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Autore: Alicat_Barbix    28/02/2018    2 recensioni
E se le cose, dopo il matrimonio di John, fossero andate diversamente? Che cosa sarebbe successo se entrambi si fossero resi conti improvvisamente dell'incompletezza delle loro vite?
Dal testo: "Il cielo era plumbeo come quel giorno e se… se avesse cominciato a piovere, allora sarebbe crollato, schiacciato dal peso di quei ricordi. I suoi occhi indugiarono nel cercare quella figura, sperarono di non trovarla, ma un raggio di sole ribelle perforò la cappa di nubi e gli scintillò di fronte. Il cuore si bloccò. Sul tetto, in piedi sul cornicione, Sherlock. Era lui. Certo che era lui. Era proprio come due anni prima…"
Post The Sign Of Three, no His Last Vow o S4.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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CADERE E NON ATTERRARE
 
Non avrebbe mai immaginato che avrebbe fatto così male. Più male delle fustigate degli slavi, più male del fallimento di un caso, più male di gettarsi dal tetto del Barts, abbandonando John a se stesso. John che non ci aveva messo molto a dimenticarsi di lui e ad andare avanti… Scacciò quei pensieri così maledettamente egoisti, mentre calava giù dal taxi e si trascinava verso un 221B più vuoto del vuoto stesso. Sopra la sua testa, le stelle pulsavano con la luminosità del sole a mezzogiorno, rendendo una nottata d’inferno ancora più infernale a causa del distacco del firmamento da ciò che ardeva in lui. Forse, anzi sicuramente, era stupido pretendere che il sole e la notte rivoluzionassero il loro corso, che le stagioni interrompessero il loro ciclo, che il cielo e ogni fibra della natura s’immobilizzasse assieme al suo cuore.
Salì le scale e sorrise amaramente nel constatare che persino Mrs Hudson si era trattenuta a scatenarsi sulla pista da ballo. Probabilmente, mancava solo lui. E chi era lui? Nessuno. John nemmeno si sarebbe accorto della sua assenza, preso com’era dalla sua nuova vita, dalla sua perfetta moglie. I suoi sensi acuiti trillarono, notando diversità inconsuete attorno a sé e quando aprì la porta per entrare nel salotto, capì: Mycroft era in piedi, appoggiato sul suo ombrello. Incredibile pensare a come si trovasse lì l’ultima persona che avrebbe creduto potesse stargli a fianco in un momento del genere. Si sarebbe dovuto vergognare delle lacrime che presero a scorrere silenziosamente sulle sue gote, ma non riuscì a reprimere quella debolezza che lo aborriva vergognosamente. Mycroft lasciò andare l’ombrello, che crollò a terra con un tonfo somigliante a quello che aveva fatto il cuore di Sherlock durante quel valzer, e spalancò le braccia mentre le sue labbra sospiravano uno sconsolato: “Oh, Sherlock…”
Sherlock vi si gettò soffocando il pudore, e pianse. Pianse tutte le lacrime che non aveva pianto di fronte a quelle fiammelle dietro a cui aveva osservato impotente ad un valzer che aveva insegnato alla persona che amava solo per vederla ballare con qualcun altro. Male. Tanto male. Troppo male. E quello che era peggio, era che John non lo avrebbe mai cercato. Mai più.
 
***
 
Si mosse tra quel groviglio di teste spettinate e quelle braccia alzate che ondeggiavano al ritmo di musica. I corpi sudati degli invitati lo opprimevano, gli sembravano stringergli attorno al collo un cappio, gli pareva di avere le mani imprigionate da un paio di manette come l’uomo mellifluo. Improvvisamente, mentre avanzava a suon di gomitata alla ricerca di un po’ d’aria e di solitudine, venne investito da un senso di colpevolezza, come se stesse commettendo un qualche reato. I suoi occhi correvano per la stanza involontariamente, il suo corpo scattava ogni qualvolta gli compariva davanti una testa riccioluta, il suo cuore urlava qualcosa che non riusciva a comprendere. Aria. Aveva bisogno di aria. Quando finalmente fu fuori, gonfiò il petto lasciando fluire quanta più aria possibile attraverso i suoi polmoni, quasi non respirasse da tempo. Due anni. Da quando Sherlock… Odiava ripensare alla caduta: ogni volta che quel ricordo si affacciava alla sua memoria, l’allontanava con foga, ma quella sera… quella sera ripercorse ogni singolo istante, ogni singolo battito cardiaco, ogni singola parola… Che strano. Credeva di averglielo detto, quel giorno. Quello che provava. L’aveva ripetuto dentro di sé, l’aveva gridato così forte in petto che quasi si era formata un immagine supplementare di quel giorno, uno scenario diverso in cui Sherlock scendeva dal tetto per correre da lui e dirgli di provare lo stesso. Eppure, aveva taciuto allora, aveva taciuto in quella carrozza della metropolitana, aveva taciuto quel giorno sulla panchina durante il caso de La guardia insanguinata, aveva taciuto nonostante l’alcol durante il suo addio al celibato… Quanti casini, quante bugie, quanti sottintesi. La sua vita sarebbe diversa ora. Questa consapevolezza lo distrusse, perché quelle catene che sentiva imprigionarlo non erano altro che le catene di un qualcosa che non voleva. Stupido, stupido John Watson. Sherlock. Doveva parlare con Sherlock. Ora o mai più. Rientrando, si scontrò accidentalmente con Molly che gli versò il proprio bicchiere di punch sul vestito, particolare a cui lui neanche fece caso.
“Oddio, John… Mi dispiace, sono mortificata…”
“Non preoccuparti, Molly, davvero. Per caso… per caso hai visto Sherlock?”
Lei parve visibilmente stupita, poi il suo sguardo si tramutò in un’espressione sofferente. Estremamente sofferente. “Io… ecco, è andato via un paio di ore fa.”
“Oh.”
Andato via. Via. Ora o mai più, già. Si accorse a malapena dell’arrivo di una Mary raggiante e spettinata che gli afferrò il braccio per ritrascinarlo sulla pista. I suoi occhi, prima persi nel vuoto, incontrarono quelli di Molly: parlavano, quegli occhi. Lei sapeva. E in quelle iridi leggeva… rimpianto, tristezza, ma non biasimo, quello no. La ringraziò internamente per avergli fatto capire tanto con una sola occhiata e per non averlo giudicato allo stesso tempo. La strada che conduceva a Sherlock Holmes era troppo tardi per imboccarla: la porta si era chiusa. Sarebbero rimasti amici. Amici. Che schifo che gli faceva quella parola.
 
***
 
Mycroft era sempre più preoccupato. Era passato a trovare il fratello tre volte quella settimana e per quanto fosse possibile per l’organismo di un comune essere umano, l’aveva trovato sempre più dimagrito, come se quel dolore gli avesse scavato a fondo il volto, l’addome, gli occhi… Stentava quasi a riconoscerlo: aveva la barba sfatta, due pesanti occhiaie che gli avvolgevano gli occhi rossi, e vestiva con abiti che sembravano essere stati raccattati da uno dei suoi amici senzatetto. Quella mattina, nemmeno lo salutò. Era rannicchiato sulla poltrona nera direzionata verso una cucina che ormai aveva assunto l’aspetto di un laboratorio, priva dell’ostacolo visivo della vecchia poltrona rossa. Il maggiore degli Holmes gli fece ingurgitare a forza qualche boccone preparato da Mrs Hudson, sempre più preoccupata per le condizioni di Sherlock, e cercò di focalizzare la sua attenzione su un qualche caso ripescato dagli archivi del MI6. Ovviamente, niente sembrava in grado di smuovere il minore da quel suo stato di sofferente catarsi in cui era sprofondato dal matrimonio. John non si era fatto vivo. Mycroft lo stimava, è vero, ma in quei giorni si era dovuto trattenere dal recarsi a casa dell’allegra famigliola e attaccarlo al muro per essere stato ed essere tutt’ora così cieco.
“Sherlock, sono preoccupato.” confessò sul punto di andarsene.
Finalmente, una reazione. L’angolo destro delle labbra di Sherlock guizzò verso l’alto. “E quando non lo sei?”
“Guardami in faccia e dimmi che non c’è niente di cui debba preoccuparmi.” ribatté prontamente Mycroft, sperando di chiudere il fratello in un vicolo cieco. E ci riuscì, perché l’altro non proferì parola. “Molto bene. Ci vediamo domani, fratello mio.”
“Sì, domani…”
Uscendo da casa, il politico affondò la mano in tasca e ne ripescò il telefono. “Voglio un uomo a Baker Street ventiquattr’ore su ventiquattro, sono stato chiaro?”
 
***
 
Greg irruppe nel 221B col fiato corto, salendo le scale a balzi. Non appena fu nel salotto, la visione fu a dir poco straziante: Sherlock se ne stava supino, gli occhi chiusi e le braccia abbandonate lungo i fianchi, e Mycroft alla finestra, le mani che schermavano il viso pallido.
“Greg, grazie a Dio sei arrivato.”
“Che è successo?”
“Ha tentato… Lui ha tentato di farla finita.” Lestrade sgranò gli occhi in muto invito a proseguire, a spiegarsi. “Si è puntato contro la pistola… la sua pistola e avrebbe fatto fuoco se non fosse intervenuta Mrs Hudson che fortunatamente stava salendo proprio in quel momento.”
“Cristo…” borbottò l’ispettore compiendo un mezzo giro su se stesso. “… E-e perché è a terra?”
Sul viso di Mycroft comparve l’ombra di un sorriso. “Quella signora ha grinta. E riuscita a prenderlo di sorpresa e a sottrargli la pistola. Le sue urla hanno attirato l’uomo di guardia che è salito e onde evitare qualsiasi reazione imprevista prima del mio arrivo, lo ha anestetizzato.”
“Credi… credi che sia per John?”
“E per chi o cos’altro se no?”
“Dovremmo avvertirlo?”
“No, non credo che sia quello che Sherlock desidera, ma a questo punto non è più sufficiente un uomo esterno. Farò trasferire Sherlock da me, in modo da monitorare personalmente la situazione.”
Lestrade acconsentì con un gesto del capo e lanciò uno sguardo all’amico che giaceva a terra. Quanto dolore… Dovette distogliere gli occhi per evitare di venir divorato dal senso di colpa che gli urlava avresti potuto fare di più come amico. “Come mai mi hai fatto venire?” domandò poi, sinceramente confuso sulla ragione della sua presenza lì.
A quella domanda, Mycroft – MYCROFT HOLMES, il governo inglese in persona – arrossì visibilmente, rossore che cercò di dissimulare voltandosi verso la finestra e giocherellando con l’ombrello. “Quando… quando sono stato messo al corrente io sono andato nel panico e… avevo bisogno di qualcuno.” Greg si aprì in un sorriso. “Mi scuso se ti ho creato disturbi o…”
“Quando vuoi, Mycroft. Puoi contare su di me per qualunque cosa.”
E a questo punto, anche Mycroft sorrise.
 
***
 
Il senso di malore provato nei giorni in seguito il matrimonio si accentuò ancora di più, tanto che fu costretto a cercare degli spazi personali anche immotivati, come l’andare a lavoro in bicicletta, rincasare più tardi e via dicendo. Aveva persino preso l’abitudine di avere sempre pronta una borsa con alcuni cambi di vestiti, come se si aspettasse una fuga improvvisa. Scappare non era proprio da John Watson, eppure… se glielo avesse chiesto Sherlock, molto probabilmente avrebbe abbandonato ogni cosa e lo avrebbe seguito fino in capo al mondo. E queste riflessioni erano fortemente contradditorie con le sue azioni: era dal matrimonio che non sentiva né vedeva Sherlock. Solo due giorni prima aveva raccolto il coraggio e si era recato a Baker Street, ma Mrs Hudson gli aveva rivelato che il suo vecchio coinquilino si era trasferito dal fratello per qualche tempo. Ragioni: ignote.
Fu con questi pensieri arrovellati in testa che salutò l’ultima paziente della giornata e si apprestò a chiudere l’ambulatorio, al seguito di Mary che lo attendeva raggiante di fronte all’uscita. Si presero per mano e, non fosse stato per l’incommensurabile errore su cui si fondava il loro rapporto, chiunque li avesse visti in quel momento avrebbe affermato che fossero una coppia felice e innamorata. Fuori, la notte aveva già teso spruzzi di tenebra qua e là. All’improvviso, dietro un lampione, John scorse una figura ammantata di nero e giurò che fosse lui. Per quello, senza neanche rendersene conto, lasciò la mano di sua moglie e scattò in quella direzione, senza però urlare il fatidico nome che avrebbe potuto mandare in pezzi ogni cosa. Allungò il braccio, il cuore impazzito, una felicità incommensurabile in petto, e finalmente si decise: le sue labbra mormorano un desiderato Sherlock. Ma quando la figura si volse, il sorriso gli morì. No, non era Sherlock.
“S-scusi.” balbettò sperando di venire inghiottito dal cemento. Lo desiderò ancor più disperatamente quando Mary gli domandò cosa gli fosse preso. “Niente.” rispose perché era questo che lei si aspettava rispondesse e perché era questo che il John Watson felicemente sposato avrebbe risposto. Frantumato in due parti: John Watson di Mary e John Watson di Sherlock. Due vite che avevano due sapori così diversi. Non era una scelta la sua. Non sarebbe mai stata una scelta. C’era un bambino di mezzo… non avrebbe mai potuto abbandonare sua moglie per correre da Sherlock.  A meno che non fosse stato lui a cercarlo per primo. Perciò, avrebbe anche potuto far allestire la tomba della famiglia Watson-Morstan, visto che non sarebbe mai accaduto niente del genere.
 
***
 
La chiamata arrivò mentre era a lavoro. La voce di Mycroft era intrisa di apprensione e disperazione. Faticò a focalizzare nel migliore dei modi quello che il maggiore degli Holmes stava cercando di comunicargli. Sherlock. Scappato. Pericolo.
“Andiamo, Mycroft. Lo conosci, magari si è buttato in qualche caso difficile o in laboratorio.”
“Tu non capisci, John. Io ho seriamente paura che possa fare una pazzia.”
“Hai ragione: non capisco. Diamine, è Sherlock! Quand’è che non fa pazzie?”
“John… Devi aiutarmi. Lui… lui ha tentato il suicidio.”
Quelle parole lo percossero come schiaffi poderosi. Aveva tentato il suicidio? Sherlock? Quello Sherlock? Impossibile, lui non era il tipo… Insomma, non provava cosa così forti come disperazione, rassegnazione, amore… O forse sì? Tutto d’un tratto, ebbe paura: paura che tutto quello fosse vero e che avesse una matrice ben delineata. Ma soprattutto, che quella matrice potesse essere proprio lui. No, no, no, non poteva essere.
“Vado a cercarlo. Stai tranquillo che lo troviamo.”
 
***
 
Non sapeva che cosa lo portò lì. Forse la sua inguaribile vena romantica e drammaturgica. Non sapeva neanche come c’era arrivato. Aveva agito come in trance, completamente alla cieca: aveva chiuso la chiamata, afferrato la giacca, farfugliato parole sconnesse a Mary, fermato un taxi e annunciato la sua destinazione. Non sapeva perché proprio lì, dove tutto aveva avuto fine. Il cielo era plumbeo come quel giorno e se… se avesse cominciato a piovere, allora sarebbe crollato, schiacciato dal peso di quei ricordi. I suoi occhi indugiarono nel cercare quella figura, sperarono di non trovarla, ma un raggio di sole ribelle perforò la cappa di nubi e gli scintillò di fronte.
Il cuore si bloccò. Sul tetto, in piedi sul cornicione, Sherlock. Era lui. Certo che era lui. Era proprio come due anni prima… Cercò di raccogliere le idee, di pensare a qualcosa, ma era irreparabilmente bloccato a quel maledetto giugno in cui il suo amico, il suo unico amico, il suo migliore amico si era buttato.
Non si sarebbe stupito se tutto d’un tratto il telefono avesse squillato, rivelando il numero di Sherlock. Il telefono! Era l’unica soluzione. Non poteva permettersi di perdere tempo cercando di raggiungerlo per poi scoprire che aveva già spiccato il salto. Compose il numero in fretta, sorprendendosi a conoscerlo a memoria.
“Ti prego, ti prego, ti prego, rispondi.” sussurrò senza distogliere lo sguardo dalla figura dell’altro, in bilico sull’invisibile filo della vita e della morte. La scorse compiere qualche movimento che da lontano non riuscì ad interpretare, ma qualcosa gli diceva che aveva tirato fuori il cellulare. Gli squilli s’interruppero, assorbiti dalla voce gracchiante della segreteria telefonica. “Avanti, Sherl, non fare così.” ringhiò ricomponendo il numero. Attese. Attimi lenti. Attimi inesorabili. Qualche goccia di pioggia tintinnò sul suo capo.
“John.”
Quella voce fu come aria dopo minuti interminabili trascorsi in apnea. “Sherlock, grazie al cielo…”
“Che vuoi?”
“Sherlock, ascolta, guarda giù. Mi vedi?”
“…Sì.”
“Bene, allora, adesso devi fare una cosa elementare, okay? Scendi dal parapetto e aspettami che salgo…”
“Penso che farei prima io a scendere…”
Stiletti di dolore e paura andarono a conficcarsi all’altezza del petto di John. “No, no… Sherlock, ti prego. Parliamone.”
“Parlare? Parlare di cosa?”
“Del perché stai facendo tutto questo.”
Una risatina amara raggiunse le sue orecchie, assordandolo per la disperazione racchiusa in essa. “Davvero non lo immagini? Dio, John, se sei lento…”
“Sherlock, io… ti prego, non di nuovo, Sherlock, non di nuovo.”
“Andrai avanti come sei andato avanti due anni fa.”
Stavolta fu il medico a scoppiare a ridere. “Credi davvero che io sia andato avanti? Cristo, Sherlock, non c’è notte, non c’è notte in cui io non ti veda saltare giù da quel tetto. Io… non posso rivivere tutto quello, ti scongiuro.”
“Io voglio solo stare bene!” sbottò Sherlock, probabilmente scoppiando in lacrime a giudicare dal sospiro pesante e dal tremolio alla voce. “Io voglio che questo male passi! E sono pronto a tutto!”
“NO! Sherlock, aspetta… Ti prego, aspetta…” Riflettere. Doveva riflettere in fretta. La situazione gli stava sfuggendo di mano. Cazzo, sapeva che cosa sarebbe stato necessario dire, ma non ci riusciva! Era troppo difficile da ammettere e da confessare. “Sherlock… Sherlock, ti ricordi la cena da Angelo? Quando ti ho chiesto se avevi una fidanzata? Ecco, io… io ci stavo davvero provando.” confessò in un sospiro. “Perché mi piacevi. Cazzo, se mi piacevi. Ho sempre cercato di… reprimere questo lato di me, capisci? Non è stato facile con Harry così e i miei genitori che l’hanno spinta ad andarsene di casa quando ancora ero ragazzo. Così, quando i primi sintomi di quello che ero sono venuti a galla… io li ho respinti. Ma quando sei arrivato tu… eri bello, completamente folle e… luminoso. Tu mi hai salvato la vita, Sherlock. Due anni fa… non sono stato in grado di fare altrettanto, ma adesso voglio rimediare. Permettimi di rimediare.”
“Che cosa vuoi da me, John?” singhiozzò Sherlock, così simile a quello di due anni prima.
Che scendi. Che ti salvi. Che vivi. Tutte cose vere, ma… riduttive. Che cosa poteva mai volere il piccolo medico militare, John Watson, dallo straordinario consulente investigativo, Sherlock Holmes? “Che cosa voglio?” ripeté prendendo tempo e avvertendo un pericoloso tremore alle labbra. “Sherlock, io voglio… io voglio…”
“Cosa?”
“Io voglio… il tuo amore.” Sherlock tacque e per riempire quel silenzio denso e viscoso, John continuò imperterrito e interamente messo a nudo. “Non ho mai voluto altro. Mary… sai perché ho scelto lei? Mi sono detto che meritavo ordinarietà, stabilità, e lei poteva offrirmi ognuna di queste cose. Lei era la scelta sicura, ma quando sei tornato… dopo averti preso a pugni e testate…” Dall’altra parte del telefono giunse una risatina amareggiata e in falsetto. “… io avrei voluto stringerti, dirti che ti amavo e che non avevo mai smesso e… e baciarti.” Di nuovo, calò il silenzio. Pesante. Infinito. “Sherlock… ti prego. Ti prego, non farlo. Dammi… dacci un’opportunità.”
Dietro alle tristi gocce di pioggia, la figura di Sherlock Holmes fece un passo indietro, scomparendo dal campo visivo di John il quale tirò un lungo sospiro liberatorio.
“Ti vengo a prendere. Aspettami.”
Corse dentro l’edifico, fece per prendere l’ascensore ma, trovandolo al completo, optò per le scale. Aveva il fiato corto, il cuore che gli batteva forsennato, dolorosamente, e le gambe stanche per tutti i gradini. Finalmente, la porta. Per un attimo, gli attraversò la mente un possibile scenario in cui avrebbe potuto trovarlo a terra, circondato dal sangue come allora… Si fiondò di fuori e subito venne investito dalla pioggia.
Eccolo lì. Accucciato a terra. Avvolto nel suo cappotto. I suoi occhi gonfi di lacrime incatenati ai suoi. Le forze lo abbandonarono senza preavviso e si trovò anche lui a terra, a gattonare verso l’altro respirando convulsamente. Sherlock restò a guardarlo immobile. Quando finalmente si trovarono a un soffio l’uno dall’altro, John circondò quel corpo così emaciato e fragile con le sue braccia prestanti da soldato.
“Perdonami…” masticò l’amico tirando su col naso. “… Sono stato un egoista. Un egoista idiota…”
“Ehi.” lo rimbeccò il medico. “Solo io posso dare dell’idiota a Sherlock Holmes, intesi?”
Sherlock scoppiò a ridere, di una risata stonata, che si mescolava con sommessi singulti. “Intesi.”
Restarono stretti l’uno all’altro per ore, forse secoli o anche per pochi minuti, la pioggia che scrosciava senza limiti.
“E’ vero?” domandò all’improvviso il consulente investigativo. “Quello che mi hai detto prima, è vero?”
John prese un respiro profondo. Era arrivato il momento della verità, della temuta verità, per essere precisi. Tutto sarebbe andato perso: la loro amicizia, il loro amarsi di nascosto e in silenzio, la vita perfetta con Mary… Ma ormai non gli importava niente. Amava Sherlock Holmes. Lo aveva amato anche quand’era morto. Era lui. Solo lui. “Non esiste niente di più vero, Sherlock.” rispose. “Ti amo. Non so come sia successo. Non so come abbia fatto ad innamorarmi di un idiota come te, ma è successo. E io ti amo. Dio, se ti amo…”
Sherlock gli prese le mani e se le portò al petto, dove il suo cuore galoppava con la velocità di uno stallone purosangue. “Io… non so come dirlo.”
John si trovò a sorridere dolcemente. “Provaci. Mi andrebbe bene anche qualcosa come tengo a te a tal punto di fare la spesa tutti i santi…”
“Ti amo, John.” lo precedette il consulente investigativo, abbassando gli occhi nel tentativo di sfuggire a quelli dell’altro.
John rimase a fissarlo stupito. “Io… non credevo che… insomma, è bello sentirlo.” confessò arrossendo appena.
“Davvero?” domandò con slancio l’altro. “Beh, in questo caso… io… io ti amo.”
Si guardarono per alcuni istanti, infine scoppiarono entrambi a ridere, così impacciati, così alle prime armi, così… Sherlock e John. Il loro amore era da sempre stato questo: un sorriso tenero, un acquisto da Tesco, un supportarsi reciprocamente – che ovviamente comprendeva anche il sopportarsi –, una cena da Angelo… Gesti piccoli, routine, che contenevano un universo di sentimenti ed emozioni.
Quando le loro risa sfumarono lentamente, restarono a un soffio l’uno dall’altro, i nasi che si sfioravano, i cuori che battevano all’unisono, gli occhi dolcemente socchiusi. John si sporse appena, senza neanche chiudere completamente le pupille: avrebbe aspettato, se Sherlock non fosse stato pronto. Avrebbe aspettato per sempre. Ma non dovette farlo. Sherlock azzerò la distanza e unì maldestramente le loro labbra che per la prima volta dopo tanto tempo trovavano il perfetto incastro. Erano fatte per stare sempre così. Come un puzzle. John chiuse gli occhi e pensò… pensò che era bello baciare Sherlock Holmes, l’unico consulente investigativo al mondo, nonostante fossero in cima ad un tetto, piovesse, facesse freddo e fosse tutto completamente sbagliato e difficile. Quant’era bello. Sorrise mentre si alzava in ginocchio e approfondiva quel bacio lieve e casto, le dita intrecciate a quelle di Sherlock. Quando si staccarono, scoppiarono di nuovo a ridere, le fronti umide incollate, le labbra che si sfioravano.
“Che dici, andiamo da qualche parte di più asciutto?” propose il medico alzandosi e tirando con sé anche l’altro.
“Perché no. Potremmo andare a casa.”
Casa. Che significato diverso aveva assunto quella parola durante i due anni senza Sherlock e accanto a Mary. Sì, casa era il 221B. Non si sarebbe immaginato in nessun altro luogo. “Ti amo, Sherlock.”
“Ti amo, John Hemish Watson.”
“Hemish!? Sherlock, dannazione, io odio quel nome!”
“E perché? E’ così carino e buffo!”
“Io… ti detesto.”
Sherlock gli rubò un bacio fugace prima di sgattaiolare dentro il Barts, al riparo dalla pioggia. “No, non è vero. E dopo oggi non credo che ci siano più dubbi.”
John lo seguì e lo spinse contro il muro della scala di servizio. Ripresero a baciarsi, con lo scroscio piovoso in sottofondo e la felicità nei cuori. “Ti detesto… Eccome se ti detesto.”

SPAZIO AUTRICI
Salve! Chi sta seguendo anche la fanfiction Cuore Sul Grilletto, si starà chiedendo: "ma siete buone a finire una cavolo di fanfiction prima di iniziarne un'altra??" e a questo noi rispondiamo... no: l'ispirazione è semplice arrivata, ne abbiamo parlato e anche la neve c'è stata amica, quindi... perché no? E' stato divertente immaginare uno spaccato della vita dei nostri amati protagonisti dopo il matrimonio di John ed ecco qui le folli conclusioni di queste folli autrici. Speriamo comunque che abbiate apprezzato. Fateci sapere che cosa ne pensate nelle recensioni e speriamo di sentirvi presto! 
   
 
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