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Autore: Monkey_D_Alyce    28/12/2017    0 recensioni
Sherlock Holmes: consulente investigativo, sposato col lavoro, amico dell'unica (forse) persona che riuscisse a sopportarlo senza scannarlo a suon di pugni per ogni sua deduzione assolutamente precisa e... padre.
Bisogna dire, però, che quest'ultimo "fatto" non era stato programmato.
A dire il vero, lui non sapeva nemmeno di avere una figlia!
Quella ragazza gli aveva semplicemente scaricato un fagotto, avvolto da una coperta, tra le braccia e se ne era andata, dicendo solamente: "Voglio che ti assuma le tue responsabilità!".
Come se salvare le persone da assassini e ceffi della peggior specie fosse una passeggiata... anche se si stava pur sempre parlando di Sherlock Holmes.
Essere padre sarebbe stata la stessa cosa?
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Genere: Commedia, Fluff, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes, Sig.ra Hudson
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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4. La bambina, il cavaliere e il soldato

 
 
“Callie, alzati. Devi andare a scuola!” la svegliò John dolcemente, scuotendola per le spalle un pochino, facendole aprire gli occhi.
Si mise a sedere e sbadigliò sonoramente, mentre i suoi corti capelli castani erano “sparati” in varie direzione come i cartelli che vide la piccola Alice nel Mondo delle Meraviglie.
“Perché devo andare a scuola?” chiese la piccola di getto, mentre le sue palpebre erano in procinto di richiudersi come due saracinesche.
“Perché imparerai cose nuove” rispose il biondo sorridendole, scompigliandole ancor di più il groviglio in testa.
“Perché?” domandò ancora quella, guardandolo come stralunata.
“Perché…”- cominciò lui prendendola in braccio come un sacco di patate, scatenandole una risata giocosa- “Ti farai una tua opinione del mondo in cui vivi e per affrontare le difficoltà al meglio”.
E con quella frase la zittì, facendola rinchiudere nei suoi pensieri per cercare un senso a quella frase.
Per certi aspetti assomigliava moltissimo a Sherlock.
 
Come se richiamato da una qualche riflessione oscura, il protagonista della mente di John in quel momento entrò nella cucina un po’disordinata, facendo voltare entrambi.
“John, ho risolto il caso!” esclamò entusiasta il consulente investigativo, mentre l’altro smise di versare il latte caldo nella tazza personalizzata della bimba, rivolgendogli un’occhiata torva.
“Va bene, Sherlock, ma non mi sembra il momento. Callie oggi inizia la scuola, ricordi? E poi avevamo fatto un accordo: niente casi con la bambina presente!” ribatté il medico tentando di stare calmo.
Quella bambina, nei suoi da poco compiuti tre anni aveva sentito parlare di così tanti morti che, un bel giorno, vedendo entrare Lestrade trafelato, domandò con spontaneità : “Chi è morto, oggi?”.
Andò a finire che Sherlock si guadagnò un bel destro sul naso per aver sorriso e approvato il comportamento della figlia; a Callie fu vietata la presenza ad ascoltare le scene del crimine (anche se il divieto fu imposto a Lestrade ed alla sua squadra finché la piccola, in quelle situazioni, non fosse stata affidata a Mrs. Hudson o spostata in un’altra stanza) e John… beh, Watson non fu mai così arrabbiato come quel giorno.
Scuola? John, è un asilo! Un posto dove non insegnano nien…”
“Sherlock! È una scuola. E Callie oggi imparerà tante cose nuove e farà conoscenza con altri bambini! E… ma che cos’hai in mano?” lo rimbrottò l’ex soldato, dirigendosi verso il riccioluto, il quale alzò gli occhi al cielo per la questione sull’asilo, ma gli s’illuminò il volto non appena gli fu posta quella domanda:
“I bulbi oculari della vittima. Sono la prova che incastrerà l’assassino” rispose per nulla preoccupato della presenza di Callie.
“Che cosa sono i bulbi oculari?” domandò la piccola scendendo dalla seggiola con non poca fatica, dirigendosi verso il padre per poter osservare meglio l’oggetto di così tanto interesse.
“Sono gli occhi, Callie…”- rispose senza pensarci John, ma si “risvegliò” subito- “Finisci di fare colazione e fila subito a cambiarti, signorina! Sherlock, metti via quei dannatissimi occhi!”.
“Bulbi oculari” terminò con precisione il riccioluto, osservando di sottecchi la figlioletta ingozzarsi con i suoi biscotti preferiti.
“Sherlock!”.
 
“Devo per forza andare a scuola? Perché non posso restare con voi?” domandò la piccola alzando le braccia per farsi infilare il maglioncino grigio della divisa, mentre Sherlock sospirò pesantemente e cercò una risposta più che mai eloquente e sì, per metà menzogna.
O almeno per lui.
A lui non era mai piaciuto andare a scuola.
Studiare sì, ma solo le materie che gli interessavano di più (difatti, non sapeva nemmeno che la Terra girasse attorno al Sole, anche se era una cosa “elementare” per gli altri umani) e poi non aveva mai avuto amici.
In fin dei conti, poteva capire come si sentiva la piccola.
John, però, era stato chiaro: doveva crescere come tutti gli altri bambini e non con pranzi saltuari, delle volte (meno male che c’erano Mrs. Hudson o Molly), e a crimini.
E quindi… quindi nulla, era stato costretto a comprarle persino qualcosa di fanciullesco come una Barbie e un piccolo robot chiamato Transformer o qualsiasi cosa fosse.
Chissà che fine hanno fatto. Non l’ho più vista giocarci” pensò facendo vagare lo sguardo per la camera, ma venne richiamata dalla bimba.
“Papà, non hai risposto!” esclamò stizzita, prendendo il piccolo zainetto poggiato a fianco del letto.
“Perché hai fatto due domande dalla risposta ovvia”- ribatté per nulla toccato, accorgendosi successivamente che era stato un po’brusco nel dirlo- “Come ha detto John, imparerai tante cose nuove e… ti farai degli… amici… e poi dobbiamo anche lavorare ad un caso importante, Callie”.
Lei s’imbronciò un poco, dirigendosi a passo lento verso le scale, ma Sherlock fermò la sua avanzata:
“Considera il lato positivo: stasera staremo tutti insieme e andremo a mangiare da Angelo. Che ne dici?”.
Quella si voltò e corse ad abbracciarlo, lasciandolo sorpreso, non ancora abituato ai quei gesti così… pieni di affetto.
Ad essere sinceri, la trattava ancora con un po’ di freddezza, mancandole di rispetto, delle volte, ma lei sembrava non farci caso e le andava bene così.
L’importante è che ci fosse sempre stato, in un modo o nell’altro, anche se ultimamente continuava a fare domande sui rispettivi lavori dei due ragazzi, sul perché a volte stavano via per tantissimo tempo lasciandola con Mrs. Hudson e le sue amiche pettegole non mancando persino di porgere domande alquanto imbarazzanti, a cui Sherlock avrebbe risposto senza peli sulla lingua e in modo scientifico se non ci fosse stato sempre John a fermarlo appena in tempo prima di procurare un qualche trauma psicologico.
 
§§§
 
“Sei pronta, Callie?” domandò l’ex soldato alla bambina mettendole a posto il giubbottino, mentre Holmes era intento a digitare velocemente sul telefono, guadagnandosi una gomitata nel costato.
“Potresti evitare di farti gli affari tuoi, per favore?” lo rimproverò il biondo sottovoce, mentre Callie si guardava attorno con aria circospetta, osservando i vari genitori che salutavano i figli con caldi abbracci e parole di consolazione verso quelli che piangevano.
L’asilo, invece, così incolore e “triste” metteva quasi i brividi.
“Ciao Callie, divertiti” la salutò Sherlock non distogliendo lo sguardo dal telefono, allibendo John.
Che razza di comportamento era, quello?!?
Capiva che non fosse dedito ai contatti umani, ma così era disumano!
“Ho paura” disse quella d’un tratto, guadagnandosi la completa attenzione dei due.
“Come?”
“Perché hai staccato la testa alla Barbie? No, aspetta… ricordo… la volta che ti dicemmo che tra un mesetto saresti venuta qui all’asilo stavi giocando. Deve essere quando siamo usciti che le hai staccato la testa, forse per la sorpresa o la paura. Infatti, dopo nemmeno dieci minuti eri andata a mangiare i biscotti e tra le dita avevi dei filamenti di capelli di quella bambolotta oscena. Potevi averglieli acconciati, è vero, ma quando mangi i biscotti ad orari strani è perché sei nervosa o turbata” spiegò Sherlock con fare ovvio, mentre John lo guardava stralunato, passando poi lo sguardo sulla bambina.
“Hai decapitato la Barbie…” commentò atono, scuotendo lievemente la testa come intontito.
“John, per favore, è inanimata!” sbottò il consulente investigativo guardandolo, ma quello parve non dargli ascolto e ripeté la domanda o il commento.
“E’ stato un’incidente! È stato Bumblebee!” si giustificò mentre due lacrime le comparvero agli angoli degli occhi, tirando su col naso.
“Menti! Non si dicono le bugie!” la rimproverò il riccioluto con il suo savoir-faire degno del poliziotto bastardo dei film che minaccia il colpevole di dover sputare la verità se non vuole subire le peggiori torture.
“Non è vero!”
“Sì, invece! L’unica cosa che può fare quel robot è portarla in giro a fare strage di Barbie maschili con i vestiti striminziti che indossa!” disse con un tono di voce un poco più alto, svegliando il povero medico dalla sua trance.
“Sei da rinchiudere in un buon ospedale per questa tua osservazione”- s’intromise tra i due, prendendo per le spalle la più piccola- “Callie, tesoro, non c’è niente di cui aver paura. Sei solo un po’agitata, ma è normale. Tutti lo siamo quando facciamo una cosa a noi nuova.
“Quasi tut…”- l’affermazione di Sherlock venne fermata in tempo dallo schiarirsi di voce dell’altro, costringendolo a cambiare argomentazione- “Tuo padre ha ragione. È un ostacolo che forse ti farà terrore, ma riuscirai a superarlo. E ricordati che non sei sola. Ci sono altri bambini che sono nella tua stessa situazione… consideratevi come tanti moschettieri che combattono per un bene comune”.
“Giusto, come una grande squadra!” aggiunse John con un sorriso rassicurante stampato in volto, convincendo la piccola.
Ma una domanda le occupò la mente in quel momento e le diede per forza voce, come a voler una conferma per tutte quelle parole d’incoraggiamento.
“Anche noi siamo una squadra?”.
 
Sherlock e John si guardarono un lungo istante negli occhi e il medico ebbe un tuffo al cuore quando quei due pozzi di ghiaccio sembravano scrutargli l’anima nel profondo, facendolo sentire nudo e senza difese.
Distolse lo sguardo dopo attimi che gli sembrarono secoli, guardando per terra, tentando di calmare il suo cuore impazzito e il fuoco che divampò nelle sue viscere ma, nel mentre, una ragione ben più forte si fece largo in lui e sì, tutto gli fu più chiaro e limpido.
Ci sarebbe stato per loro due.
Avrebbe rinunciato persino alla sua stessa vita, se la situazione lo avrebbe richiesto.
 
“Certo che lo siamo, Callie. Lo saremo sempre!” rispose gentile, illuminandole il viso di un rinomato coraggio.
Callie lo abbracciò di slancio, per poi abbracciare le lunghe gambe di Sherlock esclamando un “vi voglio bene!” attutito dalla stoffa del completo del padre.
La maestra richiamò tutti i bambini e lei corsa via, salutandoli con la manina, venendo ricambiata da John e persino dal consulente investigativo, anche se in modo più contenuto.
 
§§§
 
“Belle parole alla fine… anche se la parte sulla Barbie allegra potevi risparmiartela! Strage di Barbie maschili, eh?” lo prese in giro John ghignando mestamente coinvolgendolo, stranamente, attraverso un semplice e sincero sorriso.
“Meglio allegra che averla decapitata!” lo ripagò della stessa moneta il riccioluto, facendo arrossire il medico.
“Sono rimasto scioccato! Ha dato persino la colpa a Bumbl…”
“Bumblebee.”
“Sì, quello. È-è il Transformer, giusto?”
“A meno che non abbia un amico immaginario, sì, è il Transformer.”
“Pensa se da grande riparerà auto.”
“… Stonerebbe un po’, non trovi?”
“Come se la nostra squadra già non fosse piuttosto variegata!” commentò Watson ridendo in modo cristallino, riempendo la testa del riccioluto come un balsamo dal profumo dolce.
Non si sarebbe mai stancato di lui, ne era certo.
Quella supposizione, però, ebbe l’effetto di farlo riflettere per alcuni istanti, cercando di capire cosa intendesse con quelle parole.
In fin dei conti, non erano tanto “stonati” come gruppo: un consulente investigativo, un medico e una bambina.
Suonava anche bene, nonostante tutto.
“Non siamo così male. Un medico che si prende cura di un consulente investigativo che cerca di capire come crescere la propria figlia comparsa all’improvviso!” ragionò ad alta voce, facendo fermare il passo dell’altro, che scosse la testa divertito.
“Per me ti fermi troppo sulla ragione e non viaggi mai con la fantasia… anche se le tue deduzioni siano a volte esse stesse come tratte da un racconto dell’orrore misto al fantascientifico” lo rimbrottò con fare bonario, facendolo sbuffare contrito.
“John, bisogna stare nel raziocinio, non viaggiare nella fantasia, come sostieni!”- sbottò infilandosi le mani nelle tasche indispettito, ma la curiosità prevalse sull’apparente offesa e non poté fare a meno di chiedergli- “A ogni modo, da cosa sarebbe composta questa squadra?”.
Watson sorrise raggiante e lo raggiunse ad ampie falcate, meditando un poco sulla risposta da dargli.
“Vediamo… un cavaliere… un soldato e una piccola principessa?”
“Callie non è una piccola principessa. Non ha così tanta grazia e non è facilmente impressionabile e soggetta ad urla disturbanti la quiete comune!” lo canzonò un poco indignato, facendolo ridere un’altra volta.
Dio, la sua risata era meglio di qualsiasi droga esistente sul pianeta!
“Chiedo venia… potresti essere tu la principessa.”
“Oh, sono davvero curioso, caro John! Perché mi paragoni a tale soggetto femminile noioso?” domandò con tono falsamente allegro.
“Quando ti alzi dal divano e cammini per il salotto porti indietro la tua vestaglia di seta come un abito dal lungo strascico!” ammise il medico tentando di non ridere ancor di più all’immaginazione di uno Sherlock con un abito fatto di tulle e seta, rigorosamente rosa.
“Sciocchezze! Potrebbe benissimo essere paragonato ad un ampio mantello da cavaliere senza paura!”
“Va bene, va bene. Tu sei il cavaliere, lo riconosco…”.
 
A quella così facile resa, le labbra di Sherlock si piegarono in un lieve ma alquanto dolce sorriso di cui John, fortunatamente, non s’accorse.
“Poi c’è il soldato dall’animo nobile…”- continuò infine il riccioluto, alzando il braccio per chiamare un taxi- “E una bambina che decapita le bambole.”
“Non oso nemmeno immaginare da chi abbia preso questo orrido pregio!”
“Almeno non urla e non s’impressiona come farebbe, molto probabilmente, la madre!”.
 
  
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