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Autore: Landy Bee    14/01/2018    0 recensioni
| missing moments |
~ { Per ogni persona, il rosso viene attribuito ad un sentimento differente ed uguale, ognuno di essi un riflesso degli altri.
Rosso è rabbia;
rosso è amore;
rosso è gelida vendetta;
rosso è ardente passione.
Rosso, infine, è luce. } ~
[ Retrace: I | Vincent/Ada | Amore ]
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Ada Vessalius, Lacie Baskerville, Un po' tutti, Vincent Nightray, Zwei Baskerville
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Retrace I: Red as Love
 
 
 
 




Ada conobbe il rosso per la prima volta quando aveva dieci anni. ­
Era una giornata luminosa, la prima dopo un inverno parso senza fine o quiete alcuna. Le tende della camera della bambina ondeggiavano, cullate da una brezza quasi primaverile, lasciando passare attraverso la tela sottile i raggi del sole. Ada era felice: sperava che, dopo tanto tempo, le roselline piantate da lei medesima sarebbero potute sbocciare con l’arrivo della primavera.
Anche mentre l’istitutrice la voleva chinata sui libri, ella ogni tanto non disdegnava di sbirciare oltre il vetro della finestra, colmandosi di gioia quando vedeva la rugiada brillare di luce riflessa, come se volesse anch’essa trattenere in sé quel sole per tanto tempo negato.
Dopo pranzo era uscita nel giardino della residenza, togliendosi le scarpette scure ed i calzini merlettati per lasciare che i piedi accarezzassero la freschezza dell’erba. Il freddo e la pioggia dei mesi passati le avevano gettato addosso il velo dell’inedia, che la vedeva impigrirsi di più giorno dopo giorno e le impediva di alzarsi la mattina, facendole temere il momento in cui si sarebbe dovuta levare dal calore delle coperte ed esporre il proprio corpo al gelo della stanza.
Ma ora il cielo non era ingombro di nubi cariche di tempeste – a separare lei dalle stelle, v’era solo un mare d’azzurro. Presa da una ridarella improvvisa si gettò a terra, il piccolo petto scosso dal divertimento e dalla  felicità.
Ad Oz sarebbe piaciuto. Avrebbe contato con lei le rade nuvole di passaggio, vedendo negli sbuffi di bianco delle figure e raccontandole delle storie che li avrebbero visti unici e soli protagonisti – nessun altro, in quell’universo, che non fossero lei e suo fratello.
La vaporosa gonna rosa si arrotolò attorno le caviglie quando si rannicchiò su sé stessa, il sorriso spento e gli occhi tinti di un verde tanto pacato quanto sofferente. Che cos’era lei, senza suo fratello? In ogni stanza in cui metteva piede poteva sentire la sua presenza, come se da un momento all’altro fosse dovuto spuntarle alle spalle e coprirle le palpebre con le mani – “Ci sei cascata di nuovo, Ada”. Poteva dirsi felicità quella che cercava per distrarre i propri pensieri dalla malinconia? Poteva dirsi felice in quel momento, i capelli sparsi attorno al capo come i raggi del sole da cui erano illuminati, nonostante i singhiozzi le sconquassassero la schiena spezzandole il respiro?
Fu con il proprio cuore trattenuto tra le mani come un uccellino ferito che si addormentò.
 


Quando riaprì gli occhi, la luce aveva appena iniziato a calare, lasciando spazio ad un tenue colore aranciato che illuminava i petali dei fiori e le foglie, con la promessa che anche il giorno seguente si sarebbe presentato. Ada si levò a sedere, stropicciandosi gli occhi con i pugni chiusi e sgranchendosi le braccia intorpidite.
“Signorina Ada!”
La voce acuta le perforò i timpani e la fece sussultare, strappandola definitivamente di dosso ogni traccia di sonno. Ben presto udì uno scalpiccio di passi affrettarsi in sua direzione e davanti agli occhi le si parò il viso corrucciato di Mrs. Kate.
“Dov’era finita? È tutto il pomeriggio che il nobile Oscar La cerca!” le strillò a pochi centimetri dal volto, gesticolando con le mani inguantate.
La bambina sgranò gli occhi, un senso di turbamento che le si propagava nelle vene alla possibile notizia di aver fatto preoccupare lo zio. Quell’uomo era la cosa più vicina ad un padre che ella possedesse – l’unico padre che avrebbe mai avuto – e vedere quell’uomo, un tempo subito pronto al sorriso, apparire sempre più stanco dopo la scomparsa del nipote, aveva fatto cadere per la prima volta su Ada il velo opprimente dell’impotenza, da cui si era sentita soffocata.
“Devo andare” balbettò a mezza voce, aiutandosi con le braccia ad alzarsi dall’erba, divenuta di un piacevole tepore dopo aver assorbito il calore del suo corpo. Ignorò i rimproveri della domestica, la quale non sembrava trovare abbastanza pace da terminare il proprio discorso e, rivoltele delle celeri scuse, si affrettò a dirigersi dentro la magione.
 


Ada osservò la sala sconosciuta, in cui aleggiavano risate femminili e cristallini tintinnii di calici. Era molto più grande e pomposa di quella da ballo che avevano nella residenza dei Vessalius, la quale, per quanto fosse comunque da gala, conservava la familiarità e la rassicurazione che albergavano in tutte le altre camere. La sala da ballo dei Nightray, invece, sebbene illuminata dal calore di mille fiammelle accese, era satura di una freddezza che intimoriva e lasciava il fiato sospeso. Al centro, accompagnate dalla melodia di archi e fiati, volteggiavano stoffe colorate, su cui vigilava il blu fondo della notte mostrato dalle enormi vetrate. Le pesanti tende, il cui tessuto traboccava stretto da cordoni dorati, erano di un velluto dal colore ceruleo più scuro di quello che tingeva le pareti della stanza, ai cui angoli erano posate delle panche per coloro i cui piedi stretti nelle scarpe da ballo volevano trovare sollievo o per chi, semplicemente, non avesse intenzione di danzare.
La piccola Vessalius era proprio seduta su una di queste, intenta a scrutare gli ospiti cercando qualcuno che le paresse familiare. Da quando aveva messo piede in quella villa, un timore reverenziale aveva iniziato a serpeggiarle nelle vene ed a stringerle il cuore, dovuto sia all’imponenza del colonnato e dell’edificio, sia alle leggende delle azioni atroci operate dalla famiglia che vi viveva. Non le piaceva quel luogo – e non le era piaciuto lo sguardo rivoltole dallo zio Oscar quando si era allontanato da lei, gli occhi di qualcuno impaurito da ciò che sarebbe potuto accadere.
Eppure, fino a quel momento, l’unica cosa che fosse successa era l’ombra di sonno che si spandeva sempre di più dinanzi i suoi occhi ed ovattandole la testa, accompagnata dall’eccessivo calore della sala e dalla monotonia dei suoni attorno a lei. Per quanto Ada fosse affascinata dalla vista di tanta eleganza e la certezza che un giorno anch’ella si sarebbe trovata a ballare assieme le altre nobili, la sua attenzione era andata ben presto scemando. La servitrice a cui era stata affidata la sua custodia, inoltre, non l’aveva degnata di un solo sguardo dall’inizio della serata, i suoi occhi presi dalla figura degli uomini che sfilavano accanto le dame ed i sospiri silenziosi che le sfuggivano frequenti dalle labbra.
Ma fu quando le palpebre calarono sui propri occhi che si riscosse in tutta fretta, memore del tacito accordo di rimanere cauta sino a quando quell’evento non fosse giunto al termine. “Altrimenti potrebbe succedermi la stessa cosa di Oz”. Bastò quella prospettiva a scrollarle di dosso ogni accenno di torpore ed a porla in un nuovo stato d’allerta. Strinse tra le piccole dita il tessuto arancione del vestito tanto forte da far quasi sudare i palmi, mentre un pensiero le si affacciò sulla mente. “Devo uscire da qui”. D’improvviso l’aria nella sala da ballo si era fatta soffocante, impedendole di respirare e stendendo una coltre di nebbia sulla sua mente. Gettò un’occhiata alla servitrice per assicurarsi che fosse abbastanza assorta da non notarla, prima di alzarsi lentamente e costeggiare i muri della sala per raggiungere i battenti delle porte del terrazzo.




Fu con immensa gratitudine che accolse la boccata d’aria gelida, una volta all’esterno. Un brivido le attraversò la spina dorsale al contatto delle spalle scoperte con la brezza notturna, strappandole un sospiro di sollievo. Fuori, la notte era silenziosa, le risate ed il vociare dei festeggiamenti tanto distanti quanto vicini. Nell’oscurità lampeggiavano i bagliori di milioni di stelle, pietre luminose incastonate su velluto – nulla, tra il cielo e la terra. Ada sollevò il viso verso l’alto, rapita da quella vista: capitava anche agli adulti di sentirsi tanto piccoli? Di sentirsi tristi per una cosa tanto bella? D’istinto si alzò sulle punte dei piedi e tese una mano verso l’alto, sfiorando con la punta delle dita l’aura argentata di quelle stelle. Era lì che si trovava Oz, dopo che le era stato strappato dalla sua vita con tanta violenza? Lo avrebbe mai rivisto, o lei avrebbe sempre cercato qualche sua traccia nel firmamento, vedendo nelle nuvole il suo sorriso, nel bagliore degli astri i suoi occhi? Rimase in quella posizione sino a quando non sentì le gambe dolerle per lo sforzo in cui aveva teso il corpo, lasciando ricadere il braccio lungo il fianco.
Una perla trasparente bagnò le ciglia chiare, per poi scivolare lungo la gota, tanto bruciante quanto fredda.
Poi, un rumore spezzò il silenzio.
Ada si voltò spaventata, cercando con lo sguardo da chi fosse provenuto quel lieve tintinnio.
E d’improvviso, tra tutto il blu, spiccò il rosso.
Il ragazzo aveva forse la medesima età di suo fratello l’ultima volta che l’aveva visto. I tratti del viso erano delicati, come se fossero stati disegnati con la punta di un sottile pennello, incorniciati da morbide ciocche bionde che arrivavano sino alle spalle – ma il cuore di Ada si fermò per un istante quando scorse i suoi occhi, l’uno dorato come il sole all’alba, l’altro rosso come la luce ardente di un tramonto. E la stavano guardando.
Si affrettò a distogliere in fretta i propri, passandosi le mani sul viso per cancellare i segni lasciati sulla pelle dal passaggio delle lacrime. Nonostante non lo vedesse, sentiva ancora lo sguardo dell’altro su di sé, ed avvertì un lieve fuoco espandersi sotto le se guance. Desiderò con tutta sé stessa che perdesse interesse nei suoi confronti per volgerlo altrove, o fosse colto dall’improvviso desiderio di rientrare e lasciarla sola, l’imbarazzo che cominciava ad impossessarsi della sua mente e le impediva di fare alcun passo.
Quando rialzò il volto, fu colta alla sprovvista dalle iridi del ragazzo ancora fisse su di lei, sentendo il corpo scosso da un tremito forte come un terremoto, risalitole dalla punta dei piedi sino all’attaccatura dei capelli.
Eppure ci fu qualcosa, quella volta, che la costrinse a non scostare il volto. Aveva visto qualcosa, in quegli occhi, familiare ed estraneo – e, come poco prima con le stelle, aveva sentito l’immediato desiderio di raggiungerlo.
Sul fondo di tutto quel rosso, Ada aveva scorto la trasparenza di una lacrima.










Era tanto tempo che non scrivevo una fanfiction. A seguito di un periodo molto buio della mia vita, avevo perso qualsivoglia interesse non solo nella scrittura, bensì nella vita stessa.
Per quanto possa parere insignificante e stupido, l'opera di Jun Mochizuki mi ha aiutata molto a superare quei lunghi mesi trascorsi nella completa oscurità dei miei pensieri. In particolare, devo molto a Vincent ed Ada, entrambi due aspetti del mio carattere che sto tutt'ora provando a migliorare e far crescere con me. Si potrebbe dire che sia proprio per tal motivo che ho deciso di aprire questa raccolta con loro due, in un piccolo segno di riconoscenza per essermi stati d'aiuto a superare molteplici problemi. Ad avermi ricondotto verso una strada illuminata e non avermi lasciata nella buia disperazione in cui mi ero smarrita. 

"Someone once said that that place was consumed in darkness, but that doesn't mean… that there was never any light."


 

 
   
 
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