avendo?
“Come mai?” Chiese lei titubante cercando di rilassare il più possibile la sua postura rigida e nervosa.
“Non lo so.” Ripeté il demone, stavolta inasprendo leggermente il tono di voce.
E non perché gli desse fastidio che la compagna di suo padre stesse ficcanasando nei suoi affari. Almeno non così tanto.
Il vero motivo per cui si sentiva così inquieto era perché davvero non sapeva come definire Rin.
Non era un’amica, lui non aveva amici. Non era nemmeno una conoscente, troppo riduttivo.
Si sentiva così confuso, seduto sulla panchina a pensare a lei ed al suo sorriso splendido.
Scosse la testa e si passò una mano fra i capelli realizzando il suo ultimo pensiero.
Davvero era riuscito ad elaborare quel complimento?
Perché? Non gli era mai successo, perché adesso aveva solo parole gentili per lei nella sua mente?
“Magari posso aiutarti a fare chiarezza!” Esordì Izayoi sorridendogli amichevole.
Sesshoumaru le rivolse l’ennesima occhiata di sufficienza.
Cosa voleva saperne una stupida umana di quello che sentiva un demone?
“Dai, parlami di lei!” Aggiunse infine la donna, avvicinandosi leggermente a lui.
Da dove le venisse tutta quella sicurezza, Sesshoumaru davvero non lo sapeva.
“È chiacchierona.” Iniziò il demone prima di addentare un biscotto.
“Intelligente e bassa.” Fece una pausa, corrugò le sopracciglia pensoso ed acciuffò un altro biscotto.
“Le piacciono gli scarafaggi.”
“Te lo ha regalato lei… quello?” Chiese la donna indicando con una faccia schifata, il barattolo fra le mani del demone.
Sesshoumaru annuì.
“Tu cosa le hai regalato?”
“Niente.”
“Non è molto carino da parte tua, lei ti ha fatto un regalo dopotutto.” Constatò la donna porgendogli il bicchiere colmo di latte, ma Sesshoumaru lo rifiutò preferendo continuare a prestare la sua attenzione ai biscotti.
“Non festeggio il Natale, gliel’ho detto.” Si giustificò il demone.
“Eppure lei ti ha voluto comunque fare un dono… non pensi che forse avresti dovuto ricambiare per gentilezza?”
Sesshoumaru corrugò maggiormente le sopracciglia contrariato.
Gentilezza?! Lui?
Ma che scherziamo?! Lui non era mai stato il genere di persona che fa cose per gentilezza!
Non credeva affatto che fosse necessaria una cosa simile, così da umani.
La vita è sempre stata una sfida per lui e se voleva qualcosa, se la prendeva senza problemi. Non esistevano regali o gesti compiuti senza secondi fini. Nessuno era mai stato gentile in tutti quei secoli e nessuno lo sarebbe mai stato.
I demoni mirano al potere e farebbero di tutto pur si raggiungerlo, anche fingere gentilezze. Sua madre glielo aveva fatto ben capire quando era ancora un cucciolo, quando si era premurata lei stessa di insegnargli la dura vita di un conquistatore.
Anche se, pensandoci bene, Rin era umana e forse un gesto gentile e disinteressato avrebbe assunto un altro significato ai suoi occhi.
In fondo, ciò che era inutile per i demoni, poteva non esserlo per gli umani, così tremendamente abituati ai rapporti sociali.
Meditò a lungo sulle parole di Izayoi mentre gustava i biscotti.
Poi, d’un tratto, la donna prese parola schiarendosi la voce.
“Se hai bisogno di qualche consiglio, non esitare a chiedermi. Vorrei esserci per te, Sesshoumaru.” Bisbigliò infine, con le guance rossissime e le mani che tremavano.
Il demone la guardò con sufficienza, chiedendosi cosa la spingesse con così tanta ostinazione a voler cercare un punto d’incontro con lui.
Infine sospirò stancamente, Sesshoumaru, addentando anche l’ultimo biscotto ed alzandosi dalla panchina.
Izayoi espirò sconsolata non udendo alcuna risposta. Forse aveva esagerato con quell’ultima frase… in fondo, quella era la loro prima vera conversazione!
Aveva corso troppo, bruciato le tappe e rovinato qualsiasi possibilità di instaurare una sorta di rapporto pacifico.
“Ho già in mente qualcosa.” Esordì il demone sfilandole davanti senza degnarla di uno sguardo.
Izayoi sorrise malinconica ed allungò la mano verso il piatto abbandonato al suo fianco.
“I biscotti erano buoni.”
Furono le ultime flebili parole che la donna udì prima che un fruscio di vento annunciasse  il decollo del demone.
La donna si portò una mano al petto nel tentativo di calmare i battiti impazziti che minacciavano di sfondarle la cassa toracica, mentre qualche lacrima le corse ad inumidire le guance.
Perché d’improvviso quelle parole somigliavano tanto ad un “grazie”?
 
 
Dopo qualche minuto, Sesshoumaru fu di nuovo davanti alla porta di Rin.
Il suo animo non era stato mai così in tumulto. Tutta la sicurezza e la freddezza che lo avevano caratterizzato in tutti quei secoli si erano dissolti come neve al sole.
La luna era già alta da un pezzo, le stelle brillavano incontrastate nell’oscurità della notte e le sue mani sudaticce indugiavano chiuse a pugno.
Bussare o non bussare?
Sicuramente stava dormendo a giudicare dal silenzio regnante nella casa.
L’idea di tornarsene alla villa di suo padre gli aveva carezzato la mente più volte, ma la voglia di vederla ancora e di vedere di nuovo quel suo sorriso, avevano preso brutalmente il sopravvento.
Si passò una mano fra i capelli umidi della frangetta.
Che diamine stava facendo?
Il grande Sesshoumaru, il principe dei demoni, che indugia titubante sull’uscio di una donna umana.
Se i suoi vecchi nemici lo avessero visto in quel momento, si sarebbero fatti sicuramente grasse risate.
“Fanculo!” Imprecò a denti stretti, asciugandosi le mani sui pantaloni stretti della tuta.
Perché diavolo non si era cambiato?
Era ancora vestito come un perfetto idiota, con quella strana coda di cavallo che gli aveva fatto lei.
D’improvviso, la porta si aprì da sola, rivelando una Rin decisamente sorpresa di vederselo lì davanti.
“Sesshoumaru? Che ci fai qui?” Chiese lei stupita.
Il demone la squadrò curioso. Indossava una comoda tuta, le scarpe da trekking, l’immancabile – quanto immenso – zaino giallo sulle spalle ed una torcia accesa fra le mani.
“Dove vai?” Chiese invece lui di rimando, ignorando le sue domande.
“Vado nel bosco! Voglio riuscire a scovare qualche Macropanesthia rhinoceros pronto per l’accoppiamento!”
“Di notte?”
“Sì”
“Da sola?”
“Già!” Rispose lei sorridente prima di rivolgergli uno sguardo furbo.
“A meno che tu non voglia unirti a me…” concluse infine voltandosi a chiudere la porta di casa, quando Sesshoumaru vi poggiò contro la mano impedendole di compiere quel gesto.
Rin si voltò verso di lui confusa, trovandoselo ad un palmo dal naso che la squadrava con occhi famelici.
Quello non era uno sguardo normale! La stava letteralmente mangiando con gli occhi!
Suo malgrado, la ragazza si ritrovò a confermare quel pensiero che l’aveva tormentata per tutto il giorno. Sì, Sesshoumaru era davvero, davvero, sexy.
Il demone ghignò innalzando leggermente un angolo della bocca in una pallida imitazione di un sorriso ammaliante.
Il respiro di lei era accelerato improvvisamente ed i suoi battiti cardiaci avevano subito una brusca impennata.
La vide arrossire fino alle orecchie, incapace di distogliere lo sguardo dai suoi occhi.
E Sesshoumaru godette di quella timidezza, di quell’affanno e del rumore del suo cuore impazzito. Godette come un matto vedendola titubante sul da farsi per poi, infine, chiudere lentamente gli occhi come in attesa di qualcosa.
Sesshoumaru strinse il barattolo con lo scarafaggio nella mano, inspirò a fondo il suo odore paradisiaco e si abbassò ancora, abbandonandosi contro quelle labbra soffici e delicate.
Fu un tocco leggero, effimero, come un battito d’ali di farfalla.
Non le dette neppure il tempo di abituarsi a quel tocco che già si era allontanato, squadrandola con aria derisoria ed un sopracciglio alzato.
Rin rimase qualche secondo ancora con gli occhi chiusi e le labbra tese, prima di realizzare che il bacio era già concluso e che stava facendo la figura della cretina.
Aprì gli occhi e Sesshoumaru la stava fissando. Un timido sorriso sghembo ad innalzargli l’angolo della bocca.
“Ehm… A-Allora… V-Vieni anche t-tu?” Gracchiò lei a disagio, mentre le sue guance s’imporporarono sempre di più. Per la prima volta, Rin non sapeva cosa dire.
Il primo pensiero di Sesshoumaru fu che bastava davvero poco per farla tacere.
Il secondo fu che sarebbe certamente andato con lei nel bosco.
Il terzo fu che probabilmente non avrebbe fatto firmare i documenti a suo padre e suo fratello e che non sarebbe tornato in Giappone.
Un senso di felicità gli gonfiò il petto nel momento esatto in cui realizzò di aver finalmente trovato il suo posto nel mondo.





ODORE: Sudore
LUOGO: Bora Bora
ELEMENTO NATALIZIO: Regalo        
EXTRA: COMMISSIONE




Buongiorno ^^
Spero ch questa "cosa" vi sia piaciuta... onestamente non era quello che avevo in mente, o meglio, l'idea di fondo c'era, ma in corso d'opera ha preso una piega differente. Non mi dispiace, sinceramente parlando, ma non mi convince neppure a pieno :/
L'ho già modificata troppo per i miei gusti, riprendendola in mano circa 5/6 volte ed aggiungendo o tagliuzzando qua e là. Quindi basta xD
Ho inserito la nota OOC perché Sesshoumaru non mi pare propriamente lui. A tratti è troppo /buono/ e non vorrei osare non aggiungendo la nota ^^"
Rin è piena di piercing, lo so xD ma è giusto che metta un po' di me in lei dopotutto e quindi... BAM! vi beccate il mio debole per i piercing xD che tra le altre cose, quello all'ombelico è stato il mio autoregalo di Natale :D
PICOLI APPUNTI:
Il mega bacherozzo che Rin regala a Sesshoumaru esiste davvero ed è orribile xD la storia delle macchie me la sono inventata di sana pianta però.
Il clima è indubbiamente caldo afoso e acqua a catinelle. Ad ogni modo, dopo un'acquazzone e dopo un'escursione nel bosco a fare i fanghi, vi posso garantire che non si sente poi tutto 'sto gran caldo ed una cioccolata calda non si rimanda indietro con leggerezza :D
Tutto questo per giustificarmi del fatto che no, non sono rincoglionita tanto da far sentire freddo ai miei personaggi su un'isola caldissima xD

Con ciò, mi rimetto all'opera e /spero/ di pubblicare i prossimi capitoli di Like pretty woman e Un amore di capo, rispettivamente la prossima settimana e quella dopo ancora.
Grazie per l'attenzione, la direzione vi augura una buona giornata :D
  
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