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Autore: EvgeniaPsyche Rox    13/02/2018    3 recensioni
Avrebbe voluto che Newt parlasse più spesso con lui.
Avrebbe voluto avere accesso al suo intricato labirinto.
Ma era disposto ad attendere.
Avrebbe rispettato i suoi tempi.
Newt che da una parte lo trattava come se si conoscessero da sempre, mentre dall'altra parte –– quella opposta, oscura –– pareva lontano anni luce...
(...) La prima volta che successe Thomas non l'avrebbe scordata mai.
Divenne un ricordo indelebile, marchiato come fuoco nella sua memoria.
Genere: Angst, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Newt, Newt/Thomas, Thomas, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Silent skies, restless sea.

 



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Stavano insieme solamente da sette mesi, eppure Thomas era certo che Newt sapesse già tutto di lui.
Tutto, davvero.
Newt era abituato alle sue domande, alla sua sfrenata curiosità, alla sua inettitudine alle materie letterarie. Conosceva i suoi ritardi, l'elenco dei suoi film preferiti, la posizione che assumeva ogni volta che si spaparanzava sul divano, il suo immenso amore verso il sushi ed i ravioli al vapore.
Newt era una grande osservatore, o forse era lui che risultava essere una persona complessivamente semplice, al contrario del biondino che pareva nascondere tortuosi tragitti degni di un labirinto.
In ogni caso, Newt lo conosceva bene e ciò che aveva colpito Thomas del compagno era stato che sin dalla prima volta lo aveva trattato in modo speciale, come se fossero amici d'infanzia, come se si conoscessero da sempre, come se si fossero incontrati in qualche vita passata.
Newt aveva scherzato con lui fin dall'inizio, beffeggiandolo con quell'amabile sorrisetto dipinto sulle labbra.
E sovente Thomas si era chiesto come aveva fatto un tipo particolare come Newt a ricambiare i suoi sentimenti. Newt probabilmente meritava di meglio, eppure, ogni volta che Thomas glielo faceva notare, il biondo scuoteva la testa ed accennava un sorriso divertito. «Tommy, Tommy», lo ammoniva con un finto tono autorevole, «sei proprio una testona bacata. Non ti facevo così stupido, cacchio. Proprio stupido.»
E Thomas rideva, rideva forte, perché si sentiva il ragazzo più fortunato dell'Universo.

 









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«Già a casa?», Thomas si voltò di scatto, incrociando le iridi scure di Newt, il quale, seduto in soggiorno, aveva accennato il suo caratteristico sorriso leggero, tranquillo, sospeso.
Era una curva accennata, fatta a metà, e Thomas sapeva che Newt non era un individuo predisposto a smaglianti sorrisi a trentadue denti.
Ma andava bene comunque.
Nonostante non fossero fidanzati da molto, Thomas aveva costretto il compagno a trasferirsi da lui, ed aveva amato quella convivenza fin dal primo giorno, proprio come amava Newt. 
Newt sapeva di vaniglia, di legna appena tagliata, di erba bagnata. Aveva portato con sé tutti gli aromi, e Thomas poteva inspirare quel profumo a pieni polmoni anche quando il suo ragazzo era fuori.
«Minho e Frypan hanno iniziato a bere e si sono ubriacati. Ho preferito tagliare la corda prima che Teresa mi costringesse a far loro da babysitter», rise il moro, prendendo posto sul divano, accanto al fidanzato.
Newt gli sfilò la sciarpa di lana con un gesto elegante e gli si avvicinò, ridacchiando a sua volta. «Che fottuti testoni, cacchio. Grazie, comunque.»
«Di cosa?», domandò distrattamente Thomas, intento a sbottonare il pesante cappotto.
«Di non esserti ubriacato anche tu e di essere tornato a casa». Thomas alzò lentamente lo nuca e si aspettò di incrociare il solito sorriso del biondo, sussultando quando si accorse che Newt, al contrario, pareva triste, terribilmente triste.
Aveva lo sguardo perso altrove, le labbra rivolte verso il basso, i capelli biondo cenere leggermente scompigliati. 
«Di nulla, Newt, ma... E' successo qualcosa?»
«Sul serio, Tommy. Grazie, cavolo. Grazie veramente, detesto tornare a casa ed essere solo», poi accennò un sorriso sghembo che Thomas non riuscì a ricambiare perché gli sembrò incredibilmente forzato.

 









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Newt amava i musei, le cattedrali, i lunghi viaggi in treno, i documentari, leggere, ma, soprattutto, amava scrivere.
Thomas gli aveva ceduto volentieri la camera da letto perché in fondo a lui non serviva molto spazio, gli bastavano un paio di cassetti dove gettare alla rinfusa le sue maglie; il biondo, dal canto suo, esigeva un ordine impeccabile, e trascorreva ore intere a sistemare la sua collezione di libri.
Thomas amava osservarlo: quegli occhi scuri concentrati, una mano sul mento che nascondeva la bocca appena schiusa, mentre borbottava qualcosa di incomprensibile tra sé e sé.
Ed amava anche provocarlo, infastidirlo con le sue domande. 
«Che cosa stai scrivendo?»
Newt, durante quel pomeriggio di Ottobre particolarmente gelido, sospirò sonoramente con il naso e lanciò un'occhiata torva al moro. «Cacchi miei, Tommy. Chiudi il becco.»
«E' da una vita che mi prometti di farmi leggere qualcosa di tuo, sai?»
«Lo so, testa puzzona.»
«E quindi?»
Newt sbuffò –– questa volta più rumorosamente di prima ––, e chiuse di scatto il proprio taccuino. «E quindi dovrai aspettare.»
«Quanto dovrò aspettare?»
«Il momento giusto, Tommy.»

 









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A Thomas non dava poi così fastidio il fatto di conoscere ben poco di Newt.
Stranamente, era disposto a pazientare.
Certo,  nel frattempo lo martellava di domande, ma sapeva che a tempo debito Newt gli avrebbe risposto.
Sapeva che Newt un giorno gli avrebbe spiegato il motivo per cui ogni volta che qualcuno gli faceva notare la sua gamba zoppa diventava triste, irrimediabilmente triste.
C'era qualcosa di tremendo legato a quel ricordo, Thomas lo aveva capito.
Avrebbe voluto che Newt parlasse più spesso con lui.
Avrebbe voluto avere accesso al suo intricato labirinto.
Ma era disposto ad attendere.
Avrebbe rispettato i tempi di Newt.
Newt che da una parte lo trattava come se si conoscessero da sempre, mentre dall'altra parte –– quella opposta, oscura –– pareva lontano anni luce, ora lunare, pianeta appartenente ad un'altra Galassia.
Thomas lo avrebbe aspettato sempre e comunque.
C'era tempo.
Aveva tutta la vita davanti per conoscerlo meglio,
per mettere insieme i pezzi del puzzle senza sbirciare di nascosto ciò che scriveva sui suoi numerosi taccuini.

 









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La prima volta che successe Thomas non l'avrebbe scordata mai.
Divenne un ricordo indelebile, marchiato come fuoco nella sua memoria.
Avevano appena terminato di cenare e Newt era intento a lavare i piatti con aria assente. Quella sera era più silenzioso del solito.
«Che cosa vuoi guardare dopo?», gli aveva allora domandato il moro, iniziando a percepire un certo nervosismo dovuto al misterioso mutismo.
Nessuna risposta.
«Newt?»
«Che cosa c'è?»
«Che cosa vuoi guardare dopo in TV?»
«Non lo so», rispose il biondo con un timbro talmente piatto e neutro da far rabbrividire l'altro. «tutti i miei cacchio di programmi preferiti sono su canali a pagamento che non ti puoi permettere».
Thomas corrugò la fronte, perplesso. «Beh, sì, ma––»
«E poi tanto decidi sempre tu, quindi che caspio me lo chiedi a fare?», lo interruppe bruscamente Newt, impedendo all'altro la visuale della sua espressione, poiché era voltato di schiena.
Calò nuovamente un asfissiante silenzio scandito solamente dallo scroscio dell'acqua e dai piatti che venivano ordinatamente accatastati da Newt.
Thomas si mordicchiò nervosamente il labbro inferiore e si azzardò a riprendere la parola dopo una manciata di secondi: «E' tutto a posto, Newt? Vuoi... Vuoi parlare di qualcosa?»
«Parlare?», gli fece eco l'altro con tono sprezzante, girandosi di scatto. Thomas notò che sul suo volto vi era dipinta un'espressione irritata, una smorfia che non gli aveva mai visto prima d'ora.
Non gli si addiceva, stonava con la sua solita pacata tranquillità.
«Potrei iniziare dal fatto che mi hai trascinato a casa tua solamente per svolgere i tuoi fottuti lavori domestici.»
Thomas spalancò la bocca, sconvolto.
«Oppure, beh, cacchio, non so se tu te ne sia accorto, ma sto pagando più di metà del tuo maledetto affitto. Anche io studio, però trovo comunque il tempo per lavorare. Potresti smetterla di fare il deficiente in giro con quella testa di caspio di Minho e rimboccarti un po' le maniche.»
Thomas non si sarebbe mai scordato quella scena, quelle parole così taglienti.
L'espressione di Newt infuriata, la fronte corrugata, gli occhi che bruciavano, sprizzavano i primi lampi.
La tempesta imminente.
L'inizio della fine.
E lui era lì, inerme, a boccheggiare.
Impotente.

 









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«E poi cosa? Semplicemente quella stronza mi ha sbattuto in presidenza!»
Due settimane dopo Thomas era seduto all'interno della sua caffetteria preferita, in compagnia del suo ragazzo, di Aris, Brenda, Teresa e Minho.
Quest'ultimo stava appunto intrattenendo i presenti con le sue avventure scolastiche di cui Thomas già era a conoscenza, dal momento che frequentavano la stessa classe; Aris ridacchiava di tanto in tanto, Brenda pareva più concentrata sulla propria cioccolata calda traboccante di panna montata, mentre Teresa non faceva altro che interrompere l'asiatico con commenti pungenti ai quali Minho replicava con il suo solito sarcasmo, dando così via ad infinite discussioni che contornavano il racconto.
Thomas fino ad allora aveva cercato in ogni maniera di non pensare a ciò che era successo con Newt quella sera, e ci era riuscito discretamente bene. In fondo anche il suo ragazzo era un essere umano e poteva avere delle giornatacce. Probabilmente era nervoso per qualcosa –– qualcosa che non aveva avuto la decenza di spiegargli –– e quindi, senza volerlo, se l'era presa con lui.
Era sicuro che non avrebbe più rivisto Newt in quella versione che non gli si addiceva affatto. 
O almeno, ne era stato sicuro fino a quel momento.
Mentre Minho e Teresa avevano ricominciato a discutere animatamente, Thomas aveva spostato lo sguardo sul suo fidanzato, seduto proprio di fronte a lui; voleva lanciargli un'occhiata esasperata che lasciasse intendere il fatto che i loro amici erano un caso irrecuperabile, quando aveva scoperto una seconda volta l'espressione stonata.
Rabbrividì, notando lo stesso fuoco accendersi negli occhi scuri di Newt; Newt che solitamente era acqua, acqua tranquilla, cielo sereno.
Ma Newt non lo stava guardando, fortunatamente; la sua rabbia era rivolta verso Teresa e Minho, stava stringendo persino i pugni sotto il tavolo, e le spalle gli tremavano leggermente.
Thomas fu sul punto di alzarsi ed afferrare Newt per un braccio nella speranza di trascinarlo fuori, ma non riuscì a salvare la situazione in tempo perché il biondo prese la parola prima di lui, zittendo la compagnia all'istante: «Volete chiudere quella fottuta fogna del caspio? Mi state stordendo con le vostre cacchiate da stupidi.»
Bang.
Newt aveva sparato le sue parole, aveva ufficialmente dato inizio alla tempesta, e i primi lampi stavano già squarciando il cielo plumbeo.
Thomas non riusciva a credere alle proprie orecchie; non erano tanto le parole in sé, capitava di frequente che Newt fosse costretto ad intervenire per evitare litigi inutili, ma aveva sempre utilizzato un timbro calmo, eventualmente sarcastico.
In quel momento però la situazione era esattamente l'opposto: Newt non stava scherzando, era serio, terribilmente serio, la faccia contratta in una smorfia irritata, il tono della voce duro come una pietra.
Era tutto così assurdo rispetto alla sua personalità che sembrava forzato, finto, e Thomas sperava che lo fosse, sperava che Newt volesse prenderli in giro, che fosse il primo di Aprile o chissà altro.
Teresa sbatté le palpebre, incredula; Aris abbassò lo sguardo e finse di sorseggiare il proprio caffè. Ma ciò che più attirò l'attenzione di Thomas fu lo sguardo che si scambiarono Minho e Brenda. Durò un attimo, ma lo vide perfettamente; Brenda sembrava terrorizzata, come se le avessero annunciato l'imminente Apocalisse.
Minho grugnì qualcosa di incomprensibile, poi puntò gli occhi su Newt. «Amico, che cazzo ti prende?»
Il diretto interessato allora sussultò, come se il proiettile sparato poco prima gli fosse rimbalzato nel petto, ferendolo profondamente; distese la pelle del volto, la precedente rabbia evaporò in un secondo, con una tale velocità da sconvolgere Thomas più di qualunque altra cosa. Dopodiché il biondo si alzò silenziosamente dalla sedia, a testa bassa.
E Thomas sentì di aver ricevuto un altro pugno in faccia: sperava che Newt lo guardasse, che gli chiedesse aiuto, ma quello stava evitando qualsiasi tipo di contatto visivo con tutti, specialmente con lui.
«Mi dispiace», bisbigliò, e Minho porse il volto perché forse non riuscì nemmeno ad udirlo. «devo andare, scusate. P... Pagherò il mio caffè un'altra volta, buona serata», quindi si affrettò a raggiungere la porta di vetro e, con il solito andamento zoppo, svanì fuori, nella notte.
Il silenzio calò nuovamente sul tavolo e Thomas si accorse di aver trattenuto il respiro per tutto il tempo. Soprattutto, notò che il suo cuore stava galoppando precipitosamente.
«Beh, mi sa che qualcuno dovrà pagare anche per me», parlò improvvisamente Minho, lasciando Thomas di sasso per la sua apparente nonchalanche. «perché mi sono accorto di non avere uno spicciolo.»
L'atmosfera si alleggerì: Aris riprese a ridacchiare, seppur nervosamente, e Teresa finse che non fosse accaduto nulla di così traumatico. Solo successivamente Thomas vide che Brenda lo stava guardando di sottecchi con un miscuglio di tristezza, paura ed amarezza. Sui suoi occhi lampeggiava un messaggio, forte e chiaro: vai da lui.
Il ragazzo si risvegliò dallo stato di trance e non se lo fece ripetere due volte: si alzò con tale furia da rischiare di capovolgere la sedia all'indietro e si precipitò verso la porta, senza dire una parola al gruppo. 
Corse nel gelo della notte, i passi pesanti che risuonavano sul marciapiede. Svoltò a sinistra e vide il biondino a qualche metro di distanza, fermo proprio sotto la pallida luce di un lampione.
«Newt!», lo chiamò a gran voce il moro, nonostante si stesse avvicinando sempre di più. Continuò a mantenere un timbro di voce alto, quasi urlava, perché aveva paura che Newt, che il vero Newt non potesse sentirlo. «Dobbiamo parlare! Dobbiamo parlare veramente! E non mi rifilare una delle tue solite scuse del cazzo! Che ti sta succedendo? Parlami, maledizione!»
Newt era immobile, ed un soffio d'aria gli scompigliò la chioma dorata.
Thomas improvvisamente ebbe paura, ebbe paura di guardarlo in faccia, ebbe paura di incrociare lo sguardo di qualcun altro, non del suo Newt.
Ma quest'ultimo si voltò, facendo quasi sobbalzare l'altro dallo spavento: Newt si voltò, lo sguardo limpido, il vero Newt era lì, ma era triste, più triste che mai, con gli occhi in alta marea, le gote bagnate dalle lacrime, il petto che si alzava e si abbassava velocemente nella vana speranza di trattenere i singhiozzi.
«Newt...», questa volta Thomas bisbigliò, sollevato che il suo ragazzo fosse tornato e che lo stesse sentendo; fece un paio di passo in avanti ed avvolse la schiena del più piccolo per attirarlo a sé. Lo abbracciò forte, inspirò il profumo del suo shampoo alla vaniglia, lo udì singhiozzare e Thomas percepì il proprio cuore spezzarsi, mentre Newt si aggrappava disperatamente alla sua giacca, come se stesse cercando un'ancora di salvataggio, un ultimo appiglio prima di annegare definitivamente tra i fondali della propria mente.


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Questa storia risale a quattro anni fa.
Non ho mai avuto modo di terminarla, seppur io ami tuttora la saga in questione e la Newtmas. 
L'uscita dell'ultimo film mi ha dato la giusta carica per rispolverare i miei vecchi racconti incompleti del fandom. Ho sentito la mancanza di questi due, lo ammetto.
Parte del secondo capitolo è già pronto, dunque spero di poter aggiornare il prima possibile. 
Mi raccomando, lasciate un commentino ino ino.
Alla prossima!

   
 
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