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Autore: Nat_Matryoshka    03/01/2018    3 recensioni
Le città di notte sono fatte per perdersi e ritrovarsi. Per lasciare una festa e scoprire se stessi, tra piscine e strade vuote, caffé desolati e insegne al neon.
Dal testo:
La voce di lui la riporta alla realtà, profonda e avvolgente come il cielo notturno.
“Ti sei mai sentita immortale?”

*
[Reylo AU || scritta per la Reyloweek 2016 e ispirata a "Young God" di Halsey]
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ben Solo/Kylo Ren, Rey
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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You know, we're gonna be legends

 





He says, "Ooh, baby girl, you know we're gonna be legends
I'm a king and you're a queen and we will stumble through heaven.
If there's a light at the end, it's just the sun in your eyes,
I know you wanna go to heaven, but you're human tonight."

[Young God - Halsey]

 
 









Rey odia le feste.
Non tutte, a dire il vero. Forse è più corretto dire che odia le feste a cui suo nonno deve partecipare.

Cercare un vestito adatto nell’armadio, spedirlo in tintoria, vestirsi e truccarsi, indossare scarpe scomode: ci si prepara sempre allo stesso modo per quelle serate. Sua nonna è bellissima – la Duchessa Satine è la più elegante, si è fatta un nome per questo – e anche suo nonno non manca di far girare parecchie teste, quando si fanno strada attraverso la musica e gli invitati. Rey è l’unica a sbuffare: per quanto ami gli abiti che sceglie con la nonna, non sopporta le scarpe coi tacchi e non vede l’ora di liberarsi della borsetta minuscola in cui ha infilato a fatica il telefono e pochi altri oggetti essenziali. Vorrebbe portarsi lo zaino che tiene sempre con sé, ma non sopporta gli sguardi e le risatine che riceverebbe dalla gente intorno, deliziata dal suo comportamento da pesce fuor d’acqua.
Eppure suo nonno sembra divertirsi. Qualche settimana fa ha anche ballato con la nonna, e sorridevano felici come due adolescenti. Chissà se anche da giovani erano così, ha riflettuto Rey mentre sgattaiolava verso il buffet con nonchalance, tentando di non farsi vedere a riempirsi il piatto di tartine con le olive da mangiare lontana dalla folla. Il nonno non è un festaiolo, ma quando si trova in compagnia della nonna diventa diverso, così diverso dal vecchio eremita lettore che lei ama con tutta se stessa. Forse sono l’unica vista piacevole della serata, due anziani sorridenti che scherzano con importanti conoscenti e si lasciano avvolgere dalle luci del giardino, lampioni gialli che punteggiano il prato come funghi. Rey siede su una panchina di pietra, un cespuglio le fa il solletico sulla schiena dandole l’illusione di essere abbracciata dalle piante, lontana da chiacchiere che non le interessano. Peccato non ci siano animali domestici, gli ospiti non ne hanno: le sarebbe piaciuto giocare con un gatto o un cane per passare il tempo.

Appoggia il piatto delle tartine accanto a sé e sospira, chiedendosi perché continui a dire sempre di sì ai nonni, invece di restarsene a casa con un libro o magari una puntata della sua serie tv preferita, senza tanti convenevoli e soprattutto vestita in maniera confortevole. Alza lo sguardo un attimo e incontra un altro sguardo annoiato come il suo, occhi scuri che già conosce ma che non si aspetta di vedere lì.

“Serata monotona?”

Se c’è qualcuno che odia le feste più di lei, quello è Ben Solo. E lo sguardo che le rivolge le fa capire che è appena diventata una distrazione piacevole con cui interrompere la noia della serata.
Come ha fatto a non pensarci prima? Suo nonno e quello di Ben si conoscono da anni, e anche le loro nonne sono amiche. Probabilmente sono tutti lì riuniti, a divertirsi, mentre i nipoti cercano di nascondersi nei luoghi più improbabili del giardino… un pensiero che la fa ridere.

“Poteva andare peggio… almeno, non mi hanno ancora trovata. Ti hanno trascinato qui?”
Annuisce.
“Tua nonna Padmé. Vero?”
“Proprio lei. Non so se adora di più le feste o convincere qualche vecchio amico a parlare di politica come quando erano giovani. E immagino sia delusa perché non ho seguito le sue orme.”

Ben indossa un completo nero, sobrio. Ha anche un papillon appuntato al collo, un tocco di eleganza un po’ retrò che deve aver scelto lui. Le si è avvicinato con passi lenti e ora resta a poca distanza da lei, una mano in tasca e una che pende sul fianco, in silenzio. Ama contemplare il mondo attorno a sé senza dire nulla, hanno sempre condiviso quella caratteristica e un silenzio complice, senza troppe parole di mezzo: siete il sole e la luna, le ha detto una volta Padmé scherzando, e quell’appellativo è rimasto all’interno della loro famiglia per prenderli in giro affettuosamente.
Rey si guarda le ginocchia: ha scelto un abito chiaro, di un colore a metà tra il rosa cipria e il panna. Non le piacciono le tinte troppo accese, nemmeno il rosa a dire il vero, ma quel pomeriggio non aveva nessuna voglia di uscire e ha preso il primo che le è capitato a tiro, abbastanza lungo da coprirle le gambe. Ben non le ha mai detto nulla riguardo ai suoi vestiti, ma dall’unica occhiata che le ha rivolto ha capito che quello non gli dispiace affatto.

Cosa ci fanno lì? si chiede ancora, la musica che le sfiora le orecchie da lontano. Il suo compagno di solitudine le si siede accanto, lo sguardo rivolto al prato ai suoi piedi, sovrappensiero.

“Secondo te durerà ancora molto?”
“Difficile dirlo.” Rey gli allunga una tartina con noncuranza, e con sua sorpresa Ben la accetta subito. “Molto, a giudicare da quanto cibo stanno continuando a portare. L’ultima volta si sono messi a giocare a carte fino alle due del mattino… tanto è sabato sera, nessuno lavora il giorno dopo. Si prospetta un bel proseguimento di serata in solitudine, io e te.”

La butta lì senza pensarci troppo, stupita dalla sua stessa audacia. Che male c’è, in fondo? Il poco vino che ha bevuto le allarga il sorriso, la fa sentire pronta a flirtare ancora e a fare qualche altra piccola pazzia. Ben gioca con le sue lunghe dita, le intreccia, poi le rivolge uno sguardo divertito. Quel piccolo sorriso che ha imparato a conoscere bene.

“E se ce ne andassimo a fare un giro per conto nostro?”
“Un giro?”
“Sono venuto con la mia auto.” Sorride ancora, e stavolta sembra un ragazzino felice di organizzare uno scherzo alle spalle dei genitori. “Sapevo che la cosa sarebbe andata avanti per parecchio, per cui i miei nonni sono andati per conto loro. Io li ho seguiti… speravo di trovarti. Sono stato fortunato.”

Forse sente di aver detto più di quanto desiderasse. Rey lo guarda negli occhi: brillano, piccole scintille all’interno dell’iride di ambra scura che incendiano il suo sguardo. Chissà cosa c’è nei suoi, se quelle scintille sono riuscite a scatenare un altro incendio in miniatura, verde e marrone stavolta.

“Hai abbastanza benzina?”
“Quanta ne vuoi. Andiamocene e torniamo quando la festa sarà finita.”

Rey gli prende una mano, un gesto impulsivo e felice. Si alzano in piedi in un fruscio di abiti eleganti, scrollandosi di dosso quel muschio polveroso e leggero che ricopre gli oggetti in pietra, diretti verso il cancello: sembra chiuso, ma in realtà gli ultimi arrivati l’hanno solo accostato. Una volta varcata quella soglia l’aria sembra più respirabile e anche le stelle brillano di più, quasi fosse caduto il velo che impediva di vederle chiaramente.

Ben fa scattare l’apertura dell’auto con un piccolo schiocco.
 

 
*
 


L’auto corre per la città e si lascia alle spalle negozi chiusi e lampioni, cassette delle lettere e insegne spente, neon addormentati. Ben guida piano, Rey apre il finestrino e lascia scivolare fuori una mano, disegna onde nell’aria e sorride sentendo l’aria morderle la pelle, ma con gentilezza. Le luci della città fanno brillare la pietra di luna del braccialetto e per un attimo le sembra una stella staccatasi dal cielo: chiude gli occhi, vuole tenere stretta quella sensazione. Ben gira il volante ed ha delle mani così belle che le guarderebbe per giorni. Le dita stringono la plastica nera e sembrano comunque senza peso, mentre sporge la testa fuori dal finestrino per controllare la strada e la luce gli bagna i capelli, li riempie di fili dorati. La città di notte è stupenda.
“Dove andiamo?” chiede Rey, anche se non ha bisogno di una risposta. Con Ben è così, non le serve avere grandi progetti: le occasioni si formano davanti a loro da sole, non devono far altro che afferrarle. Chiudere gli occhi e inspirare aria finalmente più fresca e quasi pulita, mentre l’auto si muove placida e imbocca una galleria, un coperchio sulle stelle che per un attimo scompaiono.

“Dove preferiresti andare?”
“Non lo so. Ogni angolo della città sembra più bello, sotto ai neon. Dove vuoi andare tu?”

Ben ha acceso la radio e una voce femminile mormora qualche parola di una canzone che nessuno dei due conosce. Gira a destra ad una piccola rotonda, poi rallenta per fermarsi in una zona commerciale. Manichini in meditazione li osservano dalle vetrine illuminate con luci basse, un grosso cartello avverte che la collezione estiva di una famosa marca di abbigliamento è appena arrivata. C’è un caffè poco lontano, ed è ancora aperto: sembra l’inizio di un quadro dipinto da qualcuno che ami l’euforia silenziosa delle notti estive. Lui si volta e sorride appena, poi indica con la testa il locale.

“Che ne dici di iniziare con qualcosa da bere?”
 


*
 


Sono gli unici clienti. Chiacchierano a voce bassa, ma la proprietaria non sembra particolarmente interessata alle loro storie. Non li ascolterebbe comunque, presa dalle notizie del radiogiornale.

Rey gira il ghiaccio nel bicchiere davanti a sé e resta in silenzio, ogni tanto lancia uno sguardo fuori da una delle grandi finestre del caffè. Ben, davanti a lei, beve a piccoli sorsi e allunga la mano per giocare con il portatovaglioli, ne estrae uno, lo stropiccia piano e torna a bere, poi guarda la ragazza, come se non sapesse bene cosa dire. Rompe il silenzio poco dopo: “Mi piace stare qui. Si pensa bene… e poi il tè freddo è eccezionale.”
“Già. Il tè freddo è una di quelle bevande in cui farei il bagno, se potessi.”
Ben si fa scappare un sorrisetto, e Rey è sicura che nel profondo dei suoi pensieri stia immaginando una vasca da bagno colma di tè fino all’orlo, o forse addirittura una piscina, con lei dentro a galleggiare come una paperella di gomma. O forse gli sta attribuendo un pensiero troppo assurdo, troppo bizzarro per uno come Ben Solo… ma sta sorridendo, inequivocabilmente.
“Non il bagno in senso reale! È una metafora!” Gli dà un piccolo pugno sull’avambraccio, solo per guardarlo ridere ancora e abbassare gli occhi, quasi non fosse sicuro della sua stessa allegria improvvisa. “Vuol dire che mi piace un sacco!”
“Basta che non ci metti troppo zucchero. Ti si appiccicherebbe tutto alla pelle!”

Ridacchiano ancora insieme, e dopo un po’ nulla gli sembra fuori posto: né i vestiti, troppo eleganti per quel semplice caffè in mezzo alla città, né le risate che riempiono il locale e restano sospese nell’aria. Ben stende di nuovo un braccio, poi si guarda intorno come a voler guadagnare tempo, getta uno sguardo fuori dalla finestra, poi uno di sfuggita a Rey. “Sono felice di aver deciso di venire  comunque alla festa. Altrimenti non ti avrei incontrata.”
La confessione arriva, insieme a quella sensazione di aver sceso in un secondo una rampa di scale infinita: il cuore le finisce direttamente nello stomaco, e la ragazza non sa più che dire. Si sposta una ciocca di capelli dagli occhi, poi allunga le mani come ha fatto Ben poco prima e alza gli occhi. È un misto strano di imbarazzo e trionfo, è felice ma non sa che dire e sente che ogni parola sarebbe inappropriata, superflua, stupida. Come quando i discorsi non si avviano e inizi ad attaccare parole a caso solo per fare bella figura. Eppure con Ben è sempre stato più semplice di quanto pensasse…

“Anche io.” Una piccola pausa. “Sei l’unico che potrebbe rendere più piacevole qualunque serata.”

Gli occhi di lui brillano sempre, anche nei luoghi chiusi. Si sofferma a guardarli per un attimo, il tempo necessario per chiudere nella sua mente quell’immagine prima di arrossire e abbassare lo sguardo in cerca del bicchiere di tè. Finisce di bere, e un attimo dopo sposta le dita ancora fredde per il contatto col bicchiere e gliele posa sulla mano, gentilmente. Lui le stringe. È una stretta sicura, piacevole, di chi non esprime la propria felicità a parole ma sa farlo meravigliosamente coi gesti.

“Mi mancavi”, aggiunge, e la piccola stretta che riceve in risposta accompagna il momento. È come se il tempo si fermasse e non è nemmeno certa delle sue sensazioni, se quella stretta significava anche tu o era un semplice modo per risponderle senza prometterle nulla, senza impegnarsi… ma non sarebbe da Ben ingannarla, giusto? Lui non l’ha mai fatto. L’ha cercata e respinta, le ha offerto se stesso e poi si è sentito inadeguato, forse l’ha amata fin da subito, ma non l’avrebbe mai ammesso.

Ma mentirle?

No, Ben non sa mentire. Probabilmente si sono fatti del male a vicenda in passato, ma qualcosa li ha sempre portati a cercarsi di nuovo. Un filo che li lega, l’attrazione che porta il sole e la luna a muoversi a turni, ad inseguirsi.
Poi le tiene la mano per aiutarla ad alzarsi, e la città è nuovamente nelle loro mani. Pagano il conto, si infilano nell’auto, le luci al neon continuano a giocare coi loro profili e con quello della macchina, che si allontana silenziosamente, diffondendo l’eco del rombo del motore nell’aria.
Scorrono di nuovo silenziosi, e la strada è di nuovo loro. Loro, e dei pochi automobilisti nottambuli che si concedono la possibilità di vivere nelle ore in cui nessuno ha voglia di stare alzato.

Rey inspira a pieni polmoni l’aria rinfrescata dalla brezza notturna, e si sente brillante. Nuova. Come se le luci al neon avessero sostituito ogni sua cellula, facendole rinascere e risplendere tutte assieme, tante piccole esplosioni silenziose in un momento di gioia così pura e profonda che nemmeno lei saprebbe dargli un nome.
Passano oltre negozi e piazzette punteggiate da alberi e panchine di legno. Un’insegna rosa e arancione si muove ad intermittenza, salutandola con una palma e una scritta in corsivo. Paradise, promette il nome. Rey non sa se effettivamente quel centro benessere sia un paradiso, ma si sente felice: il suo è fatto di piccole cose. Sorrisi, un viaggio in auto attraverso la notte, guardare le mani di Ben che stringono il volante e ricordarle sui suoi fianchi, in un tempo vicino ma che sembra appartenere a secoli prima, come un romanzo letto e riletto fino a saperne dei capitoli interi a memoria.
 


*
 


“Scendiamo qui?”
“Uh-uh.” Non è molto chiaro, quando viene preso da un’idea improvvisa. Ormai è abituata ad accettarlo così com’è. “Ho trovato un posticino che ti potrebbe piacere.”

Rey scende dall’auto sollevando appena la gonna, più un gesto automatico che un bisogno vero e proprio di allontanarla per non inciampare. Ben ha parcheggiato in un piazzale vuoto, occupato solo da una bicicletta malinconica, attaccata ad un lampione tramite una catena rivestita di plastica. Ormai è mezzanotte, e il numero delle automobili si è ridotto sempre di più. I grilli cantano nascosti tra i cespugli, il venticello sparge un profumo di finocchio selvatico.
Davanti a loro svetta un caseggiato grigio, con due finestre in alto e un tetto nascosto dall’oscurità. Ben la aspetta con calma, aspetta che Rey si avvicini e poi la precede verso l’entrata… che non è quella che ci si aspetterebbe, una porta a vetri o in legno. La fa passare oltre una rete verde, da un buco che qualche altro visitatore notturno deve aver aperto con discrezione dietro ad un cespuglio di belle di notte. Un’apertura grande abbastanza da far passare una persona adulta accucciata, facendo attenzione a non restare impigliati al fil di ferro tagliato del foro. Rey sorride, gli rivolge uno sguardo sorpreso. “Una piscina?”

Ben fa spallucce, ma in realtà è felice che abbia capito al volo, ne è sicura.
“Ti è sempre piaciuto nuotare. Se non possiamo avere una piscina alla festa, allora andiamocene a prendere una tutta per noi, no?”
“Mi sembra giusto. “ Rey si china, arrotola la gonna del vestito e si prepara a strisciare sotto alla rete. “Allora, andiamo ad esplorare la nostra nuova proprietà. Prima le signore?”
“Prima le signore.” Ben abbozza un inchino col braccio teso, facendole segno perché lo preceda. Lei accetta l’invito e, una volta all’interno, lo aspetta in piedi dove inizia il sentiero di piastrelle che porta alle docce. Lo spettacolo è bellissimo.
La piscina, di fronte a loro, è illuminata dalle luci interne e brilla come una stella. Le sdraio sono chiuse, gli ombrelloni anche, ma la calma che la circonda è così meravigliosa da farle socchiudere gli occhi, immersa in quella sensazione. Ben si avvicina al bordo e infila due dita nell’acqua, giocando con la superficie per sentirne la temperatura, poi si gira e la schizza con una goccia, ridendo della sua espressione prima sorpresa e poi indispettita, ma solo per scherzo. L’unica fonte di luce, a parte la piscina, è rappresentata dai lampioni che costeggiano l’edificio all’esterno, proiettando la loro luce sul pavimento.

“Quando hai scoperto questo posto?” Rey è stupefatta, ed entusiasta. Vorrebbe strapparsi di dosso il vestito e lanciarsi in acqua istintivamente, ma il lato più cauto di sé le dice che deve aspettare, controllare la situazione prima di un qualunque gesto avventato. Ben è sfilato le scarpe e le ha allineate in un angolo, un piede già in piscina per godersi un po’ di fresco.

“Tempo fa, mentre tornavo a casa dal lavoro. Purtroppo l’orario di chiusura è alle nove di sera… ma qualcuno deve avere avuto un’idea per sfruttarla quando non c’è nessuno.” Per un attimo, sotto la luce giallo chiaro dei lampioni, il sorriso di Ben le sembra quello di un bambino fiero delle proprie piccole ribellioni. Un ragazzino di quasi trent’anni. “Così, ho pensato di fartela vedere… è la prima volta che vengo qui.”

Lascia che quanto ha appena detto venga portato via dalla brezza e resta in silenzio, aspettando che sia Rey a terminare la frase, o ad iniziare un nuovo discorso… ma lei non parla. Si limita ad avvicinarsi al ragazzo per guardarlo muovere i piedi sotto la superficie, deformati dalla lente del liquido che li fa sembrare oggetti estranei, fatti di una sostanza sconosciuta. Li fissa, osserva le stelle che tremano sulle loro teste e si chiede quanto sia lontana ciascuna di loro, piccoli ammassi di gas che trattengono storie, sguardi. Quando china la testa, i piedi di Ben sono sempre in acqua, le luci della piscina li colorano di giallo chiaro, poi di azzurro pallido. Si sfila le scarpe e le lancia lì accanto.
La proposta arriva poco dopo, quando Rey non ne può più di trattenersi e lo guarda negli occhi, un guizzo vivace che li illumina.

“Facciamo il bagno?”
Sorride ancora. Inizia a non tenere più il conto di quei sorrisi.
“Siamo venuti qui apposta.”

Ben non se lo fa ripetere due volte. Si spoglia con metodo, e in un attimo la giacca e la camicia sono in un angolo, distese perché l’erba umida non le macchi. Si toglie i calzini e l’orologio e addosso gli restano solo i boxer grigi: in piedi davanti a lei, sembra non provare nessun imbarazzo. Non è mai stato sicuro del suo aspetto, Ben, la sua nudità è una conquista per entrambi. Nemmeno quando hanno condiviso qualche minuto di intimità inesperta si è mai spogliato davanti a lei e ora e lì, sorridente, quasi non temesse nulla.
Rey lo imita: si fa scivolare di dosso il vestito, lo poggia in un mucchietto disordinato in un angolo e getta lo sguardo alle gambe nude, al seno coperto dal reggiseno rosso scuro che indossa. Ovviamente non è abbinato alle mutandine, è negata ad abbinare la biancheria e comunque chi aveva la testa per ricordarsi di cercare il paio uguale al reggiseno nel cassetto? Ben non è mai stato tipo da fare caso al suo abbigliamento, anche se una volta le ha regato una maglietta a cui è molto affezionata. Mi chiamava, quel colore. Era come se mi dicesse “mi hanno fatto per Rey, comprami!” e non ho potuto resistere, le ha detto. Lei l’ha preso in giro scherzando come ha sempre fatto, poi se l’è stretta addosso per inspirare il suo profumo.

Senza farsi troppo problemi, si siede sul bordo della piscina e infila le gambe nell’acqua, immergendole fino al ginocchio. La sensazione delle piccole onde fresche che le lambiscono la pelle è così nuova e piacevole da farle quasi dimenticare la presenza di Ben… che è scomparso alla sua vista, e riappare pochi attimi dopo sotto di lei, nuotando sotto il pelo dell’acqua. Le sorride di nuovo e la tira in acqua, ridendo della sua espressione prima stupefatta, poi meravigliata, mentre la ragazza cade e provoca una piccola tempesta in miniatura.

“BEN!”.

 L’urlo resta contenuto nel microcosmo della piscina: probabilmente nessuno, lì fuori, li ha sentiti. Rey si agita sputando acqua che sa di cloro, muove gambe e braccia per tenersi a galla, Ben ride come non l’ha mai visto ridere, la testa gettata all’indietro, felice che lo scherzo sia riuscito bene. È poco lontano da lei e in quel momento vorrebbe sia abbracciarlo che spingerlo sott’acqua per ricambiare il favore, ed è indecisa su quale azione compiere per prima. Si avvicina a lui nuotando, e per prima cosa lancia uno schizzo che dovrebbe prenderlo in pieno volto. Ben si sposta, ma l’acqua lo colpisce comunque e deve chiudere gli occhi perché il cloro non glieli faccia bruciare: quando li riapre, sono di nuovo uno di fronte all’altra. Ben ha i capelli tirati indietro, bagnati, le spalle e il viso coperti di goccioline, gocce anche sulle ciglia scure. Anche Rey deve avere un aspetto simile, eppure lui la osserva senza parlare, come fa sempre quando è indeciso tra rivelare i suoi veri sentimenti o lasciare che siano le azioni a parlare per lui. Restano vicini per un po’, a guardare le stelle che si riflettono sulla superficie, assieme ai lampioni che circondano la piscina. Muovono le gambe e le braccia sotto la superficie, Rey si sposta con qualche bracciata pigra e si gira sulla schiena: con un piede sfiora il ginocchio di Ben, ma non si ritrae. La sua pelle è morbida, calda per il contatto con l’acqua. Il fondo della piscina è ruvido, per toccarlo deve immergersi completamente e spingere i piedi verso il basso. Prova ad aprire gli occhi sotto la superficie e, anche se sulle prime bruciano un po’, le piace guardare l’acqua sopra di sé fare da soffitto. Un tetto d’acqua, il coperchio di quella scatola di felicità.
Quando riemerge, la voce di lui la riporta alla realtà, profonda e avvolgente come il cielo notturno.

“Ti sei mai sentita immortale?”

La domanda è così bizzarra che Rey rivolge subito uno sguardo al viso di Ben senza nemmeno stropicciarsi gli occhi. Il mondo attorno a loro non esiste più, quasi fossero all’interno di un sogno molto realistico creato dalle loro menti. “Forse si, qualche volta”, risponde Rey e lo fissa negli occhi scuri, sperando di trovarci quei frammenti di luce dorata che li rendono tanto vivi.

“Quando vaghi per la città di sera, in auto, e le strade sembrano tutte una scia di luce continua, che non si ferma. Passi vicino alle stazioni di servizio vuote, e anche quelle sembrano isole di luce, grandi stelle che raccolgono intorno anime vagabonde, altri amanti della sera. Non c’è nessuno attorno a te, e a volte ti senti una creatura che osserva un mondo che non gli appartiene, e ti sembra di essere vissuta da sempre. Di essere fatto di sogni, speranze, musica, lontano dal tuo corpo e dalla normalità delle tue giornate. Come un giovane dio. Ti sei mai sentita una sorta di divinità, che vede cose che gli altri non vedono?”

Rey gli si avvicina di nuovo, poi avvolge le braccia attorno al suo collo, appoggiandosi alla schiena di Ben. Inspira con forza il profumo di cloro e di acqua di colonia mischiati assieme che impregna i suoi capelli, e prega che il tempo si possa fermare, che quel momento duri per sempre. Se non per sempre, almeno per tanto tempo. Ore, o giorni. Un giorno intero forse sarebbe sufficiente. Lo abbraccia, e sussurra al suo orecchio, così che possa essere davvero l’unico a sentirla.
“Quando sono con te, mi sento sempre così. Vai e vieni, ma riesci a portare via tutto il resto, a farmi sentire nuova. E io non posso fare altro che seguirti.”

Lo sente inspirare ed espirare più volte. I grilli restano in silenzio, probabilmente se ne sono andati a letto. Anche il rumore delle auto si è acquietato. Ben si volta per prenderla tra le braccia, e Rey sente le sue dita accarezzarle i fianchi, indugiare sul bordo di pizzo del reggiseno e sulle mutandine, stringerla con timore, quasi fosse una creatura fatta d’acqua che potrebbe dissolversi da un momento all’altro. Lei lascia che si faccia strada verso il suo viso, che lo tenga tra le mani accarezzandole gentilmente una guancia e poi la baci, facendosi strada tra le sue labbra e il sapore dell’acqua di piscina, assaggiando le labbra fino a farle scappare un piccolo gemito, con una delicatezza tutta nuova che deve aver imparato col tempo. La biancheria sarà diventata totalmente trasparente, ma non le importa: ci sono solo lei e Ben, in quel momento, e il tepore dell’acqua che li avvolge. Se si è mai sentita immortale, doveva essere in un istante come quello, identico a quello.
Ben affonda le mani nei suoi capelli, e Rey non riesce a far altro che seguire le sue labbra, muovendosi con la lentezza dell’acqua. In lontananza, un’auto solitaria corre sull’asfalto della strada, forse guidata da altri giovani déi che si appropriano della città di notte come hanno fatto loro. Lascia andare quel pensiero insieme al rombo del motore che si allontana, apre appena un occhio per sbirciare il viso di Ben, le palpebre decorate dalle gocce d’acqua, i capelli attaccati al viso e al collo che ricadono come alghe brune. Il bordo di pietra della piscina le gratta la schiena e le mani di lui si spostano lungo i suoi capelli bagnati, sulle spalle, sul seno e un capezzolo che preme contro la sua mano, stimolato dal freddo, poi di nuovo sui fianchi. La stringe e la bacia. Lei gli accarezza il petto, disegna piccoli cerchi sulla pelle liscia, prova a tracciare il contorno dei suoi nei senza vederli. Tra un bacio e l’altro le labbra si piegano in un sorriso, lo sente contro la sua pelle.

Si allontanano in un silenzio che è tutto tranne che spiacevole. Rey continua a tracciare il perimetro della piscina con piccole bracciate pigre, Ben si appoggia al bordo dietro le sue spalle, stende le gambe in avanti e la osserva senza parlare. Rompe il silenzio un attimo dopo, con una piccola risata che si aggiunge alla collezione dei sorrisi che le ha rivolto durante quella giornata.

“Secondo te, ci staranno cercando?”
“Non penso, ho scritto alla nonna che andavo a farmi un giro… e poi, è abituata a vedermi sparire dalle feste, non amo la confusione.” Rey risponde al suo sorriso e si stende sul dorso. Non ha mai visto così tante stelle durante una sola nottata. “Staranno giocando a carte come al solito, e discutendo di politica. Ci immagineranno seduti in un bar, probabilmente.”
“E invece siamo sgattaiolati in una piscina di notte. E ci siamo presi una città intera.” Ben si stacca dal bordo e la raggiunge di nuovo, tenendola stretta a sé. La luce soffusa della notte stellata è ovunque, ed entrambi ne fanno parte. 

Rey si gira a guardarlo di nuovo.
 
 








***

Questa storia è nata praticamente per caso, mentre creavo una moodboard Reylo AU per una Reyloweek di ormai quasi due anni fa: ho messo insieme varie immagini e gli eventi hanno iniziato a susseguirsi nella  mia mente, accompagnata dalla voce di Halsey, e in particolare dalla sua Young God. Ormai avrete capito che per me dove c'è Halsey c'è Reylo, e quando ho scoperto che lei stessa ritiene Control una canzone adatta a Kylo ho saltellato di gioia... e mi è tornata in mente questa vecchia fic, che per motivi di insicurezza non avevo mai pubblicato. Spero davvero che possa piacervi, e che l'atmosfera della città di notte vi faccia sognare come fa sempre sognare me.
La moodboard è qui, se aveste voglia di rebloggarla sui vostri Tumblr, di seguirmi o semplicemente di vederla:
http://lion-hearted-wolf.tumblr.com/post/152076654207/aesthetic-for-reylo-au-day-reyloweek#

Rey

 
   
 
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