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Autore: Vegeta_Sutcliffe    07/03/2018    7 recensioni
«Tutto ciò che è diritto mente», mormorò con disprezzo il nano. «Ogni verità è storpia, il tempo stesso è un circolo».
«Guarda», continuai, «questo Momento! Da questo porticato «Momento» un sentiero eterno corre a ritroso: dietro di noi scorre una eternità.
E le cose non sono esse forse collegate tra sè in tal modo, che questo Momento tragga dietro a sè tutte le cose venture? E per conseguenza — anche sè stesso?
Friedrich Nietzsche
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Goku, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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La banalità del soffitto bianco della sua camera da letto era diventata più spaventosa di ogni minaccia esiziale che si era trovato a contrastare nel corso della sua vita. Era un nemico insidioso perché non aveva essenza e mutava forma, ogni volta concretizzandosi come immagine del pensiero più irritante e assillante del momento. Era un nemico inattaccabile, perché era fisico solo nel malessere che gli provocava, e inattaccabile, perché era tanto più forte quanto più impotente e debole si dimostrava lui. A costringerlo a quella tortura un letto comodo, che lo cullava nell’illusione del riposo mentre lo costringeva all'insonne sogno di una vita che per logica doveva essere già passata e forse, proprio perché superata, lo guardava a distanza con condanna e biasimo.
Bulma aveva avuto l’intuizione di chiamarlo maniaco della guerra, ed era vero ma non del tutto esaustivo, perchè non aveva avuto la capacità di concludere che l’ossessione non era circoscritta ad un interesse, ma che era una predisposizione naturale e strutturale che gli imponeva l’intensità e l’occorrenza di ogni suo pensiero, di ogni azione e di ogni relazione. Era ossessionato dalla guerra, era ossessionato dalla forza, era ossessionato da Kakaroth, era ossessionato dall’immagine di suo figlio morto. Quella era stata una situazione nuova, singolare che non era diversa se la si considerava solo come voce del sua personalissimo elenco di abituali fallimenti, chè la sua ossessione più grande era quella di non essere abbastanza, contro tutti quelli che erano stati i pronostici e contro tutto quello che avrebbe voluto la sua superbia.
L’immagine di Trunks con un buco nel petto era la più persistente di tutte, la meno dignitosa, la più pietosa, la più emblematica e, sebbene avesse cambiato statuto ontologico, diventando da attimo presente e vivo a memoria passata non esistente, aveva effetto affatto reale e riusciva ogni volta a scuoterlo, ad innervosirlo, ad alterarlo a frustrarlo con l’implicita constatazione che lui era stato così debole da non essere stato nemmeno in grado di proteggere il proprio figlio e per la prima volta nella sua vita aveva maledetto quel menefreghismo e quell’indiffirenza per la vita altrui, che non aveva mai esperito come problema o come peccato. La morte di suo figlio non gli aveva posto nessun quesito circa la correttezza morale delle sue azioni, non si pentiva di aver fatto ottenere a Cell il corpo perfetto, si pentiva di non essere riuscito a dimostrare che di ente perfetto ce n’era solo uno e non potevano essere gli altri; la morte di suo figlio l’aveva semplicemente posto davanti alla consapevolezza di una reazione umana, effetto di un affetto pieno di significato ma privo di significante. Novità.
L’immagine di Trunks che sputava sangue dalla bocca, riverso a terra privo di vita, era l’immagine più subdola perché oltre ad infestare il soffitto della camera, era immanente e fisica, riusciva ad avere una voce, la stessa di un bambino di nemmeno un anno, riusciva a cambiare esteticamente e rimanere immutata nell’angoscia che procurava e riusciva a seguirlo e a riproporsi anche in una banale e accidentale caduta di un infante, dalle gambe sì ancora goffe e instabili, ma dalla forza eccezionale, che avrebbe dovuto garantire circa la sua incolumità. Vegeta era sempre distratto e quasi non sentiva nulla di quello che gli succedeva attorno, ma l’unica cosa che ascoltava erano dei versi acuti e incomprensibili, avendo paura di non poterne ascoltare abbastanza e di potere essere lui nuovamente la causa di quella mancanza. L’apprensione e un istinto tutto naturale che lo obbligava all’imperativo categorico di far sopravvivere suo figlio addirittura a sé erano le uniche manifestazioni d’amore che si sentiva di poter provare in stretta osservanza del suo patologico orgoglio, della sua dignità composta, di una cultura che non l’aveva abituato alla cura dei deboli, e di una natura che aveva sempre intenso come lotta per la sopravvivenza.
Era un guerriero, l’avevano educato come tale e non l’aveva mai rinnegato, aveva certamente rivendicato il diritto di combattere solo per il proprio vessillo e non per quello altrui, ma il combattimento e le modalità dello stesso non erano mai state messe in discussione. Semplicemente la solita abitudine all’adattamento, che era stato costretto ad avere e che in fondo non era stata un male,lo portava ad interpretare il suo ruolo nelle nuove circostanze e ad adeguarlo secondo le nuove relazioni. Era un padre e un guerriero e doveva combattere non solo per se, ma anche per quel figlio che, volente o nolente, amava e che forse non sarebbe voluto essere un guerriero, in un contesto in cui la guerra era marginale, e a cui lui doveva, perché voleva, dare la stessa libertà di scelta che per cui era morto.
L’immagine di Trunks morto, ed era tutta colpa sua, fu l’unica ragione che lo fece alzare dal letto e che gli fece vincere il soffitto bianco.
Se Bulma non gli avesse portato la cena in camera, sarebbe potuto anche morire di fame. La cena era l’unico pasto della giornata e lo doveva al rispetto che lei dimostrava per il suo bisogno di solitudine o per la sua esigenza della sua compagnia e l’opportunità di potere essere l’unica o la più necessaria o perché il suo ego si nutriva della consapevolezza di esser l’eccezione alla sua regola quasi ascetica. Ma quella sera ad aspettare non era stato il principe, ma la terrestre seduta al centro del letto, circondata da piatti poco invitanti di cibi pronti e freddi.
Era tardi e lui era vestito dal sudore e da pantaloncini acetati in un’equivocabile confessione della sua ultima occupazione. Non che ci fosse nulla di male, ma sembrava strano nel suo accadere nel tempo, in quel tempo, quello che era trascorso tra la nullafacenza e la rassegnazione e il lassismo. Quell uomo era imprevedibile.
“Sei tornato ad allenarti?”
Si sedette vicino a lei, non troppo per potersi muovere liberamente, abbastanza per sfiorarla minimamente col corpo in una maniera per lui tanto insignificante e banale e non fastidiosa da non fargli pesare quell’accortezza da lei amata e pretesa come un obbligo troppo soffocante. Bulma di tanto in tanto aveva bisogno di avere dei placebo che la guarissero dalla paranoia di un altro abbandono, ma una maturità, che non le avrebbe mai imputato, l’aveva portata a compromessi con la realtà e l’aveva portata ad accontentarsi del minimo e insufficiente necessario. E a lui andava bene.
“Perché?”
Vegeta vagliò la povera offerta di cibo, scelse quello che pareva essere il meno peggio incominciò a mangiare, senza degnarla d’attenzione, perché in fondo del giudizio degli altri non gli era mai fregato nulla, fosse approvazione e condanna; perché non si doveva giustificare di nulla e perché odiava quell’ossessione dell’ovvietà e del manifesto che avevano i terrestri e che dimostrava sempre di più quanto fossero ottusi o superficiali a non accontentarsi dell’evidenza pratica dei comportamenti e delle azioni e a dovere dare un nome a tutto, a dover ricondurre tutto a categorie conosciute, fino ad impedire lo svolgimento di ogni azione e passione che non fosse codificata o percorresse determinate tappe dal loro intelletto poste.
Non c’era bisogno dire ad alta voce ciò che era lapalissiano. Non c’era bisogno di pronunciare parole che intendevano diversamente e che sarebbero state illusorie per una e compromettenti per l’altro.
Erano stranieri e lei non capiva nemmeno quello.



Per non farvi sentire troppo la mia mancanza, mi ripropongo di ammorbarvi periodicamente l'esistenza con un'altra raccolta che, TRANQUILLI, non sarà lunga come l'Anticristo. E forse è una rassicurazione più per me che per voi.
Per ora non voglio dire nulla, so ben che il titolo e il capitolo sembrano stonati, ma un motivo c'è e lo scopriremo presto o potete divertirvi a scoprirlo prima del tempo ;)
Grazie mille a chi ha avuto il coraggio di arrivare alla fine di questo primo capitolo e a tutti quelli che avranno la gentilezza di commentare o di pensarmi in qualche modo! <3




  
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