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Autore: Princess Kurenai    04/04/2018    1 recensioni
Da secoli, Niflheim veniva chiamato l’Impero del Ghiaccio, da quando la Glaciale Shiva aveva fatto abbattere su quelle terre, un tempo verdi, la sua ira per punire l'ingordigia umana. Era una storia che aveva radici antiche, ma che solo nell'ultimo ventennio aveva assunto una nuova sfumatura di paura e pregiudizio. L'ennesima punizione che le genti di quelle lande avevano dovuto affrontare in seguito alla tragica fine del Re e della Regina di Niflheim, dopo l'ormai storica rivolta degli imperiali.
Infatti, in quella notte di guerriglia e fiamme si era decretato non solo il ritorno, da alcuni tanto sperato, dell’Impero ma anche la fine dei due sovrani, colpevoli secondo gli imperiali di aver salvato la loro unica figlia e non la popolazione di Niflheim.
Genere: Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ardyn Izunia, Noctis Lucis Caelum, Prompto Argentum
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Gender Bender
Capitoli:
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Fandom: Final Fantasy XV
Character(s): Noctis Lucis Caelum, Fem!Prompto Argentum (Prompta Argentum), Ardyn Izunia
Relationship(s): Het
Pairing: Promptis (Accennato LuNyx)
Rating: SAFE
Warnings: Alternative Universe (AU), GenderSwap, Inspired by Frozen (2013), Inspired by Anastasia (1997), Inspired by Tangled (2010), Magic, Fem!Prompto, Major Character Injury, Injury Recovery
Genere: Fantasy, Introspettivo
Conteggio Parole: 3590
Note:
1. In questa fic, Prompto è una donna e si chiama Prompta.
2. In questo universo non è mai esistita la Guerra degli Dei e non esiste neanche la guerra tra Niflheim e Lucis.
3. Non è un mondo “moderno” come quello di FFXV, diciamo che è simil-medioevo.
4. La Piaga delle Stelle non è quella che conosciamo noi. Come ben sappiamo, quella malattia prende origine dalla malaria, ed io ho deciso di trattarla in quel modo.
5. L’Helleborus è velenoso, ma in passato - se dosato nei modi giusti - veniva utilizzato anche in campo medico.
6. Il Picco di Vogliupe non esiste per quel che so, ma esiste Vogliupe che è la regione di Niflheim dove giace il corpo di Shiva.
7. Ispirato liberamente ad Anastasia e Rapunzel, oltre che a Frozen.
8. Aggiornamenti bi-settimanali. Il Mercoledì e il Sabato.
9. Non betata!

Dediche:

Ho scritto questa fic solo ed esclusivamente per Lera. Lei adora Prompta per via di una gloriosa role che stiamo facendo da più di un anno... e visto che non sono mai riuscita a scriverle un qualcosa di serio su Fem!Prompto mi sono messa in testa di unire alcune delle cose che più adora: Fem!Prompto, la Promptis, Anastasia (*sparge amore*) e infine il collegamento che il fandom ha creato tra Elsa e Prom.
Quindi, tesoro, spero che tu sia qui a leggere... questa fic è una sorta di strada verso il compleanno, visto che si concluderà il 25 Aprile. Spero che ti piaccia e che ti faccia piacere. Ti voglio un sacco di bene!


Da secoli, Niflheim veniva chiamato l’Impero del Ghiaccio , da quando la Glaciale Shiva aveva fatto abbattere su quelle terre, un tempo verdi, la sua ira per punire l'ingordigia umana. Era una storia che aveva radici antiche, ma che solo nell'ultimo ventennio aveva assunto una nuova sfumatura di paura e pregiudizio. L'ennesima punizione che le genti di quelle lande avevano dovuto affrontare in seguito alla tragica fine del Re e della Regina di Niflheim, dopo l'ormai storica rivolta degli imperiali.

Infatti, in quella notte di guerriglia e fiamme si era decretato non solo il ritorno, da alcuni tanto sperato, dell’Impero ma anche la fine dei due sovrani, colpevoli secondo gli imperiali di aver salvato la loro unica figlia e non la popolazione di Niflheim.

Si narrava infatti che la Principessa, nata prematura, non fosse stata benedetta dall'amore degli dei, ma che invece fosse stata afflitta, sin dalla culla, dalla Piaga delle Stelle, una malattia febbrile che aveva costretto la neonata a restare sotto stretta sorveglianza medica alla ricerca di una cura non invasiva e pericolosa per la tenera età della Principessa.

L'impotenza dei medici aveva spinto il Re e la Regina alla ricerca della benedizione degli dei come ultima spiaggia disponibile. Avevano pregato i Sei con tutta la purezza e il dolore di due genitori disperati e alla fine le loro richieste erano state accolte proprio dalla Glaciale, colei che aveva punito Niflheim con l'inverno eterno.

La Principessa era miracolosamente guarita e con lei anche le speranze del regno in una possibile benedizione di Shiva, affinché la Dea li salvasse da quei ghiacci senza fine.

Era stato proprio quel dettaglio ad alimentare la morsa dei ribelli imperialisti che resistevano in contrapposizione alla ben più pacifica famiglia reale sin dalla condanna di Shiva. L'Impero di Niflheim era caduto proprio in quel periodo. Lo scontento e la paura, generati dalla collera degli Dei che si era abbattuta indistintamente su tutto il territorio, erano stati tali da portare il popolo ad alzarsi contro l’Imperatore, dando inizio alla prima grande rivoluzione e alla creazione di una monarchia per elezione popolare, che rese i comandanti di quella rivolta i primi sovrani del neonato Regno di Niflheim.

Nonostante la sconfitta, la scintilla imperiale non si era mai spenta, ed era stata alimentata da quei ghiacci che erano rimasti nonostante la gestione pacifica e giusta dei nuovi regnanti. Decennio dopo decennio, gli imperialisti avevano tenuto in vita quella piccola fiamma, che alla fine riuscì a divorare in un fuoco quando, dopo il dono della Glaciale, iniziò a spargersi la voce che il Re e la Regina avessero più a cuore la loro famiglia che il bene della popolazione, che non avessero mai pregato per la fine dell'inverno eterno... e nel malcontento generale, la loro dimora venne attaccata nel cuore della notte.

Le guardie erano state prese alla sprovvista da un imperiale nascosto come amico all’interno delle sicure mura del palazzo, e con il supporto esterno degli altri rivoltosi, il Re e la Regina vennero dapprima arrestati e infine arsi vivi come sacrificio per l'Ardente, l'unico in grado di sciogliere quella neve perenne.

Secondo la storia anche la Principessa fece quella stessa fine e sempre secondo le parole dei più superstiziosi la stessa Shiva, addolorata per la morte di quella sua ‘figlia’ e per il ritorno delle forze imperiali, non poté far altro se non vendicarsi, dando vita a una strega che nel cuore delle montagne di Niflheim uccideva i viaggiatori, rendendo quei luoghi dall'aspetto quasi fatato una trappola mortale.

Erano trascorsi vent'anni fa quell'insurrezione e la strega continuava a mietere le sue vittime mentre l'Impero, guidato dalla ferma ed abile mano di Ardyn Izunia, piegava sotto il suo potere ogni libero pensatore, per spegnere qualsiasi scintilla di rivoluzione sul nascere. Chiudendo addirittura le porte di Niflheim a tutti i rapporti esterni sia con la vicina Tenebrae che con le più lontane Accordo e Lucis. Pochi erano infatti in grado di fuggire dall'inverno e dall'Impero e nessuno osava invece avventurarsi in quelle stesse terre innevate, portatrici di morte e maledizioni.

Tuttavia, fu proprio dall'unione delle famiglie reali di Tenebrae e Lucis che nacque il bisogno di raggiungere le montagne dell'Impero. Una situazione non dissimile da quella che, vent'anni prima, gli ormai defunti sovrani di Niflheim si erano ritrovati ad affrontare.

A soli quattordici mesi dalla loro nascita, il Principe Mani e la Principessa Sol avevano infatti contratto una malattia che traeva origine dalla Piaga delle Stelle e che, vista la giovane età, non poteva essere curata, almeno non senza operazioni troppo invasive e rischiose. I genitori avevano pregato i Siderei alla ricerca di una cura che non era tuttavia giunta sotto forma di miracolo, ma attraverso una visione che aveva destato Lunafreya Nox Flauret, Principessa di Tenebrae e madre dei due giovani gemelli, nel cuore della notte.

«Helleborus », esalò, stringendo le braccia del compagno come se fosse la sua unica ancora di salvezza, «Cresce solo nelle montagne di Niflheim... tra la neve… è molto velenoso ma con un estratto di quel fiore potremo curare i nostri figli».

Era un azzardo oltre che un rischio, ma era anche l’unica speranza di salvare i due bambini. Le discussioni non durarono a lungo perché, in un certo qual modo, la decisione era già stata presa: dovevano partire per Niflheim e sfidare i ghiacci eterni di quel regno e ogni sua superstizione.

La vita dei gemelli era appesa a un filo e alla fine, senza dare l’opportunità di controbattere ai due genitori, fu Noctis Lucis Caelum a lasciare la sicurezza di Insomnia per avventurarsi nelle terre dell’Impero.

Non poteva permettere né alla sua cara Luna né tanto meno a suo cugino, Nyx Ulric, di lasciare il capezzale dei figli. Per quanto Noctis volesse essere positivo, e convincersi che sarebbe tornato vincitore dalla sua missione, era ben consapevole che i suoi nipotini avevano le ore contate - poco più di un mese, avevano detto i dottori - e proprio per quel motivo avevano bisogno più della presenza dei genitori che della sua.

Avrebbe fatto di tutto per la sua famiglia e per allontanare quel senso di impotenza dinanzi al malore dei bambini, quindi non esitò ad affrontare sia la traversata in mare che i ghiacci che abbracciavano il territorio adiacente al Regno di Tenebrae, terra natia di Lunafreya.

Niflheim si presentò ai suoi occhi esattamente come l'aveva immaginata: una landa desolata di neve e gelo. Non fu difficile riuscire a superare i confini e a seguire la strada principale, battuta giornalmente dagli imperiali, alla ricerca di un qualsiasi segno di vita che riuscisse indirizzarlo verso il fiore che che stava cercando. Al contrario, non fu per niente semplice sfuggire al controllo delle guardie che pattugliavano i confini. Erano ostili verso gli stranieri, e Noctis dovette più volte nascondersi per evitare incontri spiacevoli che avrebbero rallentato non poco la sua missione che doveva essere il più rapida possibile.

In groppa al suo Chocobo, unico suo compagno di viaggio, trovò un primo villaggio dopo mezza giornata di cammino e lì, con le tasche piene d'oro - l'unica moneta in circolo nell’Impero - fu quasi più semplice ottenere le informazioni desiderare che, tuttavia, si rivelarono non essere realmente utili come voleva.

«L’helleborus cresce solo nel Picco di Vogliupe e significa andare incontro a morte certa, ragazzo. Non importa quanto oro tu possa possedere: la strega non guarda in faccia nessuno. Ricchi e poveri. Uomini e donne! E che il Tonante mi fulmini se non ha preso anche dei bambini quella strega!»

Tutti nella piccola cittadina riferirono quelle stesse parole, chi in modo più spaventato e chi invece con toni più coloriti. La leggenda della Strega dei Ghiacci era giunta anche a Lucis, e Noctis l’aveva sentita raccontare addirittura da Lunafreya, il cui regno d’origine veniva sfiorato quasi con delicatezza dall’inverno di Niflheim. Eppure non poté non provare una sorta di inquietudine nel sentire vecchi e giovani mostrare senza alcuna vergogna lo stesso identico terrore.

Anche a Lucis vi erano leggende non dissimili - come la Maledizione di Pitioss -, vi erano anche pareri discordanti che mettevano in dubbio la veridicità di quei racconti. Al contrario, lì a Niflheim, tutti sembravano aver fatto fronte comune contro quel nemico che, pur rimanendo nascosto agli occhi della popolazione, continuava a terrorizzare tutti coloro che si avventuravano tra le sue montagne.

Ascoltò con attenzione ogni versione, fatta di fortunate testimonianze e fantasiose descrizioni ed epiteti per colei che si nascondeva tra i ghiacci, e solo dopo aver sborsato altro oro riuscì a convincere un uomo, ben restio a fornire quelle informazioni, a segnare in una mappa l’ubicazione del fiore che stava cercando… perché per quanto quella paura si stesse insinuando anche nel suo cuore, il suo animo conosceva già un timore ben più grande: la morte dei suoi amati nipoti. La loro vita era nelle sue mani, e non poteva né voleva tirarsi indietro dopo essere arrivato a un passo dall’helleborus.

Lasciò il villaggio la mattina successiva, e con le tasche alleggerite di quasi tutto l’oro che possedeva e con una crescente premura, Noctis spronò il suo Chocobo - coraggio e resistente anche a quelle basse temperature - al galoppo, lanciandosi verso la sua meta: il Picco di Vogliupe, l’ultima speranza per Mani e Sol.





Noctis vagò per due giorni interi, trovando riparo solo in cupe gelide grotte e ai piedi di alcuni secolari alberi cavi. Quando aveva lasciato Insomnia si era preparato all’eventualità di affrontare quelle gelide terre. Aveva indossato gli abiti più pesanti che possedeva e si era addirittura assicurato di portare con sé solo cibi facilmente conservabili anche alle basse temperature, non era andato allo sbando né aveva mai cercato di considerare quel viaggio semplice. Era partito con in mente solo il suo obiettivo, ben consapevole dei pericoli e delle difficoltà che avrebbe potuto incontrare durante il suo cammino.

Tuttavia, nel accecante bianco di quella landa, che sembrava rendere ogni percorso e albero simile a quelli che li avevano preceduti, Noctis si ritrovò suo malgrado a guardare la mappa come se questa non esistesse. Quel pezzo di carta sembrava quasi aver perso ogni significato e punto di riferimento, e anche se i suoi occhi potevano vedere la sua meta, il Picco di Vogliupe, la strada non gli sembrava quella tracciata dalle carte.

Trovò però la forza di impuntarsi ancora, allontanando lo sconforto e i dubbi dal suo animo per concentrarsi sempre e comunque sulla sua missione, soprattutto durante la terza notte quando, come un pianto disperato, una tormenta di neve iniziò a graffiarlo con le sue raffiche di vento.

Si ritenne fortunato nell'essere riuscito a trovare un rifugio in modo più o meno celere, e mangiando della carne secca, rimase accovacciato accanto al suo Chocobo per abbracciarne il calore, mentre fuori dalla grotta il vento sembrava quasi ululare, trasportando con sé rumori vicini e lontani, trasformandoli in un canto di dolore e inquietudine, che accompagnarono Noctis in un sonno non privo di incubi, fatti di crudeli spiriti di ghiacci e morte.

La mattina successiva fu complicato rimettersi in marcia. La neve sembrava aver cancellato ogni strada battibile e Noctis fu costretto a seguire una via quasi immaginaria, prendendo come unico riferimento il Picco di Vogliupe.

Stava continuando a rischiare e non poté non ricordare vagamente gli avvertimenti degli abitanti del villaggio che aveva visitato.

«La strega ti catturerà e ti impedirà di ritrovare la strada. Quelle montagne sono vive e cambiano», avevano detto e Noctis, tentando di ragionare nel modo più lucido possibile, aveva escluso a priori quell’ipotesi. Perché il bianco della neve immacolata e il freddo potevano portare una persona a confondersi, inoltre le frequenti tormente rendevano non poco complicato l’orientamento. Ogni superstizione legata alla strega poteva benissimo trovare una spiegazione logica, e a lungo andare l’unico nemico oltre il freddo era la mente che come un’arma a doppio taglio poteva sia mostrare la realtà che la finzione, alimentata dalle paure dell’animo umano.

Noctis non voleva cadere in quella trappola eppure, quando raggiunse un’ampia vallata innevata, con alberi cristallizzati che venivano baciati dai tenui raggi del sole creando suggestivi giochi di luce, tutti gli sforzi fatti fino a quel momento sembrarono quasi venir meno.

Una voce limpida e chiara risuonava come un triste eco tra le montagne fino a quella valle, un canto di solitudine che colpì il cuore di Noctis come una freccia, mozzandogli il fiato. Non era il canto del vento, né il verso di qualche animale, quella che stava ascoltando era una voce umana che la sua mente associò, crudelmente, alla figura della strega.

Una ‘sirena dei ghiacci’ , l’avevano definita alcuni al villaggio, paragonandola a quegli esseri mitologici che abitavano il mare e che attiravano i poveri marinai nel profondo degli oceani con le loro voci suadenti.

«La potrai sentire cantare… nella tempesta e nella quiete… ma non ascoltarla: è solo una menzogna», dicevano gli abitanti del luogo, raccontando di come quelle lande desolate, fatte di neve e gelo, si fossero trasformate in vere e proprie tombe tra i ghiacci.

Tuttavia, per quanto Noctis volesse aggrapparsi alla logica e alla sua missione, non poté non chiedersi quanti di quei racconti erano reali e quanti, invece, ingigantiti dal pregiudizio e dalla paura di quell’inverno eterno. Perché, forse cadendo lui stesso nella trappola di quel canto malinconico, non riusciva a credere che una persona dalla voce così angelica potesse essere una strega malvagia.

“Potrebbe esserci un villaggio non lontano, un rifugio…” , si disse, tentando di scacciare il pensiero dell’essere maligno che abitava quelle lande, “e il vento sta portando fin qui questa voce”.

Era la spiegazione più logica, e a ben pensarci Noctis doveva anche ammettere che era più che normale vedere le menti più deboli e confuse per il gelo cadere vittime di quell’inconsapevole inganno, un rischio che lui stesso aveva corso.

Quei suoi ragionamenti, tuttavia, trovarono un ulteriore conferma quando alle sue orecchie smise di giungere quel canto tanto triste e malinconico. L’intera vallata, infatti, venne riempita dal ruggito forte e rabbioso di un Behemoth che fece imbizzarrire il Chocobo di Noctis per lo spavento di trovarsi dinanzi al suo nemico naturale.

Il giovane uomo cercò di calmarlo e di darsi alla fuga con il suo compagno, ma la bestia, probabilmente infastidita dall’ingresso nel suo territorio, si lanciò subito all’attacco impedendogli di scappare. Venne infatti disarcionato e la sua rovinosa caduta sulla neve e sulle rocce, gli strappò un alto lamento di dolore.

Il Chocobo, spaventato e più leggero senza il suo passeggero, fuggì verso l’esterno della vallata inseguito prontamente dal Behemoth e dai suoi ruggiti irosi, i quali - per fortuna - impedirono a Noctis di perdere i sensi a causa dello shock.

Quella era probabilmente la fine più verosimile dei viaggiatori che si avventuravano per quelle montagne, una distrazione dettata dalla superstizione e le bestie selvatiche che prendevano il sopravvento.

Si rigirò nella neve fino a ritrovarsi in posizione prona, stringendo i denti per una lancinante fitta al fianco destro che lo fece quasi piegare in due. Portò una mano sulla parte lesa, trattenendo il respiro nel rendersi conto di provare lo stesso identico dolore non solo nel muoversi ma anche nel toccarsi.

“Solo una botta” , si disse tentando di respirare in modo più controllato. Era caduto altre volte dai Chocobo e conosceva la sensazione, non doveva lasciarsi prendere dal panico perché era in un territorio pericoloso e non era per niente fuori pericolo. Si alzò con non poca difficoltà, continuando a stringere la mano sul fianco, e si guardò attorno cercando di individuare una via di fuga. Il Behemoth era lontano ma sarebbe tornato indietro ed era anche probabile che non fosse l’unico.

“Devo stare attento” , si incoraggiò iniziando a muoversi verso degli alberi che gli avrebbero potuto fornire un riparo sia dalle bestie feroci che dal freddo della notte, se le cose si fossero messe ancor più male.

Si trascinò, appoggiandosi più volte ai freddi tronchi degli alberi, sperando di poter utilizzare presto il richiamo per i Chocobo e riportare a sé il suo pennuto - possibilmente illeso. Era pienamente consapevole delle sue colpe, si era lasciato distrarre da quel canto struggente e si era reso conto della minacciosa presenza dei Behemoth solo quando era ormai troppo tardi.

Strinse i denti e, aggrappandosi all’idea di un rifugio, o di un piccolo centro abitato non lontano da quel luogo - l’ipotetica provenienza di quella voce -, Noctis si impose di continuare a camminare, fermandosi solo di tanto in tanto per utilizzare inutilmente il richiamo per il suo Chocobo. L'animale aveva un ottimo udito, e le ipotesi erano due: o era troppo distante o il Behemoth lo aveva raggiunto. Ovviamente sperava fosse solamente troppo lontano per sentire il fischietto e per quel motivo non si arrese e continuò a richiamarlo sperando di incontrare di nuovo il suo prezioso compagno.

Tuttavia, la fortuna non girò dalla sua parte e a poche ore dal calare del sole si rese conto di non aver ancora trovato un vero e proprio riparo e l’assenza del suo Chocobo a tenergli non solo caldo ma anche compagnia avrebbe iniziato a farsi sempre più pesante.

Quando il sole sarebbe scomparso dietro le alte vette di quelle montagne innevate, le temperature sarebbero scese ulteriormente, e il rischio di altre tempeste notturne era troppo alto per poter anche solo pensare di accontentarsi di un qualche albero cavo. Aveva bisogno di un rifugio più sicuro e aveva poco tempo a disposizione, infatti appena il cielo iniziò a colorarsi di una piacevole tonalità rosa, segno del tramonto imminente, Noctis si ritrovò costretto a scivolare contro il tronco di un albero.

Sentiva le gambe tremare e formicolare per lo sforzo, e il dolore al fianco non era diminuito, segno della formazione di un ematoma.

“Sono nei guai”, si disse nervosamente, imponendosi di riprendere a camminare pur di non rimanere in una zona così aperta e facilmente raggiungibile dalle bestie selvatiche.

Fece qualche altro metro, poi la vallata, che fino a qualche momento prima sembrava quasi brillare con gli ultimi raggi del sole, venne oscurata da delle cupe nubi richiamate da un vento gelido e crudele.

Stava arrivando una nuova tormenta e Noctis sapeva che non sarebbe sopravvissuto ad essa. Avrebbe combattuto, non si sarebbe mai arreso, ma non sapeva quanto la sua forza di volontà sarebbe riuscita a contrapporsi a quella della natura, infatti le sue ginocchia furono le prime a cedere quando il vento e la neve iniziarono a sferzarlo con violenza.

Arrancò con difficoltà, tenendo gli occhi socchiusi e una mano davanti al viso per potersi proteggere dal vento, i cui ululati, sempre simili a un pianto disperato, sembravano quasi accompagnarlo ad ogni passo. La visibilità si fece ben presto minima nonostante gli sforzi, e Noctis si ritrovò a muoversi solo di albero in albero per non cadere e per cercare un rifugio di fortuna.

Tremava da capo a piedi, e non sentiva più né le mani né il viso, era in una situazione drammatica e per quanto stesse cercando di non fare ulteriori errori, non poté non mettere il piede in fallo, ritrovandosi a ruzzolare sulla neve di un piccolo dislivello che, ovviamente, non era stato in grado di vedere.

Quella caduta inaspettata gli strappò un nuovo verso di dolore. Gli girava la testa - forse a causa di una botta, ma il freddo era tale da essere quasi un anestetico naturale -, ed era quasi certo di sentire il vento farsi più forte e quei lamenti diventare sempre più simili a dei singhiozzi.

La sua immaginazione gli stava giocando dei brutti scherzi, soprattutto quando gli parve di vedere delle luci non lontano dal dislivello nel quale era caduto.

Erano alte, simili a quelle delle torri di un castello. Da quel che ricordava della mappa non vi erano edifici così imponenti nelle vicinanze ma visto che aveva perso il senso dell’orientamento già da un po', poteva essersi spostato molto più di quello che pensava.

Sperò non si trattasse di un'illusione, perché quella poteva essere per davvero la sua voce speranza di sopravvivenza, e arrancando ancora nella neve, con le forze che minacciavano di abbandonarlo, Noctis provò a raggiungere quelle lontane luci. Combatté contro la stanchezza e il vento, ma soprattutto contro quei lamenti sempre più forti e disperati che, ad ogni passo, gli entravano dentro lasciandogli un vago senso di angoscia.

Ormai privato della cognizione del tempo, proseguì quella sua rincorsa verso la salvezza e non poté non trarre un sospiro di sollievo quando le sue mani si posarono sulla fredda roccia di un muro. Era reale, poteva sentirlo chiaramente a contatto con le sue dita ormai congelate, e seguendolo palmo a palmo tentò di trovarne l'ingresso.

Perse più volte l'equilibrio ma, testardo, continuò ad alzarsi. Ancora e ancora, fino a quando non trovò ciò che stava cercando così disperatamente: un portone, fatto con un legno scuro e liscio. Strinse i denti e iniziò a battervi i pugni sopra nella speranza di attirare i padroni di casa.

Sentì la debole pelle delle sue mani venire tagliata ad ogni colpo sul portone, ma neanche quello riuscì a fermarlo.

«A-aiutatemi!», provò a gridare, ma la voce suonò bassa e flebile, troppo roca per essere realmente avvertita dagli abitanti del palazzo.

Insistette ancora e ancora, fino a sentire le forze iniziarono ad abbandonarlo lentamente. Scivolò fino ai piedi del portone, appoggiandosi ad esso con gli occhi chiusi mentre la debolezza prendeva il sopravvento, trascinandolo verso un riposo che desiderava ma che sapeva di non potersi permettere.

Non poteva finire in quel modo, si disse stringendo i denti. Noctis aveva una missione, delle vite dipendevano da lui... ma ormai la parola ‘fine’ sembrava già scritta.


   
 
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