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Autore: Axel Knaves    01/02/2018    1 recensioni
Un patto di sangue involontariamente stretto e un'invocazione fatta per scherzo, portano Eva Rossi a condividere il suo appartamento con Helel (a.k.a. Lucifero) e Azrael (a.k.a. Morte).
Ma cosa potrebbe mai andare storto quando condividi la vita e la casa con la Morte, che entra nei bagni senza bussare, e il Diavolo, che ama bruciare padelle?
Eva non potrà fare altro che utilizzare le sue armi migliori per sopravvivere a questa situazione: il sarcasmo e le ciabatte.
~Precedentemente intitolata: Bad Moon Rising e Strange Thing on A Friday Night
~Pubblicata anche su Wattpad
Genere: Comico, Demenziale, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Nonsense | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
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[5]» Ciabatte volanti e dove trovarle «[5]

 

3rd POV

I tacchi, appena alti qualche centimetro, producevano un rumore secco contro il marmo bianco, che veniva ampliato all’interno del vasto e immenso corridoio.
La donna, che stava attraversando il corridoio, stava pensando che in qualsiasi momento avrebbe rischiato il rigurgito a causa del troppo sfarzo che la stava circondando. Strinse con forza l’elsa della spada che portava alla vita; sì, era deciso: il Paradiso era il posto che la donna preferiva meno in assoluto.
Il prezioso marmo bianco, infatti, era decorato con intarsi in oro o in puro argento che venivano ripresi dalla mobilia inutile che si trovava su ambo i lati dell’ampio androne. 
Non c’erano dubbi che suo fratello Gavriel avesse preso i gusti eccentrici dalla madre… O meglio dall’ombra mortale della madre.
La donna si fermò e si spiò nello specchio che era posizionato a qualche porta di distanza dall’ufficio di suo fratello.
Mikael si trovò a fissare la forma del suo corpo, che ormai l’accompagnava da millenni: il corpo minuto, ma muscoloso, era avvolto in un paio di jeans e una camicia blu notte, nascosta da un maglione color cachi; il viso dai tratti decisi ma fini era avvolto da lunghi capelli bianchi, ereditati dal padre. Il tutto contribuiva a far risaltare l’unico dettaglio ereditato dalla madre, che condivideva con suo fratello Azrael: gli occhi neri pece, più profondi di un buco nero.
La donna era la più piccola dei quattro fratelli, anche se non c’era da farsi ingannare: era quella con un carattere più schietto e più incline ad un approccio violento, se la situazione lo richiedeva. Era anche l’unica dei quattro che riusciva a incanalare le proprie emozioni ed a utilizzarle a proprio favore, al contrario dei tre figli maggiori che non riuscivano più a pensare e perdevano pienamente il controllo dei propri poteri, quando provavano intense emozioni.
Loro madre diceva sempre che era dovuto al fatto che fosse l’unica donna dei quattro. 
Eppure, anche se era una donna, Mikael era diventata l’angelo combattente e veniva sempre rappresentata con la sua fida spada… Anche se la rappresentavano sempre come un uomo… Non che la cosa le desse particolarmente fastidio.
La donna guardò il proprio naso contorcersi in un’espressione infastidita. Ma a chi lo dava a bere? Le dava un fastidio cane!
Sospirò, lasciando cadere le spalle e gettando la testa all’indietro.
«Ancora irritata per la storia che tutti rappresentano l’arcangelo Michele come un uomo?» Chiese una voce maschile alla sua sinistra.
Mikael guardò con la coda dell’occhio suo fratello maggiore. Gavriel era l’epiteto di angelo: alto, muscoloso, spalle larghe; i capelli erano bianchi come quelli della donna, gli occhi però rispecchiavano quelli bianchi di Helel. Era vestito in un completo scuro che emanava un’aura di autorità.
«È una questione di orgoglio femminile». Rispose secca lei e il fratello alzò le mani in segna di resa. Era il maggiore e anche il più furbo… A volte… «Pensavo fossi in ufficio», aggiunse poi lei rimettendosi dritta come uno stecco.
«Ci stavo andando giusto ora», si spiegò, con poche parole, l’uomo. «Tu, invece, perché sei qua?»
«Dobbiamo parlare di questioni serie».
Gavriel, che aveva sperato in un’altra risposta, dovette trattenere un sospiro. Sapeva benissimo perché la sorella era salita dalla porta del Purgatorio – cui doveva proteggere – fino alla cima del Paradiso.
«Lo immaginavo», disse invece, «vieni, andiamo nel mio ufficio». E fece segno di seguirlo mentre la sorpassava.
Le ultime due settimane erano state parecchio strane per i tre mondi ultraterreni e la Terra stessa. Non che gli umani potessero avvertire questo cambiamento, solo gli esseri importali, infatti percepivano cosa c’era che non andava: la maggior parte degli esseri immortali – cioè demoni, angeli e mietitori di anime – si erano dati alla bella vita, dimenticandosi dei loro ruoli.
Gavriel ormai aveva perso il conto di quanti angeli aveva trovato addormentati sul posto di lavoro. Ma non poteva dargli torto: da due settimane a quella parte, infatti, le anime sembravano rimanere quasi tutte bloccate sulla terra; come se i mietitori avessero smesso di fare il loro lavoro.
L’arcangelo aveva provato a rintracciare suo fratello minore per vedere cosa stava causando tale rallentamento, ma i suoi messaggi o non erano stati recepiti o erano stati ignorati.
Sperava solo che non fosse la seconda, oppure una ramanzina nessuno l’avrebbe tolta ad Azrael.
«Ho scoperto la causa di questa assenza di anime». Disse seria Mikael appena Gavriel ebbe chiuso la porta dell’ufficio alle proprie spalle. La donna si era seduta a una delle due sedie rococò, tappezzate di rosso, al centro dello studio, incrociando le gambe.
L’uomo le rispose solo dopo essersi poggiato, con il suo angelico lato B, alla scrivania in mogano pregiato, di fronte alla sorella. Il resto della stanza era bianco, oro e argento come il corridoio. Mikael sentiva la bile in gola, preferiva di certo le tonalità verdi e azzurre, e il gusto spoglio del Purgatorio.
«Vuoi condividere le informazioni?» Chiese lui, impaziente di sapere cosa aveva scoperto la donna.
«Stamattina è arrivata un’anima alle porte del Purgatorio, con lei c’era un mietitore…» Raccontò lei, ma venne interrotta.
«Dimmi solo se hai utilizzato le buone o le cattive maniere».
Mikael saettò uno sguardo omicida al fratello.
«Era un novellino!» Esclamò indignata. «È bastato un sorriso, una frase sbattendo le ciglia e ha svuotato il sacco!»
Gavriel sospirò interiormente: non sarebbe stata la prima volta che la sorella estorcesse informazioni con la forza. Fece segno alla donna di continuare.
«Come stavo dicendo: il mietitore è stato così gentile e collaborativo da rivelarmi che la colpa di tutta questa mancanza di lavoro è data dall’assenza di Hel ed A».
«In che senso “assenza”?» Chiese il fratello sgranando gli occhi, d’un tratto preoccupato per i due fratelli minori.
«I nostri cari fratelli non tornano ai rispettivi lavori da due settimane a questa parte». Ammise l’albina mordendosi il labbro inferiore. «È per questo che solo i novelli e qualche mietitore anziano stanno consegnando anime: essendo assente il gatto, i topi hanno deciso di ballare»
«La tua fonte ti ha detto, per caso, se sapesse dove si trovano quei due idioti?»
Mikael potè sentire la preoccupazione avvolgersi intorno a ogni parola detta dall’angelo che aveva di fronte; mentre incrociava le braccia al petto.
«Ci sono voci…» Sospirò, sconfitta, lei. «Niente di più e niente di meno».
«Che voci?» Se non avevano altre piste, a Gavriel andavano bene anche le voci sul posto di lavoro per iniziare a cercare i due bruni.
«Che stiano convivendo con una mortale… E che siano legati in qualche modo a lei». Rispose lei, le braccia incrociate al petto. Anche se aveva fatto di tutto per scacciare la sensazione, Mikael aveva iniziato a sentirsi in ansia per i fratelli, involontariamente.
Sì, non erano proprio i migliori lavoratori di questo mondo, ma non avevano mai lasciato il loro posto di lavoro per due intere settimane senza dire nulla. Doveva essere successo qualcosa.
«Della mortale si ha qualche informazione?» Continuò l’interrogatorio Gavriel.
«Sembra chiamarsi Eva, non avere più di venticinque anni e che abbia dei capelli rossi da “mozzare il fiato”».
Gavriel annuì più che a se stesso, che a sua sorella.
«È sufficiente per trovarla», sussurrò e a Mikael sembrò solo un borbottio. Ormai non le dava  più così tanto fastidio, come duemila anni prima, quel piccolo tic del fratello di sussurrarsi le cose a sé stesso mentre pensava.
«Spero che tu sia pronta a una piccola gita». Aggiunse poi l’uomo in giacca e cravatta, girando attorno alla scrivania per lavorare al computer, sperando che al dipartimento che controllava le nascite qualcuno stesse ancora lavorando.
«Gita?» Chiese lei dubbiosa.
«Sì, appena riusciremo a scoprire chi è e dove viva questa Eva; andremo a trovare i nostri cari fratelli e riporteremo i loro culi angelici dove dovrebbero stare».

EVA’S POV

La prima cosa che il mio cervello percepì appena tornai dal limbo di oscurità in cui ero caduta la notte precedente, fu l’odore di padella bruciata che impregnava la stanza e che mi era riuscito a risvegliare.
Quando i miei neuroni ebbero processato la serietà della situazione, che stava presentando loro il mio olfatto, una purga di adrenalina mi schizzò nelle vene; svegliandomi subito.
Spalancai gli occhi e scattai a sedere, gettai le coperte di lato e con una velocità che non avevo mai pensato di possedere mi lanciai fuori dalla porta e dritta verso la cucina. Non badando neanche che tutto ciò che mi copriva era una maglietta larga e un paio di mutande.
«Che sta succedendo nel mio Regno?!» Abbaiai appena misi piede in cucina; prima di analizzare ciò che avevo davanti.
La coppia di fratelli dai capelli neri era in piedi accanto al lavandino. Azrael aveva uno sguardo severo e accusatorio stampato in faccia e sottolineato dalle sopracciglia così tanto corrucciate che per poco non si toccavano; mentre stava mettendo in ammollo un padella con del sapone.
Accanto al giovane, il fratello più anziano aveva un sorriso di scuse in volto mentre si stava grattando la nuca, il capo appena inclinato.
Fu quest’ultimo il primo a posare gli occhi su di me e, appena notò il mio volto distorto in un smorfia di irritazione, diventò ancora più bianco di quanto già non lo fosse naturalmente.
Erano passate quasi tre settimane da quando Helel si era scusato ufficialmente e avevamo deciso di ricominciare da capo. Come avevo immaginato, il percorso non era stato tutto rosa e fiori: non erano più avvenute vere e proprie litigate come quella dell’ultima volta, ma alcuni giorni se uno dei due aveva la luna storta cercavamo di evitarci il più possibile.
Però vedevo l’impegno che Helel ci stava mettendo: aveva iniziato con l’interessarsi ai costumi di noi umani quali le serie TV, il cibo, i libri; aveva poi iniziato anche ad aiutarmi in piccole faccende domestiche come pulire le stanze o fare il bucato – quelle poche volte che capitava che lo facessi; con i poteri che i due avevano ormai pulivo casa classicamente con aspirapolvere e vileda, solo quando dovevo svuotare la mente dallo studio – e da qualche giorno aveva iniziato a studiarmi mentre facevo da mangiare.
«E-E-Eva», balbettò e questo fece girare anche Azrael.
L’Angelo della Morte sgranò gli occhi, leggermente spaventato dal mio sguardo, ma poi notai come deglutì lentamente dopo avermi studiato da capo a piedi.
Sentii le guance diventarmi subito rosse a quel gesto, resami conto di come ero mezza svestita.
Nelle settimane precedenti il rapporto tra me e Azrael era decisamente cambiato. Quel piccolo incedente qualche mattina prima in bagno aveva creato una piccola crepa nella nostra amicizia, che aveva fatto diventare imbarazzante ogni genere di contatto fisico con quest’ultimo.
Non capivo e non sapevo il perché, ma ogni volta che mi trovavo da sola con il ragazzo dagli occhi neri il mio cuore iniziava a battere all’impazzata e le mie guance diventavano di un intenso color cremisi.
Anzi, sapevo esattamente il perché di tutto ciò; non era la prima volta che il mio corpo si sentiva così; ma il mio cervello ed istinto di sopravvivenza non volevano accettare che il mio corpo provasse quel tipo di sentimento un’altra volta; ancora lacerati dai dolorosi ricordi che aveva seguito l’ultima volta che quei sentimenti erano apparsi nella mia vita.
«Lo chiederò solo un’altra volta: che sta succedendo nella mia cucina?» Chiesi ancora, scostando gli occhi da quelli di Azrael e ricordandomi dell’odore di strinato che aveva invaso l’appartamento.
«Hel ha provato a cucinare “la colazione”». Rispose Azrael, senza peli sulla lingua, tornando a lanciare occhiate di disapprovazione al fratello.
Alzai un sopracciglio e fissai Helel in attesa di una spiegazione.
«Beh… È una settimana che ti vedo cucinare la colazione e credevo di ormai aver capito come si facesse». Confessò il Diavolo mentre cercava di guardare a tutto meno che a me e si grattava una spalla. Vergogna e dispiacere ben dipinti sui tratti decisi.
La donna lasciò andare un sospiro di sconfitta.
Avrei dovuto mettere un cartello con scritta “Aria Riservata” sulla porta della cucina. Pensai, senza più speranze di avere un giorno senza incidenti.
«Ora una cosa è certa: le padelle le sai cucinare divinamente». Dissi: se la speranza era sparita, tutto ciò che mi restava era il sarcasmo e le battute da quattro soldi.
Mentre i due angeli ridacchiavano per la battuta, credendo che la situazione fosse risolta, io feci qualche passo indietro e presi una ciabatta che era stata dimenticata sul pavimento, prima di tornare sulla soglia.
La cucina era il mio regno, nessuno poteva rovinarmi una padella senza una giusta penitenza.
«Ma non fraintendermi», aggiunsi e i due tornarono a guardarmi. Stavo sorridendo come una maniaca mentre sbattevo la ciabatta sul palmo aperto. 
Azrael lasciò andare la padella e mise una mano sulla spalla del fratello: «È stato un piacere conoscerti», gli sussurrò.
«Helel caro», richiamai l’attenzione del Diavolo, che si era spostata sul fratello, «preparati per la punizione che ti aspetta, per la padella strinata». E senza troppi indugi mi fiondai sull’uomo, ciabatta alzata sopra la testa, come se fosse un’arma.
Azrael si lanciò fuori dalla mia traiettoria, con nessuna intenzione di mettersi tra me e la mia preda; Helel, al contrario, fu qualche secondo più lento; ma riuscì comunque a spostarsi, appena in tempo per evitare la ciabattata in testa.
In un attimo Helel si fiondò fuori dalla cucina, cercando una via di fuga; l’istinto di cacciatore che mi pompava nelle vene mi aiutò a stargli alle calcagna, rincorrendolo in circolo per il salotto.
«Helel fermati subito e vieni qua!» Esclamai con lo stesso tono che di solito mia madre usava con me, per mia spiacevole sorpresa, mentre mi fermai davanti al divano che era tra me ed il Diavolo.
«No, grazie», disse lui, «molto allettante la proposta, ma preferisco il frustino alle ciabatte».
Azrael si lasciò andare a quell’ultima frase: si accasciò allo stipite della cucina mentre rideva così tanto da avere il viso rigato dalle lacrime e un braccio intorno allo stomaco.
Feci fatica a non sorridere a mia volta.
«Beh di certo questa mi mancava». Disse una voce, maschile e sconosciuta, alle mie spalle. 
«AAHH!» Urlai.
L’istinto reagì prima del cervello e mi ritrovai a guardare, come a rallentatore, la ciabatta che saliva verso l’alto per poi tornare verso il basso ed atterrava in faccia allo sconosciuto; finendo con il rimbalzare a terra. L’avevo lanciata per lo spavento mentre mi voltavo a scoprire chi aveva parlato.
Mi accorsi solo allora che gli sconosciuti erano due.
E per la miseria!
Erano un piacere per gli occhi! L’uomo era alto anche più di Helel, il corpo muscoloso che si intravedeva attraverso il completo blu scuro. Gli occhi erano bianchi, esattamente come quelli di Helel anche se questi avevano una leggera sfumatura blu sul bordo, mentre quelli di Helel ce l’avevano rossa.
I capelli bianchi come la neve erano l’unica cosa che i due sconosciuti condividevano.
La donna, infatti, seppur il corpo veniva allenato costantemente, era minuta e con le spalle ridotte; era ovvio che la sua forza era la velocità più che la potenza. Il viso era femminile anche se i tratti erano pronunciati.
Gli occhi neri erano identici a quelli di Azrael.
La differenza principale dall’uomo al suo fianco era ovviamente lo stile del vestiario: dove l’uomo era elegante, la donna era vestita da tutti i giorni con i jeans e il maglione color cachi.
«Di certo», disse la donna rivolta all’albino, «questa mancava a me, da vedere». Le spalle che le tremavano per la leggera risata che stava cercando di trattenere… In malo modo.
«Mikael!» Esclamò all’improvviso Azrael, eccitato, chiudendo la distanza che lo distanziava dalla donna con due falcate e avvolgendola in abbraccio caloroso.
Sì, A è proprio carino mentre sorride.

Carino?! La Morte?! Oh, per Zeus, Ade e Poseidone; Eva piantala di avere certi pensieri! È un angelo! A-N-G-E-L-O! Come potresti mai piacergli?
«A, mi stai soffocando». Espirò l’albina scuotendo le braccia in cerca di aiuto.
«A, lascia andare nostra sorella prima di strozzarla definitivamente». Gli ordinò, esasperato, l’uomo sconosciuto che si stava massaggiando il naso e mi guardava con sguardo omicida.
«Un attimo». Richiamai l’attenzione, il mio cervello finalmente aveva ripreso a funzionare. «“Nostra sorella”?!»
«Benvenuta nella famiglia più mal ridotta di tutti i regni celesti». Fece il sarcastico Helel, volgendo gli occhi al cielo. Guardai un attimo allibita il viso di Helel: dove Azrael aveva mostrato eccitamento, l’Angelo Caduto stava mostrando irritazione e fastidio.
Sì, definitivamente ha problemi con almeno uno dei due nuovi arrivati.
«E chissà di chi è la causa…» Borbottò in modo molto poco allusivo, l’angelo dal nome ancora sconosciuto. Con la coda dell’occhio notai Azrael e la sorella, Mikeal, che si scambiavano uno sguardo esasperato.
«Gavriel!» Sibilarono all’unisono, cercando di fermare la discussione che, ovviamente, stava per nascere.
E ovviamente ha problemi con il fratello maggiore, nulla da stupirsi in proposito.
Guardai Helel e vidi come la postura del corpo era cambiata drasticamente: il corpo era così tanto irrigidito che tremava; le mani chiuse a pugni. Era due settimane che non vedevo più quel Helel.
Sospirando scivolai tra il moro e l’albino.
«Non so che problemi ci siano tra di voi», dissi guardando prima uno e poi l’altro, «ma se solo pensate di iniziare una rissa celeste nel mio appartamento, vi prendo a calci nel culo così tante volte che non riuscirete più a sedervi».
«Come se una mortale potesse farmi qualcosa». Mi sbeffeggiò Gavriel guardandomi dall’alto al basso.
I miei occhi erano spalancati, non credendo alle mie orecchie; i pugni stretti così forte che potevo sentire le nocche bianche. La furia nelle vene chiamava sangue.
Ora ero certa da dove Helel avesse preso certi comportamenti.
Azrael si avvicinò a me e mi prese un polso. Non ero certa se fosse per proteggere me da Gavriel o il contrario.
«Gavriel, smettila subito». Lo avvertì.
«Pfff!» Mi schernì il fratello maggiore, avvicinandosi così tanto da essere a portata di braccio. «Perché, che mi potrebbe fare questa umana: lanciarmi un’altra ciabatta?» Chiese, dandomi una pinghella sulla fronte.
Ci fu una pausa di un paio di secondi, in cui tutti mi fissarono in silenzio, poi il mio pugno si connesse con il naso dell’albino. 
Ciò che non ebbi calcolato fu il patto di sangue che univa me ad Azrael ed Helel; esattamente non avevo calcolato la condivisione dei poteri che avevamo.
Gavriel venne fiondato, infatti, contro il muro ed che si sfondò senza troppi problemi. 
La corsa dell’angelo finì sul pavimento della camera dei ragazzi.
Mikael mi guardò con occhi sgranati e bocca spalancata: «Ti amo, sposami immediatamente!» 
«Cosa?!» Esclamai stupefatta.
«Ehi!» Esclamò Azrael allo stesso momento, tirandomi per il polso che non aveva lasciato e posizionandomi dietro di lui; così che ci fosse lui tra me e sua sorella.
Helel non prese parola nella discussione e lo guardai mentre ci superava e si avvicinava a Gavriel, il quale si stava lentamente rialzando da terra; l’angelo aveva il viso completamente coperto di sangue.
«Se hai finito di insultare la padrona di casa», disse con tono pacato, «forse possiamo metterci a parlare del perché siete venuti fin qua».

   
 
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