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Autore: Applepagly    24/12/2017    3 recensioni
C'è chi festeggia e chi, invece, non comprende il motivo per cui dovrebbe farlo; c'è chi è da solo o in compagnia; c'è chi è sereno e chi è inquieto. Per ciascuna sarà diverso, ma una cosa è certa: nessuna resterà indifferente e tutte si aspetteranno qualcosa da un giorno atteso da molti.
Sarà una festa piena di...
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Winx
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Merry-go-round'
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Eccoci qui, con la one-shot sul tanto atteso Soldì.
Chi non è nuovo in materia, sa perfettamente di cosa parlo! Per chi invece passa di qui per la prima volta, non c’è problema: il Soldì è un surrogato del Natale (non credo che a Magix esista il Natale di per sé), festeggiato da alcuni pianeti più legati al culto del Sole, come Solaria.
La Fanfiction può essere presa come natalizia (ho voluto pubblicarla il giorno della vigilia proprio per questo), ecco; perciò, no problem! C’è qualche riferimento alla precedente storia e a quella in corso, ma non fa nulla. Solo alla fine compaiono due personaggi che non sono presenti nella saga originale, perciò chi non li conoscesse può glissarseli, se vuole!
Ma ora basta, con le ciance! Per chi fosse intenzionato ad arrivare la fine (animi coraggiosi), gli auguri sono lì; alla fine di ogni racconto troverete delle brevi note che non potevo omettere. Beh, forse una sì, ma pazienza.
Per chi, invece, si ferma a questa stupida introduzione, beh…
Buon Natale!
7th


Una festa piena di…
 

 
Fuochi ed involtini
(Musa)
 

I fuochi d’artificio visti da Sheng erano sempre sensazionali.
Il vecchio Wong stava giù sotto il ponte a fare le prove con il materiale che gli era avanzato dall’anno precedente. Di solito si ritrovava a gareggiare con quei ragazzini pestiferi che riuscivano a procurarsi qualche petardo dal villaggio vicino; lei si chiedeva cosa ne sarebbe stato di loro, se i genitori li avessero colti in flagrante.
Le veniva da sorridere, mentre passava di là.
Almeno per qualche giorno avrebbe voluto riuscire a mettere da parte un po’ di orgoglio e trascorrere un paio di ore in serenità, anche se sarebbe stato difficile.
Sia lei che suo padre erano piuttosto inesperti, da quel punto di vista. Avevano provato a preparare gli involtini insieme, quel giorno; avevano finito per sbraitarsi contro perché, ancora una volta, a lui non andava bene la consistenza della pasta.
Solo che non era evidentemente più in grado di sfoggiare la sua testardaggine come un tempo. Era stanco, lei lo vedeva.
Le aveva lasciato tra le mani qualche moneta e le aveva detto di farsi un giro per le bancarelle che avevano allestito lungo il molo.
Lì ci sarebbe sicuramente stato il venditore di involtini, aveva detto. Musa non aveva avuto voglia di contraddirlo e fargli notare che avrebbero dovuto sborsare altri soldi per un prodotto identico a quello che avrebbe preparato lei; e così era uscita di casa.
Stranamente, le aveva anche accordato il permesso per restare fuori abbastanza a lungo da godersi l’atmosfera festosa della vigilia.
In realtà, era qualcosa di quasi sconosciuto, su Melody; ma veniva ugualmente organizzata una parata celebrativa dalle comunità che avevano assimilato quella festività ad una pratica della loro religione. L’idea non le dispiaceva.
Pensava che, alla fine, si trattasse di un momento piacevole… il momento in cui ci si poteva rilassare, si poteva sperare di voler bene a qualcuno senza intoppi. Era il momento in cui ci si poteva dimenticare di tutto ed abbandonarsi alla speranza di poter ricominciare.
Chissà… avrebbe potuto catturare qualche pesce rosso. In fondo alla strada avevano allestito un banco di Mochi! Era trascorso un po’ di tempo, dall’ultima volta che l’aveva mangiato.
L’anno scolastico precedente era rimasta a Magix, perciò era un piacere riscoprire quel sapore. Le due donne che avevano preparato quelle delizie erano state amiche di sua madre; le offrivano sempre anche dei biscotti all’arancia.
Avevano il sapore dell’estate. Chissà dove avevano trovato la ricetta.
La signora più giovane le sorrise, raccontò di come fosse sempre più difficile estrarre l’aroma di quello che sembra l’unico arancio della contea; quella più anziana rise fragorosamente alla vista di una sagoma che si faceva sempre più vicina.
Dei bambini corsero verso Musa, sorridendo.
Una di loro prese la parola, con un piccolo inchino. Si complimentò con lei per il suo cheongsam celeste a motivi floreali e subito scomparve, forse per l’imbarazzo.
La fata non avrebbe saputo come dirle che, in realtà, aveva sempre detestato quel tipo di vestito. Le sembrava sempre troppo aderente, a sottolineare tutta quella bella carnosità che a lei mancava.
Però non poteva presentarsi lì in jeans e maglietta come al solito, perciò aveva dovuto spendere parte del suo pomeriggio ad aggiustare i capelli in quel fastidioso nodo e ad allacciare i nastri alle caviglie.
Forse le era mancata un po’, quell’aria così diversa da quella di Magix. Su Melody era tutto fermo alla tradizione e, in generale, sembravano tutti più spensierati, concentrati maggiormente nel mantenimento dei vecchi costumi.
In lontananza le sembrò di vedere delle ragazze più o meno della sua età; dovevano essere della prefettura di Hikari, dati i loro abiti… Forse erano andate fin là per l’occasione, dal momento che da loro non c’era nessun tipo di festeggiamento.
Mentre attraversavano lo stretto viottolo del distretto commerciale, alcuni passanti si voltarono a guardarle; spiccavano particolarmente, perché indossavano degli yukata. Probabilmente, se ci fosse stata Stella, sarebbe rimasta sorpresa per le vaste conoscenza che Musa aveva in fatto di moda.
Forse non avrebbe capito. Chissà cosa stava facendo, cosa stavano facendo anche le altre… erano molto diverse da quelle ragazze di Hikari.
Forse sarebbe riuscita a convincere suo padre a lasciare che lei le raggiungesse su Solaria, come da invito…
Quel gruppetto avanzava con discrezione, con passo leggiadro e silenzioso. Una di loro si portò una mano alla bocca, cercando di nascondere un sorriso.
I loro modi erano così affettati che avrebbero fatto sfigurare una qualsiasi dama della casa del tè. Un’altra agitò appena un ventaglio per nascondersi dallo sguardo vivo d’interesse di quella carogna di Shaolan, che si godeva la processione dalla bancarella del pesce palla.
Che Musa ricordasse, una signorina per bene compiva un simile gesto se intendeva rifiutare una qualche moina. In un battito di ciglia, la ragazza rivolse l’attenzione verso una piccola violinista sul ciglio della strada.
Muovendo dei rapidi passi, la giovane di Hikari lasciò una moneta nella custodia dello strumento della bambina. Musa sorrise, forse provando un pizzico di invidia per tutta quella leggiadria; ma durò qualche istante, perché sapeva perfettamente che tutta quella rigidità non faceva per lei.
Aveva bisogno di tutta quella vita chiassosa di Magix, di Alfea, delle Winx. Più che altro, aveva bisogno di sentirsi viva in un modo che le avrebbe permesso di dimenticare tutte le brutte esperienze di quell’anno.
Come si soffermò a ricordare proprio quel triste incubo, il suo cellulare vibrò appena.
Non lesse il messaggio. Non ne aveva bisogno.
L’occhio le ricadde su un quartetto di giovani maiko, intente ad esercitarsi con gli ombrelli, forse in vista dello spettacolo del giorno successivo. Le veniva da ridere al pensiero che, se sua madre fosse stata ancora viva, molto probabilmente avrebbe voluto che lei ricevesse un’educazione del genere.
Era stata particolarmente propensa a prestare attenzione alle regole imposte dal galateo, essendo lei stessa cresciuta in quell’ambiente. Per quella ragione aveva in tutti i modi cercato di dissuadere Ho-boè dall’idea di abbandonare la possibilità di ereditare la corona per lei.
Se lui non avesse fatto valere la sua testa dura, Musa sarebbe stata una principessa? Sarebbe esistita comunque? Rabbrividì.
Il telefono vibrò di nuovo, quasi in preda ad un attacco di isteria. Fu una seccatura tirarlo fuori dalla tasca sul retro del vestito.
Si decise a rispondere; ma solo perché il giorno dopo sarebbe stata festa, una festa in cui si era tutti più buoni.
Si avvicinò ad un piccolo gazebo dei colori del cielo a quell’ora, e la voce franca di Whoo l’accolse. «Gli involtini sono “troppo sottili” anche questa volta?» scherzò, porgendole subito una confezione di quelli che preparava lui.
Musa sorrise.
Whoo era uno degli unici amici di suo padre. Erano cresciuti insieme e l’affinità tra di loro si era mostrata anche nella scelta di entrambi di lasciarsi alle spalle un mondo di doveri ed agi per abbracciarne uno di sogni e mondanità.
Per il vecchio Ho-boè il desiderio di sposare una donna di origini modeste; per il maestro degli involtini, quello di viaggiare. Per entrambi, le cose non erano andate esattamente come avevano pianificato all’inizio.
«Già…» sospirò, afferrando il sacchetto che lui le aveva porto.
Cercò gli spiccioli che le aveva lasciato suo padre, ma Whoo la trattenne. «Offre la casa»
Era una delle poche persone che lei aveva piacere di vedere, quando tornava lì.
Forse era patologico; in fin dei conti, nemmeno a Ho-boè piaceva molto avere a che fare con la gente. Leisi domandava come potesse aver resistito per anni in un’atmosfera di chiacchiere e pettegolezzi come quella di Sheng.
Che lo avesse fatto per sua moglie?
… qualunque fosse la natura delle cose, quei fuochi d’artificio erano sensazionali.
L’aveva già detto?

 
(Non sapendo esattamente come barcamenarmi su Melody, l’ho immaginato un po’ come un mix tra Cina e Giappone. Musa è cresciuta in una contea le cui tradizioni sono più vicine a quella della prima, nella mia testa; da qui il cheongsam e tutto il resto. Povero Ho-boè…)
 

 
***
Pupazzini

(Stella)
 

Quando era piccola le piaceva addobbare le stanze per la vigilia.
Sua madre e suo padre le permettevano di disporre festoni e ghirlande come le pareva, ma solo per gli appartamenti del tredicesimo piano del palazzo.
Il primo a riempirsi di luci e calore era il salotto in cui lei ed i suoi genitori scartavamo i regali. La balia la sorvegliava con attenzione mentre appendeva ogni decorazione, timorosa che potesse cadere dalla scala su cui saliva.
Ogni tanto sua madre si sedeva al divanetto e commentava l’accostamento discutibile di alcuni colori, incolpava il loro artigiano e lo licenziava; poi ordinava alla servitù di procurare alla figlia qualcosa di più adeguato.
Da quando i suoi genitori si erano separati, si era sempre occupata la servitù dei preparativi. Tuttavia, quell’anno sarebbe stato diverso.
Brandon proveniva da Eraklyon, e su Eraklyon quella del giorno dopo era una ricorrenza abbastanza importante; però, lui non se l’era sentita di trascorrerla a palazzo, non senza Sky.
E così si ritrovava seduta sì, su quel divanetto, nel palazzo di sua madre, su uno dei satelliti di Solaria; ad osservare la felicità negli occhi di qualcuno che amava mentre appendeva stelline di cartone.
Il senso estetico per quelle cose non gli mancava per niente; solo che aveva le mani troppo tozze e non riusciva ad afferrare i pupazzini di carta pesta.
In quel momento stava cercando di riattaccare la testa ad uno, ma l’unica cosa che fosse stato in grado di combinare era stato impiastricciarsi le dita di colla. A Stella scappò una risata e lui la fulminò con lo sguardo. «Un po’ di aiuto sarebbe ben accetto, cara principessa»
«Ti aiuterei anche, ma ho appena finito di applicare il mio nuovissimo smalto color lavanda e non vorrei combinare un disastro» rispose.
Lui inclinò la testa, sfoggiando la sua espressione da animale ferito e bisognoso.
Oh, al diavolo…
Si alzò con un sospiro e, prestando la massima attenzione, prese un pupo dallo scatolone. Lo scrutò a dovere e… «Accidenti quanto è inquietante!» maledizione, era raccapricciante!
La faccia di quella sottospecie di bambino di carta pesta era completamente bianca, con due pomelli rossi disegnati al posto delle guance ed un sorriso sbilenco che andava da un occhio all’altro. «Chi li ha fatti, questi cosi?»
«Porta un po’ di rispetto… li avevamo fatti io e Sky e…» borbottò, spegnendosi quasi subito.
Oh, Brandon…
Lo cinse con le braccia.
Va tutto bene. Vedrai che passerà.
«Avevamo vinto la competizione, con questi pupazzini…» spiegò, nascondendo un sorriso amaro. Sfregò un po’ le mani per tentare di togliere la colla.
«Sua madre aveva voluto che partecipassimo ad una gara di lavoretti con la carta pesta» continuò. «Questo lo aveva fatto lui»
Beh, in realtà… tutti quanti erano discretamente brutti e dallo sguardo raccapricciante. «E siete riusciti a vincere con queste… creazioni? Allora gli altri dovevano fare davvero schifo, oppure la regina ha corrotto la giuria!»
Brandon sgranò gli occhi, tacendo per qualche istante; poi, storse le labbra.
Oh, no! Quella è la faccia di quando ho sbagliato qualcosa!
«Sempre la solita…» borbottò, andandosene.
«Cosa? Che ho fatto? Brandon?»
 

(Non c’è molto da dire, su questi due. Sono semplicemente perfetti! O meglio, lo erano…
Questo è il mio racconto preferito, anche se è il più breve!)

 

 
***
Manuali

(Tecna)

 

Le era servita più convinzione del previsto, ma alla fine c’era riuscita.
Certo, era stato necessario effettuare un ulteriore monitoraggio delle proprie condizioni, prima di procedere; ma poteva affermare di essere stata in grado di portare a termine i suoi buoni propositi.
Lo scambio degli auguri era una ricorrenza il cui mancato adempimento poteva talora scatenare reazioni di sdegno, qualora colui o che lei che non li riceveva fosse stato o stata particolarmente permaloso o permalosa, o osservante della tradizione.
In verità, aveva ragione di credere che il soggetto in questione nemmeno avesse in progetto di ricevere un messaggio da lei. Per quel che valeva… lei aveva solo fatto il proprio dovere. Aveva solo mandato in anticipo degli auguri ad un conoscente che avrebbe festeggiato.
Aveva solo rispettato il precetto che le sue amiche avrebbero definito “essere carina”. Le era stata insegnata la cordialità; aveva soltanto messo in pratica ciò che aveva appreso.
Uff… ma chi prendo in giro?
Credo che il muscolo cardiaco non abbia mai accelerato così tanto i suoi battiti. Possibile che dopo tutto questo tempo io non sia ancora capace di impormi un po’ di contegno?
Eppure, era stata convinta di esserci riuscita!
Sua madre doveva essere appena rincasata; lei aveva sentito lo scampanellio di quegli affari che quella donna aveva insistito per disporre appena prima dell’ingresso di casa. Tecna non comprendeva perché perorasse in quella finzione.
Loro non avevano mai festeggiato quella ricorrenza, né tanto meno avrebbero avuto ragione di farlo.
«Tecna» la chiamò a gran voce.
La ragazza sospirò; non aveva la minima intenzione di sprecare il proprio tempo per esserle d’aiuto nei preparativi per quella festa – di discutibile importanza – che sua madre avrebbe dato nel loro giardino.
Neppure le sue amiche conoscevano l’effettivo significato della festività! A Tecna pareva quasi una presa in giro, per dirla come l’avrebbe detta Bloom.
Per lo meno quella donna non si era limitata a trillare per le stanze ed aveva preparato dei dolcetti. Ne afferrò uno dal piattino che aveva lasciato sulla sua scrivania.
Tanto valeva rimettersi al lavoro ed ultimare la ricerca che avrebbero dovuto svolgere durante le vacanze. Avrebbe dovuto appuntarsi mentalmente di spedire a Bloom un promemoria che le ricordasse di inviarle i documenti che era riuscita a rinvenire.
Si domandò se lei festeggiasse… da quel che sapeva, sulla Terra c’era una ricorrenza simile, che aveva una qualche valenza anche in quei culti religiosi che non associavano quella data ad un significato teologico. Tuttavia, le pareva di comprendere che lì essa prendesse luogo in un periodo dell’anno differente.
Oh, c’era un messaggio sul laptop… era Timmy.
Tutto sommato, forse, le avrebbe fatto piacere l’idea di vederlo, anche se non sapeva se sarebbe stato possibile. Sperava che lui si fosse ripreso dalla brutta esperienza alla festa organizzata da Looma.
Sul desktop comparve un secondo messaggio.
Era la risposta a quegli auguri che aveva avuto il coraggio di inviare una manciata di minuti prima. Per poco non le si bloccò un biscotto nell’esofago.
D’accordo; era necessario mantenere il perfetto controllo delle sue… le aveva mandato un’altra mail? Si supponeva che lei rispondesse?
Sì; era stato molto cortese, da parte di lui. Avrebbe benissimo potuto ignorare l’insulso tentativo – il suo insulso tentativo – di stabilire un dialogo.
Dopo gli eventi dell’anno scolastico precedente, avevano un po’ perso i contatti. Il trimestre appena passato era sfuggito prima che se ne accorgessero e le occasioni di vedersi erano state piuttosto rade.
Forse sarebbe più corretto affermare che, per parte propria, lei aveva cercato di limitare qualsiasi incontro il più possibile… ma era suo dovere.
Non sarebbe stato leale frequentare il fidanzato di un’amica; e non era sua intenzione rischiare di incedere nuovamente in quell’ambigua situazione che le aveva fatto dubitare di tutto ciò che di buono e logico esisteva.
Allora… perché mai gli aveva inviato quegli auguri?
«Su, apri quel messaggio. Voglio vedere come ti ha risposto» sua madre aveva perso la capacità di bussare alle porte o quanto meno di annunciarsi…
«Allora? È tutto il pomeriggio che aspetti che quello ti scriva, no?» insistette, prendendo posto accanto alla figlia. Sgranocchiava un biscotto e, ovviamente, le briciole cadevano a terra.
Talvolta sorgeva spontaneo domandarsi se la genitrice fosse lei. «Non so a cosa tu ti riferisca. Il fatto che io abbia trascorso le ultime cinque ore qui non ha nulla a che vedere con i convenevoli che si confanno a due conoscenti quali siamo io e Brandon»
«Certo, certo» fece lei, con un tono di voce di cui Tecna non comprese la natura. Era annoiato? Assonnato? Perché agitava la mano destra in quel modo? «Ti decidi o no?»
Tanto dovrò farlo, prima o poi. E va bene.
«Però…!» esclamò, non appena scorse i caratteri con lo sguardo. All’improvviso, la fata realizzò quanto fosse a dir poco… imbarazzante l’intera situazione. Insomma… si trattava pur sempre di sua madre!
«Che carino… si scusa addirittura per non essere riuscito a prestarti molta attenzione, negli ultimi tre mesi!» trillò.
Devo… trovare il modo di allontanarla dalla mia stanza senza risultare sgarbata. Ho scoperto che talvolta accade.
«Si augura di riuscire a rimediare il prossimo anno. Oh, cara… perché non lo inviti? Così lo conosce anche tuo padre!»
«Perché mai dovrei lasciare che accada una cosa del genere?» Brandon non era… beh, non era il suo fidanzato!
«Tesoro» sghignazzò quella serpe. «Sei tutta rossa! Ti vergogni? Ma perché mi stai spingendo via?»
Accidenti… quanta pazienza! Si richiuse la porta alle spalle, cercando di non badare alle proteste di sua madre.
Forse sarebbe stato più prudente gettare un incantesimo di sigillo sulla serratura…
Stando alle ricerche che aveva condotto, in quel periodo la gente si sarebbe dovuta comportare in modo diverso, ma lei sembra sempre la stessa donna pestifera ed impicciona.
Mi auguro che tra tutti quei pacchetti che ha ricevuto dalle sue amiche ci sia un manuale che le dia precise istruzioni su come essere meno inopportuna…
 

(La mamma di Tecna è esattamente l’opposto: una civettuola signora. Il resto si commenta da sé…)
 
 
***
Casa

(Bloom)
 

Sulla Terra era diverso, sulla Terra non faceva freddo e non c’erano luminarie, ghirlande appese ai portoni o metri di neve.
Sulla Terra era diverso, semplicemente perché non era Natale, e quello non era il periodo natalizio... non era il periodo natalizio, ma lei si era ugualmente beccata l’influenza!
Non era mai stata particolarmente cagionevole; da piccola si ammalava sì e no una volta l’anno. Forse era stato lo sbalzo di temperatura… dopotutto, lì il sole splendeva e la temperatura era più alta.
Così, non sapendo cosa fare e non potendo aiutare sua madre in negozio – l’unico aspetto vagamente positivo della faccenda, anche se un po’ si sentiva in colpa – si era rintanata sul divano del salotto, avvolta in una copertina.
Le venne da sorridere, ripensando a quando, tempo fa, Stella si era risvegliata proprio lì dopo la battaglia con Knut. Sembrava passato un secolo…
A pensarci bene, era stato grazie a lei, che tutto aveva avuto inizio.
Chissà cosa starei facendo, se non l’avessi incontrata per caso…
Forse avrebbe scoperto i suoi poteri comunque, oppure avrebbe continuato a vivere senza sospettarne minimamente l’esistenza. In entrambi i casi, non avrebbe conosciuto quello che ora era il suo mondo.
Guardò suo padre. Stava seduto alla sua destra e non sollevava gli occhi dal giornale se non per lanciare qualche occhiata al programma che stavano trasmettendo alla televisione.
Non è corretto dire che Magix è il mio mondo.
Da una parte era vero, forse. Ne parlava spesso con Sem, ultimamente; lui sapeva, capiva cosa volesse dire sentirsi divisi tra due realtà diverse.
Però, a differenza sua, lei non aveva mai conosciuto il mio luogo di origine, perciò, in un certo senso, non riusciva a sentirne davvero la mancanza. Era curiosa, piuttosto.
Magix era il suo mondo perché c’erano le sue amiche, i suoi amici, perché era quello che aveva sempre sognato; ma non era casa sua, non del tutto.
Quando pensava a casa sua, pensava a Mike, che si era preso un giorno di ferie per stare con lei, anche se non era malata cronica ed era abbastanza grande per badare a se stessa. Quando penso a casa sua, pensava a Vanessa, al suo negozio di fiori, alla pizza che ordinavano il sabato sera e a quella telenovela strappalacrime che guardavano ogni tanto: Bloom per ridere, sua madre per provare forti emozioni e suo padre per criticare ogni cosa.
Quella era casa sua.
L’altra… era un posto che stava imparando a conoscere; ma era diverso. Era diverso.
Non sapeva dove sarebbe stata, senza le sue amiche; non sapeva come avrebbe fatto a superare tutto quello che di male era capitato. Allo stesso tempo, però, non sapeva dove sarebbe stata, senza i suoi genitori.
Stando lì, coccolata dall’abbraccio morbido del piumone e dalle premure di un uomo e una donna che avrebbero benissimo potuto lasciarla dove l’avevano trovata, invece di amarla, le sembrò quasi che fosse davvero Natale.
Beh, il giorno dopo sarebbe stata festa, su Magix, dopotutto. I suoi genitori avevano capito che era una specie di surrogato del Natale, ma non comprendevano perché non lo festeggiasse tutta la dimensione.
In verità, non lo sapeva nemmeno lei. Secondo Mike era solo un loro squallido tentativo di copiare le loro tradizioni, subito abbandonato da tutti quelli che poi si erano resi conto dell’inimitabilità delle cose belle della Terra.
Vanessa lo aveva apostrofato, colpendolo con l’asciugamani delle stoviglie.
A Bloom piaceva assistere a quei battibecchi, perché avevano il sapore di una quotidianità che prima quasi l’annoiava; ma ora aveva capito.
Quella era casa sua.
 

(Perché, no, non mi è mai piaciuto il fatto che Bloom si sia dimenticata di quei poveri disgraziati che l’hanno presa con sé, amata e cresciuta, e avevo pensato che qui la nostra amichetta potesse rendersi conto di ciò che conta oltre agli amici, gli svaghi, la scuola, i morosi e le battaglie.
Per punirla della sua stupidità nel non averlo compreso prima, si becca l’influenza, così magari ha anche il tempo di ringraziare Stella per averle fatto conoscere qualcosa di sé in più. A proposito, mi sono sempre chiesta: perché la nostra principessa era finita proprio a Gardenia, quel fantomatico giorno della prima serie?)

 
 
***
Sorprese

&
Il potere delle nonne
(Flora)
 

La serra era addobbata alla perfezione.
Su Lynphea la festa del giorno successivo non era particolarmente popolare, ma in famiglia festeggiavano ugualmente una ricorrenza importante.
Quell’anno, finalmente, avrebbe avuto l’occasione di prendere parte ai festeggiamenti per il compleanno di sua nonna. Anche quando Flora non era ancora stata ammessa ad Alfea, l’istituto preparatorio su uno dei satelliti del pianeta non le aveva mai concesso nemmeno un giorno di riposo, in quel periodo.
Si diede un’ultima occhiata in giro. Non le piaceva vantarsi, ma le sembrava di aver fatto un buon lavoro.
«Flora, devo andare a dormire» silenziosa come una creatura dei boschi, sua sorella si fece strada tra il verde che rendeva unico quel posto.
Ora che ci pensava, vi era sempre stata particolarmente affezionata.
Quando erano piccole capitava spesso che loro padre stesse male. Flora era abbastanza grande, ma Miele no, e nessuno – giustamente – voleva che restasse in casa ed assistesse a qualcosa di troppo difficile da comprendere e sopportare, per una bimba della sua età.
Così, nelle settimane che trascorreva dalla nonna, aveva fatto amicizia con una bambina, Vera. Flora non l’aveva saputo fino all’estate precedente.
Immagini di giorni sbiaditi si affollarono nella mente, e rivide con chiarezza la volta in cui, insieme a Musa e Maria, avevano cercato di aiutare quella povera ragazza.
Non aveva mai capito esattamente che scopo avesse avuto l’incantesimo di Darcy. Mostrar loro quella che era stata la sua vita, la loro vita, prima di Torrenuvola e dopo Whisperia; mostrar loro lo squallore del luogo in cui erano cresciute, un posto buio e senza prospettive; era stato quello? Tutto perché comprendessero la follia di Icy?
Lei aveva sempre pensato che ci fosse stato di più.
Non le era mai riuscito di capire esattamente cosa passasse nella mente di una strega. Con Maria era diverso; sentiva che, in qualche modo, ciò che era in lei non avrebbe potuto spaventarla.
Con tutte le altre era sempre faticoso; e per quella ragione, forse, non avrebbe mai saputo se Darcy, lasciando il seme delle sue memorie in Vera, avesse voluto aprirsi non solo per sua sorella, ma anche per se stessa.
Si chiese dove fosse, cosa stesse facendo. Bloom le aveva detto di averla vista di sfuggita, qualche tempo prima, a Magix.
«Vieni a darmi la buonanotte?» insistette Miele, prendendola per mano.
«Arrivo» le sorrise.
Sua sorella era, in qualche modo, uno dei motivi che la spingevano ad impegnarsi in ciò che doveva fare. L’idea di proteggerla, di impedire che soffrisse ancora; perché lei appariva sempre spensierata ed in pace, ma Flora sapeva per certo che l’allegria che emanava era solo una risposta, un meccanismo che aveva elaborato quando tutti non ne erano stati in grado.
Ed è quello, che la rende così incredibilmente matura…
«Ha telefonato papà. Dice che è riuscito a liberarsi, per domani!» trillò, mentre tornavano in salotto. «Credi che ci sarà anche la zia?»
Speriamo di no…
«Non saprei. Ma se papà viene davvero, significa che devi agghindarti per bene» disse, sollevandola. Si divertiva un mondo, quando sua sorella la faceva volteggiare per aria. «Il vestitino nuovo è già asciutto?»
Annuì, aggrappandosi alle spalle della maggiore. «Devo solo stirarlo. È sulla pila degli abiti che la nonna ha lasciato sullo stendino»
Se n’era completamente dimenticata!
Se ne sarebbe dovuta occupare lei, quel pomeriggio; la nonna aveva male alla schiena, in quei giorni, e non le andava che si sforzasse. Purtroppo, però, gli addobbi e le piante l’avevano distratta così tanto che le era totalmente sfuggito!
Che stupida!
Miele faticò ad addormentarsi, e così Flora perse più tempo del dovuto. E pensare che avrebbe dovuto telefonare ad Helia e chiedergli come fosse stato il suo primo giorno via di casa.
«Sei ancora qui?» mentre stendeva un maglione sulla tavola da stiro, sua nonna comparve nella penombra.
«Non avevi altro da fare?» continuò, avvicinandosi alla nipote.
Si tastò un po’ la crocchia bianca, sistemando una molletta. Una smorfia comparve sul suo viso appena fece per sollevare il braccio.
La guardò; i suoi occhi dello stesso verde brillante di quelli di Flora e della madre, ma più duri e risoluti.
«Mi ero dimenticata di stirare…» sorrise.
«E il povero Helia?» chiese, corrucciando le labbra come solo lei sapeva fare. «Non dovevi telefonargli?»
Il povero Helia mi terrà il broncio al telefono, credo.
«Sì, ma non fa niente. Posso farlo domani…»
Sua nonna sbuffò sonoramente. Forse, Miele aveva imparato da lei.
«Proprio non ti capisco» l’ammonì. «Dammi qua»
Con un colpo di fianchi cercò di spostare la nipote. «No, nonna… va’ a dormire. Non voglio che ti stanchi; mi ero offerta io di farlo»
«Dammi retta» sbottò, seccata.
Scosse la testa. Era questione di principio!
«Come sei testarda… tale e quale a me!» borbottò, allontanandosi.
Flora la sentì trafficare con gli sportelli e le tazzine della cucina. Cercava qualcosa.
Sua nonna non aveva avuto il dono della magia, ma non le era mai interessato particolarmente. La sentì sfogliare delle pagine rapidamente, e poi accendere la radio; le sembrò che parlasse con qualcuno. Forse canticchiava.
Le spiaceva molto, per Helia; ma sapeva che avrebbe capito.
Quando smetterà di tenermi il muso, certo…
Faceva quasi tenerezza, a volte. Non sapeva se fosse così anche… prima.
Sapeva poco sul ragazzo che era stato, in realtà. Indiscrezioni di Vera, ricordi di Miele e qualche sporadico episodio che lui riusciva a riportare alla memoria.
Eppure, proprio non poteva immaginarlo in un modo diverso da quello di cui per cui lei si invaghiva ogni giorno di più.
Sospirò e, mentre con la mente vagava tra ricordi e parole, uno strano odore catturò la sua attenzione. Qualcosa stava bruciando.
Abbassò lo sguardo e, con orrore, constatò che quel qualcosa era proprio il paio di pantaloni che aveva lasciato sull’asse da stiro. Il ferro non rispondeva più all’incantesimo che lei gli aveva gettato sopra, e sembrava ora impazzito.
Si muoveva freneticamente emettendo sbuffi e in un modo che le fece pensare che fosse indemoniato. «Accidenti!» inveì, mentre tentava di fermarlo.
Tentò con un altro sortilegio ma, poco prima che il ferro cessasse di muoversi, emise un ultimo potente sbuffo che carbonizzò una delle gambe dell’indumento.
Erano i pantaloni preferiti di Miele…
Sbuffò. Forse non era il caso di affidare tutto alla magia; ma come fare? Non aveva mai stirato senza, prima di allora.
Mentre rifletteva, il cellulare prese a squillare sonoramente e Flora sobbalzò.
Era Helia
«Helia?» sussurrò.
«Avresti potuto avvisarmi» rispose, un po’ contrariato.
«Scusa, ma avevo promesso a mia nonna che mi sarei occupata dei vestiti al posto suo e… dovrei anche darmi una mossa»
Helia sospirò, divertito. Cosa ci fosse, di comico, lo sapeva solo lui…
«È stata tua nonna, a chiedermi di telefonarti»
Ecco perché la le era parso di sentirla parlare ed aveva fatto tutto quel trambusto… gli aveva telefonato! Una volpe; altro che nonna…
«Mi dispiace, io… Adesso che fai? Metto il vivavoce così mi parli mentre faccio la casalinga?»
«Devi stirare. Lo avevo intuito» ridacchiò. «Posso darti istruzioni precise»
E così, la notte prima del compleanno della donna a cui Flora doveva tutto e della festa della luce, si scoprirono gli altarini di Helia; un’altra sfaccettatura che non sarebbe mai venuta a galla senza la mente diabolica della vecchietta, che aveva annuito più volte soddisfatta, prima di andare a dormire.
Il nuovo giorno si annunciò con una leggera brezza al sapore di sorprese, e portò con sé tasselli di una serata spesa come nessun’altra.
Helia sapeva stirare.
Il potere delle nonne!
 

(Helia è pieno di risorse, sì. Come la nonna; e, no, non ho ucciso anche il papà di Flora, poveraccio!)
 

 
***
Auguri

(Maria)
 

Sapeva che sarebbe andata così… la sua telefonata non l’aveva nemmeno stupita più di tanto.
Quella situazione si protraeva già da un po’ ed aveva deciso di smettere di illudersi.
Non aveva mai insistito troppo. Aveva notato che lui non riusciva più neanche a guardarla negli occhi e conosceva la ragione.
Quando l’aveva invitata ad uscire, quel giorno, Jena le aveva regalato una delle sue rare risate soddisfatte, al telefono. Lei non sospettava minimamente di nulla.
A Maria sarebbe piaciuto avere il suo ottimismo, ma era un passo oltre a Jared.
Infatti, lui era già lì e di tanto in tanto gettava un’occhiata all’orologio oltre la fontana, che per l’occasione era stata trasformata in un laghetto ghiacciato. I bei lineamenti fini del ragazzo erano distorti da una piega triste.
Dispiace tanto anche a me, Jared.
Ci abbiamo provato. Sarà meglio sbrigarsi.
Decise di farmi avanti, non le andava di nascondersi dietro quella siepe ancora per molto. Di nascondersi e basta.
«Ehilà» non le venne in mente nulla di meglio, per richiamare la sua attenzione. Lui sembrò non badarci.
Le rispose con una faccia da funerale.
Dopotutto, era sempre stato così, tra di loro. Lui spiccicava due parole e quel poco che diceva non si capiva. Bisognava leggere bene tra le righe e trarre da soli le proprie conclusioni, quando si aveva a che fare con Jared.
Certo, solo quando era lei, a doverci parlare.
Con gli altri era stranamente ciarliero.
«Ehi…» si ammutolì.
Ma quel giorno era diverso, era talmente chiaro che sarebbe stato da sciocchi pensare il contrario. Eppure… avrebbe tanto voluto che, per una volta, fosse lui a dirle cosa voleva. Era stressante dover interpretare continuamente ogni suo gesto.
«Vuoi piantarmi, vero?» le era uscito più strappalacrime di quanto avesse voluto. Doveva essersi accorto del tono incrinato con cui lei l’aveva detto, perché era impallidito. Più del solito, insomma.
Sorprendentemente, sembrava essersi deciso a parlare.
«Mi… mi dispiace, Maria. Mi dispiace tanto»
«Fa niente. Almeno ci hai provato» e aveva fallito perché si era imposto di fallire; ma non aveva più importanza. «Non riesci proprio ad amare una strega, eh? O forse sono io…»
«No, non è per nessuno di questi due motivi… Maria, io…» era così difficile? «È per un’altra ragazza»
Oh.
A quanto pareva, aveva fatto male i calcoli. Le disse che gli dispiaceva, che non era riuscito ad evitare che succedesse; ma, in fondo, Maria avrebbe dovuto accorgersi fin dall’inizio del fatto che gli piacesse un’altra.
Forse, non era poi così difficile capire di chi si trattasse.
Alla festa era stato palese; ma poi aveva pensato che una ragazzina di meno di quindici anni non potesse competere con lei.
Sciocca, davvero sciocca.
«Da quanto tempo?» domandò.
Le disse che non avrebbe saputo rispondere.
Suppongo, bene o male, da quando è diventato abbastanza amico di Alan e Bill da conoscere la loro deliziosa sorellina.
Quegli sguardi, la sua riluttanza nel compiere certi passi; le espressioni di autocommiserazione… no, non c’era nulla di casuale, in tutta quella storia. Erano settimane e settimane che Jared cercava di lasciarglielo intendere.
Aveva sperato che lei arrivasse a tanto? Che capisse cosa lui aveva nel cuore rifacendosi a quei miseri mezzucci?
La sua parte meno razionale urlava di sbattergli la testa da qualche parte; però non era colpa sua, giusto? O forse sì? Come funzionava, in quei casi?
«Pazienza» alla fine, forse, era meglio non lasciar trapelare alcuna sensazione.
Magari avrebbe pianto, a casa. Non troppo.
Come sempre.
Provò l’improvviso desiderio di abbracciare i suoi genitori, e tutti i loro parenti.
Non importava che non fossero quelli biologici. Jared diceva sempre che dei genitori adottivi non sarebbero mai stati in grado di amare lui e lei come se li avessero messi al mondo loro stessi.
Povero stupido.
Lui annuì e nessuna conversazione le era mai sembrata tanto lunga. Sciocca, davvero sciocca.
«Mi somiglia?» perché poi le era venuto in mente di domandarlo?
Non avrebbe dovuto interessarsi.
Era piccola, bionda. In viso non assomigliava per nulla ai suoi fratelli; ma aveva negli occhi quei bagliori d’argento che trasmettevano una gran pace e a Maria era stato sufficiente osservarla un attimo, per comprenderlo.
Hedy. Era quello, a piacere tanto a Jared?
Lui scosse la testa.
«Descrivimela»
Rimase interdetto, come se non avesse saputo se fosse prudente o meno. «Tranquillo. Nessun risentimento per lei. L’idiota sei tu»
«È timida. Ride spesso»
Ah, ora capiva. Maria era una tipa tetra e questa qui invece rideva come un’ebete?
Rise tra sé e sé; perché accanirsi su quella ragazzina in quel modo? Alla fine, non aveva fatto nulla di male.
E, fammi indovinare… scommetto che è una fata.
Ma Jared ormai la conosceva, sapeva cosa stava pensando; e precisò subito che Hedy non lo era.
Ah, stolta di una Maria… Meglio così.
«Ti ricambia?»
«Non lo so»
Ah, davvero? Spero ti rifiuti. Anzi, spero che vi mettiate insieme e che sia lei, a piantarti.
«Però… non mi sembrava giusto prenderti in giro»
Che uomo. Insomma, aveva voluto piantarla il giorno della vigilia di quella maledetta festa; però lo aveva fatto di persona e per una buona ragione, perché non voleva cercare di mettere il piede in due scarpe.
Che gran perdita per Maria, in effetti…
«Non ricordo mai… tu festeggi?» le domandò.
Sciocco, sciocco Jared… non ti ricordi come ci divertivamo ogni anno, all’orfanatrofio? Non ricordi come accendevamo le candele e guardavamo la cela colare lungo il suo fusto, fino a che ci addormentavamo?
Lei annuì, e lui iniziò un contorto discorso circa lo scambio degli auguri e…
Aveva importanza? L’unica cosa che desiderava in quel momento era tornarsene a casa. Se una relazione doveva finire, sarebbe stato inutile cercare di conservarne qualcosa, no?
Il teletrasporto la spossò un po’. Appena raggiunse camera propria si buttò sul letto.
Ripensandoci bene, forse, non le andava nemmeno di piangere o di fare riflessioni deprimenti su quanto facesse tutto schifo, perché non fava tutto schifo. Se le cose erano andate così, forse, significa che erano andate per il meglio?
Ma allora… perché aveva l’amaro in bocca?
Forse avrebbe bevuto qualcosa.. un infuso alle erbe, magari. Di quelli che le aveva regalato Flora.
Sì; avrebbe preparato uno di quegli intrugli, avrebbe acceso il caminetto e si sarebbe accoccolata sul divano, rannicchiata in una coperta. Al diavolo; aveva il diritto di cullarsi un po’, no?
Dopotutto, era appena stata scaricata!
Speriamo che questa festa sia piena di gioia e di chiarezza… e speriamo lo sia anche per Jared.
Glielo auguro.
 

(Sì, Hedy è proprio la simpatica sorella di Al&Sem.
Povera Maria. Le voglio bene.)

 

 
***
Biscotti

(Looma)
 

Era davvero da un secolo che non andava lì. Forse l’ultima volta era stata anni prima, quando loro si erano appena trasferiti e lei aveva ottenuto il permesso di andare a trovarli.
Lì era tutto diverso. Faceva freddo – un freddo colossale, da ghiaccioli sotto il naso - e le strade erano un po’ tristi.
Chissà com’era il posto in cui abitava Bloom.
Looma non conosceva molto bene la lingua che parlavano in quel posto; Al e Sem l’avevano imparata, ma a lei sembrava complicata e non le piaceva nemmeno come suonava.
Il quartiere in cui abitavano i due gemelli era un susseguirsi di costruzioni in mattoni, le une uguali alle altre. Insieme alla foschia ed all’atmosfera spenta, le fu impossibile non pensare che nel complesso quel posto fosse davvero l’apoteosi della depressione.
Non riusciva nemmeno a distinguere quale fosse casa di Alan… forse quella con il giardino meno appassito? Come facevano, quei pochi fiori, a vivere e sopravvivere al gelo?
Okay, è ora di bussare. Basta essere agitata, Looma.
Non essere agitata; okay?
«Oh» la porta si spalancò e sulla soglia comparve Hedy.
Indossava un grembiulino – era molto carino; anche se il nastrino che correva lungo gli orli stonava un po’ con la fantasia del tessuto – e dall’interno proveniva un profumo di biscotti. «Tu sei Looma!»
Sorrise.
Era stata una sorpresa, vederla alla festa che lei e gli altri avevano organizzato sotto Fonterossa. Looma non aveva mai avuto chissà quale rapporto, con Hedy – forse perché era andata via dal loro pianeta quando era ancora piccola – ma aveva comunque voluto invitarla.
Non aveva davvero creduto che quei gelosoni dei suoi fratelli avrebbero lasciato che lei venisse!
«I tuoi fratelloni sono in casa?» chiese.
Scosse la testa.
Uffi… ero venuta apposta!
«Sono andati a tagliare la legna. Qui fa molto più freddo del solito, in questo periodo» tagliare la legna?
Non riusciva ad immaginarsi Alan che tagliava in due ciocchi di legno con la sciabola che aveva in dotazione da Fonterossa…
«Ma non restare lì, vieni!» le fece segno di entrare e si scansò.
«Il nonno è nel giardinetto sul retro, sta cercando di rianimare una pianta che sta morendo. La nonna le ha dato troppa acqua» ridacchiò. «Se vuoi, dammi il cappotto e mettiti davanti al camino, intanto»
Oh, è troppo dolce! Non mi va di abusare della sua ospitalità, però.
Accidenti ad Alan… gli avevo detto che sarei passata!
«Ti ringrazio molto, ma sono qui solo per una scappata veloce. Pensavo di trovarci Alan e Sem, a dir la verità» però non le andava di tenere il broncio.
Dopotutto, come si poteva restare offesi con loro?
«Prendi un biscotto, almeno!» le porse una scatola piena di pastefrolle.
Looma si ricordò che anche ad Alan piaceva preparare dolci, di tanto in tanto, ma non era molto bravo. Una volta aveva quasi intossicato tutti, con uno dei suoi tortini.
«Mi spiace che siano tutti indaffarati. Se vuoi posso svegliare la nonna»
«Ma no, non serve… davvero!» la ragazza prese a guardarsi intorno, sorridendo.
Quel posto era esattamente come me lo ricordava: accogliente e caldo; un posto che strideva parecchio con i toni cupi e mogi del resto del paesino. «Ero venuta per lasciare questi ai tuoi fratelli»
Le porse un pacchetto che aveva incartato con un po’ di quella stoffa che le era avanzata dall’ultimo vestito che aveva cucito, prima di lasciare Alfea. In realtà, avrebbe potuto farlo arrivare lì con un incantesimo, ma sperava di poter salutare i suoi amici, di far loro gli auguri, la sera della vigilia.
«Cos’è?» chiese la minore, dubbiosa.
«Qualcosa che la vostra mamma preparava ogni anno, per il la festa di domani. Ieri sono riuscita a prepararlo, finalmente» ed era stata una faticaccia, avrebbe voluto aggiungere. «Daglielo, quando tornano!»
Annuì, e Looma si rese conto che per lei era arrivato il momento di uscire di scena.
Beh, pazienza; il grande giorno è alle porte, non posso certo stare qui a piangermi addosso perché non ho visto Al! Ci terremo in contatto.
Face per aprire la porta e…
«Sei già qui?»
Era Alan!
Le si seccò la gola. Come ogni volta…
Era una cosa stupida, lo sapeva. Non c’era alcuna possibilità, se non come amici e confidenti; sapeva anche quello. Ma, forse… non aveva importanza.
«Sì! Stavo giusto andando via» sorrise.
Alan si scrollò di dosso un po’ di quella che doveva essere neve, e trascinò nell’anticamera del salotto un sacco zeppo di legna fresca ed umida.
«Ciao Looma» il gemello comparve dietro di lui, lasciando il suo bottino poco distante da quello del fratello.
«Ehi Sem!» era bello vederlo sorridere. Bloom stava facendo qualcosa di incredibile, anche se non ne era consapevole. «Carino il cappotto»
«Grazie. È troppo imbottito, però» se lo sfilò di dosso, appoggiandolo accanto al camino. Alan, invece, lo tolse e lo gettò da qualche parte su un divanetto.
Il solito…
«Beh, manca ancora qualche ora, ma… auguri per domani. Ah, i biscotti di Hedy sono davvero squisiti. Non come i tuoi, Alan» Hedy arrossì; il fratello fece lo stesso, ma per una ragione ben diversa.
«Guarda che anch’io sono bravo!» protestò, levandosi il berretto dalla testa con un gesto stizzito. «Hedy, rifilale qualcuno dei biscotti che ho fatto io!»
Looma rise. Non importava che rimanessero sempre e solo due amici che condividevano tutto.
Forse andava bene lo stesso…
Così, mentre aspettava la corriera interspaziale a Magix, piccole briciole di biscotti bruciacchiati finivano in terra. La pasta era morbida e, se al primo morso pareva salata, pian piano si faceva strada il suo retrogusto dolce.
Proprio come Alan.
Sarebbe stata una festa piena di bei ricordi e biscotti!
 

(No, non poteva mancare la mia Looma. Non so se ne “Il catalogo delle cose belle” si capisse esattamente quel che lega lei ed i due fratelli; soprattutto ad Alan.
Quindi, eccoci qui! Grazie per l’attenzione!
Grazie, grazie, grazie! E Buon Natale a tutti!
O meglio… felice Soldì!
7th)
  
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