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Autore: summers001    21/12/2017    1 recensioni
Captain Swan | AU | Nel mondo reale senza magia.
Dal testo:

"Allora," fece la poliziotta sexy "chi è lo sposo?"
Dal fondo della sala partirono una serie di urla di ragazzi e uomini più adulti che gridavano una serie di "io, io, io" per cercare di convincere la spogliarellista.
L'uomo alzò la testa al cielo e cominciò a ridere. Si morse le labbra quando vide la spogliarellista scendere le scale con fare aggressivo ed avvicinarsi. Gli si sedette addosso, mentre dal fondo della sala qualcuno ululava.
L'amica gli passò sul tavolo una serie di banconote. L'uomo le strinse, non sicuro di voler mettere le mani in tutta quell'abbondanza.
"Che direbbe tua moglie?" gli sussurrò la spogliarellista.
"E chi lo sa!" rispose l'uomo quasi intimorito. Non s'aspettava di scoprirsi timido in quella situazione.
"E dai, Killian!" lo spronò l'amica, che s'avvicinò alla spogliarellista e le infilò un paio di banconote nel reggisenoA Killian faceva comodo di sicuro avere un'amica lesbica e così estroversa. Non sapeva infatti cosa aspettarsi per il suo addio al celibato e a tutto poteva pensare eccetto che ad uno strip tease.
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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12.




18 aprile 2016, undici di mattina
"Ci siamo!" fece Killian dopo aver parcheggiato tra due coni arancioni della polizia stradale, in un posto che gli era stato detto riservato solo a lui. Spense l'auto mentre la radio rimase accesa col rumore di sottofondo del telecronista che annunciava la canzone che sarebbe diventata la prossima hit dell'estate. Ascoltò la musica per un po', provò a decidere se gli piacesse oppure no per poi rinunciare, già sapendo che l'avrebbe canticchiata ed avuta in testa per tutta la stagione.
"Killian," gli fece il fratello Liam facendosi serio, scrollando il fratello dal suo mondo di note musicali. Cominciò a giocare con le dita, cosa che gli era completamente estranea, guardarsi le unghie e leccarsi le labbra. "avrei dovuto dirtelo prima, ma..." continuò poi e sembrò un momento infinito in cui studiò le espressioni di Killian, preoccupato, che si metteva meglio a sedere girandosi verso di lui, come se s'aspettasse una cattiva notizia. "l'azienda mi trasferisce." andò avanti Liam a dire, guardando qualcosa rompersi dentro al fratello che di certo si stava ricordando dell'ultima volta in cui gli aveva detto una frase del genere e si sentì subito in colpa. "Nel Maine." aggiunse allora veloce sorridendo. "Torno a casa.".
Il volto di Killian si distese immediatamente e dopo che il pericolo di un secondo trasferimento, magari in Groellandia o in Australia, fu scampato, la consapevolezza di riavere suo fratello a casa lo fece sorridere e saltare ad allugargli la mano e tirarselo addosso per abbracciarlo per la prima volta dopo l'infanzia. "Credevo dovessi dirmi che hai pochi mesi di vita." esagerò per piazzare una battuta e sdrammatizzare.
"Consideralo un regalo di nozze." aggiunse Liam ed allora si separò da lui, facendo cenno verso il finestrino ed invitandolo ad uscire finalmente verso il giorno che Killian aveva tanto atteso.
La magia si stava realizzando: era lì per sposarsi. Poco importava l'occhio ammaccato, il vestito nero e non blu, i gemelli che non aveva, la fretta con cui avevano organizzato quella cerimonia, la mancanza dei fiori e i pochi invitati che avevano potuto racimolare in così poco tempo. Non gli importava niente. Eppure appena mise il piede fuori dall'auto sapeva che c'era qualcosa che non andava.
Fino al giorno prima, Killian Jones non aveva ancora neanche immaginato come il suo matrimonio si sarebbe presentato: delle bruttissime transenne in acciaio limitavano il traffico sul ponte di Brooklyn, tre file di auto erano bloccate davanti ad un cartello che avvertiva della limitazione del traffico, il rumore dei clacson riempiva l'aria rendendo impossibile sentire qualsiasi cosa; il vento gli colpiva la faccia (ed il livido) e faceva ondeggiare i vestiti di quei pochi invitati che erano già sul posto e che se ne stavano in piedi stufi ad aspettare; l'odore di carburante e di frizione bruciata disturbava il naso, facendo a tratti agitare lo stomaco che domandava cibo; il celebrante davanti a tutti, dall'altro capo della carovana di persone, che conversava a squarciagola col violinista, che si teneva una mano sul padiglione dell'orecchio per sentire meglio; l'asfalto era già caldo ed un po' bruciava sotto le scarpe; il sole si rifletteva sull'acciaio delle sospensioni del ponte, ingannando la vista ed accecando, costringendo gli invitati che passeggiavano a portarsi una mano tesa sulla fronte.
Killian era forse disposto ad ammettere a posteriori che sposarsi su quel ponte non era stata poi una grande idea. "Un sogno che si avvera." bisbigliò ironico tra sé e sé, senza staccare gli occhi dalla visione sconfortante che gli si parava davanti.
"Hm?" fece Liam dietro di lui, tirando le sopracciglia all'insù confuso. Forse era l'unico che s'era aspettato un gran macello, ma, poco prima in auto, si era ripromesso di non dire niente e di non interferire nella vita del fratello a cui non avrebbe fatto piacere una nuova intromissione. "Che fai lì impalato?" gli urlò perché lo sentisse. Gli diede un colpetto col gomito tra le costole, risvegliandolo dal torpore e lo incitò con un "Andiamo!".
I due camminarono venti metri prima di arrivare sul punto preciso dove si sarebbe tenuta la cerimonia. I bordi di una grande X rossa incollata sull'asfalto sporgevano da sotto un tavolo lungo e stretto, coperto da una tovaglia bianca col merletto ed un libro che aveva le sembianze di un registro su cui era posata una penna biro nera vecchia e consumata. Killian immaginò di doversi far trovare lì davanti a quel tavolo. Prese un respiro profondo, ingoiò saliva e si avviò. Man mano che camminava le persone gli si aprivano ai due lati, dandogli proprio l'impressione di percorrere una navata. Il fratello si era fermato indietro sul lato sinistro della folla.
Killian guardò tutti i presenti girandosi prima da un lato poi dall'altro, all'inizio senza riconoscere nessuno, poi i volti si schiarirono come se li avesse appena messi a fuoco e mano mano che succedeva si mise a salutare. Fece un cenno del capo a Walsh che era in fondo ad una delle due file e stringeva la mano di una ragazza sconosciuta; sorrise a Lily, l'amica di vecchia data di Emma con cui avevano perso i contatti fino a qualche giorno prima, unica sua vera invitata; si prese una pacca sulla spalla da Robin ed una stretta di mano da sua moglie che gli fece gli auguri. Dorothy, vestito verde lungo fino al ginocchio con una cintura sotto al seno, gli si avvicinò e gli allungò freddamente la mano. Killian, confuso, gliela prese e l'agitò. La vide allora sorridere con quell'espressione di velato disprezzo a cui era abituato che piano piano si addolciva, fino a che lei mollò la presa e l'abbracciò, così dal nulla, per la prima volta in tutta la sua vita. S'adeguò allora anche lui, tirando un sospiro di sollievo tra i suoi capelli ed una mano tra le scapole.
"Imbecille." gli sussurrò lei, per non smentirsi e per non perdere l'abitudine. Era uno dei primi complimenti che lei gli aveva regalato, che lui aveva portato dignitosamente per tanto tempo e che gli si era spiccicato da dosso la notte in cui aveva lasciato Milah ed i due avevano capito di essere in fondo molto simili.
"Stronza." rispose lui, in nome dei bei vecchi tempi.
Dorothy sorrise, lo prese per le spalle e lo guardò. Decise che quel momento di tenerezza poteva durare solo pochi secondi e lo salutò per allontanarsi e tornare al suo posto, dove si mise ad aspettare controllando il suo telefono in attesa della fidanzata.
Dietro di lei comparve una seconda figura femminile familiare, più bassa, meno slanciata ma più morbida, lunghi capelli neri sciolti sulle spalle, un vestito elegante color cipria ed oro dai delicati disegni baroccheggianti, con uno scialle bianco che copriva la pelle nuda dal vento primaverile. Milah. Aveva una borsa appesa alla spalla ed una giacca stretta in una mano e lo guardava con un faccia incredula. Appena le fu davanti, l'atteggiamento di lei cambiò, diventando imbarazzato e confuso. Si strinse il polso unendo le braccia sotto al seno ed abbassò lo sguardo. Quel semplice gesto accese un flash nella mente di Killian, che ricordò in un momento tutta la loro storia: quando l'aveva conosciuta e lei s'era portata i capelli dietro all'orecchio; quella sera che erano usciti per la prima volta e le aveva comprato lo zucchero filato; il giorno del diploma, quello in cui lei lo abbandonò per andare al college, quello in cui lui la raggiunse perché non riusciva più a stare da solo; il giorno che arredarono casa e la baciò nel mezzo di un corridoio di un mobilificio svedese; il lavoro, le persone e la vita che li allontanarono fino alla sera in cui si lasciarono e lui le promise che l'avrebbe invitata al suo matrimonio e lei gli promise che sarebbe venuta. Ed eccola là nel suo vestito firmato in piedi davanti a lui che non sapeva cosa dire, proprio come la prima volta.
"Non credevo saresti venuta." fece Killian ed in ritardo si rese conto di non averla neanche salutata o ringraziata per essere là, che con quello che aveva detto pareva la stesse cacciando dalla festa. Strinse gli occhi, agitò una mano affrettandosi a correggersi e tentennando con le parole. "Non hai risposto all'invito."
Stranamente Milah sorrise. Il velo di imbarazzo le copriva ancora il viso, ma si era aggiunto qualcos'altro che forse era malinconia e che era sicuro trasparisse anche dai suoi occhi. "Stai sposando una persona molto persuasiva." si limitò a spiegare lei.
Killian guardò verso la strada davanti alle transenne, come se in quel momento potesse materializzarsi Emma, che in passato aveva odiato a tal punto la sua ex fidanzata da pregarla di venire al loro matrimonio per farlo felice. Si passò due dita sopra agli occhi emozionato e, di nuovo in quella giornata, la consapevolezza di aver fatto la scelta giusta lo colpì come un fiume in piena.
Non riusciva ancora a dire niente o a guardarsi attorno quando due dita fredde gli toccarono lo zigomo ammaccato ed un dolore pungente lo riportò alla realtà. "Ahi!" esclamò balzando quasi.
"Che hai fatto alla faccia?" gli domandò Milah allungata verso di lui.
Killian si coprì istintivamente il volto con una mano prima di ricordarsi che aveva combinato. "Stanotte ho avuto voglia di pancake." rispose, cercando di spiegarsi.
Milah lo guardò confusa. "Accipicchia, te l'ho sempre detto che fa male mangiare tardi!" rispose lei con educazione ed una frase di circostana, condita però con quel tono da maestrina o da mammina che Killian aveva completamente dimenticato, offuscato dall'effetto della malinconia. Per un momento pensò che se avesse sposato lei, sarebbe stato come sposare suo fratello. Si ricordò immediatamente allora di Liam, della sua domanda quella mattina e lo cercò con lo sguardo.
"Già." rispose solo Killian, perso in quel pensiero, immaginandosi a giocare al gioco delle coppie proprio come aveva fatto lei diversi anni prima. "Ti ricordi di mio fratello?" chiese mentre lo cercava e gli faceva cenno di avvicinarsi.
Milah gli stava rispondendo qualcosa, ma Killian aveva già smesso di ascoltare e guardava il fratello che invece si avvicinava con le mani nelle tasche dei pantaloni e la giacca leggermente sollevata ed arricciata sui polsi. "Oh!" cominciò Liam con voce di finto stupore una volta raggiunti i due "E chi è questo giovanotto?"
La fronte di Killian si corrugò chiedendosi dove il fratello avesse battuto la testa. Lo vide poi abbassarsi e sedersi quasi sui talloni a meno di un metro da lui, ma guardava oltre. Allora si girò anche lui e vide un bambino dai capelli neri e gli occhi chiari che si manteneva goffamente in piedi, sorretto per entrambe le mani dalla madre, Milah, che lo incoraggiava e faceva le presentazioni. "Neal." rispose lei, usando la sua voce per lui "Mi chiamo Neal." parlò piano perché anche il bambino assorbisse e capisse.
Killian la guardò a bocca aperta. Si sentì trasportato indietro nel tempo a quando lei gli raccontava di tutti i suoi cambiamenti del ciclo mestruale ed un po' rimase stranito o interdetto: avrebbe voluto chiederle perché non gli avesse mai detto niente, un messaggio, una chiamata, o perché non avesse menzionato alla cosa in quei pochi minuti. Tuttavia le sorrise lo stesso e lei sorrise a lui ed andava bene così. Era andata come doveva andare ed era felice.
Dopo lo stupore iniziale era arrivata la consapevolezza: la vita si stava completando per tutti, era la fine di un viaggio di incertezze che li aveva portati tutti alla coscienza finale, che altro non era che l'inizio di un nuovo percorso ancora più bello di quello di prima. Guardò Milah tenere in braccio suo figlio di poco più di un anno, tenergli la mano e far finta di salutare; guardò Liam, prossimo al trasferimento nel più vicino Maine, la sua vecchia famiglia riunita; il vecchio amico Walsh, che finalmente era andato avanti e si era trovato una bella ragazza dai capelli rossi; Lily, l'amica di Emma, tornata per riallacciare i rapporti; Robin e gli altri colleghi di lavoro, che l'avevano accolto in quella piccola comunità, portandolo un passo più vicino al suo sogno; Dorothy, che staccava gli occhi dal cellulare, per alzarli e vedere poi lei; Ruby, appena arrivata in uno strettissimo abito rosso, che salutava la fidanzata, raggiungeva Killian e lo abbracciava forte, spingendogli prima in mano e poi in una tasca una scatolina di velluto, che lui già sapeva essere blu coi bordi dorati. Ne ricordava perfettamente il peso, l'aspetto, la sensazione del tessuto sotto i polpastrelli.
Sentì la sua amica singhiozzare ed allora se la staccò da dosso e la guardò: le linee nere nette attorno agli occhi le mettevano più in evidenza il rossore delle sclere; la punta del naso cominciava ad abbinarcisi e Ruby fu costretta ad asciugarsi col dorso della mano. "Sono felice per te." riuscì a dire solo e lo abbracciò di nuovo.
Killian si strinse in quella morsa emozionante, riuscendo a tirar fuori solo un misero "lo so" dalle labbra ed un "grazie" prima di cader preda delle lacrime anche lui.
"Se non mi piacessero le donne..." cominciò ad ipotizzare lei, mentre con gli occhi aperti ed il mento sulla spalla dell'amico cercava di ritrovar contegno. Era un mantra che chi li conosceva recitava sempre: se a lei non piacessero le donne, fareste una gran bella coppia. Col tempo avevano cominciato a crederci anche loro ed a giocare su quell'affermazione, usando sempre più spesso parole come "tesoro" ed "amore", scambiandosi toccatine fugaci e giocose, baci a fior di labbra che Dorothy feceva fatica a capire all'inizio, di cui Killian doveva vergognarsi con Milah, ma a cui ad Emma non aveva mai dato peso.
"Lo so." rispose Killian di nuovo, stringendosela ancora di più ed inalando l'odore del suo balsamo e della lacca per capelli. Per qualche secondo si figurò la vita con Ruby, le serate spericolate, una casa in perenne disordine, la gestione del pub, le partite e le birre allo stadio, la malizia e forse anche la gelosia. Pensò a quanto un solo dettaglio, un incontro casuale, una tazza di caffé versata o le paranoie di un'ex fidanzata potessero cambiare la vita. Pensò che tutto quello che gli era successo fino ad allora non era altro che un lungo percorso di coincidenze fortunate che l'aveva portato fino a quel momento, tra le braccia della sua migliore amica ad aspettare la sua fidanzata, prossima ad essere sua moglie, sotto all'altare ad una cerimonia improvvisata, brutta e con pochi invitati, che però aveva lo spirito di un'avventura, di lui e di lei.
Vide tutto questo anche negli occhi di Ruby, che gli fece un cenno con la testa e con gli occhi, come se avesse capito. Poi lei si pulì quella unica lacrima solitaria sulle labbra con la lingua, più chiara del suo rossetto. "Sta arrivando." gli bisbigliò di nuovo ed in un istante fu via, prima che Killian potesse capire di cosa stesse parlando, perso nei suoi pensieri, distratto come se non fosse il giorno del suo matrimonio.
Allora alzò lo sguardo ed ancora immerso in quella spirale di stupore e confusione che lo circodava e circondava la vita di tutti, vide lei. Emma.



29 Luglio 2015
Il giorno prima si poteva che fosse stato il più lungo della vita di Emma.
Si era svegliata alle tre del mattino dopo solo due ore di sonno con la sveglia del cellulare di Killian che le martellava contro il cranio, vibrava sul comodino urtando continuamente la superficie dura di legno e come se non bastasse, lui s'era messo a punzecchiarla, togliendole anche quei decisivi cinque minuti che normalmente si sarebbe presa. Gli aveva lasciato il bagno ed era corsa invece in cucina, dove aveva preparato il caffé, che aveva bevuto nero per una volta, come lo prendeva sempre lui, più per caso che per volontà, ancora troppo pigra per poter recuperare il latte dal frigo e lo zucchero dalla mensola. Il sapore era stato talmente disgustoso da aver avuto però l'effetto di svegliarla all'istante con un sol sorso. Si era poi preparata la valigia, cosa che aveva sempre rimandato, e poi alle quattro era arrivato il taxi che li aveva portati alla stazione, dove avevano preso un treno che li aveva portati all'aeroporto alle sei di mattina, dove avrebbero dovuto fare il check-in ed essere pronti ad imbarcarsi per le sette per essere poi a miami alle otto ed in spiaggia alle nove. Il programma era rigido e non era da Emma seguire uno schema così definito, ma si era ripromessa di farlo: per la spiaggia, per il mare, per galleggiare nell'acqua salata.
Tutto quello che poteva andare storto però era andato storto: il taxi aveva trovato traffico nonostante il cielo fosse ancora buio, il treno si era bloccato per dieci minuti in galleria, la fila per il check-in sembrava infinita e come se non bastasse le condizioni metereologiche avevano interferito con le partenze.
Killian ed Emma erano rimasti bloccati all'aeroporto di New York, seduti a terra ai piedi di un gigantesco cartonato pubblicitario, in mezzo a tanta altra gente che sbraitava e sbuffava per i ritardi. Come se non bastasse, tutta quella gente aveva delle borse, che ingobravano, con cui si scontravano e a volte lasciavano i lividi, che li rendevano goffi e li appesantivano, rendendo ancora più intollerabile quella permanenza ed estremamente difficile muoversi. Persino il secondo caffé della giornata non servì a metterli di buon umore: dovetterlo berlo in piedi o di nuovo a terra, al massimo seduti sul bagaglio a mano. Gli altri passeggeri continuavano ad urtarli e i due continuavano ad urtare loro, così che il caffé che finì a terra fu più di quello che riuscirono a mandar giù. Avevano deciso allora di prendere le loro borse, sistemarsele a mò di zainetto e fare un giro tra i negozi. Emma si era comprata un cappello di paglia per il sole, anche se le sembrava estremamente lontano e Killian aveva provveduto a rifornirsi di parole crociate che avrebbe compilato più tardi con lei, prima davanti al gate e poi sull'aereo.
Quando finalmente partirono erano le quattro di pomeriggio. Erano arrivati a Miami affamati, con la vescica piena di coca cola comprata a bordo ed i vestiti ricoperti di briciole di salatini. Il secondo taxi che li portò davanti all'albergo sembrava una fornace. Presero la via più veloce, poco panoramica, così tutto quello che entrambi potettero ammirare erano palazzi e negozi. Niente di diverso da New York.
Avevano entrambi le occhiaie lunghe fino a terra e seppur stremati, nessuno dei due aveva perso il buon umore. Killian aveva cominciato a scattare foto, cosa che in genere faceva lei, lasciandola stranita ma sorridente. Si stava sbizzarrendo, cercando le giuste angolazioni e la luce giusta per farle una foto e poi farla ad entrambi. Quella fotografia sarebbe finita un mese dopo sul piano della cucina, tra il portabiscotti e il frullatore.
Quella sera passeggiarono sul lungomare, mangiando un panino, patatine fritte e più tardi un gelato. Non parlarono molto, impegnati com'erano prima a combattere la fame poi il sonno, se non per commentare ancora una volta l'ultimo episodio di quella serie tv coi draghi. Tornarono in hotel alle dieci e un quarto di sera, addormentandosi poco dopo essersi infilati il pigiama.
Successe allora che una mattina che sembrava come tante, Emma si svegliò, ma era a Miami in una stanza d'albergo che dava sul mare, con le tende bianche che sventolavano nella luce fioca della prima parte del giorno. Si girò e c'era Killian che dormiva ancora stremato dall'orrendo viaggio. Aveva i capelli in disordine, la bocca aperta ed una maglietta blu di pigiama sollevata sulla pancia gonfia da abbuffata della sera prima. Insomma non proprio nella sua forma migliore, eppure era diverso. Le fece uno strano effetto al cuore, come se mancasse un battito e poi ripartisse come un razzo. Diversi pensieri cominciarono a fare capolino nella sua mente, ma erano troppo confusi per capirli bene.
La scatolina piccola e blu scuro di una gioielleria era posata su un comodino. La guardò, si allungò per prenderla e la aprì. Una catenina con un ciondolo tondo ed un cigno incastonato occupavano interamente il cuscinetto bianco. La squadrò, forse un po' delusa perché credeva che fosse qualcos'altro e poi se la appese al collo.
Il telaio della finestra creava una cornice perfetta attorno al dipinto ad olio che altro non era che il paesaggio che si poteva ammirare da qualsiasi camera di quell'albergo: il colore grigio tenero del cielo presagiva pioggia; le palme alte raggiungevano con le loro foglie il secondo piano, mostrando come un pennacchio verde in mezzo a quel mare di nuvole. Era come essere immersi in un oceano di sensazioni: l'odore del mare filtrava prepotentemente attraverso le tende, il rumore delle onde era coperto dal chiacchiericcio dei surfisti mattinieri.
Più tardi in spiaggia sul tramonto arancione, con i piedi nell'acqua, il mare da un lato e Killian che le teneva la mano dall'altra, le ricapitò la stessa sensazione ed uno di quei pensieri incasinati divenne chiaro. Fu proprio come disse Ruby l'anno prima: un giorno ti svegli e sei diversa.
"Ehi." disse lei fermandosi. Gli si mise davanti tendendogli ancora la mano. Le punte dei capelli le ondeggiavano col vento. La gonna bianca era sporca di acqua e sabbia, in un fango granuloso che s'era appiccicato all'orlo.
"Ehi." disse lui senza capire.
Emma si abbassò piano piano. Gli mise le mani sul petto e cominciò a scendere fino ad arrivare con le ginocchia a terra, un po' instabile per l'emozione. Nel frattempo arricciava le mani all'orlo della camicia di lui, s'appendeva ai passanti dei suoi pantaloni, toccava la cintura, il tessuto ruvido dei jeans, gli passò il dito indice sulla coscia mente sorrideva soddisfatta e divertita nel vedere lui spalancare piano piano sorpreso la bocca, domandosi forse cosa lei avesse intenzioni di fare.
"Ci sono troppe persone." disse solo lui, scherzando malizioso. Gli si stampò sulla faccia quel solito sorriso che aveva quando credeva di aver detto qualcosa di divertente, facendo sorridere paradossalmente intenerita anche lei.
Emma sapeva che Killian non se lo sarebbe mai aspettato e che ormai ci aveva rinunciato, lasciandola delusa e costringendola, finalmente convinta, a fare quel lungo passo verso di lui. All'inizio credeva che la sua fosse una strategia: arrendersi per farsi smentire. Quando poi però il giorno prima di partire, le aveva dato quella scatolina regalo aveva creduto con tutta sé stessa che ci fosse un anello dentro, che quindi era tornato sui suoi passi e non credeva di essere pronta. Vedere quel cigno appeso ad una catena le aveva fatto scattare invece qualcosa dentro, di cui rimase sorpresa lei stessa. Sapeva (e negava) di cosa si trattasse. Aveva deciso allora così su due piedi, camminando sulla sabbia e nell'oceano per la prima volta in vita sua. Sapeva che quello che aveva in mente di fare era solo un piccolo passo a cui sarebbero dovuti seguire tanti altri, che non sarebbe stato un percorso semplice, ma era pronta a cominciare a camminare. "Non era quello che avevo in mente," disse Emma mentre sorrideva, realizzando piano piano per davvero cosa stava facendo. Non si era fermata neanche un attimo a pensarci davvero su. "ma terrò in cosiderazione il suggerimento."
Killian sorrise, si leccò le labbra, guardò in alto, perché come lei sapeva, non poteva guardarla quando era là sotto, non per troppo tempo almeno e non in pubblico. Si stava già mordendo le labbra ed agitava le ginocchia. Emma sorrise di nuovo e neanche questo l'aiutò a togliersi quell'immagine dalla testa. "Avanti alzati." disse lui, allungandole la mano perché lei giela prendesse.
"Devo prima chiederti una cosa." disse lei ed all'improvviso si fece seria. Non sorrideva più, anzi deglutiva. Killian poteva giurare di averla sentito agitare la lingua, accumulare saliva davanti l'ugola per poi mandarla giù per la gola, mentre la sua laringe s'alzava ed abbassava.
"Sarebbe?" rispose lui. E si rese conto in ritardo di quello che stava succedendo, perché Emma ebbe il tempo di prendergli una mano tra le sue, agitarsi e tremare quasi, farsi venire la pelle d'oca, prima che lui la guardasse di nuovo tra il sorpreso e l'agitato.
"Vuoi sposarmi?" chiese lei a brucia pelo.

 

 


 

 


Angolo dell'autrice
Oh dio, ragazzi ci risiamo: manca solo l'epilogo! Sono assolutamente stupita di essere di nuovo qua, a questo punto, a dire che un'altra ff è quasi finita. Posso ringraziarvi e stringervi tutti, anche a voi lettori silenziosi? Vi adoro! Grazie, grazie davvero. Scrivere e sapere che c'è qualcuno dall'altro lato che legge, aspetta, gioisce con te è qualcosa di unico davvero. Voglio anche scusarmi con voi per questo percorso un po' travagliato, fatto di lunghissime attese di cui mi pento davvero tanto. 
Posso dire con assoluta certezza che questa è la ff per cui mi sono più impegnata (dal puzzle da riunire tutto alla fine alla psicologia dei personaggi), che sapevo come doveva essere dall'inizio alla fine, che ho riletto milioni di volte per far quadrare e coincidere tutto. Credo di non aver commesso errori coi tempi della storia. Anzi, se ce ne sono, di qualunque tipo segnalatemeli e li correggo subito. 
Ora, lasciatemi ad un'ultima spiegazione/polpettone. Creando in Killian l'idea di vedere una bella coppia tra 
Milah a Liam volevo sottolineare una cosa: Milah era quello di cui Killian aveva avuto bisogno da giovane, quando aveva bisogno del ricordo della sua famiglia (e di una visione decisa del proprio futuro, di regole, di stabilità) per crescere. Superato il trauma della separazione e della morte della madre, ha cominciato a volere qualcosa di diverso, che mettesse alla prova (sfidando quasi) l'uomo, non il bambino: Emma. Sono convinta che chiunque in un compagno veda una questione irrisolta della propria vita, che scelga qualcuno con qualità che egli stesso vorrebbe avere, mettendosi un po' in gioco. Dal suo lato invece Emma vede in lui l'infantilità, la spontaneità e quell'infanzia perduta, che a sua volta lui aveva già fatto suoi grazie a Milah. E' un gioco di incastri che è semplicemente la vita e che spero di avervi raccontato con leggerezza.
Detto questo, chiudo. Ci vediamo per l'ULTIMISSIMO capitolo a breve. 
Vi mando un bacione ed un abbraccio a tutti ed auguri per un bellissimo natale! :*

 

  
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