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Autore: mystery_koopa    06/01/2018    14 recensioni
1491-1492
Mentre Granada sta cadendo sotto i colpi dell'esercito spagnolo due ragazze, Amal e Zafira, cercano di poter vivere il loro amore fuggendo dalla città.
✠ Quarta classificata al contest "Plus Ultra - Oltre i nostri limiti" indetto da _Akimi sul forum di Efp.
Genere: Guerra, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Medioevo
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Granada, 31 dicembre 1491, anno dell’Egira 897

La stanza era buia. Il palazzo era buio. Tutta la città era buia. Le truppe castigliane stavano per vincere la strenua difesa della roccaforte, e tutta l’Iberia sarebbe diventata cristiana.  Amal al-Mawla era stesa sul suo letto, stanca, quasi incapace di compiere qualsiasi movimento: aveva rifornito di vivande i soldati della guarnigione per tutta le notte, ed era distrutta. Fissava distrattamente un arazzo rosso appeso alla parete, infatti era talmente stanca da non riuscire a dormire: tutti i muscoli e le ossa le dolevano, e la testa sembrava potesse scoppiarle de un momento all’altro.

Era bellissima, con degli stupendi occhi verdi che somigliavano a due smeraldi e i capelli lunghi, neri come il carbone e lisci come la seta. Era nel fiore dei suoi anni, ne aveva venti, e suo padre Karim, un mercante di tessuti, le stava scegliendo un marito, nonostante lei non volesse sposarsi. Sperava che la città non cadesse, anche se ormai non c’era più nessuna possibilità. Non sapeva se suo padre sarebbe riuscito a farla imbarcare, spendendo tutti i suoi denari per salvarla da una vita di violenze e obblighi. Non aveva nessuna intenzione di diventare la schiava di qualche rozzo soldato asturiano o di chissà dove, ma neanche di sposare un arabo nordafricano, che la avrebbe solo trattata come una serva domestica. Lei provava un amore proibito, che se scoperto le avrebbe causato la tortura e la morte: lei amava un’altra donna, Zafira Hamid, la figlia del socio di suo padre, Hassan. Le due ragazze si amavano alla follia, come è normale per delle ragazze della loro età che vivono i loro primi amori, ma il loro non poteva essere vissuto alla luce del sole, ma solamente nelle stanze più isolate del palazzo sopra il mercato porticato, dove vivevano le due famiglie.

***

 Amal trovò la forza per alzarsi dal letto ed andare alla finestra: da lì si poteva vedere tutta la città, con i suoi alti edifici e gli ampi cortili, le cupole smaltate delle sue moschee e l’Alhambra, il simbolo della città, il palazzo reale, la forza del popolo. In lontananza, però, torreggiavano le macchine d’assedio del nemico, le catapulte, le scale, i primi cannoni che iniziavano a solcare i campi di battaglia europei; sventolavano le bandiere cristiane, mentre quella barrata di Granada sembrava non avere più la forza di reggersi alta e gonfia d’aria; le mura della città avevano già una breccia quasi aperta, che avrebbe permesso alle truppe nemiche di penetrare prima nella città bassa, e poi di giungere fino all’Alhambra. A sud si scorgeva in lontananza il porto di Elvira, dal quale partivano le galee colme di coloro che provavano a fuggire verso Tlemcen, Algeri e il Marocco, per iniziare una nuova vita oltre lo stretto.

Amal si girò improvvisamente, qualcuno bussava alla porta. Quanto sperava che fosse Zafira, ma era suo padre, con una faccia triste e rassegnata. “Amal, figlia mia, domani partiremo, ho trovato un posto sia per me che per te, e verranno anche Hassan e la sua famiglia. Stai tranquilla, la vita ci sorriderà”. Amal tirò un sospiro di sollievo, lei e Zafira sarebbero rimaste insieme.

Un pensiero improvviso le passò per la testa: corse subito in cortile, prima di partire avrebbe dovuto visitare un’ultima volta la tomba della madre. Amal si inginocchiò davanti alla lapide, cercando di sentire l’anima della donna abbracciarla; voleva che le dicesse di abbandonare tutto e di salvarsi la vita, perché aveva paura, non si sentiva di abbandonare Granada, sapendo che non ci sarebbe più ritornata, che avrebbe vissuto tutta la sua vita da esule in terra straniera. Ma ormai era troppo tardi, e non le restava null’altro da fare. Salì le scale per prepararsi il bagaglio, una larga borsa rossa di sua madre da portare in spalla: la riempì di vestiti, libri, lettere e ricordi, come l’arazzo rosso e le sue spille dorate, mentre quella più preziosa, quella in diamante che sua madre aveva ricevuto come dono al suo matrimonio, l’avrebbe indossata sul velo arancione, quello che la donna indossava mentre partoriva. Non avrebbe potuto portarsi il suo corpo, ma si sarebbe portata il suo ricordo e la sua anima. Sua madre, quanto le mancava… era stata l’unica persona che aveva mai saputo di lei e Zafira: Amal glielo aveva rivelato mentre la donna era stesa sul letto di morte, un anno prima: lei le aveva solamente sorriso, e una lacrima era scesa sul suo viso; si erano abbracciate e finalmente Amal aveva provato una pace interiore, che però aveva perso solo un’ora dopo, alla morte dell’amata madre, e che non aveva più ritrovato.
Amal si stese a letto, per l’ultima volta nella sua casa, nella sua città, nella sua terra che avrebbe abbandonato all’alba.
 
***

Il mattino seguente Amal fu svegliata prima del sorgere del sole e, con il padre Karim, Hassan, sua moglie, Zafira e altri membri della classe mercantile, salì sul carro che conduceva al porto. Girava voce in città che i crociati d’occidente avessero festeggiato l’inizio del loro nuovo anno con l’abbattimento di una parte delle mura esterne, e che la città sarebbe presto caduta in mano agli invasori, segnando la fine di una civiltà secolare. La nave si riempì molto lentamente, e al calar della sera salpò dal porto, diretta verso Algeri. Il mare era tempestoso e non adatto alla navigazione, ma bisognava partire. Gli eserciti rivali stavano dilagando nella città bassa, e il mattino seguente i loro sovrani avrebbero sfilato lungo il viale, fino all’Alhambra. Amal guardò Zafira, come per baciarla con lo sguardo, e poi la città, che non sarebbe mai più tornata ad essere la stessa. “Nessun posto è casa mia…ho pensato, andando via…soffrirò…” ormai questo pensiero era ricorrente nella sua testa, ma sperava di trovare una nuova terra, dove avrebbe iniziato una nuova vita con Zafira; non le importava se avrebbe dovuto ancora nascondere il suo sentimento più grande, l’importante era viverlo.

La nave era entrata in una tormenta, anzi, in una tempesta vera e propria che la stava portando fuori rotta, finché, il mattino seguente, l’imbarcazione si trovava ormai lungo la costa aragonese, con il timone rotto: erano alla deriva verso le terre nemiche. Un improvviso scossone fece sobbalzare tutti i passeggeri: la nave aveva urtato uno scoglio e stava rapidamente imbarcando acqua. Sull’unica zattera di salvataggio erano saliti i nobili, mentre gli altri naufraghi avrebbero dovuto salvarsi a nuoto. Amal strinse la mano di Zafira e si gettò nell’acqua gelida, aggrappandosi con una mano alla borsa che prima della partenza aveva ricoperto con una lamina di bronzo per proteggerla dall’acqua, che avrebbe distrutto le lettere, e con l’altra alla sua amata, dalla quale non si sarebbe separata nemmeno a costo della morte. La corrente le trascinava verso il mare aperto, mentre la nave si spezzava e affondava lentamente; in lontananza si stava avvicinando un’altra nave, un galeone spagnolo, che si dirigeva verso la zattera, per catturarne gli occupanti. Amal stava perdendo le forze, stava cedendo all’acqua e alle tenebre, ma si sentì riportare alla la vita: Zafira la stava trascinando verso un’asse di legno galleggiante, che avrebbe salvato la vita alle due ragazze.

Esse rimasero per ore aggrappate ad essa, in balia della tempesta, che, finalmente, dopo alcune ore si placò. Ormai in preda ai crampi e ai miraggi, alle giovani sembrò di vedere una terra: non sapevano se credere o no a ciò che i loro occhi vedevano, ma ci dovevano provare, non c’erano altre speranze; che quella terra fosse stata vera o solo un’illusione non sarebbe cambiato nulla, sarebbero sempre rimaste sperdute nel Mediterraneo. Le ragazze si diedero la spinta con le gambe per raggiungere la corrente, e si lasciarono trascinare verso la spiaggia: l’isola era vera, la sabbia era vera, si erano salvate, erano insieme e non si sarebbero più separate. Si addormentarono sulla battigia, e dormirono fino al giorno successivo. Amal si svegliò per prima, e guardò Zafira, ancora addormentata: era bellissima, nonostante fosse stravolta; i suoi capelli si erano asciugati, ed erano tornati ricci, come mossi dal vento, e la sua pelle ambrata era lucente sotto il sole. Zafira aprì gli occhi, azzurri come lapislazzuli e lucenti come diamanti. Le due ragazze si sorrisero e si abbracciarono dolcemente, si baciarono per sentirsi ancora più unite: i loro corpi erano come uno solo, toccandosi in ogni punto l’uno con l’altro; avrebbero potuto stare lì per sempre, ma dovevano cercare di capire dove si trovavano.
Il pallido sole d’inverno era alto in cielo, era mezzogiorno, e da lontano si vedeva una grande isola a nord, con una grande città, e un’altra a sud, più piccola. Amal cercò di ricordare i suoi studi geografici, risalenti ad alcuni anni prima e, dopo essersi resa conto che quell’isola era completamente disabitata e selvaggia, capì di essere nelle Baleari, al largo dell’Iberia orientale, sull’isola che i cristiani chiamano Conejera, dei conigli, che in effetti erano gli unici esseri che erano presenti in gran numero tra gli alberi e gli arbusti della macchia mediterranea. Amal e Zafira si guardarono negli occhi, e si resero conto di ciò che era successo: erano le uniche sopravvissute delle loro famiglie, della nave, forse di tutti i mussulmani di Granada.

Da una sorgente alla fine della spiaggia sgorgava un rivolo d’acqua dolce, e poco distanti crescevano selvatiche alcune spighe di grano, che avrebbero potuto essere coltivate. C’era tutto quello di cui Amal e Zafira potessero avere bisogno: quella era la loro nuova casa, la loro nuova terra, il luogo dove avrebbero vissuto il loro amore, fino a quando la vita glielo avrebbe permesso.

“Nessun posto è casa mia… ho pensato, andando via… soffrirò… ma so che mi ci abituerò…”
 


Spazio Autore:
questa è la prima storia che pubblico su Efp, per cui fatemi sapere cosa ne pensate commentando: accetterò volentieri consigli e critiche costruttive sulla mia scrittura
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