LA STORIA DI
BRIO
Brio, con lo sguardo perennemente
indifferente, guardava ciò
che si trovava dinanzi a lui. Era uno dei ricordi più vividi
che avesse, e
nulla avrebbe potuto cancellare quella memoria. Era inciso nella sua
mente in
modo preponderante: nessun ricordo, neanche uno, era ancora
così chiaro nel suo
cervello. Eccetto quello. Era un momento cruciale della sua vita, un
momento
veramente importante. Quella era per lui l’unica via che il
destino gli aveva
preparato: sin da quando era nato, dall’esatto momento in cui
il suo embrione
aveva iniziato a formarsi, quella via era stata scritta. Il percorso
era uno,
perfettamente lineare. Niente bivi, niente di tutto questo. Per Brio
sarebbe
stato tutto molto semplice: bastava percorrere quella strada, ed il
destino
avrebbe fatto tutto per lui. Un destino a dir poco meraviglioso. Per
uno malvagio
come lui, quel
posto era paradisiaco:
scuro, terrificante, che metteva un intensa ansia addosso. Ma era
fantastico. E
pensare da chi era nato, quel grande genio del male.
I suoi genitori erano inizialmente persone benestanti, che vivevano una
vita normale. Ma un giorno successe un episodio che
scombussolò completamente
la loro vita: furono derubate da due ladri esperti, che lasciarono un
biglietto
scritto con il sangue dell’uomo, in cui dicevano di averli
uccisi, e che
avevano nascosto i copri. In verità, i genitori furono
semplicemente cacciati
di casa, buttati in strada, come dei barboni; avevano pochissime
scorte, per lo
più regalategli dalla piccola parte di bontà dei
ladri, e una borraccia di
acqua. I loro abiti iniziarono ad essere malandati, e vivevano nella
miseria:
dovevano infatti cercare di rubare la notte per accaparrarsi il cibo e
l’acqua,
non avendo nemmeno uno spicciolo. Non furono mai beccati, e
ciò fu per loro una
fortuna. Per dormire, andavano invece nelle case altrui, dormendo in
qualsiasi
periodo in cui gli inquilini fossero fuori casa. Furono anche qui
beccati
pochissime molte, e il più non furono riconosciuti
nonostante i manifesti
appesi per la loro scomparsa: il poco mangiare e il poco bere (i furti
non
andavano spesso alla grande) li aveva resi magrissimi, ed erano
irriconoscibili
in ogni dettaglio (anche perché era difficile che si
lavassero, non avendone
modo). Per questo, nemmeno gli amici li riconoscevano, e li cacciavano
per
questo di casa.
Purtroppo,
un triste giorno il marito della coppia scoprì che la moglie
era incinta.
Andarono in un ospedale, dove rivelarono le loro identità:
dovevano pur
rischiare. Così, i due, che furono ritenuti ritrovati dalle
autorità, che lo
rivelarono in televisione, furono
ospitati in ospedale, dove gli diedero da bere e da mangiare.
Così, Brio
nacque. L’esatto momento in cui il uso embrione si
formò fu quello che scrisse
l’intera storia di Brio: come sarebbe andata,
cos’avrebbe fatto, perché
l’avrebbe fatto, eccetera. Per quello che si sarebbe
dimostrato, non era degno
di vivere con gente nella media come i suoi genitori. Pochi attimi
dopo,
infatti, un criminale irruppe nell’ospedale, ed uccise la
madre di Brio e varie
altre persone, per poi rapire il padre e il bambino. I due sparirono
all’apparenza dalla faccia della terra.
*
Il criminale, tuttavia, invece di
uccidere subito i due
malcapitati, decise di mantenerli in una stanza del suo rifugio, in
modo da
poterli in seguito torturare, dato che era proprio il motivo del
perché avesse
risparmiato almeno loro: adorava torturare le persone, e lo avrebbe
fatto con
molta felicità. Tuttavia, si presentò un
imprevisto. Grosso come una casa. Infatti,
il criminale si rese subito conto del grande potenziale intellettuale
di Brio,
dato che costui, dopo solo un anno dalla sua nascita riuscì
a progettare un
piano di fuga dal rifugio del malvagio, dove erano stati intrappolati.
Il
rifugio era una grande e lussuosa villa unifamiliare. Possedeva
numerose
stanze, e un grande ed ampio atrio, dove al centro c’era un
grande tappeto
rosso rotondo, addobbato qua e la da varie stelline di un giallo
chiarissimo.
Il tappeto era tutt’intorno circondato da un sacco di
poltrone, decisamente
molto comode, che si guardavano l’un l’altra, con
un solo divano rivolto verso
l’immenso camino dell’atrio, parecchio grande, e
con fuoco molto scoppiettante.
C’erano due piani, uniti all’atrio tramite delle
scale. Ma questa villa, in
apparenza bella ed accogliente, era l’esatto contrario di
ciò che appariva.
Sembrava più un carcere: c’erano trappole e
telecamere qua e là, e quest’ultime
poteva rivelarsi veri e propri mezzi di tortura. Al momento opportuno,
potevano
sfoderare un ampio e distruttivo arsenale: fucili, pistole,
mitragliatrici,
ecctera. Coem guardiano dell’atrio c’era un robot,
costruito dal criminale, che
da come capiremo, è più un genio del male che un
semplice malvivente. Esso
aveva lo stesso aspetto del criminale, quindi era muscoloso e a petto
nudo.
Questo robot aveva lo scopo di impedire a chiunque di fuggire dalla
villa, ma
il criminale fece un grave errore. Decise infatti di tenere
intrappolati il
padre di Brio e Brio stesso nella stanza che lui usava da laboratorio,
dove,
col suo grande genio, costruiva macchine di tortura, e dove Brio e il
padre
sarebbero rimasti a marcire per molto tempo, con pochissimi viveri
concessi dal
criminale. Per fortuna, un anno dopo, la grande testa di Brio
rivelò, a quanto
pare, di servire davvero per contenere un cervello gigante, un
altissimo
potenziale intellettivo, dato che il bambino riuscì a
costruire un robot, con
tutto ciò che aveva trovato nel laboratorio, che doveva
contrastare quello
dell’atrio. E questo solo un anno dopo dalla sua nascita. E
per poco, il robot
non riuscì nel suo intento.
Il piano
di fuga era ben preciso, e fu pensato tutto da Brio: il robot sarebbe
servito
come distrazione, in modo da permette al padre di Brio e a Brio stesso
di
andare avanti senza pericolo, dato che o il robot avrebbe attirato le
attenzioni delle telecamere o ci avrebbe pensato lui a trovare le
trappole,
grazie a dei sensori particolari installati al suo interno, per poi
neutralizzarli. A volte, a fare da esca sarebbero dovuti essere i due
umani, in
modo che il robot potesse distruggere le cose più
pericolose, che altrimenti,
se avessero localizzato la sua presenza, l’avrebbero potuto
danneggiare
parecchio. Per esempio, ci fu una telecamera munita di razzi a ricerca,
che
avrebbero potuto far parecchio male al povero Robot. Alla fine, arrivo
il
confronto definitivo, quello che avrebbe sancito la riuscita o il
fallimento
del piano: il robot di Brio contro quello del criminale. E purtroppo, a causa della
sua maggiore
complessità, il robot del criminale ebbe la meglio, e il
padre di Brio fallì
miseramente il suo tentativo di fuga col bambino in braccio. Il robot
del
criminale li prese e li sbatté nuovamente nel laboratorio.
Il criminale, che
nel frattempo era affascinato dall’intelletto di Brio, decise
di doverlo
sfruttare… ma doveva fare di piccoli lavori di
“restrizione”. Così, uccise il
padre di Brio, e utilizzò un particolare macchinario per
diminuire l’intelletto
di Brio. In pratica, con delle pinze, alzo parte della testa di Brio
facendola
diventare retta. Il cervello di Brio ebbe un sacco di
difficoltà ad abituarsi
in quello spazio, e ciò gli diede grossi problemi: il suo
intelletto, infatti,
diminuii molto. Perché il criminale non poteva permettersi
per nessuna ragione
al mondo che qualcuno lo superasse in intelligenza. Per nessun motivo.
*
Gli anni passarono, e l’intelletto di Brio (che inizio a chiamarsi così solo dopo l’episodio della fuga, essendo un nome attribuitogli dal criminale), seppur potesse essere ancora maggiore, cresceva giorno dopo giorno, momento dopo momento. Il piccolo era infatti riuscito a progettare nuovi sistemi di difesa per la villa: aveva progettato nuove trappole situate nei posti più imprevedibili, e aveva costruito nuove armi per la tutela della villa, capaci di polverizzare qualsiasi invasore. Il suo enorme genio spaventava molto il criminale, il quale aveva cresciuto Brio nella malvagità più totale. Il bambino, di appena otto anni, era infatti sadicissimo, e adorava torturare le proprie vittime, che venivano portate in villa dal criminale, per via del suo particolare lavoro, di cui parleremo a breve. Brio si divertiva a far fare una fine lenta, dopo aver capito che una morte dolorosa è peggio di una veloce ed indolore. Il piccolo cominciò a capire sempre di più il mondo del crimine, grazie anche al lavoro che svolgeva il suo tutore: Brio scoprì infatti che il criminale era un sicario, un assassino a pagamento. Egli aveva infatti un sito segreto, dove lo contattavano spesso per assassinare le persone più disparate nei posti più disparati. A volte portava alcune vittime nella sua villa, per torturarle (come aveva per esempio fatto con Brio e con il padre), siccome, come detto prima, amava la tortura (anche se mai quanto Brio, che imparò questo terribile strumento proprio per queste persone che il proprio “tutore” portava). Ma tutto questo lui non lo faceva se non c’era in palio una bella e grande quantità di soldi. Il bambino scoprì che la madre fu uccisa per pura casualità: infatti, il sicario aveva ricevuto un messaggio, dove un certo George gli chiedeva di assassinare almeno dieci persone presenti in quell’ospedale. Non ne specificò il motivo, disse solo che la ricompensa sarebbe stata molto alta, ma egli doveva uccidere esattamente dieci persone. Magari qualcuno di più, ma nessuno di meno. Il criminale non gli disse mai di aver rapito due persone, e di averne uccise infine solo otto, e per questo George gli diede comunque il compenso. Brio scoprì anche il perché il criminale li aveva portati nella villa, ma non se ne importò. Provava indifferenza per la sua triste storia. Ormai per lui contava solo la malvagità e la cattiveria. Il criminale cominciò ad essere sempre più terrorizzato da quel bambino, perché sottosotto, anche se era un genio del male, anche se era un sicario temutissimo, era un pauroso. Il criminale fece allora diverse ricerche su internet, per trovare una maniera per sbarazzarsi di Brio. Aveva fatto fin troppo con quel bambino: lo aveva cresciuto, trasformandolo in un futuro genio del male e gli aveva anche fatto un regalo speciale per il suo ottavo compleanno. Ma questa è un’altra storia, e ci sarà tempo di raccontarla. Oramai quel bambino era troppo pericoloso! Il suo intelletto sembrava non avere limiti, e presto sarebbe potuto diventare una potenziale minaccia per il criminale. Doveva mandarlo via, lontano da lui. Doveva mandarlo in un posto dal quale non avrebbe più fatto ritorno.
*
E così, torniamo all’inizio di questa storia. Non ricorda come ci finì, non ricorda nemmeno il perché: ricorda solo che ci era finito, e basta. Ma tanto, in quel preciso momento, lui capì subito cos’era quell’enorme scuola dall’aspetto tenebroso: un grande cartello comparve improvvisamente davanti a lui, pieno di terriccio, e alzò un sacco di polvere, che sporcò le scarpe di Brio, provocandone la furia. Sul cartello era scritto con un carattere parecchio stravagante:”Benvenuto, nuovo alunno dell’Accademia Del Male di Madame Amberly!”. Brio era ancora arrabbiato per l’affronto verso le sue scarpe, essendo di temperamento facilmente irritabile, ma appena lesse quel cartello, non gliene importò più assolutamente nulla delle sue stupide scarpe; infatti, per lui, la sola vista della parola male bastava ad attivare un processo di eccitazione, che lo mandava al settimo cielo. In un istante, decise e capì che quello era il posto perfetto per lui. Un posto quasi paradisiaco. Finalmente aveva la possibilità di diventare un vero cattivo, un genio del male pronto a conquistare il mondo, con grande facilità, grazie al suo enorme cervello irraggiungibile dai suoi occhi; infatti, Brio era sicuro che non avrebbe avuto rivali, perché lui era superiore alla media. Ma che dico. Lui era superiore a tutti… o almeno, così pensava.
*
L’Accademia fu bellissima:
Brio era un genio,
intelligentissimo, il più bravo, il migliore della sua
classe. Non prendeva mai
un brutto voto, e anche se non eccelleva ogni singola volta, la sua
media era
altissima. Durante quelle lezioni si divertiva. E si vantava. Brio era
un vero
e proprio galletto: arrivava addirittura a farsi i complimenti da solo,
qualsiasi cosa facesse, anche la più semplice. Per questo
motivo, fu
disprezzato dai compagni, che non lo apprezzavano minimamente, per ogni
singolo
aspetto di lui; e non intendo solo il carattere, dato che nemmeno
l’aspetto di
Brio lo aiutava. Egli era infatti un semplice umano con due chiodi ai
lati di
una lunga testa retta. Sembrava come voler imitare un mostro, seppur
con
risultati piuttosto miseri. Inoltre Brio era molto infastidito di
essere
l’unico essere umano presente nel terreno della scuola: il
resto era tutti
mostri, che amavano anche bullizzare Brio per questa sua
diversità, e anche perché
gli era antipatico. Ma i bulli sembravano non aver effetto su di lui:
riceveva
costanti spintoni, e spesso lo pestavano violentemente, senza dargli un
attimo
di tregua. Ma dopo ogni pestaggio, il bambino sembrava uscirne illeso,
almeno
mentalmente. Brio era felice. Malvagiamente felice. Fino a quando LUI
non
arrivò.
Infatti, precisamente un anno
dopo l’entrata di Brio nell’Accademia,
arrivò un nuovo bambino prodigio: il suo
nome era Cortex, ma tutti lo chiamavano Dottor Neo Cortex, per via
della N
sulla sua fronte, che a detta del bambino stava a significare
“Neo”. Per Brio
furono anni terribili, di invidia: quel bambinetto, Cortex, era
migliore di lui
in tutte le materie esclusa la tortura. Prima, Brio era il primo della
scuola
in media e malvagità. Ora, aveva perso il primato in media,
per colpa di quel
piccolo verme, che però ancora non lo sfiorare nemmeno in
malvagità. Il ragazzo
era infatti stranamente troppo buono per uno strandard cattivo, e,
proprio per
questo, veniva preso in giro e bullizato, anche se non era mai colpa
sua. Brio
era inoltre molto infastidito era che quel bambino indegno dalla pelle
gialla
lo guardasse, e sembrava interessato a conoscerlo. Tuttavia, Brio, dopo
un paio
di ripensamenti, decise che avrebbe potuto sfruttare la debolezza
caratteriale
di Cortex a suo vantaggio. In fondo, aveva pur sempre bisogno di
trovarsi un
alleato, un aiutante, qualcuno che gli leccasse i piedi. E Cortex
sembrava la
pedina perfetta. Anzi. Non sembrava. ERA la pedina perfetta.
Così, dopo una
serie di ragionamenti, Brio stabilì il tutto. Sarebbe stato
facile. Troppo
facile. E quale momento migliore per adescarlo, se non la ricreazione?
Così, un giorno, quando
la campanella della ricreazione suonò, Brio entrò
in azione. Si avvicinò senza
destar alcun sospetto a Cortex, ma caso strano volle che fu proprio
Cortex ad
avvicinarsi al nostro testa lunga.”Come ti chiami?”
incalzò il bambino giallo.
Brio, con un piccolo ghigno, rispose:”Emh, perché?
Comunque, mi chiamo Nitrus
Brio, per gli amici Brio”. Cortex rispose con disinvoltura e
felicità:”Bel
nome! Ma a te non hanno tatuato una N sulla testa?”. Brio, il
quale perse il
suo odioso ghigno , domandò:”Cosa?”. E
il piccolo Cortex rispose:”Niente,
niente, lascia stare. Piuttosto, che ne diresti di diventare un mio
amico ed
alleato? In questa scuola non c’è mezzo
umano!”. Brio, che
capì che forse c’era qualche collegamento in
più
tra lui e Cortex, rispose:”Hai proprio ragione. Ah, mi sono
dimenticato di
chiedertelo:come ti chiami?”. Brio sapeva già la
risposta, ma era divertente
vedere quel moccioso rispondere pensando di aver rivelato una cosa
nuova.
Cortex fu anche abbastanza stupito della domanda: lui e Brio erano
nella stessa
classe, com’era possibile che non avesse imparato il suo nome
con l’appello?
Tuttavia, ben presto ritornò all’espressione
precedente, probabilmente pensando
al fatto che anche lui si era dimenticato il nome di Brio, anche
perché, da
quanto Brio aveva visto, Cortex era sbadato e anche uno che dimentica
in fretta
certe cose (infatti, durante molte lezioni, si dimenticava
improvvisamente il
suo discorso, per poi farlo ritornare pochi istanti dopo); e quindi,
era molto
probabile che Cortex avesse pensato che anche Brio raramente potesse
manifestare quel problema, anche se durante le lezioni non lo
manifestava per
nulla. “ Dr.Neo.Cortex, e voglio diventare uno
scienziato!” disse
Cortex. E Brio, con un tono malizioso, rispose:”Oh, si che lo
diventerai…”,
ponendo fine a quella discussione. Fu così
l’inizio del piano di Brio per
diventare il miglior cattivo mai esistito. Ma non tutto sarebbe andato
secondo
ai suoi piani.
*
Il piano di Brio di manipolare Cortex prese la strada sbagliata: inizialmente, Cortex non amava i proprio compagni di classe, ma nemmeno li disprezzava. Gli era indifferente, essendo tutti mostri piuttosto stravaganti. E a Cortex non stava simpatica nemmeno la preside, che detestava profondamente e il sentimento sembrava esser reciproco. Cortex aveva infatti fatto uno scherzetto alla preside, riuscendo ad avvicinarsi a lei e a colpirla brevemente con una pistola laser, in piena pancia, facendola ingrassare ancor più di quanto non fosse prima. E tutto ciò successe grazie ad un piano del precoce genio dell’umano giallo. Infatti, il futuro scienziato aveva fatto finta di bullizzare un suo compagno, facendo finta di ucciderlo. In realtà, era una strategia conosciuta da tutta la scuola, eccetto i bidelli e i professori (e la preside, ovviamente): Cortex voleva fargliela pagare a quella maledettissima preside, che riusciva a far sembrare i più malvagi dei teneri agnellini. Fece quell’atto per essere portata da lei e sgridato, perché una delle regole fondamentali era:”Tratta male il tuo compagno, ma non ucciderlo. Potrai sfruttarlo più avanti come schiavo, se si sottomette a te. Mai sprecare un possibile aiutante. Mai!”. Cortex riuscì a mettere in atto il suo piano, ma tutto finì in tragedia, dato che alla fine Cortex fu non solo messo in punizione per una settimana, ma dovette anche fare i conti con la materia insegnata dalla preside Amberly, che era anche professoressa di una materia: musica maligna. Cortex prendeva sempre pessimi voti in quella odiosa disciplina, anche se stava cominciando a migliorare in tortura. Infatti, Brio, involontariamente, spiegandogli come essere un vero malvagio, lo aveva reso fin troppo cattivo, e lo stesso Brio temeva in quel momento che quella crapa pelata gialla potesse superarlo e opprimerlo, per poi prendere lui il comando nella loro “amicizia”. Cortex, infatti, stava diventando sempre più cinico e maligno. Cominciava a vantarsi come Brio, e ad essere discriminato dai compagni per la sua arroganza. Inoltre, trattava tutti gli altri studenti come bestie, Brio compreso. Usava i suoi numerosi macchinari, creati artigianalmente da lui in persona, per fare degli scherzetti spesso pericolosi. Una delle sue invenzioni più pericolose fu “L’elevastuggitore”, che era capace di far volare le persone con un misero pulsante, farle muovere con una levetta (e ciò era utile per farli sbattere qua e là, distruggendogli completamente le ossa e l’ego, umiliandoli e torturandoli pubblicamente), ed infine, con un altro pulsante, era capace di farli cadere violentemente a terra, aumentando il loro peso in modo esponenziale per un breve lasso di tempo; in questo modo, il colpo sarebbe stato molto più duro, e avrebbe provocato molto più dolore, e molta, molta, molta più sofferenza. In fondo, più sono grandi, più si fanno male quando cadono. Comunque, tornando al discorso originario, vi starete chiedendo se in Cortex c’era ancora qualcosa di umano. Bé, in effetti c’erano due esseri viventi capaci di farlo ancora ragionare come una persona normale: i suoi pappagalli Victor e Moriz. Tuttavia, un giorno… successe l’inevitabile. Quello che Brio sperava non sarebbe mai accaduto. La totale conversione di Cortex al male. Brio aveva infatti ideato insieme a Cortex (anche se il primo aveva fatto praticamente tutto da solo, mentre il secondo si era limitato ad aiutarlo a perfezionare questa invenzione) un particolare marchingegno chiamato Evolvo-Raggio capace di trasformare dei comuni animali in esseri antropomorfi. Il loro paino era quello di utilizzare quegli animali per conquistare il mondo. Si. Era un piano geniale. Se non fosse che il primo esperimento non andò poi tanto bene. Brio non seppe mai precisamente cosa successe quella notte. Tutto ciò che seppe fu che Cortex aveva perso Victor e Moriz, per sempre. E dopo un iniziale periodo di sconforto, Cortex si riprese ben presto, anche grazie a Brio, che era incredibilmente preoccupato per lui. Col tempo era come se i posti si fossero invertiti: ora, Brio era una persona decisamente più buona e meno malvagia, mentre Cortex era ormai il male incarnato, qualcosa contro cui è impossibile combattere; Brio cominciava a provare timore per Cortex, ma al contempo rispetto. Rispetto per esser riuscito a emergere dal suo guscio; rispetto per esser risuscito a superare Brio in tutto; rispetto per aver lasciato alle spalle il suo passato, che lui non raccontò mai nei dettagli, almeno a Brio, che purtroppo, invece, fu costretto da Cortex stesso a raccontare il suo passato, tramite un invenzione che costrinse Brio a dire tutta la verità su di lui, davanti anche a molti studenti che erano stati attratti dallo strano casco che indossava Brio (che era la macchina della verità di Cortex). Brio finì per essere preso in giro per il misero modo in cui perse i genitori, e ciò colpì molto nel profondo il nuovo lui. Adesso, il testa-lunga, anche se ancora faticava ad ammetterlo, era totalmente diverso: il lui di un tempo era cinico, mentre quello attuale era spesso sensibile, e per ogni minimo atto di bullismo si chiudeva per giorni dentro di sé, come se fosse incapace di difendersi; il lui di un tempo era perfido, mentre il lui attuale stava diventando sempre più dolce. E così via. Brio non seppe mai come fu possibile questo cambio così repentino. Forse era quello il suo vero carattere, che per era stato represso per troppo tempo, e che ora veniva a galla per via del cambiamento di Cortex. Ma perché proprio in quel momento? Forse… poteva essere una conseguenza della sempre maggior autorità di Cortex? Forse, le alleanze tra nemici sono sempre così: uno è l’autorità massima, chi controlla tutto. Gli altri solo luride pedine inutili. E non importa se sei tu il capo: se uno solo dei membri della tua perfida alleanza ti supera in malvagità, cominci a diventare quasi buono. E tutto questo perché probabilmente stai ripensando a cosa sarebbe successo se non avessi preso quella strada. Se avessi preso la via del bene, tutto sarebbe cambiato: non saresti stato considerato come semplice carne da macello, ma come persona, con dei sentimenti. Forse, la via da te presa era quella sbagliata, ma ormai hai già i tuoi piani, e devi continuarla, cercando di essere il più cattivo possibile. E questo era quello che probabilmente era successo a Brio: aveva ripensato alle scelte da lui fatte, e aveva capito che erano sbagliate; ma ormai era tardi. Doveva tornare cattivo, altrimenti avrebbe perso tutto. Tutti i suoi piani, tutte le sue invenzioni (seppur inferiori a quelle di Cortex, tranne l’Evolvo-Raggio), tutte le sue ambizioni, tutto quello che riguardasse il male era ormai acqua passata per lui. Bé, in verità lui voleva che fosse acqua passata. Ma per Cortex non lo erano. No signore. E così, i due passarono molto tempo lì, in quella scuola. Fino a quando, ad un certo punto le loro vite si separarono, e per un po’ non si sentirono più…
*
Erano ormai passati quarant’anni dalla loro entrata nell’Accademia di Madame Amberly, che poco tempo addietro avevano raso al suolo, per vendicarsi di tutti coloro che li avevano umiliati. Sfortunatamente, sapevano che la preside era sopravvissuta, e che probabilmente si sarebbe vendicata di loro, un giorno lontano. Ma a loro non importava. Ora, stavano osservando le isole dell’Arcipelago Wumpa, da sopra al castello eretto da Cortex su una di queste isole, che fu chiamata “Isola di Cortex”. Brio osservò l’Evolvo Raggio e il Cortex Vortice, una nuova invenzione non ancora perfezionata. Poi, tornò con lo sguardo sulle isole. Era fantastico, guardarle da lì, da una misera finestra. Gli sembrava di avere il mondo sotto i piedi. E la sua rediviva cattiveria, rinata grazie al suo momentaneo allontanamento da Cortex, era pronta ad avere il dominio assoluto sul mondo, in modo che il sogno di Brio diventasse realtà. Cortex sogghigno, e poi parlò:”Adesso, tutti coloro che mi hanno umiliato, che mi hanno preso in giro per la MIA invenzione… subiranno la mia ira!”. Brio annuì, ma in cuor suo pensò:”Si, certo. Una TUA invenzione. Ma non farmi ridere. Mi rubi anche le idee. Mi rubi il posto di malvagio, di capo. Mi fai riscoprire una parte di me per te pericolosa. Sappilo Cortex, la vendetta arriverà, qualsiasi sia il mio schieramento. Chissà, forse un giorno uno degli animali da te mutati potrà essere la tua rovina. Ti distruggerai con le tue stesse mai. Oh, si… Muahhhhhhhhhhhhhhh, Muahhhhhhhhhhh, Ahhhhhhhhhhhhhhh!”. E poi, osservò per un ultima volta le isole, con un ghigno, per poi voltare definitivamente lo sguardo a terra. Il tempo passa in fretta, ed il giorno della sua vendetta non era poi così lontano. Doveva solo aspettare, e tutto sarebbe andato liscio. Per lui, ormai esisteva soltanto una cosa seria: la vendetta.
ANGOLO AUTORE: Salve! Finalmente, dopo un periodo di lunga scomparsa, sono ritornato! So che dovevo scrivere la storia di Tiny, ma poi mi è venuta un idea e ho deciso di scrivere quella di Brio prima. Ah, via avviso subito che quel regalo speciale per l’ottavo compleanno di Brio… ricordatevelo. Sarà importante nella prossima storia. Beh, io qui ho finito. Spero che la storia vi sia piaciuta. Ci vediamo alla prossima storia! Ciau!