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Autore: Lady I H V E Byron    29/12/2017    0 recensioni
"Ci sono cose, nella vita, cui non puoi fare niente. Come la morte di una persona cara. Lo so, per i primi tempi fa male, senti un enorme vuoto dentro e non vuoi più vedere nessuno. E' un dolore che a stento puoi sopportare, ti fa quasi impazzire. Sei consapevole che non torneranno più, che non puoi fare niente per riportarli in vita e questo ti fa soffrire sempre di più. Alla fine scopri... che tutto quello che puoi fare per loro... è vivere."
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Daniela Savoia è una ragazza in lutto per un ragazzo che lei amava; lo shock la porta al mutismo e alla depressione, tanto da rifiutare qualsiasi contatto con il mondo esterno. Nemmeno nell'ospedale psichiatrico dove è stata inviata riescono a trovare una soluzione: Daniela si chiude sempre più in se stessa, senza mangiare, continuamente tormentata da incubi sul ragazzo defunto. L'alternativa, seppur a prima vista assurda, si rivela una vacanza in una SPA, in cui, con sorpresa, incontra le ultime persone che si aspettava di incontrare...
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bill Kaulitz, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Threesome, Triangolo
Capitoli:
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Note dell'autrice: scusate per gli errori di grammatica... non avevo voglia di riguardare tutto.


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Tom’s P.o.V.
 
Non è solo Bill a essere tenace. Anche io lo sono.
Avevo deciso di giocare alla Playstation con Daniela e così sarebbe stato; dovevo solo trovare un modo per entrare nella sua stanza.
Forse ero stato troppo avventato a dire quella frase.
Il problema era come entrare.
Non potevo certo entrare di soppiatto nello spogliatoio della sauna a cercare la chiave della stanza di Daniela negli abiti di Chiara.
Sapevo cosa fare, in realtà, anche se era una vera pazzia.
Scesi fino al piano terra, uscendo nel cortile: stava ancora piovendo a dirotto.
Non ci tenevo certo a bagnarmi.
Cercando di stare il più possibile attaccato al muro, protetto dal tetto, mi misi alla ricerca di qualcosa per raggiungere la finestra della camera di Daniela.
Poi, la vidi: una grondaia.
Ecco la mia via per entrare in camera di Daniela, dall’esterno.
Mi diedi da solo del pazzo anche solo pensare a una cosa simile.
E poi era anche complicato indovinare quale fosse la finestra giusta.
Per precauzione, presi il telefono e inviai a Daniela un messaggio.
 
Ciao, sono Tom. Potresti affacciarti alla finestra, per favore?
 
Lo ricevette: lo constatai da come si era appoggiata al vetro della finestra.
Era accanto alla grondaia: bene. Avrei evitato manovre da “Assassin’s Creed”.
Non potei vedere la sua espressione da quella distanza, ma lo scoprii dal messaggio che mi inviò.
 
-Sei pazzo? Vuoi veramente entrare dalla finestra?!
-Nella vita bisogna rischiare, no?
 
Senza indugio, infatti, mi arrampicai sulla grondaia. Non lo avevo mai fatto, prima di allora. E per fortuna non soffrivo di vertigini come Georg.
Cosa non si fa per raggiungere i propri fini…?
Peccato che il tetto dell’edificio non mi coprì, mentre mi arrampicavo.
Infatti, mi bagnai, con mio grande rammarico. Anzi, proprio mi incazzai per questo. Li avevo lavati e asciugati da poco. Era una gran seccatura doverli asciugare di nuovo.
La finestra, per fortuna, aveva lo spazio di fronte, il che mi rese più semplice aggrapparmi.
Daniela era proprio lì di fronte: per poco non si spaventò a vedermi.
Senza pensarci, aprì la finestra: era di quelle che si aprivano verso l’interno, per fortuna.
Mi allungò le mani, per aiutarmi.
“Che dita lunghe…” pensai, mentre stringevo le mie mani alle sue. Sì, non biasimai Bill per averle osservato e apprezzato le mani: erano proprio mani da pianista, con le dita lunghe e eleganti.
Incrociammo i nostri sguardi, restando fermi per pochi secondi: gli occhi di Daniela erano davvero molto scuri. Aveva lo sguardo da cerbiatto, che la rendeva dolce. Una Bambi al femminile, insomma.
Non seppi come, ma arrossii.
 
Daniela’s P.o.V.
 
-Tu sei un pazzo!- esclamai, mentre aiutavo Tom a salire –E sei anche bagnato come un pulcino!-
Lui mise un piede sul pavimento, facendo spallucce. No, non era così tanto bagnato. Non da lasciare una pozza intorno a lui, intendo…
-Beh, sta piovendo, dopotutto…- disse, sarcastico.
Tom Kaulitz. Di fronte a me. Ero emozionatissima, nonostante avessi nuotato con lui quel pomeriggio.
Impacciata, infatti, gli indicai una sedia.
-Siediti qui, ti prendo un asciugamano!- dissi, prima di correre in bagno -Dovrei averne due, infatti…-
Sì, ne avevo due. Presi quello asciutto, prima di tornare da lui. Si era sciolto il codino, scuotendo la testa e anche i capelli bagnati.
Era una visione. Era bellissimo con i capelli sciolti e bagnati. Gli donavano un aspetto ancora più angelico di quanto non lo fosse già. Sembrava un dio greco. Precisamente Apollo. Entrambi i Kaulitz sembravano Apollo.
Senza pensarci, gli buttai l’asciugamano sulla testa e cominciai a strofinare.
-Ehi, piano! Mi fai male!- si lamentò.
Io arretrai, un po’ in colpa.
-Oh, scusa…-
Lo udii ridacchiare.
-Posso farlo da solo, lo sai?- ribatté, divertito.
-Scusa, è stato involontario…-
Gli alzai leggermente l’asciugamano, scorgendo il suo volto.
Lo osservai di nuovo negli occhi, per poi farmi di nuovo triste. Perché? Perché gli occhi dei Kaulitz erano così uguali a quelli di Gabriele?!
Osservando Tom, percepii la stessa sensazione che provavo quando guardavo lui negli occhi: la tentazione di dargli un bacio sul naso. E Tom aveva un naso bellissimo. Lui e Gabriele avevano più o meno lo stesso profilo.
-Ehm…- mormorò lui, un po’ in imbarazzo –So di essere carino, ma fissarmi così…-
La solita figura da idiota. Come facevo a ritrovarmi in situazioni simili, mi domandavo…
Scattai all’indietro, più imbarazzata di lui. Ero ancora sottosopra dalla mia crisi, per questo ero più distratta del solito.
Lo osservai di nuovo, senza farmi vedere: si stava ancora asciugando i capelli con il mio asciugamano.
Sarei rimasta ferma per ore a guardarlo.
Poi, si fermò, guardandosi la felpa. Era leggermente bagnata.
-Ti dispiace se mi tolgo la felpa?- mi domandò, ponendosi l’asciugamano sulle spalle –Non temere, ho la T-Shirt sotto.-
Glielo lasciai fare. Anche se fosse stato a torso nudo, in quell’istante non mi sentivo in vena per… sapete no? Apprezzamenti volgari, possiamo dire.
E poi… dopo la morte di Gabriele, si erano spenti in me i due volti dell’amore: quello platonico e quello carnale. Quindi non mi sarei sentita “accaldata” se lo avessi visto con i pettorali e il resto in bella mostra.
Anche quel giorno, in piscina, per quanto, nella mia mente, avessi esaltato e acclamato i loro corpi, non provavo altro. Nessuna eccitazione. Tutto si era spento in me.
-Allora? Una partitella a CoD?- domandò, sorridendo, mentre si sedeva sul mio letto.
Un forte senso di ansia mi prese, con quella domanda.
Stavo per giocare a “Call Of Duty” con Tom Kaulitz!
Una cosa rapida, prima che Chiara tornasse dalla sauna. Il massimo era un’ora. Avevamo tre quarti d’ora scarsi per giocare.
Infatti, senza pensarci due volte, accesi la Play e misi subito l’ultimo “Call of Duty”.
-Ti va se facciamo la partita online?- domandai, tentando l’approccio della “voce innocente” per farmi convincere –Una partita a testa.-
Tom fece spallucce, spingendo il labbro inferiore in avanti.
-A me va bene qualunque cosa.-
Scoprii che anche Filippo si era connesso: infatti, quando iniziai la partita, mi arrivò un suo messaggio, in chat.
 
Ciao, Dani, come stai?
 
La mia risposta non tardò.
 
-Tutto bene. Oggi temo che farò massimo due partite. Non mi sento molto in forma.
 
-Non importa. Mia madre mi ha messo sotto stretta sorveglianza, quindi anch’io farò al massimo due partite.
 
Durante la missione, Tom faceva il tifo per me. No, proprio il C.T. calcistico. Nel frattempo, gli avevo parlato di Filippo, come ci eravamo conosciuti, che Gabriele era il nostro amico comune e via discorrendo.
Mi ero seduta accanto a lui, sul mio letto. L’emozione era ancora forte in me.
Ci alzammo entrambi, esultando, quando finii. Avevo ottenuto un buon punteggio. Leggermente più alto del mio amico.
 
-Brava.
-Grazie. Ora non scrivere più. Un’altra persona, ora, mi darà il cambio.
-Un’altra persona? Chi?
-Uno che ho conosciuto nella SPA, che sa poco l’italiano. Se stasera sei libero, ti spiegherò tutto su WhatsApp.
-D’accordo.
 
Diedi il joystick a Tom.
-E’ in italiano.- lo avvertii –Va bene lo stesso?-
-Ma sì. Tanto mi ricordo tutto. E poi è una buona occasione per imparare un po’ la tua lingua.-
Sperai di avere avuto un’illusione: mi fece l’occhiolino.
Ma cercai di non illudermi. “Magari gli è andata una ciglia nell’occhio…” pensai, guardando in basso.
Mi sorpresi dell’abilità di Tom con CoD. O forse no.
Fatto sta che anche lui batté Filippo, facendo un punteggio più alto del mio.
Gli applaudii, sorpresa.
 
Good job gli scrisse Filippo.
Tom gli rispose pure con Thanks
 
Forse un’altra partita ci sta.
 
Una terza partita…?
Tom mi guardò, con aria quasi seria. Gli avevo tradotto ciò che Filippo aveva scritto.
Storse la bocca, per distenderla un secondo dopo.
-E se ci dividessimo il joystick?- propose.
Lì per lì non compresi, o meglio, sperai di aver frainteso il senso della sua frase.
No, era proprio quello che pensavo: giocammo la terza partita insieme.
Dallo stesso joystick, lui controllava il personaggio e io sparavo.
O meglio, ci provavamo.
-Ok, ora spara!-
-Mira! Mira!-
-Cosa? Oh, giusto!-
Ne uscì fuori una partita assurda. Assurda per l’assurdo duo Kaulitz-Savoia, si intende…
Il risultato? Oh, semplice. Vinse Filippo.
Dopotutto, glielo dovevamo, poveretto. Aveva perso le altre.
Come promesso, lui si disconnesse, con la promessa di una conversazione, dopo cena, su WhatsApp; Tom e io rimanemmo di fronte al menù principale di “Call of Duty”.
-Campagna?- domandò lui –Un quadro a testa.-
Così facemmo. Restammo per una buona mezz’ora a giocare a “Call of Duty”. Un’esperienza insolita, ma altrettanto gradevole. Ci divertimmo tantissimo, sia a giocare sia a fare il C.T. dell’altro.
Bastò, per farmi tornare il buonumore e distrarmi dalla crisi che avevo avuto prima.
-Vai! Fai esplodere quel bastardo!-
Il missile che sparai fece letteralmente esplodere l’elicottero nemico.
-Evvai!- esultò Tom, tra i miei urli di soddisfazione –Mitica, Dani!- ci demmo il cinque come fossimo due amici maschi: mi piaceva quel tipo di cinque. E poi, scambiarlo con Tom era il massimo.
Sì, anche io mi sentivo decisamente meglio.
Sospirando, si sdraiò sul letto, per poi osservarmi con il suo sguardo caldo e sensuale.
Dopo tanto tempo, sentì il mio cuore vibrare leggermente. No, era già successo con Bill.
-Beh, pessima cooperativa, non trovi?- domandò, facendomi cadere dalle nuvole. Si stava riferendo alla terza partita contro Filippo.
Imbarazzata, incrociai le gambe sul letto, scostandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio destro.
-Ehm… ecco…- non avevo la minima idea di cosa dire. La sua, inoltre, non era stata una domanda molto cortese. –Mi dispiace molto.- mi limitai a dire, stringendomi nelle mie spalle.
Ma poi lui si mise a ridere.
-Stavo scherzando, dai!- esclamò, scattando in avanti e dandomi una lieve botta amichevole sul braccio; proprio come era solito darmele Gabriele. E lasciava lo stesso dolore, stranamente… -Tuttavia abbiamo fatto un buon lavoro nella Campagna, non trovi?-
Annuì, silenziosa e sorridendo.
-Ma vuoi sapere una cosa? Giochi di questo tipo ci piace farli dal vivo, sia a me, a Bill che agli altri ragazzi dei Tokio Hotel. Hai mai giocato a Paintball?-
Scossi la testa.
-Ogni volta è un’esperienza magnifica. Soprattutto la soddisfazione di colpire gli avversari in mezzo alle chiappe! Soprattutto se le chiappe in questione sono quelle di Bill. Pensa che prima di giocare si vanta di essere…- imitò alla perfezione la sua voce -…un gran tiratore.- tornò a parlare con la sua solita voce –Hai presente la soddisfazione di far breccia sull’arroganza altrui? E non ti dico le scenate che fa quando scopre di aver fatto meno punti degli altri…-
Si sdraiò di nuovo sul mio letto, mettendosi su un fianco, ridendo.
Io risi con lui, immaginandomi la scena.
Aveva distolto il suo sguardo dal mio: sapevo che stava osservando la foto di Gabriele sul mio comodino, sopra il diario.
Anche lui mi avrebbe chiesto informazioni su di lui, o almeno, era quello che temevo.
-Dimmi…- dissi, facendo nuovamente in modo che mi guardasse –Tu fai sempre così, quando hai di fronte una ragazza brutta?-
Tom apparve confuso.
-Così come?-
Alludevo al mio braccio. Infatti glielo indicai.
-Perché? Ti ho fatto male?- domandò, alzandosi leggermente.
-No. E’ solo che… scommetto che non avresti fatto così, se fossi bella.- anch’io guardai la foto di Gabriele, incupendomi; se solo il suo aspetto non fosse stato come quello dei Kaulitz…! –Anche lui mi faceva spesso così, ma non ebbi mai il coraggio di dirglielo.-
Come al solito, mi ero tradita da sola: da che non volevo che Tom parlasse di Gabriele, ero finita io a parlare di lui.
Mi osservò con aria compatita. Si alzò dal letto, tornando seduto. Stranamente, mi cinse le spalle con un braccio. Il mio cuore vibrò di nuovo dall’emozione. Proprio vibrare, non battere. Non provavo più niente, ormai: le mie emozioni erano solo illusioni di emozioni, non erano vere.
-Scusa.- mi sussurrò; il suo alito rovente entrò nel mio orecchio –Non volevo farti del male. Volevo solo sembrare simpatico. E no, non faccio così con le ragazze brutte. E forse nemmeno lui lo faceva con questa intenzione.-
“Come fa a dirlo?” pensai, serrando le labbra, senza osservarlo “Non lo conosceva nemmeno!”
-A volte noi maschietti nascondiamo il nostro imbarazzo dietro questi… “gesti”, ecco. Ma non è per questione di antipatia: a volte lo facciamo perché non riusciamo a sopportare lo sguardo della persona che amiamo. Ma molto spesso non è la cosa giusta da fare: va a finire che l’altra persona si fa idee sbagliate di noi e pensa che gli stiamo antipatici e storia finita.-
“Sì, certo.” pensai “Ma scommetto che con Elena non lo faceva.”
Avevo visto come le parlava al diciottesimo compleanno, come la guardava. Non potei non provare rabbia al solo pensiero, o provare di nuovo la tentazione di dare fuoco ai capelli di Elena, o strapparle il cuore dal petto o ucciderla in tutti i modi in cui avevo sognato di farlo.
La odiavo. La odiavo tantissimo.
Forse intimorito dallo sguardo che avevo assunto, Tom abbandonò la presa su di me.
-Scusami di nuovo.- mormorò, mordendosi le labbra –Non dovevo dirlo… E… scusami anche per come ti ho parlato, quando ti ho incontrato.-
Sì… come dimenticare quel giorno, quel momento…?
-Se avessi saputo da subito la tua situazione, non mi sarei comportato in quel modo, scusami.-
Che dolce… Lui si fingeva duro, ma quel pomeriggio scoprii che anche in lui vi era dolcezza.
Io gli sorrisi lievemente, scacciando dalla mia testa i brutti pensieri assorti pochi istanti prima.
-Non importa.- mi limitai a rispondere. Non riuscii a guardarlo negli occhi: non era per il timore di rivedere Gabriele in lui, ma per evitare che riuscisse a leggere la mia rabbia e il mio odio, per evitare di essere compatita.
Non sarebbe stato da lui, consolare.
Guardai l’orologio, sgranando gli occhi.
Osservai Tom, allarmata.
-Tom, è meglio se te ne vai!- avvertii.
Lui inclinò la testa.
-Chiara potrebbe tornare da un momento all’altro.- spiegai, abbassando gradualmente la mia voce –Se ti vede qui sono guai!-
Anche lui percepì il rischio, infatti corse nel bagno, riprendendo la felpa dal termosifone per poi indossarla, e si diresse di nuovo alla finestra, che aprì. Stava ancora piovendo, fuori.
Senza dire una parola, uscì, ma non scese subito; volli salutarlo, almeno.
-Grazie di essere venuto.- ringraziai, sorridendo –Mi sono davvero divertita, anche se è durato poco.-
Anche lui ricambiò il sorriso.
-Anche io mi sono trovato bene. Mi dispiace non avere più modo di rifarlo. Forse domani, ti va?-
Riflettei un poco. Alla fine annuii.
-Perfetto. Allora ci rivediamo a cena?-
Annuii di nuovo.
Lui mi sorrise, senza mostrare i denti. Aveva un sorriso così dolce… involontariamente, mi avvicinai a lui, baciandolo sulla guancia.
Quel gesto sembrò averlo preso di sorpresa. Non lo biasimai: persino io mi stupii di me stessa.
Non so spiegare il motivo: avevo solo voglia di farlo, tutto qui.
Lui, però, sorrise lo stesso, toccandosi la guancia.
-Grazie.-
Tornò alla grondaia, scendendo verso il piano terra. Ci salutammo un’ultima volta, con la mano, prima che lui entrasse nell’edificio.
Mi sentivo come Raperonzolo e Tom era il principe salito sulla torre. Oppure eravamo come Romeo e Giulietta alla scena del balcone.
Sospirando, chiusi la finestra.
Avevo giocato a CoD con Tom Kaulitz.
Sul letto c’era ancora l’asciugamano con cui si era asciugato i capelli.
Lo presi e lo annusai: sapeva di lui. Sigaretta e acqua di colonia. Mi sdraiai, tenendomelo stretto: un vero tesoro che avrei conservato con gelosia.
Sentii bussare alla porta. Riconobbi i tocchi: Chiara.
Il sollievo quando sentii la chiave girare, aprendo la porta.
-Dani? Sono io.- entrò, con un asciugamano sulla testa; aveva una tuta da ginnastica, addosso –Cielo… dicono che la sauna faccia bene, a me ha fatto solo sclerare dal caldo e dal sudore. Non la farò mai più, giuro!- si diresse verso la sua camera, senza badare a me; o era quello che credevo –Cosa hai fatto, comunque?-
Io feci spallucce.
-Niente.- dovevo fingere di apparire malinconica e annoiata; non doveva sapere di Tom; o meglio, non ancora –Ho giocato e basta.-
Mi guardò con aria dispiaciuta. Si avvicinò a me e mi abbracciò: pregai non sentisse l’odore di Tom.
-Oh, tesoro, mi dispiace tanto. Non volevo chiuderti qui dentro, ma ora che stai iniziando a camminare di tua volontà sta diventando quasi rischioso lasciarti libera. Dopo quanto è successo due notti fa devo starti vicina, per il tuo bene, prendendo ogni precauzione necessaria. Lo capisci, vero?-
No, non lo avrei mai capito. Ero in grado di intendere e di volere, non ero una demente. Perché doveva starmi sempre addosso? Se temeva per l’albergo, era un altro discorso. Ma stava parlando di me.
Non dissi nulla, per evitare un’altra crisi.
Ma lei, in un modo o nell’altro, comprese.
Si staccò da me, stirandosi.
-Io vado a fare una doccia.- disse –Poi mi preparo per la cena. Ti conviene metterti qualcos’altro per stasera.-
Si aprì la porta che collegava la sua stanza alla mia, sparendo, poi, nella porta del bagno.
Sapevo cosa fare in quel breve lasso di tempo: presi il mio diario e vi scrissi sopra.
“Dopo la pioggia segue sempre il sole, però. E il sole in questione è alto, moro, tedesco e si chiama Tom Kaulitz. Come un principe delle fiabe, è salito fino alla mia stanza e insieme abbiamo giocato a “Call of Duty”. Ho sempre detto di essere stata più fan di Bill che di Tom, ma, dopo tutto questo… ora sono anche fan di Tom. Amerò sempre lo sguardo tragico e tenero di Bill, il suo volto puro e angelico, ma negli occhi di Tom… non so perché, ma ho percepito come una sensazione di calore, di dolcezza, di premura, che farebbe sciogliere persino una pietra…”
 
Bill’s P.o.V.
 
Quando bevo troppo o vado ripetutamente in bagno o dormo.
Quel giorno mi era capitata la seconda opzione.
E dormii anche alla grande. Tanto che quella notte non dormii proprio.
Non seppi per quanto tempo dormii o cosa sognai.
Sapevo solo che ero in pace con me stesso.
Fino a quando non sentii qualcosa premermi sulla gola: un oggetto affilato.
Un taglierino.
Il mio cuore sussultò e con esso i miei occhi.
Ero paralizzato. Non riuscivo a muovermi.
Riuscii solo a vedere chi avevo di fronte.
Il ragazzo uguale a me e Tom. Gabriele.
Mi stava fissando con aria minacciosa e con l’altra mano mi stringeva i capelli.
In quel momento, udii una melodia, nell’aria.
Una voce. La voce di Daniela intonare una canzone. Proprio come una sirena.
-Cosa hai intenzione di fare con lei?- mi domandò, freddo.
Io ero terrorizzato: non sapevo cosa fare.
Uscirono solo suoni strani dalla mia bocca.
-N-non so di chi stai parlando…!- balbettai, ansimando.
Il taglierino fece più pressione sulla mia gola.
-Vuoi portarmela via?-
-N-no…! Io…!-
Il suo volto si fece più vicino al mio.
-Nessuno avrà Daniela!- riprese Gabriele, strizzando gli occhi e mantenendo la presa salda sul taglierino –Se non l’ho avuta io, nessuno l’avrà!-
Senza aggiungere altro, passò rapido la lama sul mio collo, uccidendomi.
Mi svegliai di soprassalto appena in tempo, con il mio cuore che batteva a mille.
Misi una mano sul mio collo: integro.
La stanza era buia. C’ero solo io.
-Tomi?- chiamai.
Mi voltai verso il mio telefonino.
 
Sono a giocare alla Play con Daniela. Mi sono portato via la chiave.
 
Con tanto di emoticon della faccina che da i baci.
Ecco cosa mi aveva scritto Tom su WhatsApp.
-E’ andato da lei senza di me?!- esclamai, scioccato.
Sentivo la testa farmi male.
Quella melodia… era ancora nella mia testa. Era la stessa del sogno che Tom e io avevamo fatto la notte prima.
E quel ragazzo… Gabriele… era la seconda volta che lo sognavo.
“Come può una semplice foto sconvolgere così una persona…?” pensai, passandomi le mani sia sulla fronte che sui capelli; sì, tutto era iniziato da quando Tom e io avevamo visto la sua foto; che mi avesse sconvolto davvero così tanto? Perché lo avevo nuovamente sognato?
In quel momento, si aprì la porta della camera e la luce si accese, facendomi quasi accecare, distogliendomi dai miei pensieri.
-Ehi, il bello addormentato si è svegliato, finalmente!-
Ah, Tom.. sempre il solito…
I miei occhi, per fortuna, si stavano riabituando alla luce. Ebbi modo di vedere il mio fratellino, tutto fradicio.
Non nascondo che mi lasciò sorpreso. E lui sapeva che lo stavo pensando.
-Spero tu non l’abbia messa incinta…- dissi, osservandolo male, mentre lui si sdraiava sul letto, proprio accanto a me. Per fortuna non bagnò così tanto il cuscino –E perché sei così bagnato?-
-Vuoi davvero ridere?- rispose lui, sarcastico –La sua infermiera l’ha chiusa dentro.-
Anche questo mi scioccò.
-Come chiusa dentro?!-
-Per paura che si ripetesse quello che è accaduto due notti fa, solo senza sonnambulismo. Tutto con la classica scusa “E’ per il tuo bene!”.-
-Allora come sei entrato in camera sua?-
-Non ci arrivi? Da fuori. Non vedi che sono tutto bagnato?-
Mi raccontò delle partite di “Call of Duty” e di cosa hanno fatto in seguito, ovvero parlare.
Non l’aveva messa incinta. Per fortuna.
-Comunque, avevi ragione.- concluse -Daniela sa davvero di rosa.-
Come dimenticare quel profumo? La sua voce era nella mia testa, ma quel profumo di rosa era entrato nelle mie narici e vi aveva preso dimora.
-Sì, dispiacerà anche a me allontanarmi da lei. Poteva essere una valida partner per quando gioco alla Play. E’ meglio persino degli altri. Vedessi quanti “Headshot” ha fatto…-
Perché non poteva essere un “Heartshot”? Ma quando ci pensai, ebbi di nuovo un lieve senso di gelosia: che davvero anche Tom…? No, mi rifiutavo di crederlo.
-Bill, mi stai ascoltando?-
Caddi di nuovo dalle nuvole.
La testa mi faceva ancora male dallo champagne ed ero ancora scosso dal sogno che avevo fatto.
-Scusa…- biascicai, passandomi una mano sul volto. Poi la rimisi sulla gola, lo stesso punto dove Gabriele mi aveva ferito.
Lui si fece subito premuroso. Infatti, mi mise una mano sui capelli.
-Ehi, tutto bene?-
-Sono… ancora tramortito dal mio pisolino, ma sto bene.-
Sapeva che mentivo. Siamo gemelli, no? Ma sapeva anche che quando facevo così, non volevo parlare di cosa mi affliggesse. Forse glielo avrei detto in un altro momento.
Improvvisamente, lui schioccò le dita.
-Idea! Perché non chiamiamo Georg e Gustav?- propose, a voce alta.
Quell’idea era venuta all’improvviso, quasi senza motivo, prendendomi di sorpresa.
Effettivamente… non li avevamo contattati dal nostro arrivo alla SPA.
E nemmeno a farlo apposta, mi arrivò un messaggio di Georg.
 
Hey! Io e Gustav siamo in birreria! Voi come ve la passate?
 
Tom e io ci guardammo: pensammo la stessa cosa.
Lo chiamai. Anzi, videochiamai.
Non tardò a rispondere, per fortuna.
-Hey! Ciao, ragazzi!-
Avevano già in mano dei grossi boccali di birra; provai un po’ di invidia, forse anche Tom, avvertendo l’improvvisa voglia di bere birra.
-Ciao, Schorschi! Ciao, Juschtel!- salutammo. Ci dispiacque non averli chiamati per tutta la settimana. –Vergogna! Bere così di fronte a noi!-
-Perché? Senti la mancanza della birra?-
Georg dovette reputarsi fortunato se a dividerci in quel momento era uno schermo e diversi chilometri di distanza. Tom, infatti, ridacchiò.
Per fortuna, Gustav riprese le redini della situazione.
-Come va alla SPA? Vi trovate bene? Vi siete rilassati?-
-Questo e altro!- risposi, entusiasta –Non ci crederete, ma abbiamo incontrato una nostra fan!-
Entrambi si sorpresero. Per poco non si soffocavano con la birra.
-Ma dai!- esclamò Georg –Non vi ha dato fastidio, vero…?-
Fu Tom a rispondere.
-Se vi raccontiamo l’intera storia, non ci credereste.-
Ovviamente raccontammo loro di Daniela. Sui loro sguardi si poteva leggere la stessa espressione che avevamo noi, quando Chiara ci aveva raccontato della sua situazione.
-Povera cara…- commentò Gustav –Spero si rimetta presto. Diamine… brutto colpo perdere una persona DOPO aver assistito ad un nostro concerto.-
-Ma voi due avete fatto per caso qualcosa di particolare con lei…?-
Dio… quando Georg faceva quella faccia da furbo, avevo sempre una voglia così di prenderlo a schiaffi, con gli anelli.
-Abbiamo solo parlato, nuotato e lui ha appena giocato a “Call of Duty” con lei!- feci, subito. Che tipo… pensare a quel tipo di cose nei nostri confronti… Tuttavia, mi feci malinconico –Mi spiace che dopodomani ripartiamo. Avremmo tanto voluto conoscerla meglio.-
-E se le chiedeste di venire con noi per le ultime tappe del tour?- azzardò Georg, dicendolo come fosse una cosa ovvia, semplice.
Lo guardammo tutti allibiti.
-Eh?!- facemmo, all’unisono.
-Schorschi, hai bevuto di nuovo troppo, stai delirando.-
-Perché no, scusate?- si difese lui –Ho fatto solo un anno di Psicologia, ma comprendo che il suo caso di depressione non può essere curato solo da medicine. Ha bisogno di distrarsi, vedere cose nuove, cose che non le facciano ricordare Bologna o il ragazzo che ha perduto. E poi… cosa c’è di meglio della Russia, come luogo lontano?-
Non aveva tutti i torti. Fosse dipeso da me, avrei accettato all’istante. Ma Daniela avrebbe accettato? No, il vero problema era Chiara. Non eravamo sicuri se avrebbe accettato. O forse sì, se le avessimo detto che era per il bene di Daniela.
 
Chiara’s P.o.V.
 
“Domani sarà il mio penultimo giorno alla SPA, e penultimo giorno in cui starò con Bill e Tom. Da dopodomani ricomincerà la routine dell’ospedale psichiatrico. Ma almeno gli strizzacervelli avranno modo di ascoltare la mia voce e i miei pensieri, per una buona volta. Vorrei tanto che questa settimana non passasse mai. Ho ripreso a parlare, ho ripreso a mangiare grazie ai Kaulitz. Non trovo mai le parole giuste per dire loro quanto sia stata felice di averli incontrati, conosciuti, visto il loro lato “reale”. Il tempo trascorso insieme non è stato abbastanza. Il solo pensiero di non rivederli più mi riempie di tristezza, di un dolore ben più forte di quello che provavo prima. Avevo trovato finalmente qualcuno con cui passare del tempo, divertirmi, farmi di nuovo sentire viva, farmi di nuovo sorridere. Temo di tornare al mutismo e al digiuno. Forse questo è il mio destino, quello di essere eternamente infelice e sfortunata. Le piccole felicità che ho provato a fianco dei Kaulitz, forse, erano solo illusioni. Perché finisco sempre con illudermi di ottenere la felicità? Forse era meglio se Bill non mi avesse inseguita, quando ho avuto il mio attacco di sonnambulismo.”
A cena, Dani e i gemelli facevano a gara a chi fosse il più depresso. Le separazioni non sono facili da accettare. Dani aveva persino instaurato un buon legame con i suoi idoli. Nonostante tutto, erano bravi ragazzi. Si era distratta, allontanandosi da Bologna, un luogo che le faceva richiamare brutti ricordi, aveva incontrato gente nuova che l’aveva salvata più di una volta.
Il dottor S. sembrava aver letto i miei pensieri, dallo sguardo che assunse.
-Lo so, Chiara…- disse, infatti –Non possiamo farci niente. Non possiamo nemmeno chiedere un’altra settimana di permanenza.-
-Non cambierebbe nulla.- tagliai corto; la questione non era il luogo, ma le persone che Daniela aveva incontrato –Senza i Kaulitz, che senso avrebbe per lei restare qui un’altra settimana?-
Alberto fece spallucce.
-Il rovescio della medaglia di legarsi anche se non sentimentalmente ad un musicista. Metteranno sempre il loro dovere verso la musica che agli affetti personali…-
Delicato come al solito… avrei tanto voluto dargli un pugno su quei bei dentini.
-Daniela potrebbe davvero tornare al mutismo e al digiuno, se ritorniamo all’ospedale.- tagliai corto, reprimendo i sentimenti negativi verso Alberto.
-Sarebbe un vero peccato, dati i suoi precedenti progressi.- osservò il direttore, facendosi serio e mettendosi a riflettere.
Alberto non sapeva cosa dire, per fortuna.
-Dimmi una cosa, Chiara…- aggiunse il dottor S. –So che come domanda sembrerà un azzardo, ma… non è che quei due ragazzi sarebbero disposti a portarvi con loro?-
Inclinai la testa, confusa. In realtà, sapevo dove voleva arrivare. Sì, era un azzardo.
-C-come…?!- feci, infatti.
-Esattamente quello che ho detto. Voglio dire… dopotutto sono ancora dieci giorni fino alla fine del loro tour, e le ultime date sono in terra russa, in base a quello che ci hai detto, no? Potrebbero bastare per Daniela per distrarsi a sufficienza per riprendersi. Non dico del tutto, ma…-
-Dottor S., ma ne è davvero sicuro?- interruppe Alberto –E poi chi lo dice ai genitori? Già il padre ha protestato sull’iniziativa di portarla alla SPA, figurarsi cosa può dire su un viaggio in Russia… Non mi fraintenda, io sarei d’accordo sulla sua decisione, ma il signor Savoia…-
-Dottor Guerra, qui si sta parlando del bene di Daniela. A quella ragazza servono distrazioni, non medicine. Il signor Savoia deve imparare a comprenderlo. Se avrà da ridire qualcosa gli domanderemo se gli fa davvero piacere avere una figlia muta in casa. La risposta sarà altamente negativa.- tornò a parlare con me –Chiara, pensi di domandare a quei ragazzi se possono portarvi con voi?-
Cercai di non illudermi, ma annuii lo stesso. Se fosse andato tutto bene, Dani sarebbe stata la persona più felice del mondo. E io con lei.
Chiusi la chiamata, presi la chiave e uscii dalla mia stanza, in pigiama e ciabatte. Avevo già chiuso Daniela dentro la sua stanza, per precauzione.
Ricordavo bene il numero di stanza dei Kaulitz, infatti salii di un piano e bussai forte alla porta della loro stanza.
Era l’una di notte, ma non mi importava; era una questione importante.
Ad aprirmi fu Bill, completamente assonnato.
-Chiara…?- biascicò, dando l’impressione di mettermi a fuoco –Cosa fai qui? E’ tardi…-
-Devo parlare con te e tuo fratello, immediatamente.- tagliai corto –Posso entrare?-
Lui storse la bocca, come per dire “Se proprio devi…”, prima di farmi entrare.
Anche Tom si svegliò, lentamente. Mi dispiacque averli svegliati in quel modo, ma di fronte al dovere non mi fermavo davanti a nulla.
Porsi loro il diario di Daniela; sì, lo avevo portato con me.
-Ogni sera leggo il diario di Daniela ai suoi dottori dell’ospedale psichiatrico.- spiegai, appena seduta su una poltroncina della loro camera. Loro erano seduti sul loro letto. –E ho letto alcuni piccoli segreti che non mi ha detto…-
Li guardai con aria severa e loro impallidirono.
Sì, lessi della piccola visita di Tom nella sua camera e di come, a pranzo, i due gemelli le avessero offerto una forchettata dei loro spaghetti, nonostante il mio divieto. Temevo che mangiare subito roba complicata avesse nociuto a Dani, per questo l’avevo rimproverata quando ha preso alcuni dei miei fili di pasta all’amatriciana.
Bill stava per dire qualcosa, ma io lo fermai subito.
-No, in realtà sono felice che lo abbia fatto; vuol dire che sta ritornando normale. Da quando vi sta frequentando, anche se sono stati pochissimi giorni, Daniela ha mostrato segni di miglioramento, ha fatto in un giorno ciò che non ha fatto in una settimana all’ospedale psichiatrico. Ha parlato, sta riprendendo a mangiare, a sorridere, a vivere. Le avete cambiato la vita, ragazzi, l’avete salvata. Grazie.-
Bill e Tom si osservarono, quasi sorridendo.
-Ne siamo felici.- disse il primo, guardandomi.
-Tuttavia… temo che la separazione da voi la porterà di nuovo al mutismo e forse al suicidio.-
Entrambi si allarmarono.
-Come? Perché?- domandò Bill, preoccupato.
-A voi farebbe piacere essere privati di un oggetto o di una persona con cui vi sentite a vostro agio?-
I loro sguardi risposero per loro: a chi piacerebbe, in fondo?
-Daniela, come sapete… non è mai stata una ragazza fortunata. Teme che il tempo passato con voi sia stato solo un’illusione, se non proprio un sogno.-
-No, è tutto reale!- ribatté Bill.
-Noi sappiamo di aver passato del tempo con lei, perché non dovrebbe crederlo?- aggiunse Tom, dello stesso umore del fratello.
-Ragazzi, dovete considerare che lei ha subito un trauma e non è bastata questa settimana a farla distrarre. Se domani la riporto all'ospedale, temo che tutti i suoi progressi saranno vanificati e tornerà tutto come prima. Se così sarà, l'unica maniera estrema per aiutarla temo sarà... la lobotomia.- quella parola sembrò sconvolgere i due gemelli; forse nemmeno loro volevano quel destino per Daniela; arrivai al nocciolo della questione senza pensarci due volte –Però c'è un'altra soluzione, per evitare questa misura estrema. So che questa richiesta può sembrare assurda, ma… non è che… potreste portarci con voi, in Russia?-
I gemelli rimasero con il fiato sospeso. Forse avevo formulato la domanda in maniera troppo brusca, come mio solito.
Avrei dovuto arrivarci a gradi.
Entrambi accennarono una lieve risata.
-Buffo…- mormorò Tom –Prima di cena… ne abbiamo persino parlato con i nostri due amici… il nostro bassista è arrivato più o meno alla tua stessa conclusione. Mi domando se non sia per il fatto che entrambi abbiate studiato psicologia…-
Mi stupii di quella risposta: mi aspettavo un “no, non ce lo possiamo permettere.”. Ma quella non era la risposta definitiva.
-E voi cosa pensate?-
-Il problema più grosso eri tu, Chiara.- rispose Bill –Pensavamo che tu non fossi d’accordo a portare Daniela in un posto… ecco… TROPPO lontano da Bologna. Per tutta la sera ho cercato invano un modo per dirtelo, ma non ci sono riuscito. Pensavo di parlartene domani, ma… con questa rivelazione… mi hai colto di sorpresa.-
Rimasero entrambi in silenzio.
-Per noi non ci sono problemi a portarvi con noi.- decise Bill, con approvazione di Tom -Anzi, siamo felici di esservi d'aiuto.-
Tirai un sospiro di sollievo. Non vedevo l’ora di dirlo a Daniela. Avrebbe sfoggiato il sorriso più bello della storia.
-Tuttavia… non possiamo prenotare camere per voi. Spero non vi dispiaccia dormire nel Tour Bus. I letti non sono scomodi, anzi, ma…-
-Va benissimo.- lo interruppi.
-E soprattutto, se, per caso, volete partecipare a dei concerti o ai nostri After Shows…- aggiunse Bill –Dovremo procurarvi dei travestimenti, per non dare nell’occhio.-
-Tranquillo, non ce ne sarà bisogno. Daniela odia luoghi con troppe persone.- assicurai, alzandomi dalla poltrona. Anche loro si alzarono, per accompagnarmi alla porta; prima di uscire, li abbracciai, stupendoli entrambi –Grazie. Grazie ancora.- mormorai, felice per Dani.
Loro non sapevano cosa dire: come biasimarli? Avevano sempre visto il mio lato freddo e aggressivo.
Ma ricambiarono l’abbraccio con qualche leggera pacca sulla spalla.
-Figurati.- dissero all’unisono.
Ci demmo la buonanotte, prima che io entrassi di nuovo nella mia stanza, accendendo di nuovo Skype.
-Dottor S.? Hanno accettato!-
   
 
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