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Autore: Frulli_    02/02/2018    3 recensioni
Inghilterra, 1911. L'Europa sta attraversando un periodo di serenità e ricchezza, la "Belle Epoque". E se Parigi è il fulcro della moda e del divertimento, Londra certo non è da meno! Lo sanno bene i membri della famiglia Norton e dei suoi servitori, che per la Stagione londinese vengono catapultati in un mondo di divertimenti e finzione, dove tutti sono un pò "sottosopra", e rischiano di perdere di vista le cose vere e reali della vita, come i sentimenti e l'amicizia...
Genere: Romantico, Slice of life, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Il Novecento
Capitoli:
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1. New Year, New Beginning
 
 
Rose Castle, Norfolk, 1 Gennaio 1911
Il pendolo battè la mezzanotte. Il suo suono lento e ritmico rimbombava nel corridoio del piccolo appartamento. Si svegliò, avvolta nel buio. Non aveva paura del buio, era sempre stata una bambina assai coraggiosa: sapeva dove si trovava, sapeva che era al sicuro a casa sua. Sentì un tonfo, qualche stanza più in là rispetto alla sua. Un tonfo sordo e cupo, come quando faceva cadere per sbaglio i libri di suo padre.
«Mamma?» la chiamò, nell'oscurità. Sentì dei passi veloci nel corridoio, qualcuno che bisbigliava...il campanello interno suonò appena, come se temesse di svegliare il resto dell'appartamento. Ma la sua porta non si aprì.
«Mamma...?» la chiamò ancora, incerta. Avrebbe voluto scendere dal letto, ma si stava così bene lì sotto le coperte. Questa volta la porta si aprì lentamente, mostrando il viso di suo fratello, di due anni più grande di lei. Tremando, richiuse velocemente la porta della camera.
«Va tutto bene, Lulù...torna a dormire»
«Dov'è la mamma?» chiese al fratello, mentre questi s'infilava sotto le coperte, stringendola forte a sè.
«Dormiamo...sono stanco, Lulù...» sussurrò il fratello. Non chiese altro, lei, stringendolo a sua volta. Poteva sentire addosso al fratello l'odore della paura. La cameriera gridò, nell'altro lato della casa, soffocando a stento i singhiozzi.


«Miss Herbert, la colazione» la voce della cameriera, insieme al suo bussare incerto alla porta della camera, la fece svegliare di colpo.
«S-si, scendo subito!» esclamò, ancora confusa per via del sonno e soprattutto degli incubi in cui versava fino a qualche secondo fa. Si mise a sedere sul letto, tremando appena per il freddo invernale. Si alzò, infilò le pantofole e la vestaglia e si avvicinò alla finestra, aprendo le imposte. Era presto, avrebbe potuto dormire almeno altre cinque ore, ma a lei non piaceva dormire, lo faceva il minimo necessario. Quando dormiva aveva sempre gli incubi, ed ovviamente non era mai una bella sensazione. Si alzava presto la mattina e cercava di avere una giornata attiva e stancante, così forse la sera avrebbe riposato meglio e senza sogni. A volte funzionava, a volte no. Ma quella mattina avrebbe potuto davvero dormire di più: era il primo gennaio di un nuovo anno, la sera prima c'erano stati i festeggiamenti per il capodanno e dormire fino a tardi era giustificato.
Sciocchezze, pensò, solo sciocchezze. Quando mai aveva festeggiato capodanno, lei? Mai, negli ultimi ventitre anni. Uscì dalla camera e si diresse verso la sala da colazione, dove erano già seduti suo fratello George e la padrona di casa.
«Buongiorno zia, buon anno» annunciò sorridente, dandole un bacio sulla guancia.
«Oh buon anno a te, cara» rispose la donna, riponendo il Times sul tavolo mentre una cameriera serviva il thè.
«George, buon anno»
«A te»
Lady Maud lasciò che i gemelli si abbracciassero per tutto il tempo che volevano: George ed Ethel avevano un legame quasi sovrannaturale; non solo erano fratello e sorella, ma anche intimi amici, confidenti, compagni di avventure. Se esisteva l'anima gemella anche per l'amore fraterno, George ed Ethel ne erano la prova. A volte li invidiava, doveva ammetterlo: lei era figlia unica e non aveva mai potuto godere della compagnia di sorelle o fratelli; in quanto alla sua progenie, Alfred e Daisy erano troppo diversi per essere legati da un affetto così forte e intenso.
«Com'è andata la festa della Marchesa, zia?» chiese Ethel, mentre spalmava il burro sulla sua fetta di pane.
«Terribilmente noiosa come ogni anno, cara. Sono tornata a casa ancora prima della mezzanotte, inventando un malore non ben precisato»
I due fratelli ridacchiarono, divertiti.
«Non posso certo dire lo stesso per Daisy» continuò la Contessa, sorseggiando il suo thè «credo che sia tornata non meno di quattro o cinque ore fa. Quando ho lasciato la tenuta della Marchesa stava ballando il sesto walzer, credo, con un giovanotto assai bello»
«Non sarebbe dovuta tornare da sola, zia, è sconveniente...» commentò George, senza troppa enfasi, prima di mordere la sua fetta di pane.
«Oh ho smesso di preoccuparmi per mia figlia molto tempo fa. Era tra amici, e tutti sanno che carattere ha: dubito la scambino per una poco di buono, ed anzi sarei felice se uno di quei giovanotti che le gira attorno le facesse una proposta...ma niente, sembra che nessuno voglia diventare Conte»
Ethel sorrise tra sè, divertita. «Sono sicura che uno di questi giorni Daisy arriverà con un fidanzato nuovo fiammante e vi farà felice, zia»
«Me lo auguro proprio, mia cara, o alla mia morte questa catapecchia andrà in rovina»
"Catapecchia", pensò Ethel con ironia. Sollevò gli occhi su George, che le sorrise: stava pensando anche lui la stessa cosa. E cioè che Rose Castle non somigliava esattamente ad una catapecchia, ma più ad una tenuta con più di quarante stanze, una ventina di servitori, una chiesa, un parco, un'orangeria e una scuderia di dieci cavalli di razza, oltre che un paio di carrozze e di macchine, giusto per non farsi mancare nulla.
Josephine, la capo cameriera, entrò nella stanza e senza dire una parola porse un vassoio d'argento alla padrona di casa, dove erano sistemate le lettere del giorno.
«Oh grazie Josephine» rispose Lady Maud, raccogliendo il piccolo mazzo di lettere. Sospirò, sfogliandole «Inviti a balli, eventi, concerti...ma non hanno altro da fare queste donne? Ah, una lettera di Alfred! Vediamo che dice»
«Dirà che è troppo impegnato a giocare a fare il politico per degnarci di una visita...» mormorò George ironico verso Ethel, che sorrise divertita.
«Sarò anche vecchia, George, ma ci sento benissimo...» precisò Lady Maud.
«Scusate zia, io non...»
«Fa nulla caro, glielo detto anche io che è diventato un pomposo. Ma ecco, dobbiamo rimangiarci tutto! Dice che quest'anno avrà modo di avere più tempo libero per la Stagione, e che ci tiene molto che andiamo a Londra per farci conoscere...la sua Candice. Mpf, che nome da borghese americana»
«Zia...!» la riprese Ethel, non riuscendo a non sorridere ai commenti della Contessa.
«Che ho detto? Non puoi non essere d'accordo con me, mia cara. Comunque sia...immagino non possiamo rifiutare, no? E poi voi ragazzi non vi vedete da tanto, e Londra durante la stagione è piena di divertimenti. Dobbiamo andare»
«Ma zia, siete sicura che nelle vostre condizioni...»
«Le mie condizioni sono ottimali, George, ti ringrazio per le tue premure. Il dottore dice che sto molto meglio, e che posso affrontare brevi viaggi: Londra non dista molto in treno, ringraziando il cielo queste modernità servono a qualcosa» precisò Lady Maud, facendo un occhiolino al ragazzo prima di suonare il campanello della servitù.
«Buongiorno e buon anno, Lady Maud. Mr Herbert, Miss Herbert...» annunciò la voce gentile di Miss Rossi, la governante della tenuta.
«Buongiorno Nana» salutarono in coro i due fratelli, sorridendo dolcemente alla donna italiana, che ricambiò con dolcezza ai loro sorrisi.
«Buongiorno a te Nana, e buon anno. Avrei bisogno del tuo aiuto, sei momentaneamente libera?»
«Si, milady, assolutamente»
«Bene! Dunque, avvisa il custode di Little Hall che per gli inizi di Febbraio saremo a Londra per la Stagione. Dopo di chè invia una squadra delle nostre cameriere affinchè puliscano la casa e preparino almeno...sette o otto stanze, per sicurezza»
«Non volete assumere personale direttamente a Londra, milady?»
«Assolutamente no, Nana, ricordi cosa è successo l'ultima volta? Assolutamente! No, voglio la mia servitù. Ed a proposito, dì a Mr Conti che deve venire con noi: vorrò mangiare spesso a casa, e vorrò provare i suoi dolci ad ogni pasto»
«Ovviamente, milady. Altro?»
«Si. Abbiamo avuto riscontri per la nuova cameriera da assumere?»
«Giusto ieri, milady. Miss Murphy, diciotto anni, ha lavorato per dieci anni a Charmington House, ma ora...»
«Oh si, i Baroni di Charmington. Poveri cari...bene, direi che è il caso di fare un colloquio a questa Miss Murphy. Se la troverai adatta, si occuperà del nostro pranzo come periodo di prova. Se meritevole, sarà la cameriera personale di Ethel una volta arrivati a Londra»
«Zia, davvero, non serve...»
«Sciocchezze, Ethel, ne abbiamo già parlato. Sei una Baronessa, e non puoi vestirti e sistemarti da sola come se fossi una lavandaia. No Signore, hai bisogno di qualcuno che ti aiuti, abbiamo atteso fin troppo. E' tutto Nana, grazie»
«Molto bene, milady. Mr Herbert, Miss Herbert...»


«Domino o Isabelle?» chiese George poggiando la sella sul dorso del cavallo.
«Domino. Pensavo che sono quasi cinque anni che non vedo Alfred, sono felice di rivederlo sai?»
«Anche io, anche se l'ho visto due anni fa. E' diventato davvero un pò snob, non dicevo per scherzo. Ma immagino che faccia parte del suo lavoro»
«E' un politico e un conte, davvero pretendevi che se ne andasse in giro per orfanotrofi o a cucinare per i poveri?»
«Tu lo fai...»
«Io non sono nobile, George»
Il giovane sollevò gli occhi azzurri verso la sorella, guardandola serio. Le posò un bacio sulla fronte, prima di abbracciarla.
«Non devi consolarmi, è solo la verità!» precisò lei ridacchiando ma ricambiando l'abbraccio.
«Lo so...mi dispiace solo che sia andata così, tesoro»
«Non è colpa tua, Georgie, nè di nessuno. Non mi pesa, davvero» precisò, osservando il fratello e posandogli un bacio sulla guancia. «Andiamo?»
Finirono di sellare i cavalli ed uscirono dalle scuderie, lasciandosi invadere dalla nebbia mattutina e dal freddo invernale di quel primo giorno dell'anno. Cavalcarono per un pò, per scaldare i muscoli dei cavalli ed i propri; poi lentamente rallentarono, proseguendo al passo verso il cimitero vicino la tenuta.
«Tu l'hai conosciuta la sua ragazza?»
«La ragazza di chi...?»
«Di Alfred, George! Dio, hai una memoria davvero corta...» precisò Ethel, ridendo mentre gestiva abilmente il suo Domino.
«Ah di Alfred! Mh immagino di sì, anche se quando io l'ho conosciuta non era ancora la sua fidanzata ufficiale, diciamo. Zia Maud ha ragione, è la tipica americana ricca da fare schifo, che vive come una nobile per cercare di sembrarlo. Mi ha dato l'idea di essere parecchio stupida, o superficiale»
«Superficiale? Non è da Alfred. Ti ricordi quando si innamorò di quella poetessa, quando aveva 18 anni?»
«Te l'ho detto, è cambiato. Alfred non è più il ragazzo allegro e dolce che conosciamo, è...un uomo. Immagino che sia normale, nemmeno io sono quello di dieci anni fa, no?»
«Non saprei. Per me sei sempre uguale. Serio e musone, appiccicoso, geloso, protettivo...»
«Io non sono appiccicoso!» protestò George, lasciandosi sfuggire un sorriso leggero.
Ethel rise divertita, osservando avanti a sè. «Però sei tutto il resto»
«Non sono musone. Sono una persona pragmatica, è diverso»
«Ma smettila di darti delle arie. Ti ricordi al compleanno di zia Maud dell'anno scorso, la figlia della baronessa Williams?»
«Miss Margaret...»
«Precisamente. Si era presa una cotta per te, glielo si leggeva in viso, e tu hai fatto di tutto per evitarla come la peste»
«Non mi piacciono quelle troppo belle, che devo farci? Mi mettono in soggezione»
Ethel rise di nuovo, scuotendo la testa. «Sei l'unico ragazzo che la pensa così, davvero...»
«E poi io non ho tempo per le altre. Devo sorvegliarti» precisò George, facendole un occhiolino fugace.
«Cos'è, vuoi rimanere zitello a vita come me?» lo rimbeccò Ethel, divertita.
George sollevò le spalle. «Se dovessi sposarmi, significherebbe lasciarti da sola»
«No, significherebbe che verrei a vivere con te, abbi pazienza» precisò Ethel con la sua solita ironia. George accennò una risata diverita, rallentando davanti all'ingresso del cimitero, prima di smontare da cavallo.
«Beh non c'è rischio per ora, no? E poi cosa potrei dare ad una mia ipotetica moglie, mh? Un titolo inutile e nemmeno un penny?»
«Sono sicura che zia Maud potrebbe...»
«Zia Maud ha già fatto troppo per noi, Ethel, non voglio certo andarle a chiedere soldi per sposarmi. Non ne sento la necessità. Ho te e tanto mi basta» precisò serio, aiutandola a scendere da cavallo.
Ethel scivolò lentamente dalla sella, abile pur appoggiandosi alle spalle del fratello. Si sistemò il vestito da cavallerizza, un semplice completo di lana marrone con sopra un soprabito nero, per combattere il freddo invernale. Sistemò anche i guanti alle mani, quindi sottobraccio al fratello entrò dentro l'area circoscritta al cimitero. La nebbia del mattino si era diradata, lasciando posto ad un pallido sole non ancora posizionato al mezzogiorno. Superarono tombe tristi o magnifiche, antiche o recenti, di bambini o di anziani, fino a raggiungere un'unica tomba, sotto un albero privo di foglie. Si sedettero sulla panchina di pietra, lì vicino, e rimasero in silenzio. Ethel lesse la scritta scolpita sulla pietra, seppur la conoscesse a memoria:
Alla memoria di Edward & Eloise Herbert,
amorevoli genitori, nobili d'animo e di sangue.
Possano riposare in pace.
1 Gennaio 1888
Ricordava a malapena i suoi genitori: il profumo del padre, il sorriso della madre. Il Natale insieme, le risate, le lacrime...era tutto molto confuso. La notte in cui morirono lei si accorse di ben poche cose, e solo anni dopo scoprì che quel tonfo che la perseguitava di notte non era di un libro caduto, ma dei loro corpi caduti a terra dopo essersi avvelenati, in un suicidio di coppia e di disperazione. I debiti, il mancato appoggio delle famiglie, una casata nobile in disfatta già da prima che loro nascessero...la disperazione e la depressione fecero il resto.
Strinse la mano a George, che in tutta risposta le circondò le spalle, sospirando. Lei ricordava poco, ma George no: era stato lui a ritrovare i genitori morti, uno accanto all'altro, ed ancora lui a chiamare la cameriera e poi a nascondersi da Ethel, fingendo che nulla fosse accaduto... che non erano rimasti soli, e poveri, senza nessuno a cui poter chiedere aiuto.
Rimasero lì a lungo, a pregare, a conversare con coloro che sempre sarebbero rimasti i loro cari genitori.
«Andiamo da zio...» mormorò George, prima di chinarsi e baciare la tomba. Ethel fece lo stesso, seguendolo poi verso una cappella di marmo, ben ornata e protetta. Dentro c'era un'unica tomba occupata, in marmo bianco e inserti in argento.
Alla memoria del Conte Alexander Struan McKanzie Norton,
amorevole padre e marito, padrone giusto,
uomo di grandi valori, patriota fedele.
Che tu possa riposare in pace tra le braccia di Dio.
1850 - 1900
Che cosa avrebbero fatto senza i Norton? A quell'ora probabilmente erano ancora in un collegio per orfani, a fare la fame. Invece i Norton, loro vicini ed unici amici rimasti agli Herbert, presero con loro i due orfani seppur non li accomunasse nemmeno un briciolo di parentela. Li presero con loro come parte della famiglia, dando loro un tetto sopra la testa ed anche molto di più: agi, un'ottima educazione, accesso ad ogni tipo di passatempo ed istruzione. Alla morte del Conte, la Contessa Maud continuò ad occuparsi dei giovani Herbert come fossero parte della famiglia, concedendo loro quasi tutto quello che concedeva ai suoi figli naturali.
«Credi che mamma e papà sarebbero stati fieri di noi?» chiese Ethel, uscendo dal cimitero insieme a George.
«Di te sicuramente, di me..ho i miei dubbi» precisò l'altro avvicinandosi ai cavalli.
«Non essere ridicolo. Siamo vissuti insieme, e tu hai avuto un'educazione molto più approfondita della mia, sei stato al collegio e all'università. Che cos'hai che non va?»
«Sono povero come uno straccione, ecco cos'ho. So che quel so per gentile concessione di altri, non per miei meriti»
«George, per favore...basta con questa storia. Non vale lo stesso per me?» precisò Ethel, avvicinandosi al fratello.
«Tu sei gentile, simpatica, un talento per la musica...»
«E nonostante questo, una zitella di ventotto anni» precisò Ethel, ironica «sono quel che sono per mia indole, così come per te. Se fossi stata povera non avrei mai imparato la musica, non sarei mai diventata un...talento, come dici tu. Quel che vale per te vale per me, smettila di denigrarti»
George sorrise appena, prima di aiutarla a risalire a cavallo. «Va bene. E adesso forza o faremo tardi per il pranzo, Miss "salvatrice della patria"»
Ethel rise, afferrando le redini di Domino. «Io non voglio salvare la patria! Voglio solo salvare il tuo amor proprio...»


«Da questa parte Miss Murphy. Siete abile nel ricamo?»
«Si, Miss. Mi hanno insegnato a ricamare e cucire, stirare, rammendare...» Charlotte riusciva a parlare e a tenere velocemente il passo dietro la governante. Poteva sembrare una cosa da niente, ma solo una cameriera ben allenata era capace di muoversi abilmente tra scale e corridoi e al contempo parlare abbastanza per farsi udire ma non troppo per non disturbare i padroni della casa.
«Molto bene. Quindi negli ultimi cinque anni avete gestito la sala dei vostri ex padroni?» chiese ancora Miss Rossi, aprendo e chiudendo una miriade di porte del piano principale della tenuta.
«Si Miss. Ero responsabile del servizio a tavola di tutti i pasti» si limitò a spiegare l'altra, senza ridondare troppo. Era una cameriera di alto livello, ma nulla di cui vantarsi: la sua posizione era appena sopra quella della cameriera semplice, che accendeva i fuochi e caricava il carbone sulle proprie braccia. Nulla di eclatante. In più lei non era mai stata una ragazza vanitosa o presuntuosa: aveva cominciato a lavorare dai Charmington quando aveva otto anni, come sguattera, e nel giro di dieci lunghi e faticosi anni era riuscita a levarsi di torno l'odore di cenere bruciata e lo sporco continuo che lasciava il carbone. Sperava solo che lì dai Norton potesse trovarsi bene come si era trovata bene dai suoi precedenti padroni.
«Molto bene. Per oggi vi limiterete a guardare il lavoro delle cameriere in sala pranzo e in cucina, e da domani comincerete col servire la colazione e gli altri pasti. Fate tutte le domande che dovete alle cameriere, io ho poco tempo: fra meno di un mese dobbiamo trasferirci a Londra e c'è ancora tanto da fare. Se sarò soddisfatta del vostro lavoro, Miss Murphy, verrete con noi a Londra e diverrete la cameriera personale di Miss Herbert. Mi aspetto da voi professionalità, serietà e soprattutto discrezione. Tutto chiaro?»
«Si, Miss, tutto chiaro» precisò Charlotte. Era sveglia, era uno dei suoi rari pregi, ma certo non molto furba: non riusciva ad approfittarsi delle persone, delle colleghe soprattutto, ma la sua fedeltà e costanza era stata premiata negli ultimi dieci anni. Le piaceva quel lavoro, ed aveva bisogno di soldi per la sua famiglia: non c'erano comunque molte alternative.
Continuarono a camminare lungo un corridoio, quello delle camere da notte. Miss Rossi rallentò e le fece segno di zittirsi, quindi continuarono a camminare superando le varie porte chiuse, facendo meno rumore possibile. Charlotte fece in tempo a chiedersi come mai tutta quella discrezione quando il silenzio fu rotto da uno strillo furioso.
«Più stretto! Vuoi farmi sembrare una balena??» gridò una voce stridula e insopportabile.
Sbiancò e proseguì veloce avanti a lei. Solo girando l'angolo osò aprire bocca.
«Era...miss Herbert?» azzardò a chiedere alla governante, in un sussurro che lasciò intendere il suo terrore. Come se avesse appena udito il ruggito di un leone ingabbiato.
Miss Rossi ridacchiò appena, divertita, mentre scendeva ai piani bassi. «Santo cielo, no! Quella era la voce di Miss Norton, la figlia della padrona. Vi consiglio di essere parecchio accondiscendente con lei: potrebbe far diventare un inferno la vostra permanenza da noi»
Charlotte si pentì quasi subito di aver risposto a quell'annuncio sul giornale, ma cercò di calmarsi: quante nobili aveva incontrato nella sua vita? Troppe per ricordarle. Miss Norton non sarebbe stata la prima nè probabilmente l'ultima. Tacque, mentre scendeva nei piani bassi. Superarono la lavanderia, il magazzino della biancheria, quello del cibo, quello dell'argenteria...finchè l'ennesima porta non si spalancò su un enorme e caldo ambiente. Le pentole borbottavano sul fuoco, c'era un andirivieni di cameriere che lucidavano l'argenteria, servivano il cibo sui vassoi e almeno due cuoche che sistemavano un grosso pollo pronto per essere mangiato. Tutta quell'agitazione per un semplice pranzo settimanale? Che cosa sarebbe successo per una festa allora?
«Questa è la cucina» annunciò Miss Rossi alzando la voce per farsi sentire sopra il tintinnio metallico e le voci concitate di cameriere, cuoche e valletti. «Lì ci sono le credenze, se avete bisogno di stoviglie extra c'è il magazzino appena passato. Ovviamente chi rompe paga, Miss Murphy, senza che ve lo precisi. Josephine!» gridò alla fine Miss Rossi, facendo girare una giovane cameriera di colore.
«Si Miss?»
«Mostra a Miss Murphy come serviamo i padroni, per questa giornata sarà la tua ombra, rispondi con gentilezza alle sue domande e istruiscila su tutto, va bene? Miss Murphy, Josephine sarà la vostra maestra per oggi: vi consiglio di imparare in fretta» e detto questo, Miss Rossi sparì dalla cucina.
Charlotte si osservò intorno, prima di sorridere a Josephine.
«Allora tu sei quella nuova?» chiese Josephine, mentre le mostrava la credenza principale.
«Si. Tu di cosa ti occupi? E' tanto che sei qui?»
«Io sono la capo cameriera e sono qui da circa...dieci anni, si»
«La capo cameriera. Oh scusate, i-io non lo sapevo, Miss»
Josephine rise divertita. «Non darmi del tu, per favore! E si, sono la capo cameriera. Ora ascoltami bene. Qui ci sono le stoviglie. La colazione viene servita intorno alle otto, noi ci svegliamo alle cinque e trenta per sistemare la sala, preparare tutto l'occorrente, accendere i camini e il resto. A volte, anzi direi spesso, Miss Norton si alza tardi quindi le viene portata la colazione direttamente in camera. Se oltre mezzogiorno, come oggi, potrebbe chiamare per un semplice spuntino prima del pranzo, come potrebbe anche non chiamare. Dipende da come si sveglia. Tutto chiaro?»
«Si, signora»
«Chiamami Josephine, Charlotte, davvero. O Josie, se è troppo lungo. Ma in presenza dei nobili sempre Miss Freeman, va bene? Miss Rossi è particolarmente ancorata ai titoli, e chiama tutti per cognome...io non ci faccio troppo caso» spiegò la giovane di colore, sorridendole.
Charlotte sorrise, annuendo. «Va bene, Josephine»
«Perfetto! Adesso vieni con me, ti mostro come devi sistemare le stoviglie in tavola. Dunque! Per prima cosa la tovaglia non deve ess-»
«Giuseppina, amore mio!» una voce interruppe la lezione, una voce maschile dal forte e allegro accento italiano. Un giovane ragazzo abbracciò da dietro Josephine, che rise divertita.
«Smettila, Mark! E lo sai che mi chiamo Josephine, non...beh come lo dici tu» precisò la sua collega, divertita.
«Ma io dico semplicemente il tuo nome, solo meglio!»
«Si si certo, come no. Charlotte, ti presento Mark, il nostro pasticcere italiano. Un mascalzone, stagli alla larga il più possibile. Mark, lei è Miss Charlotte Murphy, la cameriera di sala che stavamo cercando»
«Mpf, che sciocchezze! Io un mascalzone! Non crederle, mia dolce Carlotta, sono un bravo ragazzo. Marco Conti al vostro servizio, ma puoi chiamarmi Mark» quel pasticcere aveva la parlantina veloce che avevano tutti gli italiani, oltre che quel loro colorito accento che faceva venire solo allegria. Charlotte sorrise, lasciandosi fare il baciamano ed arrossendo, seppur divertita, a quel gesto. Mark sorrise a sua volta, malizioso. Aveva l'aria da sciupa femmine, aveva ragione Josephine, ma doveva ammetterlo: era bello. Alto e dal fisico robusto e snello, capelli e occhi neri, un baffo sbarazzino sotto al naso e la pelle scura di chi è perennemente baciato dal sole.
«Si si, va bene, bellissimo» precisò Josephine, sciorinando il suo pessimo italiano «ma ora dobbiamo lavorare, se non ti spiace. Tu non devi preparare qualcosa a Miss Norton?»
Mark s'incupì, sbuffando. «Mi ha chiesto di nuovo una torta al limone! Di questo passo diventerò un limone gigante!»
Josephine e Charlotte si allontanarono dalla cucina, seguendo lo stormo di cameriere che risalivano verso la sala da pranzo.
«Il pranzo è servito alle dodici e trenta, a meno che Miss Rossi non ci ordini altrimenti per qualche richiesta della padrona. Di solito la padrona vuole pranzare e cenare con tutti i suoi figli e nipoti, quindi abbiamo di media quattro o cinque persone, se ovviamente non ci sono ospiti. Cosa che qui non capita tanto spesso. Ma a Londra...santo cielo, lì è un manicomio. Se i bicchieri sono vuoti, vanno riempiti senza che nessuno ti chieda nulla. Tieni conto che Miss Herbert non beve alcolici, solo acqua. Mr Herbert, Lady Maud e Miss Norton, invece, vino rosso o bianco, mai rosè»
«Mr Herbert?» chiese d'istinto Charlotte, risalendo le scale.
«Sì, Mr Herbert, è il fratello di Miss Herbert e nipote della Lady. Beh, in verità non sono suoi nipoti, non sono nemmeno parenti, ma Lady Maud e suo marito, che Dio l'abbia in gloria, li accolsero molti anni fa come parte della famiglia. Sono orfani, i loro genitori erano baroni caduti in disgrazia, si sono suicidati»
Charlotte si fece istintivamente il segno della croce, sinceramente dispiaciuta per le anime dei suicidi e dei loro figli orfani. Ma si pentì subito di averlo fatto quando Josephine si fermò di colpo, fissandola.
«Lady Maud è...incline alla libera professione religiosa, Charlotte. Ma ti consiglio vivamente di non farlo davanti ai suoi figli, Miss Norton soprattutto. Lei li odia quelli...beh, come voi»
Charlotte annuì, terrorizzata, senza dire nulla. Aiutò Josephine a sistemare la tavola del pranzo, osservando e imparando in fretta: d'altronde non c'era quasi nulla di nuovo rispetto a quel che faceva prima.
«Hai detto "i suoi figli", prima...chi è l'altro figlio?» chiese poi, una volta lontana da occhi e orecchie indiscrete.
«Si chiama Alfred, è l'erede e maggiore di Miss Norton di almeno...beh, dieci anni. E' un politico, lavora in Parlamento, dicono che abbia più volte incontrato Sua Maestà. Viene qui ben poco, è più comune che la famiglia vada a trovarlo a Londra, per la stagione. L'ultima volta è successo due anni fa, l'anno scorso la Lady non si è mossa da qui. E' di...salute cagionevole, ultimamente»
«Capisco...» precisò Charlotte, saziando per quel momento la sua curiosità.


Il pranzo fu servito all'una in punto. Quando Charlotte entrò nella sala, i padroni di casa stavano già mangiando. Riuscì a studiarli un poco prima di venire notata. La persona che più attirava l'attenzione era sicuramente Lady Maud: aveva un portamento elegante e composto, vestiva in maniera sobria e senza gioielli o accessori che la facessero intendere ricca. Occhi azzurri e gentili, e dei capelli grigi raccolti in un morbido chignon. Aveva un aspetto pallido, si direbbe stanco, ma ascoltava i discorsi a tavola e sorrideva, intervenendo a tratti.
Quella che parlava di più era Miss Norton, ne poteva riconoscere la voce stridula e mielosa. Era una giovane di bell'aspetto, vestita all'ultima moda, con gioielli preziosi addosso anche se si trovava solo nella sua dimora, per un pranzo. Era magra e slanciata, con una vita molto sottile -merito dei suoi corsetti stretti, immaginò Charlotte. Capelli castani tenuti alla Gibson, occhi castani ed un viso magro, troppo per i suoi gusti. Non faceva che parlare, toccando a malapena il cibo che le veniva servito.
Mr e Miss Herbert sembravano quasi volersi mimetizzare con la tapezzeria. Eppure, pensò Charlotte, non erano certo da meno in quanto a bellezza. Seppur gemelli, non erano due gocce d'acqua: avevano entrambi i tratti nobili e sani tipici di chi è benestante e in buona salute; entrambi slanciati di corporatura, sobri nel vestire quanto Lady Maud, entrambi mori, i capelli sistemati come la moda ordinava per uomini e donne. Tuttavia Mr Herbert era di un'indubbia bellezza: zigomi alti, pelle chiara, penetranti occhi azzurri, un'aria seria e composta; Miss Herbert aveva forse un'aria più...banale. Era una giovane carina, ma Charlotte non potè definirla bella, come suo fratello o Miss Norton. Passava effettivamente inosservata...o erano le infinite chiacchiere di Miss Norton a stordirla?
«Miss Freeman, è lei la nuova cameriera?» chiese di colpo Lady Maud, interrompendo sua figlia e osservando Charlotte.
«Si, milady. E' Miss Murphy, è arrivata proprio oggi»
«Buon pomeriggio, Miss Murphy»
«Buon pomeriggio a voi, milady»
«Murphy...siete irlandese, vero?» intervenne Miss Norton, fissandola con un'aria quasi schifata. Charlotte era abituata a quel disgusto che il suo sangue provocava. Deglutì, chinando appena lo sguardo.
«Sì Miss, di Dublino»
«Santo cielo, un'altra cattolica...!» brontolò Miss Norton, sollevando gli occhi al cielo.
Lady Maud sorrise con dolcezza verso Charlotte. «Non temete, Miss Murphy, avete libero accesso alla vostra chiesa durante il vostro giorno libero»
«Vi ringrazio immensamente, milady»
«Oh si, si continuate pure su questa linea di pensiero, madre. Fra qualche anno saremo invasi dai papisti!»
«Santo cielo, Daisy, parli come una donna del medioevo. Questo è quello che ha sempre deciso tuo padre, insieme a me, e questo faremo. Sono sicura che Miss Murphy è una giovane per bene, professionale e fedele; se vuole pregare Dio in maniera diversa da noi, non vedo perchè dovremmo impedirglielo»
Charlotte chinò ancora il capo, accennando un sorriso. Già le piaceva la sua Lady.
  
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