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Autore: Leila 95    05/02/2018    3 recensioni
Di tutte le ricchezze che la sua mente poteva immaginare, Leia era certamente la più preziosa e la più inaspettata – quella che non credeva avrebbe mai meritato.
(Questa storia appartiene all'Universo Alternativo iniziato con "Un'Estate come un'Altra")
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Han Solo, Principessa Leia Organa
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Di Tutte le Ricchezze
 
L’estate che aveva fatto da sfondo allo sbocciare del loro amore era finita, così come erano trascorsi l’autunno e l’inverno. Ora i primi fiori di pesco annunciavano la primavera – eppure loro erano ancora lì, come se neanche un giorno fosse passato dal loro primo bacio. Lei non era più l’ingenua ragazzina alle soglie dell’università, e lui non era più il teppista senza scrupoli e senza uno scopo nella vita. Erano cresciuti entrambi, consapevoli dei loro limiti e delle loro debolezze.
 
Capitavano volte in cui Leia si presentava all’improvviso a casa sua senza dire una parola, con gli occhi pieni di lacrime o in preda alla rabbia, e senza una parola Han l’accoglieva fra le sue braccia, la spogliava dei suoi vestiti e la consolava nell’unico modo che conosceva – senza chiedere il perché del suo pianto o il motivo della sua angoscia. Non c’era bisogno di parole, bastava l’unione dei loro corpi a rimettere a posto le cose: avevano dovuto imparare entrambi un linguaggio nuovo, un linguaggio che nessuno dei due aveva mai usato prima. Avevano imparato a fare l’amore.
In quei momenti tutto ciò che Leia voleva era perdersi completamente fra le sue braccia e dimenticare tutto, perfino il suo nome. Solo quando si era calmata e sfogata, iniziava a raccontare quello che era successo, e Han l’ascoltava in silenzio accarezzandole dolcemente i capelli. Sapeva che lui la capiva, era l’unico in grado di farlo – per questo era da lui che andava quando non riusciva a vedere una soluzione ai suoi problemi o una fine alle sue angosce. Fra le sue braccia le pareva di vedere le cose da un altro punto di vista e tutto ciò che la sua mente aveva ingigantito perdeva volume e consistenza, come un palloncino che si sgonfia. Si sentiva in pace, e non c’era niente nella galassia che avrebbe potuto turbarla.
Ovviamente questo valeva anche per lui: Leia c’era ogni volta che lui ne aveva bisogno, anche solo con una carezza, un abbraccio, una parola di conforto. Era la sua ancora in mezzo alla tempesta, la roccia a cui aggrapparsi quando non sapeva che fare. Bastava guardarla negli occhi per trovare immediato sollievo alla tristezza che a volte lo attanagliava e gli toglieva il respiro.
Sapeva di non essere una persona facile. Collerico, impulsivo, presuntuoso…tutte pessime qualità che lo rendevano impossibile da sopportare. Eppure Leia stranamente ci riusciva, e con calma e dolcezza lo riportava alla calma ogni volta, facendolo ragionare come lui non era in grado di fare da solo.
 
In quel momento aveva bisogno di lei più che mai. L’aveva fatta venire all’officina dopo la chiusura perché aveva bisogno di parlarle, di sfogarsi con lei.
Non appena arrivò, Leia lo trovò a torcersi le mani davanti ad un cofano aperto, la mente lontana anni luce da lì. Erano già un paio di giorni che lo vedeva strano, come se ci fosse qualcosa che l’angosciava, ma non aveva voluto chiedergli cosa fosse: se voleva parlarle, sapeva che l’avrebbe chiamata lui a tempo debito, come infatti aveva fatto.
Quando la sentì entrare, il giovane le si avvicinò e la baciò violentemente sulle labbra senza dire nulla, senza neanche salutarla. La sollevò di peso, inaspettatamente, e la mise seduta sul tavolo da lavoro, poi la fece stendere spingendo le mani contro il suo petto. Nei suoi occhi c’era un fuoco che Leia non aveva mai visto prima di allora, mentre con le dita tremanti frugava al di sotto della sua gonna e le sfilava gli slip rosa. Poi prese a slacciarsi la cintura, già in preda all’eccitazione e insieme ad un’inspiegabile angoscia.
L’afferrò per i fianchi e la penetrò con violenza, e Leia non riuscì a trattenere un urlo strozzato per quanto l’avesse fatta male. Eppure sapeva bene che Han non era lì con lei – che la sua testa era altrove – anche se il suo corpo pulsava dentro di lei, le sue labbra lasciavano baci più simili a morsi famelici sulle labbra e sul collo e le sue mani la palpavano e la stringevano con inusitata voluttà insinuandosi sotto i vestiti che ancora indossava: sapeva che in quel momento stava cercando qualche altra cosa aldilà del piacere fisico, come quando correva in sella alla sua moto come un folle, sfidando consapevolmente la morte, o quando cercava in fondo ad una bottiglia la risposta alle sue sofferenze. Sperava solo di poterlo aiutare, di riuscire a dargli quello che stava cercando.
Gli prese il volto fra le mani e provò a baciarlo più dolcemente, tentando di smorzare la sua violenza. Non voleva lasciarlo andare, e non lo lasciò neppure quando lui la prese nuovamente in braccio e la sollevò dal tavolo, sbattendola con forza contro la parete vicina e continuando l’amplesso con scatti erratici e sconnessi. Il suo animo era agitato da una tempesta, e non poteva far altro che sperare che si placasse da solo.
 
Con un sussulto si svuotò dentro di lei meccanicamente, senza di fatto provare alcun piacere, ma solo come una liberazione dal peso che gli costringeva il petto. Leia schiacciò la fronte contro la sua, stringendogli forte il volto fra le mani. Il ragazzo incrociò il suo sguardo e si sentì mancare improvvisamente la forza nelle ginocchia, così caddero entrambi a terra inginocchiati, abbracciati stretti. Fu in quel momento, quando Han poggiò la fronte sulla sua spalla ed iniziò a bagnarle la maglietta con le lacrime, che Leia di accorse del fatto che stava piangendo. Non lo aveva mai visto piangere prima di allora – era sempre sembrato incapace di farlo. Ma ora – stretto a lei come se fosse l’unica ancora di salvezza alla quale aggrapparsi – Han Solo sembrava quasi un bambino.
Il suo respiro era ancora pesante e affannoso, ma piano piano il suo pianto silenzioso si tramutò in un singhiozzare convulso e incontrollato. Leia non osò fare domande, chiedere il motivo di tanta brutalità e di tanta disperazione: lasciò semplicemente che si sfogasse, accarezzandogli dolcemente i capelli, sicura che presto sarebbe arrivata una spiegazione chiarificatrice.
 
Molto tempo dopo, Han trovò la forza ed il coraggio di sollevare la testa a guardarla. I suoi occhi, gonfi di pianto, mostravano ora una fragilità assai differente dalla violenza di pochi istanti prima. Con la manica della camicia si asciugò le guance rigate dalle lacrime.
“Scusami piccola” disse. Si rendeva conto solo ora di quello che aveva fatto, di quanto avesse abusato del suo corpo senza rispetto e senza amore e per un suo egoistico bisogno: l’aveva umiliata, mortificata; sarebbero rimasti dei lividi sulla sua pelle a causa della propria bestialità. Si sentiva uno straccio, peggio di quanto non lo fosse già prima che Leia arrivasse, tuttavia aveva bisogno di quell’amplesso così intenso da fare male. “Io…”
La ragazza scosse la testa accennando ad un sorriso, appoggiando l’indice sulle labbra di lui. “Non fa niente, Han. Dimmi solo che cos’hai.”
Han la teneva ancora stretta nel suo abbraccio. A quella richiesta abbassò lo sguardo allo spazio in mezzo ai loro corpi, senza risponderle. Ma Leia non era una persona facile ad arrendersi – e lui lo sapeva molto bene. “Han…puoi dirmi qualsiasi cosa, lo sai. Voglio solo cercare di aiutarti.”
Leia era l’unica persona davvero in grado di aiutarlo, di salvarlo, e di capirlo davvero. Da quando avevano iniziato a stare insieme non c’erano mai stati segreti fra di loro, né tantomeno cose non dette. E anche stavolta – ne era sicuro – Leia lo avrebbe compreso e sostenuto come aveva sempre fatto. In fondo, lei poteva capire il suo dolore, il suo strazio…anche lei aveva perduto qualcuno che amava. Sollevò lentamente lo sguardo ad incontrare il suo e si schiarì la voce prima di iniziare a parlare. “Oggi è l’anniversario della morte di mio fratello. Fanno quindici anni da quando l’ha ammazzato.” Il riferimento era, ovviamente, a suo padre, al mostro della sua infanzia, all’uomo che gli aveva reso la vita un inferno sulla terra.
“Ogni anno che passa è peggio” proseguì. “Mi sento in colpa, perché io sono sopravvissuto e sono ancora qui, e lui invece non c’è più. O forse perché per continuare ad andare avanti non ci penso continuamente, e lui non si merita di essere messo da parte.” La abbracciò stretta, appoggiando la testa sul suo seno. “A volte ho paura che lo dimenticherò per sempre, prima o poi.”
“Lui sarà sempre nel tuo cuore, non lo dimenticherai mai” gli assicurò Leia. “Il fatto che dopo tutti questi anni ancora soffri per la sua mancanza…questo vorrà dire qualcosa, no?”
“Non lo so. A volte penso che sarebbe stato meglio se fossi morto io al suo posto.” Si allontanò dal suo petto per poterla guardare negli occhi. “Era lui quello buono fra noi due, non io. Lui era ubbidiente, rispettoso, bravo a scuola. Io invece…”
“Non dire così” lo interruppe. “Siamo tutti buoni e cattivi allo stesso modo, perché siamo noi a scegliere chi essere, ogni giorno. Io non conoscevo Henry e non so come fosse, ma conosco te. Tu sei un bravo ragazzo, Han, anche se vuoi dimostrare a tutti il contrario. Sei leale, generoso, capace…il fatto che tu non abbia continuato gli studi non significa che non sia intelligente, anzi. Tutto ciò che sai lo hai imparato da solo, a tue spese, e con molta più fatica di chi è andato a scuola.”
Gli prese il volto fra le mani e lo baciò teneramente sulle labbra, poi gli mise le braccia al collo e lo strinse forte a sé, colta da un improvviso moto di commozione. Non voleva che lui la vedesse piangere – soprattutto ora che aveva bisogno della sua forza e del suo conforto. “Già la vita è stata sufficientemente dura con te. Non essere anche tu troppo intransigente con te stesso, perché davvero non te lo meriti.”
Nonostante Han se ne stesse buono nel suo abbraccio, lasciandosi cullare dalle sue carezze, e avesse ormai smesso di piangere, Leia sapeva che non lo aveva convinto, che stava ancora soffrendo silenziosamente. “Io ho perso entrambi i miei genitori, ormai quasi cinque anni fa” disse piano. “Non pensare che non possa capire quello che stai provando.”
“E infatti non lo penso” rispose il giovane, stringendola un po’ più forte. “Tu sei l’unica che può capirmi. Proprio perché sai quello che provo, ho deciso di parlare con te. Gli altri anni ho trascorso questo giorno da solo, a sbronzarmi per sentire un po’ meno il dolore, e poi a sentirmi in colpa per essere così debole.” Ma oggi era diverso, oggi non era solo: Leia era con lui, soffriva con lui, e per la prima volta da anni si sentiva stranamente leggero, come se si fosse tutt’a un tratto liberato di un masso che aveva nel petto e che gli impediva il respiro.
Sciolse l’abbraccio che li teneva legati e la guardò. Anche lei, come lui, aveva gli occhi pieni di lacrime: anche lei stava ripensando a chi non c’era più, ma faceva meno male farlo insieme.
“Ti amo” confessò prima di baciarla di nuovo. Era la prima volta che glielo diceva e, in generale, era la prima volta che ammetteva questo sentimento ad alta voce: per la prima volta era innamorato di una donna e la prospettiva di affrontare le difficoltà e i problemi gli appariva meno faticosa, sapendo che avrebbe avuto Leia al proprio fianco.
Di tutte le ricchezze che la sua mente poteva immaginare, Leia era certamente la più preziosa e la più inaspettata – quella che non credeva avrebbe mai meritato.
Leia gli sorrise dolcemente. “Lo so.”
 
Si alzarono da terra e si ricomposero in silenzio – ognuno perso nei propri ricordi, nelle proprie riflessioni.
Leia stava dando una sistemata ai suoi capelli guardandosi nello specchietto laterale di una delle macchine, quando Han la cinse da dietro con le braccia e la baciò sulla spalla. “Ehi…” sussurrò al suo orecchio. “Grazie. Per tutto.”
Leia si voltò, abbracciandolo a sua volta. “Quando vuoi, Han. Io ci sarò sempre.”
“Io non credo che potrò mai essere un padre” ammise il giovane a un tratto.
Leia si svincolò dal suo abbraccio per poterlo guardare. “Perché dici così?”
“Diventare padre è facilissimo – persino quel bastardo di mio padre ci è riuscito. È essere padre il difficile – io non credo di poterlo mai essere. Che razza di esempio sarei per i miei figli? Un delinquente, uno che per tirare a campare ha rubato e contrabbandato, che è scappato di casa e che ha vissuto alla giornata…”
“Un uomo che si è fatto da sé, che si è tirato su con sforzo e fatica e che ha dovuto affrontare prove durissime, ma che non si è perso d’animo ed è sempre andato avanti a testa alta nonostante tutto” propose invece la ragazza, guardandolo con profonda stima. “Ecco che esempio saresti per i tuoi figli. Non devi vergognarti di quello che sei, Han, devi esserne fiero invece. Tutto quello che hai fatto ti ha reso forte, tenace.”
Han non aveva mai neppure accarezzato l’idea di poter avere dei figli. Era rimasto troppo scottato dalla sua esperienza di figlio per metterne al mondo di suoi – si era sempre detto. E invece si rendeva conto solo ora che forse non ci aveva mai pensato perché non aveva mai trovato una donna che lo amasse davvero, incondizionatamente come faceva Leia, con la quale immaginare una famiglia.
“Tu lo faresti un figlio con me…un giorno?” chiese timoroso. Probabilmente stava facendo il passo più lungo della gamba, accennando ad un argomento del genere con Leia e a quello stadio della loro relazione, in cui erano ancora giovani e liberi. L’aveva detto senza pensarci, ora che stava mostrando il suo lato più fragile, e sperava che la ragazza non si fosse offesa.
Leia lo sorprese ancora una volta. “Lo farei” disse con un dolce sorriso. “Farei qualsiasi cosa con te, perché ti amo.”
 
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NOTE DELL’AUTRICE
Il titolo di questa storia è il titolo di un libro di Stefano Benni (che non ha alcuna attinenza con quello che ho scritto) che vi consiglio vivamente di leggere, perché è davvero bello. 

 
   
 
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