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Autore: saramermaid    14/04/2018    0 recensioni
SPOILER! The Death Cure | Fix-it | Newtmas | Rating: Maturo
Come si va avanti quando perdi qualcuno che ami? Come si affronta il dolore? Il lutto?
Thomas si risveglia a Porto Sicuro, circondato da volti amici e sopravvissuti.
Eppure l'assenza di Newt lo travolge in pieno, lasciandolo depresso e vuoto come mai prima d'allora.
Ma Newt è davvero morto? O c'è ancora una speranza?
Dal testo:
"Ed è così che ora si sente Thomas, in bilico tra l’affogare del tutto e lottare per tornare a galla. Non si è mai accorto di quanto Newt sia il suo ossigeno, il suo faro nel buio, finché non l’ha perso e lui si è ritrovato senz’aria, non più in grado di saper respirare."
Genere: Angst, Erotico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Minho, Newt, Newt/Thomas, Thomas, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Barely Breathing

 

Quando apre gli occhi, Thomas prova una sensazione di vertigine come quando si è sulle montagne russe e si cerca in tutti i modi di tenere a bada i crampi allo stomaco per evitare la nausea. E’ strano come quel pensiero passi velocemente nella sua testa prima di rendersi conto di essere disteso su una brandina.

 

Per un attimo, nonostante la presenza stabile del letto a sorreggere il suo peso, gli sembra di continuare a fluttuare nel vuoto e non riesce a mettere a fuoco. I suoi sensi sono intorpiditi e niente nel suo corpo risponde ai comandi. Si sente paralizzato ed il senso di ansia inizia ad accrescere in lui, bloccandogli il respiro in gola e costringendolo a strizzare forte gli occhi mentre le dita artigliano le coperte sotto di lui.

 

Quel gesto gli provoca una fitta di dolore e Thomas tenta di lottare con tutte le sue forze contro l’intorpidimento per potersi mettere seduto. E’ in grado di muoversi solo un paio di centimetri prima che un altro dolore, più acuto e fastidioso, si irradi dal suo addome bendato per poi espandersi in tutto il corpo raggiungendo le braccia, le gambe, persino le dita dei piedi.

 

Ed è in quell’istante, che pare infinito e surreale, che finalmente riesce a sentire il profumo della salsedine ed il rumore delle onde del mare. I suoi occhi ambrati si abituano in automatico, gradualmente, alla luce intensa che filtra attraverso una tenda bianco sporco smossa dalla brezza del vento.

 

Se quello fosse un sogno, penserebbe di essere ritornato indietro di mesi e di aver raggiunto di nuovo il Braccio Destro. Quel posto, quella tenda improvvisata, gli ricorda molto l’accampamento in mezzo alle montagne; quello che la C.A.T.T.I.V.O. ha distrutto senza pietà, quello che è stato raso al suolo per colpa di Teresa, quello dove Minho è stato rapito, quello da cui lui, Frypan e Newt sono fuggiti in cerca di un piano per salvare i loro amici.

 

Quel flusso di ricordi e pensieri lo lascia quasi senza fiato, riapre in lui ricordi ben peggiori che vorrebbe solo dimenticare. Ricorda l’Ultima Città, il piano di Gally, la vendetta di Lawrence, le esplosioni ed il fuoco che invade tutto. Ricorda Teresa cadere nel vuoto, Janson che gli spara, il siero che potrebbe salvare tutti e salvare Newt.

 

Newt con le vene nere che gli ricoprono la pelle.
Newt che lo guarda con occhi vuoti prima di attaccarlo.
Newt che gli urla di ucciderlo.
Newt che muore tra le sue braccia.
E quell’unica, ultima, frase che continua a rimbombargli nella testa.

 

Per favore, Tommy, per favore.

 

E Thomas crolla, fisicamente ed emotivamente. Cade in ginocchio sul pavimento di legno della capanna, le mani che si aprono e chiudono come per afferrare qualcosa che non è lì, la vista che gli si annebbia a causa delle lacrime che si sforza di non far cadere, l’aria che smette di circolare nei polmoni. Annaspa in cerca di ossigeno, adesso, come se stesse affogando. Ed in un certo senso lo sta facendo. Non riesce a pensare lucidamente, a muoversi, a concentrarsi e si sente spossato mentre tutto attorno a lui gira vorticosamente.

 

Il suo campo visivo diventa nero, infiniti puntini bianchi iniziano a danzargli attorno, mentre delle braccia forti e muscolose gli si stringono attorno. Non sa più niente Thomas; si sente solo sprofondare in un baratro oscuro ed è solo l’improvviso calore di alcune dita che gli accarezzano i capelli castani, e di una voce sussurrata accanto al suo orecchio, che gli impedisce di precipitare del tutto.

 

“ーThomas, va tutto bene. Sei al sicuro. Noi siamo al sicuro. Respira.”

 

Continua a ripetergli quella voce e lui si sforza di ascoltarla, di seguirne il timbro ed il suono. Ne coglie la sfumatura preoccupata, quasi terrorizzata, ma anche un sottofondo cauto e comprensivo come se fosse un sollievo sapere che lui è sveglio. E Thomas non può far altro che aggrapparcisi con tutto sé stesso, o perlomeno con quello che rimane di sé stesso, mettendo a fuoco il viso di Minho.

 

Si perde nello sguardo del suo migliore amico, di suo fratello, gli ricorda una piccola vocina nella testa e si concentra su quello che riesce a vedere. Fa scorrere le iridi sui capelli neri spettinati che ora ricadono piatti sulla fronte sudata senza più alcun cosmetico a tenerli in piega, si sposta sugli occhi scuri a mandorla ora circondati da occhiaie violacee e poi sulla mascella pronunciata e le labbra secche morse quasi a sangue. Si, quello è Minho. Il loro Minho. Eppure in un certo senso non lo è, perché quei mesi e tutte le torture subite hanno cambiato inevitabilmente anche lui.

 

Mi dispiace. Vorrebbe dirgli in un milione di modi diversi. E’ stata colpa mia. Vorrebbe aggiungere poi, accollandosi il peso del mondo intero sulle proprie spalle perché, in fondo, è quello che gli riesce meglio ed è quello che ha fatto per tutto quel tempo. Vorrebbe dirgli un sacco di cose, lasciarsi andare al dolore, alla rabbia, a qualsiasi altra emozione che non sia un continuo buco nero senza fondo, ma non ci riesce. L’unica cosa che fa, che riesce ancora a fare, è aggrapparsi forte alla maglietta di Minho e nascondere il viso contro la spalla dell’altro per poi tornare a respirare lentamente. E’ l’unico modo per sentirsi al sicuro, per continuare a sopravvivere, ora che Newt non c’è più.

 

“MinーMinho…” Sussurra con voce spezzata e roca, rendendosi conto che è la prima volta che parla da quando la Berga lo ha salvato su quel tetto in via di distruzione e lui ha perso conoscenza. Non sa nemmeno per quanto tempo è rimasto incosciente in una sorta di coma senza sogni.

 

Sente l’abbraccio dell’amico intensificarsi, stringersi di più, come se volesse proteggerlo dal resto del mondo. O forse, pensa Thomas, sta cercando di proteggerlo da sé stesso. Ed allo stesso tempo è strano accorgersi di una certa dolcezza nel modo in cui Minho lo tiene stretto, nel modo in cui continua a scostargli i capelli sulla fronte, nel modo in cui lo guarda, ma non gli importa. Rimane ancorato all’unico pezzo di famiglia e di cuore che gli è ancora rimasto anche se può distintamente sentire una voragine aprirsi proprio dove esso dovrebbe essere.

 

“Va tutto bene, Thomas. Sono qui con te.”

 

Sente ripetere per la centesima volta nel giro di pochi minuti, mentre socchiude gli occhi e sbatte le palpebre. Non è vero. Non va tutto bene. Newt non è qui. Pensa subito dopo, ma per il momento decide che quel conforto, quell’ancora di salvezza, sono sufficienti e se li lascia bastare.

 

ーーーー

 

Il Porto Sicuro non è come se lo sarebbe immaginato. Non ci sono radure o pascoli rigogliosi come il Paradiso o parte del Labirinto, al loro posto ci sono una grossa distesa di sabbia ed una foresta smorta con tracce di erba verde ed erbacce punteggiate qua e là lungo la costa rocciosa. Il mare, l’enorme distesa d’acqua salata che è l’oceano, è l’unica cosa da cui Thomas resta affascinato.

 

Da quando è sveglio, ed in piedi, non ha fatto altro che rifugiarsi negli abbracci di coloro che conosce - Brenda, Jorge, Fraypan, Aris, Vince e persino Gally. Ognuno di loro gli ha rivolto sorrisi ed espressioni sollevate, quasi orgogliosi che lui ce l’abbia fatta. Minho, al contrario, è l’unico che non lo lascia quasi mai da solo per più di dieci minuti come se temesse che lui possa spezzarsi di nuovo da un momento all’altro. Nessuno dei due ha più parlato di quello che è realmente successo nella capanna e Thomas è grato all’amico per non aver fatto domande sull’argomento.

 

Non è sicuro di potercela fare, non crede di essere pronto e pensa che non lo sarà mai. Non riesce nemmeno a pronunciare il suo nome nella propria mente senza sentire la soglia dell’abisso tornare ad inghiottirlo lentamente. Ci sono momenti in cui il dolore è talmente forte che Thomas si ritrova improvvisamente ripiegato su sé stesso ad annaspare; le ginocchia al petto e le mani che premono sulle orecchie per scacciare via le voci nella sua testa che gli fanno ricordare.

 

Nessuno gli fa domande, nessuno chiede, eppure tutti sanno. Lo sente dal modo in cui Minho gli stringe la spalla sana per riportarlo indietro dai suoi momenti bui, lo sente tramite lo sguardo di Brenda o la postura tentennante di Gally, lo sente persino quando Frypan resta accanto a lui dopo aver servito i pasti quotidiani. La verità è che ognuno dei sopravvissuti ha perso qualcuno o qualcosa lungo il cammino e, nonostante tutto, la forza di volontà per andare avanti è un sentimento condiviso.

 

Gally continua ad essere il capo delle costruzioni, progettando ed erigendo quanti più edifici possibili sebbene non abbiano ancora abbastanza mezzi per recuperare sufficiente legname; Frypan continua ad occuparsi della cucina, ad assicurarsi che tutti siano sfamati e sazi; Jorge e Brenda continuano a lavorare sui motori come hanno sempre fatto per una vita intera; Minho non ha mai abbandonato la sua indole da velocista, all’alba Thomas lo vede correre sulla battigia per quelli che sembrano chilometri per poi tornare con conchiglie, legna, rocce e qualsiasi cosa che possa essere utile. Hanno detestato ed odiato la C.A.T.T.I.V.O. per così a lungo, eppure paradossalmente non sanno fare altro che ricoprire i ruoli che gli hanno affidato fin dal Labirinto.

 

“Non è ciò che facevamo quello che abbiamo sempre detestato, quanto quelli per cui lo facevamo.”

 

E’ quello che Minho gli ha detto a pranzo, quando Thomas è rimasto a fissare con sguardo vacuo il lavoro nei campi e Vince che organizza il gruppo offertosi di fare ricognizione nei dintorni. Non si è accorto di aver parlato a voce alta, dando libero sfogo a quella constatazione improvvisa. Ultimamente non riesce a capire bene cosa è vero e cosa non lo è, sente solo il bisogno di poter finalmente restare da solo anche se è spaventato di cosa potrebbe succedere qualora la solitudine sbloccasse di nuovo cassetti per ora sigillati.

 

Sono passati solo due giorni da quando è tornato dal limbo dell’incoscienza ed è rimasto in coma per quasi una settimana con le ferite che iniziano lentamente a guarire. Vince gli ha spiegato che quella da arma da fuoco era molto grave, che ha perso molto sangue e non sapevano cosa fare. Gli ha anche sommariamente spiegato che ci sarà un falò commemorativo, lo stesso che adesso illumina la porzione di spiaggia poco distante dall’edificio centrale dove amache e letti improvvisati sono stati costruiti per dormire.

 

Vince continua a parlare, elogia lo sforzo di tutti, ricorda le perdite di coloro che gli hanno permesso di essere lì nel Porto Sicuro, mormora che tutti possono scolpire i nomi dei caduti su un enorme blocco di pietra incastonato nella sabbia non appena se la sentiranno di farlo ma la mente di Thomas viaggia lontano. Le parole gli arrivano alle orecchie senza che lui le ascolti davvero, il suo sguardo torna a farsi vacuo e distante.

 

“Thomas? Thomas? Stai bene?”

 

E’ ancora la voce di Minho che lo riporta alla realtà e lui annuisce come meglio può, cercando di sotterrare e nascondere il turbinio di flash ed immagini che lo tormentano ogni volta che chiude gli occhi. Non vuole essere un peso e non è uno stupido, sa perfettamente che il suo migliore amico ha già la sua dose giornaliera di incubi come se le occhiaie perenni non sono un indice abbastanza chiaro di insonnia.

 

“C’è qualcosa che devo mostrarti e anche qualcosa che ho conservato per te.”

 

Aggiunge Minho, tentennando solo per alcuni secondi, prima di porgergli un ciondolo di corda con un cilindro di plastica annodato all’estremità. Thomas riconoscerebbe quella collana in un milione di vite, l’ha già stretta nel palmo delle sue mani nell’Ultima Città fuori dal quartier generale della C.A.T.T.I.V.O., l’ha accettata quando gli è stato intimato di prenderla. Ed in un solo istante il mondo torna a vorticargli intorno, a chiudergli i polmoni, mentre i ricordi di Newt gli scorrono davanti uno dietro l’altro.

 

“Se sei mai stato mio amico, uccidimi!”
“Fallo prima che diventi uno di loro! Uccidimi o ti ucciderò!”
“Per favore, Tommy, per favore.”
“Uccidimi!”

 

E Thomas torna ad affogare, ad annaspare, a vedere puntini bianchi attorno a lui.

Sente i suoi piedi trascinarsi verso l’orlo di quell’abisso mentre le dita di Minho si ancorano sulla sua spalla e sul collo per riportarlo indietro. Ma questa volta il peso attorno al cuore lo trascina più a fondo, lo porta lontano dalla luce e dentro di sé Thomas urla fino a sentire le corde vocali tendersi. Per un attimo pensa di star davvero urlando finché non sente un’imprecazione ed un corpo solido posizionarsi alle sue spalle.

 

“Thomas! Maledizione! Thomas! Respira insieme a me, coraggio, faccia di caspio. Inspira ed espira con me…lentamente...”

 

Il torace di Minho è premuto contro la sua schiena adesso, le braccia dell’altro lo stringono a sé in una presa di ferro, mentre il petto si alza e abbassa lentamente per dargli l’input su come tornare a respirare. E lui lo segue, ci si aggrappa con le unghie e i denti; inspira ed espira piano, poco per volta, abbandonandosi contro il calore dell’amico e rendendosi conto solo in un secondo momento, quando il suo campo visivo smette di tremolare e vacillare, di essere seduto tra le gambe dell’altro sulla sabbia umida.

 

Sente Minho rilasciare un sospiro di sollievo, smettendo di dargli il tempo tra un respiro e l’altro ma non lasciandolo andare. Restano così per minuti interi, finché Thomas grugnisce nel tentativo di far muovere i muscoli addormentati e poi entrambi sono in piedi uno di fronte all’altro con la mano dell’amico che gli stringe la spalla ed un’espressione seria in volto.

 

“Hai bisogno di dormire Thomas, ti accompagno alla capanna.”

 

Non protesta a quelle parole, non protesta ma vorrebbe chiedere se è davvero quello ciò che l’asiatico avrebbe voluto dire. Lo sguardo che Minho gli lancia di sottecchi di tanto in tanto mentre camminano è una risposta sufficiente e Thomas avverte il senso di colpa serpeggiare nelle sue vene.

 

E’ talmente preso da sé stesso da aver dimenticato come anche per l’altro sia difficile restare a galla, ricordare o anche solo andare avanti ogni giorno. Si sente in colpa perché Minho è un amico meraviglioso mentre lui si comporta da egoista, lasciando l’altro da solo con i propri demoni. Vorrebbe ringraziarlo, dirgli quanto sia importante per lui, fargli capire che lo considera la sua famiglia e suo fratello ma le parole restano ingabbiate.

 

Eppure, prima che l’amico lo lasci da solo sull’uscio della capanna, Thomas lo tira a sé affondando il viso nella maglietta di Minho e muovendo il palmo della mano destra per lasciargli delle pacche sulla schiena. E’ il suo modo per dirgli grazie, scusami, ti voglio bene e sono felice che tu sia vivo. In tutta risposta le labbra dell’altro si incurvano leggermente agli angoli, gli occhi diventano meno cupi, le dita stringono una porzione di tessuto sul fianco di Thomas e lui capisce di aver fatto la cosa giusta.

 

Perché, dannazione, ha smosso un intero pianeta in disfacimento pur di riavere Minho con sé e non lo perderà di nuovo. Non questa volta.

 

ーーーー

 

Il mattino dopo Thomas si sveglia con le nocche di qualcuno che bussano alla porta e la faccia di Minho che lo guarda a pochi passi dal suo letto. C’è qualcosa di strano nell’aria, la postura dell’amico è più rigida del solito, le increspature sulla fronte aggrottata più pronunciate ed il suo corpo emana quasi una certa elettricità.

 

Non parlano molto a parte uno stentato buongiorno faccia di caspio e, prima che Thomas possa aprire bocca, l’amico lo sta già trascinando verso una fila di capanne più isolate, quasi vicino alla scogliera rocciosa. Percorrono circa 500 passi, li ha contati per tenersi occupato e non fare domande, per poi fermarsi non appena raggiungono la loro meta che in realtà è una capanna molto più grande delle altre.

 

Minho allunga la mano e bussa sulle assi di legno, aspettando pazientemente che la porta si apra rivelando la statura massiccia di Gally. I due si scambiano uno sguardo d’intesa e preoccupazione di fronte ai suoi occhi e lui non può fare a meno di chiedersi quando accidenti è successo che siano diventati così complici. Scrolla le spalle a quell’assurdo pensiero e si accorge che ora entrambi lo fissano.

 

“Perché mi guardate come se fossi un cucciolo selvaggio? Mi spiegate cosa succede?”

 

Chiede, restando sorpreso da sé stesso. E’ la prima volta da quando è a Porto Sicuro che riesce a mormorare una frase così lunga senza inciampare o balbettare sulle parole.

 

“E’ meglio se lo vedi di persona, Thomas. Ma prometti di non dare di matto.”

 

Gli risponde Gally, guardandolo con le sue sopracciglia strane, prima di invitarlo ad entrare nella capanna. Non se lo lascia ripetere due volte, turbato e curioso di vedere cosa nascondono lì dentro. Supera l’uscio con un certo nervosismo e si ritrova davanti ad una tenda bianca come quella della capanna-ospedale in cui si è risvegliato solo tre giorni fa. Deglutisce e con mano tremante ne scosta i lembi, percependo la presenza di entrambi gli ex-radurai alle sue spalle.

 

Inizialmente tutto ciò che vede è un ambiente quasi asettico, privo di qualsiasi ornamento fatto salve un tavolo con sopra alcuni medicamenti ed un letto matrimoniale su cui lascia vagare lo sguardo. Segue con le iridi il lenzuolo bianco che si attorciglia attorno al materasso e poi più su verso ciuffi di capelli biondi che contornano un viso addormentato. Il cuore gli rimbomba nel petto accelerando di colpo e Thomas si lascia sfuggire un sussulto alla vista di Newt.

 

Si avvicina quasi in trance, fermandosi solo per poter memorizzare e controllare ogni singola porzione di pelle visibile. Per un attimo, quando sbatte le palpebre, l’immagine che riesce a visualizzare sono vene nere come ragnatele, occhi che hanno oltrepassato l’Andata, urla animalesche e forza sovrumana.

 

D’istinto muove le dita contro la cicatrice sul petto, dove la lama del coltello è affondata impugnata da Newt. Avverte l’ondata di panico e paura strisciare nelle sue vene e gelargli il sangue e per un attimo crede di essere ritornato a quella notte. Quella maledetta notte che gli ha portato via il suo migliore amico, il suo ossigeno, il suo cuore. Ma quel Newt è diverso, somiglia molto di più al ragazzo che ha conosciuto nella radura. I capelli biondi sono puliti, soffici e morbidi, la pelle è priva di vene scure in rilievo, la bile nera è scomparsa così come i tremori della malattia e i conati di tosse, il petto è fasciato da una benda bianca simile a quella che indossa lui stesso.

 

Non riesce a credere che sia reale.
Che non sia frutto dei suoi sogni o un’illusione apparsa per tormentarlo.

 

“Newt…”

 

Sussurra piano, temendo di spezzare quell’atmosfera surreale, prima di accasciarsi ai piedi del letto per poter sfiorare la mano pallida dell’altro e stringerla con la sua. Newt continua a tenere gli occhi chiusi, sembra addormentato profondamente, solo il leggero movimento dei suoi respiri fa pensare che sia vivo.

 

“Lo abbiamo portato con noi sulla Berga dopo cheー che tu sei andato a cercare Teresa. Non volevamo lasciarlo lì, volevamo avere un corpo a cui dare degna sepoltura.. Pensavamo tutti che fosse morto, poi Harriet si è accorta del lieve pulsare del suo cuore e Brenda ha agito d’impulso iniettandogli il siero rubato. Ha funzionato solo in parte, ma è stato… è stato qualcos’altro ad aiutarlo, qualcosa che non avevamo finché non abbiamo recuperato anche te, Thomas. Il tuo sangue lo ha curato.”

 

La voce di Minho gli arriva limpida per la prima volta da molto tempo, nonostante l’evidente difficoltà nel far uscire le parole, nel raccontare cosa è successo. Soltanto adesso Thomas si ricorda che nelle sue tasche, insieme alla collana di Newt, c’era anche la fiala contenente la cura. La boccetta che Teresa ha creato per lui.

 

“Perché non è sveglio, se sta bene?”

 

Chiede con voce incerta e debole, ponendo attenzione all’aspetto più importante.
Se il suo sangue lo ha curato, perché Newt non apre i suoi meravigliosi occhi scuri e lo guarda come ha sempre fatto? Perché non riesce a sentire la sua voce? Perché glielo hanno tenuto nascosto per tutto quel tempo?

 

Il suo cervello è pieno di domande irrisolte, frasi confuse che si ingarbugliano l’un l’altra fino a formare un groviglio intricato che non riesce a sbrogliare pur provandoci.

 

“Il tuo sangue lo ha curato dall’Eruzione ma non può salvarlo completamente.”

 

Scandisce lentamente Gally, quasi come se parlasse con un bambino di cinque anni che non comprende bene tutte le parole del vocabolario adulto. Thomas sente la rabbia montare e se non fosse così teso ed arrabbiato, si lascerebbe andare ad una fredda risata nel constatare come finalmente stia provando un barlume di emozione che non sia apatia.

 

“Che diavolo significa?”

 

Alza la voce, fulminando l’altro con lo sguardo e mantenendo un’espressione tagliente e ostile. Le mani gli prudono dal desiderio di prendere a pugni la faccia di cazzo di Gally ma per il momento preferisce restare ancorato a Newt.

 

“Ascolta Thomas, non sono il tipo da girare attorno alle cose. Il corpo di Newt ha subito traumi e ferite molto gravi, per non parlare dello stato mentale a cui la malattia lo ha sottoposto. Il fendente lo ha quasi ucciso e trafitto al cuore, i suoi polmoni hanno quasi smesso di funzionare e l’aver passato l’Andata gli ha quasi fatto fuori l’ultimo barlume di sanità. La cura non può salvarlo da qualcosa che dipende soltanto da lui. E’ lui che deve lottare per tornare a vivere, proprio come lo hai fatto tu.”

 

Sa che Gally ha ragione, eccome se lo sa, eppure in quel momento la rabbia continua a divorarlo nel profondo, alimentando quel fuoco di emozioni che ha imbottigliato per così a lungo e che ora è pronto ad esplodere come tanti fuochi d’artificio. Non riesce a guardare nessuno dei suoi amici, né Gally né Minho, non riesce a guardare nemmeno Newt senza che il senso di colpa inizi a mischiarsi alla rabbia e al senso di impotenza. Per questo Thomas fa l’unica cosa che gli sembra sensata. Fugge via da quella capanna con ancora i richiami di Minho nelle orecchie e l’immagine di Newt in bilico tra la vita e la morte.

 

ーーーー

 

La sabbia umida illuminata dal chiaro di luna gli solletica le dita dei piedi scalzi, mentre se ne sta seduto su un tronco spoglio ad osservare la marea che si infrange sulla battigia.

 

Thomas ha sempre amato il rumore del mare, l’ha sempre trovato rilassante e fra i pochi ricordi che è riuscito a recuperare, dopo essersi volontariamente punto con il braccio meccanico dei dolenti, ce n’è uno che ora gli ritorna alla mente. Ha quattro anni e stringe la manina paffuta a quella di sua madre, mentre entrambi si incamminano sulla spiaggia e Thomas vede il mare per la prima volta. In quell’occasione, la sua versione in miniatura passa tutta la mattinata a costruire castelli di sabbia e a recuperare l’acqua salata con un secchiello color verde foglia.

 

Ricorda di essere stato felice, all’epoca, di essersi sentito libero e spensierato come se la sua unica preoccupazione fosse convincere sua madre a comprargli un gelato prima di pranzo. Ora, invece, le cose sono più complicate. Sua madre non c’è più, non ha più quattro anni e la sua unica preoccupazione non è costruire castelli di sabbia. Ci sono macigni più pesanti ed enormi a gravargli sulle spalle, le sue mani sono impregnate di sangue versato e sensi di colpa, il suo corpo è pieno di cicatrici fisiche e mentali che non andranno mai via.

 

E’ da solo su quella spiaggia, lontano dalle capanne, dal falò, dal cibo di Fraypan, dalle storie narrate da Jorge e dal resto dei suoi amici. Non sa quanto tempo è rimasto lì ad osservare l’orizzonte e smuovere granelli di sabbia con i piedi, non è nemmeno tornato all’accampamento per ora di pranzo e adesso il cielo è buio.

 

Non vuole parlare con nessuno, ha bisogno di silenzio e di un momento di raccoglimento.
Vedere Newt in quel letto lo ha scosso completamente, lasciandolo esposto e vulnerabile più di quanto non lo sia mai stato. E’ ancora arrabbiato con tutti per averglielo tenuto nascosto, anche se la vocina nella sua testa gli fa notare che lo hanno fatto per proteggerlo.

 

Non voglio aggrapparmi a false speranze. Gli aveva detto Harriet mesi addietro, alla vigilia della loro missione di salvataggio contro il convoglio di treni della C.A.T.T.I.V.O., quando Thomas gli aveva chiesto perché sembrasse così reticente e disinteressata quando Aris e la stessa Sonya erano in mano al nemico.

 

Non aveva capito in quel frangente cosa la ragazza avesse voluto dire, perlomeno non l’aveva capito completamente. Soltanto adesso si rende conto di quali significati nascondessero quelle parole, quali incubi e sofferenze avrebbero potuto  innescare se qualcosa fosse andato storto. Non nutrire grandi speranze significa non precipitare nel vuoto quando queste vengono inevitabilmente infrante.

 

Ed è così che ora si sente Thomas, in bilico tra l’affogare del tutto e lottare per tornare a galla. Non si è mai accorto di quanto Newt sia il suo ossigeno, il suo faro nel buio, finché non l’ha perso e lui si è ritrovato senz’aria, non più in grado di saper respirare.

 

L’illusione di averlo e di poterlo perdere di nuovo è peggiore di qualsiasi incubo abbia vissuto nell’Ultima Città. E’ come aggrapparsi ad un filo invisibile senza mai riuscire a raggiungerlo, vedendolo scivolare via dalle proprie mani. Non può nemmeno immaginare una vita senza di Newt.

 

Non posso perderlo di nuovo.

 

Continua a ripetersi come un mantra, stringendo le unghie nella carne dei palmi e lasciando quattro segni rossi a mezzaluna. Ed è quel pensiero a lasciarlo paralizzato, a terrorizzarlo, più di qualsiasi altra cosa al mondo. La consapevolezza che Newt detiene ormai le redini della sua vita, delle sue emozioni, di tutto sé stesso e persino del suo cuore - dio, quel cuore che ha continuato a sanguinare in ogni istante - è qualcosa che non ha mai affrontato prima.

 

Perché, in fondo, Thomas lo sa.
L’ha sempre saputo fin da quando i suoi occhi ambrati hanno incrociato per la prima volta quelli di Newt nella radura, il giorno in cui la scatola lo ha portato nel Labirinto.
E saperlo, lasciar liberi quei sentimenti, è ciò che lo tormenta giorno e notte.
E ciò che gli impedisce di dormire, ciò che lo fa svegliare nel cuore della notte in preda agli incubi e rivivere all’infinito la morte di Newt.

 

Thomas l’ha sempre saputo.
Ed ora ricordarlo, ammetterlo almeno con sé stesso, è ciò che gli darà il colpo di grazia nel momento in cui perderà di nuovo Newt. Se perderà di nuovo Newt. Si corregge in automatico.

 

Non posso permetterlo.
Sussurra contro la brezza marina.
E’ l’unica ragione che ho per continuare a vivere.
Aggiunge, a bassa voce, mentre una lacrima solitaria gli scivola lungo la guancia.

 

E’ quasi l’alba quando Thomas ritorna all’accampamento, sgusciando silenziosamente nella capanna che ora appartiene a Newt e lasciandosi scivolare stancamente sulla sedia accanto al letto. Un letto che gli sembra troppo grande per quel corpo magro, avvolto da cuscini e coperte pulite.

 

Le ore passate in solitudine non hanno aiutato, sente ancora la terra tremare sotto i suoi piedi e i polmoni faticare non poco per immagazzinare aria, ma ha deciso che non se ne starà in disparte senza lottare per riportare indietro Newt. Non sa se l’altro possa sentirlo, non sa nemmeno se lui sia in grado di accostare insieme per più di cinque minuti parole di senso compiuto, ma inizia comunque a parlare senza fermarsi. E non importa se inciampa sulle parole, ne sussurra altre o gli si secca la gola, Thomas continua a raccontare.

 

Racconta a Newt di cosa è successo con Teresa su quel tetto, del dolore che ha provato quando il proiettile lo ha colpito, del suo risveglio a Porto Sicuro, dei sopravvissuti e dell’accampamento. Inizia con le cose più facili, quelle che sa non possono nuocergli più di tanto, poi passa a quelle più complicate senza mai lasciare la mano di Newt.

 

Si concede solo un sospiro profondo, quasi come se volesse attingere alla sua ultima dose di coraggio, poi torna a parlare. Questa volta i discorsi ruotano sui suoi attacchi di panico, sugli incubi che lo tormentano costantemente, sull’apatia, sul fatto che non sappia più come andare avanti e sui sensi di colpa. Di quelli ne ha tanti, a sufficienza per una vita intera. E così si lascia andare del tutto; gli spiega che si sente responsabile di così tante perdite, di aver infranto la promessa fatta a Chuck, di non aver salvato Minho in tempo durante il raid contro il Braccio Destro, di non essersi comportato da buon amico con gli altri.

 

“Mi sento in colpa per non averti salvato, per non essere stato forte per entrambi… perché alla fine ti ho perso prima di scoprire che quella maledetta cura ero io. Io, Newt! Avrei potuto salvarti un milione di volte ma ci ho provato quando era troppo tardi.”

 

Non gli racconta degli incubi peggiori, quelli che lo tormentano anche di giorno, quelli che ripetono ancora e ancora l’immagine dell’altro disteso sulla pietra fredda. Non gli dice nemmeno che ha bisogno di lui come l’aria. Non glielo dice, ma la disperazione nella sua voce è un sufficiente indizio.

 

Le ore continuano a passare, gli occhi di Thomas diventano pesanti ad ogni minuto, le dita si intrecciano a quelle di Newt per restare ancorato alla realtà e lui concede finalmente alle palpebre di abbassarsi.

 

Torna da me, Newt.
Mormora nel silenzio della stanza, prima che Morfeo lo avvolga.

 

Quella volta Thomas non sogna, continua a muoversi tra un dormiveglia e l’altro, troppo stanco perché gli incubi prendano il sopravvento. Non è sicuro di quanto tempo sia trascorso, ricorda soltanto di aver sentito il peso di una coperta posta sulle sue spalle e la sua testa scivolare sulle lenzuola ai margini del letto.

 

ーーーー

 

Quando si sveglia, il sole è già alto nel cielo e la temperatura è quasi rovente.
La fronte è imperlata da un velo di sudore e le dita sono intorpidite, avendole tenute strette a quelle di Newt per tutta la notte. La coperta è scivolata da un lato, la sedia è il suo unico supporto stabile ed il collo protesta per la posizione scomoda a cui l’ha costretto dormendo.

 

In lontananza sente il vociare degli altri, il rumore delle costruzioni, le urla dei bambini che si rincorrono sulla spiaggia, il richiamo di uno stormo di gabbiani. In tutta risposta il suo stomaco si contrae dalla fame, non avendo toccato cibo da colazione del giorno prima, e Thomas lascia vagare lo sguardo nella capanna finché non incrocia quello di Minho accanto alla tenda.

 

L’espressione dell’amico è indecifrabile, severa, terribilmente preoccupata.
Probabilmente si è anche premurato di portargli la coperta che ora è ammucchiata ai piedi della sedia. Thomas abbassa lo sguardo, mordendosi le labbra quasi a sangue, non avendo il coraggio di fissarlo. Prova vergogna per il modo in cui ha trattato Minho la sera prima e perché sa che sparire per ore gli ha quasi fatto venire un infarto.

 

Gli scarponi del suo migliore amico entrano nel suo campo visivo, avendolo sentito percorrere i pochi passi che li dividono, e Thomas sente un sospiro liberarsi dalle labbra dell’asiatico.

 

“Mi dispiace, Minho.”

 

Gli concede come risposta, sollevando finalmente lo sguardo ed affrontandolo.
Spera che l’altro capisca, che riesca a vedere quanto serie e sincere siano quelle parole. E’ un mi dispiace per ogni singola volta che Thomas lo ha lasciato in disparte, per ogni volta che si è comportato da egoista aggrappandosi a Minho per non sprofondare e dimenticandosi che anche l’altro ha bisogno di lui. Perché, in fondo, sono l’uno la roccia dell’altro. E l’unico modo in cui funzionano è restando insieme.

 

“E’ ora di colazione, Frypan ha quasi dato di matto quando ha capito che hai saltato gli ultimi due pasti. Andiamo, faccia di caspio, Newtie non scappa.”

 

La mano di Minho gli stringe la spalla, un gesto ormai abituale e familiare, mentre gli comunica quelle poche frasi. Thomas gli è grato per il mancato rimprovero, anche se probabilmente è solo rimandato per permettergli prima di riempirsi la pancia. Eppure non può fare a meno di lasciar scivolare via la tensione, di rilassarsi sotto il tocco dell’altro. E’ come se l’amico gli avesse implicitamente fatto capire che lui è ancora lì, che sono ancora amici, che sono ancora una famiglia, anche se Thomas spesso compie un sacco di stronzate.

 

“Prova però a sparire di nuovo e giuro su Dio, Thomas, che recupero un paio di manette e ti ci lego da qualche parte.”

 

E Thomas non può fare altro che incurvare le labbra in un sorriso, annuire e stringergli delicatamente un braccio mentre si lascia trascinare verso l’accampamento per fare colazione.

 

Quando si lasciano entrambi scivolare su una panca libera nella zona mensa ー che in realtà è un spiazzo grande composto da tavoli e panche di legno grezzo ー Frypan gli passa un piatto stracolmo di frutta e verdura, agitando il mestolo con fare quasi minaccioso, mentre inizia a fargli un discorso su quanto sia stupido saltare i pasti e morire di fame.

 

Thomas lo ascolta, lo ringrazia, gli sorride e poi gli da una pacca sulla spalla prima di divorare il cibo, godendosi l’espressione raggiante che si è formata sul viso dell’ex-raduraio. Mi farò perdonare anche da te, Fry. E da Brenda. Jorge. Gally. Giura a sé stesso, constatando quanto lui stia a cuore ad ognuno di loro e quanto loro siano egualmente importanti per lui.

 

In pochi minuti ha già fatto piazza pulita dell’intero piatto, sentendosi sazio e un pò più in forze. Si congeda dagli altri ed indica con un cenno della testa il cantiere delle costruzioni, per far capire a Minho che è lì che sta andando e che non sta sparendo di nuovo. E’ solo dopo un cenno di assenso che Thomas costeggia il sentiero accanto ai campi coltivati e si ferma, coprendosi la fronte con una mano per schermare i raggi del sole che lo accecano.
Vince è il primo a notarlo, a salutarlo da lontano, prima di andargli incontro.

 

“Ehi, Vince. State facendo un ottimo lavoro qui.”

 

Lo incoraggia, tornando per qualche istante ad utilizzare lo stesso tono da leader che ha sempre avuto nei precedenti mesi. Quello è il suo punto di partenza per recuperare la fiducia di tutti, per ringraziarli di tutto ciò che hanno fatto per lui. Vince annuisce, asciugandosi con un pezzo di stoffa strappato il sudore dalla fronte ed indicandogli il resto del cantiere.

 

“E’ bello vederti qui, Thomas. Ce la stiamo mettendo tutta per rendere accogliente questo posto e trasformarlo in qualcosa di più civilizzato ma, come vedi, le risorse al momento scarseggiano. Stiamo dando la priorità agli spazi comuni, attualmente è in progetto la creazione di un ospedale, e servono anche le abitazioni. Sonya ha fatto notare che servirebbe anche una scuola o un’area ricreativa per poter insegnare qualcosa ai bambini più piccoli. Gally ce la sta mettendo tutta, sbraita sempre in continuazione che non possiamo ritardare i lavori e che non gli importa se deve sradicare tronchi a mani nude pur di accelerare i tempi.”

 

Thomas lo ascolta pazientemente, seguendo i progressi con lo sguardo e capendo perfettamente le necessità di ognuno, quali sono i progetti più urgenti. Hanno tutti perso abbastanza e vissuto come meglio potevano, arrangiandosi con qualsiasi cosa pur di sopravvivere al pianeta in decomposizione. Ora meritano di poter ricominciare, di voltare pagina, e avere qualche comfort può davvero fare la differenza.

 

“Ecco, a proposito di Gally… Devo parlargli, sai dove posso trovarlo?”

 

Chiede, non riuscendo a scorgere l’ex-raduraio da nessuna parte in mezzo al casino che è il cantiere. Vince gli da una pacca sulla spalla e poi gli indica il limitare del bosco, spintonandolo leggermente per incitarlo a raggiungere l’amico, prima di tornare a lavorare. Thomas segue il consiglio e fa lo slalom tra i tronchi sventrati, accorgendosi di Gally man mano che la distanza si accorcia. L’altro gli da le spalle, la schiena è incurvata su quello che sembra un tavolo rozzo sulla cui superficie sono sparse carte e disegni. E’ evidente che sia concentrato su un nuovo progetto, intento a vagliare ogni opzione, a ponderare ogni variante e fare alcuni calcoli.

 

Thomas si schiarisce la gola, creando con lo scarpone destro un solco nel terreno ai suoi piedi. Non sa precisamente cosa dirgli né come iniziare il discorso, parlare con l’ex-raduraio è più difficile di quanto sembra. La verità è che lui e Gally non hanno mai avuto un buon rapporto, fin dai tempi del Labirinto si sono sempre detestati e la morte di Chuck ha solo peggiorato le cose. L’ha davvero odiato per quello e per certi versi non potrà mai dimenticarlo del tutto; eppure l’altro è stato colui che li ha aiutati, che gli ha fornito un bonus entrata per l’Ultima Città e che gli ha permesso di salvare Minho.

 

“Gally, possiamo parlare?”

 

“Parla, pivello, ti ascolto.”

 

Pivello. E’ l’unica parola con cui l’altro l’abbia mai chiamato nella radura, quasi come se volesse ogni volta sottolineare il fatto che lui non fosse parte della loro famiglia ai tempi del Labirinto. Ora, nel sentirsi chiamare così gli viene quasi da ridere.

 

“Mi dispiace, okay? So che me lo avete tenuto nascosto perché sono diventato un fottuto patetico che non riesce a fare praticamente più nulla senza avere un attacco di panico. Penso ancora che avrei dovuto saperlo, ma posso capirlo. Me la sono presa con te e Minho perché ero arrabbiato. Dio, ci sono miliardi di cose che mi fanno incazzare a cominciare da quello che la C.A.T.T.I.V.O. ci ha fatto.”

 

Gally lo guarda con espressione corrucciata e le labbra tirate in una linea rigida, le dita stringono forte le maniche del maglione grigio che ha legato attorno ai fianchi a causa del caldo.

 

“Credi che tu sia l’unico incazzato qui dentro, Thomas? L’unico su cui hanno sperimentato, su cui si sono divertiti a fare torture fisiche e mentali? Guardati attorno, cristo santo! Non c’è un solo sopravvissuto che non abbia incubi, allucinazioni, attacchi di panico e stress post traumatico. Non sto dicendo che non capisco il tuo atteggiamento, lo capisco forse fin troppo bene. Mi hanno costretto ad uccidere Chuck ed ogni fottuto giorno lo rivedo davanti ai miei occhi così come sono sicuro tu rivedi la morte di Newt all’infinito. Eppure mi vedi mollare o andare in giro come uno zombie depresso? Abbiamo bisogno di te, nessuno escluso. Quindi, per piacere, Thomas cerca di reagire ed inizia a darci una fottuta mano.”

 

E’ il discorso più lungo e più sincero che Gally gli abbia mai fatto e lui si ritrova stranamente a corto di parole. Ancora una volta constata che l’altro ha ragione e che gli basta guardarsi sul serio attorno per notare che tutti hanno i propri scheletri nell’armadio. La rabbia non è necessariamente un male. Gli ha detto Mary mentre preparava il siero per Brenda. Ti conosco da un bel pò Thomas, la rabbia che vedo in te non ti paralizza ma ti accende. E’ la scintilla che ti fa combattere, è ciò che ti ha fatto tradire la C.A.T.T.I.V.O. ed è quello che ti ha spinto a darci tutte le loro coordinate pur di salvare i tuoi amici.

 

“Lo stesso vale per te, Gally. Smettila di tormentarti per la morte di Chuck ed inizia a perdonare te stesso.”

 

“E tu? Tu l’hai fatto?”

 

Thomas ci pensa alcuni istanti, inclina la testa di lato ed incurva le labbra in un piccolo sorriso.

 

“Ci sto ancora lavorando, faccia di caspio. Ci sto ancora lavorando.”

 

Risponde, salutandolo ed imboccando il sentiero a ritroso che lo riporta all’accampamento, facendo finta di non notare il pallido sorriso che spunta sulle labbra dell’altro.

 

ーーーー

 

Il crepitio del fuoco mentre la legna arde è un altro dei suoni che ha imparato a considerare familiari. Il calore del falò sulla spiaggia è piacevole quando l’umidità notturna si attacca alla pelle facendolo rabbrividire appena.

 

Thomas ha passato l’intera mattinata a lavorare nei campi, ha pranzato con Sonya ed Aris e per tutto il pomeriggio è rimasto al capezzale di Newt finché Minho non gli ha suggerito di raggiungere gli altri in spiaggia, promettendogli che l’avrebbe avvisato se qualcosa fosse cambiato. Non ha protestato a quella richiesta, conosce perfettamente il forte legame fraterno che unisce i suoi due migliori amici. Mentre usciva dalla capanna ha sentito distintamente la voce di Minho bisbigliare piano e sottovoce, intento a raccontare a Newt chissà quale strano aneddoto accaduto durante il giorno.

 

La verità è che vorrebbe restare rinchiuso in quella capanna per il resto dei suoi giorni, vorrebbe continuare ad osservare Newt in eterno, a scostargli dalla fronte alcune ciocche ribelli di capelli biondi. Vorrebbe godersi fino in fondo ogni singolo secondo a disposizione, ogni respiro, ogni battito. Vorrebbe memorizzare ogni singolo tratto somatico di Newt e conservarlo gelosamente nella sua memoria. Ma non può impedire a Minho di avere una parte del tempo di Newt, sarebbe egoista e sbagliato.

 

Per questo si gode il falò in compagnia degli altri, seduto su un tronco largo e massiccio, ad osservare le lingue di fuoco che si rincorrono e a mangiare la cena che Frypan ha preparato. Poco distante da lui Harriet e Sonya sono intente a parlare fitto fitto con Aris che è praticamente schiacciato tra le due. Quel trio gli ricorda molto lui, Newt e Minho e stavolta non può impedire ad un sospiro malinconico di lasciare le sue labbra.

 

“Fanno quasi paura, non è vero?”

 

Constata Brenda, sedendosi affianco a lui e facendo cenno alla triade che è ancora intenta a parlottare.

 

“Più che altro è bello vederli così uniti e insieme.”

 

Ammette fissando il viso di Brenda che, adesso, gli appare più adulto. I capelli una volta corti si sono allungati fino alle spalle, la pelle risulta più lucida e pulita, gli occhi più profondi. E’ cresciuta, è maturata, forse troppo in fretta per la sua età.

 

“Si, lo è. Sono una famiglia, lo siamo tutti. E tu non sei solo, Thomas, non lo sei mai stato.”

 

La mano della ragazza cerca la sua, la stringe appena, prima di lasciarla andare. Brenda si alza, muove alcuni passi in direzione di Jorge e Thomas sente il bisogno di scusarsi e rimediare anche con lei.

 

“Ehi, Brenda?”, la richiama, “Nemmeno tu sei da sola. Siamo una famiglia.”

 

Mormora in tutta risposta, vedendola ridacchiare e farsi largo tra la piccola folla radunata attorno al fuoco.

 

E’ soltanto quando il falò inizia a scemare che Thomas sente il bisogno di fare una passeggiata da solo, per meditare, per riflettere. Si sta abituando poco per volta a restare a galla e alle volte sente ancora la necessità di allontanarsi dal resto degli altri quando tutto diventa troppo opprimente. Ha bisogno dei suoi spazi e gli attacchi di panico non sono spariti del tutto. La sensazione di trovarsi sul filo del rasoio non l’abbandona mai, è soltanto un pò più bravo a non lasciarsi sopraffare del tutto.

 

Le onde del mare gli solleticano i piedi man mano che cammina sulla battigia, le dita delle mani invece stringono il ciondolo di corda che porta sempre addosso appeso al collo. E’ l’ultimo ricordo che ha di Newt, l’unico oggetto fisico a cui aggrapparsi. Lo gira e lo rigira tra le dita, lo stringe almeno cinquanta volte al giorno per accertarsi che sia ancora lì e che non possa perderlo da qualche parte.

 

“Non ti ho dato quella cacchio di collana per piangerti addosso, Tommy. Lo sai vero?”

 

Tommy.
E’ il soprannome che Newt gli ha dato dal primo giorno in cui si sono conosciuti, l’unico appellativo che nessun altro ha mai osato pronunciare. E’ un privilegio concesso soltanto a Newt, è qualcosa che lo ha sempre fatto sentire speciale in qualche modo. La voce con cui il più grande l’ha sempre pronunciato e scandito, con quell’accento inglese marcato, è esattamente come se la ricorda. Strascicata in alcuni punti e più soave in altri.

 

Newt è di fronte a lui sulla battigia, i capelli scompigliati e disordinati, il volto pallido, la maglia bianca che gli sta decisamente larga, gli occhi stanchi. E’ scosso da tremori infiniti, la bocca è leggermente incurvata agli angoli e lo sta fissando quasi con disapprovazione. Ma non può essere davvero reale, Thomas lo sta sicuramente immaginando, eppure sembra così vivo.

 

“Newt..”

 

Sussurra con voce strozzata, muovendo qualche passo verso quella che crede un’allucinazione. Un passo. Due passi. Tre passi. La distanza che si riduce ad ogni secondo. Le mani che gli tremano in maniera incontrollata mentre ne allunga una per poter sfiorare la guancia dell’altro. Trattiene il fiato solo per un attimo, poi il calore, le pelle viva, la realtà gli si riversano addosso come acqua gelida e Thomas si lascia finalmente andare. Si aggrappa a Newt con tutto sé stesso, lo stringe al petto con tutta la forza che ha e ne ispira il profumo. L’argine che ha cercato di trattenere cede e si spezza, permettendo ai singhiozzi di riversarsi in gola, alle lacrime di offuscargli la vista e bagnare la maglietta di Newt. E Newt lo sorregge, lo tira a sé, lo ingloba nelle sue braccia per non lasciarlo più andare.

 

Newt…”

 

“Va tutto bene, Tommy. Sono qui. Va bene così. Respira.”

 

Gli sussurra il più grande vicino all’orecchio, stringendo le dita di una mano nei capelli castani di Thomas e con l’altra artigliandogli la maglietta all’altezza della schiena. Restano abbracciati per istanti infiniti, ad un certo punto crollano entrambi sulla sabbia e Thomas continua a tremare e singhiozzare senza sosta con Newt che lo tiene ancorato a sé e che gli ridà l’ossigeno.

 

E lui può tornare finalmente a respirare.

 

ーーーー

 

E’ strano poter sentire di nuovo la sua voce, potersi perdere di nuovo in quegli occhi scuri, poterlo sentire di nuovo così vicino. Thomas si è così abituato alla sua assenza che ora percepire la sua presenza è come una boccata d’aria fresca.
Sono seduti a fare colazione tutti insieme e nessuno, quella mattina, riesce a contenere l’entusiasmo. I volti dei loro amici sono raggianti, rilassati e distesi, quasi come se una patina invisibile fosse scivolata via dalle spalle di tutti.

 

Newt non ha mai smesso di sorridere a qualsiasi cosa gli viene detta, continua a farlo anche mentre si sforza di masticare lentamente la frutta nel suo piatto. E Thomas non può fare a meno di fissarlo, di restare seduto al suo fianco, lasciando che la parte destra del corpo di Newt sia completamente appiccicata al suo lato sinistro. Non hanno ancora avuto modo di parlare di argomenti più seri che entrambi sanno di dover prima o poi affrontare. Per il momento si limitano a gravitarsi attorno e a godersi il sole mattutino.

 

“Tommy non mi piacciono le mele, te l’ho già detto. Non sto cercando di saltare la colazione.”

 

Mormora Newt, dandogli un colpetto scherzoso sulla spalla e sollevando gli occhi al cielo. Lo sa che probabilmente si sta comportando in maniera apprensiva, ma non riesce a controllarsi. Non ne può fare a meno. La sua mente continua a suggerirgli che quello è un sogno e l’unica cosa che può fare è dimostrare a sé stesso che non lo è. Newt è vivo e sta bene, per quanto le ferite debbano ancora rimarginarsi ed il corpo debba rimettersi in forze.

 

“D’accordo. Scusa tanto se mi preoccupo.”

 

Alza le mani in segno di resa, mettendo quasi il broncio ed incrociando le braccia al petto. Le dita del più grande si stringono attorno al suo ginocchio in una presa salda, il pollice inizia a disegnare cerchi immaginari sul tessuto del pantalone. E’ un modo per dirgli che va tutto bene, per fargli capire che sono entrambi al sicuro ed è anche l’unica cosa che riesce a calmarlo. Ogni qualvolta Newt lo sfiora, mille brividi gli attraversano il corpo ed il cuore accelera il proprio battito.

 

Tom–my!

 

Cantilena a quel punto il più grande, mordicchiandosi le labbra e guardandolo con espressione speranzosa. E Thomas, come sempre, capitola. Afferra la propria forchetta ed infilza i pezzi di mela, ingoiandoli in pochi bocconi. Si accorge solo in un secondo momento degli sguardi che gli altri gli puntano addosso, Minho sta quasi sogghignando dietro la tazza da cui sta bevendo.

 

“Che c’è? Perché mi guardate tutti?”

 

Gally sghignazza apertamente insieme a Frypan, Brenda si limita a scuotere il capo trattenendo una risatina e Thomas non capisce cosa diavolo stia succedendo.

 

“Oh niente, è solo gentile da parte tua aiutare Newtie a finire le mele.”

 

Gli risponde Minho, guardandolo con un sopracciglio inarcato e l’espressione di chi la sa lunga.

 

“Minho, piantala!”, interviene Newt rivolgendo all’asiatico un’occhiata confusa, “Sono solo delle cacchio di mele.”

 

Conclude con una scrollata di spalle per poi alzarsi in piedi ed afferrare il polso di Thomas, trascinandolo lontano dagli altri e brontolando un sonoro lasciamo perdere questi strani pive a voce così alta da essere perfettamente udito.

 

Trascorrono il resto della giornata seduti sulla spiaggia ad osservare l’oceano, all’ombra di un albero, distratti di tanto in tanto dai bambini intenti a rincorrersi lanciandosi sabbia addosso. Newt ha gli occhi socchiusi, il peso sorretto dai palmi delle mani, mentre i raggi del sole che filtrano dalle fronde gli colpiscono la pelle del viso. Sembra rilassato, completamente perso nel proprio mondo, e Thomas non può fare a meno di fissarlo di sottecchi. Lascia vagare le iridi ambrate sulla cascata di capelli oro che ricade sulla fronte, sul naso all’insù, sulle guance più rosee, sulle labbra lucide e leggermente schiuse.

 

“Tommy, mi stai fissando di nuovo.”

 

Ridacchia Newt, guardandolo con quelle iridi scure ed inclinando la testa di lato come a volergli leggere nel pensiero. Thomas arrossisce leggermente, colto in flagrante, e balbetta poche parole incomprensibili scatenando in Newt un nuovo attacco di risatine che non accenna a placarsi. E quando insieme si avviano verso la capanna per evitare che il più grande si affatichi troppo, Thomas nota che le labbra sono ancora incurvate in un sorriso.

 

Newt si lascia cadere tra le coperte pulite e gli fa cenno di stendersi insieme a lui, allungando le dita della mano destra per farle scorrere sul petto di Thomas e poi più su fino a raggiungere la corda del ciondolo. Il più grande stringe tra le dita il piccolo cilindretto trasparente per un tempo che sembra infinito, aggrottando le sopracciglia e diventando serio come se stesse valutando la sua prossima mossa.

 

“Dicevo davvero sulla spiaggia, sai? Non ti ho lasciato questo ciondolo affinché tu ti sentissi male, l’ho fatto perché volevo che ti restasse qualcosa di me, qualcosa per potermi ricordare per sempre, qualcosa che potesse darti sollievo. Immagino avrai letto la lettera che è al suo internoㅡ”

 

“C’è una lettera al suo interno?”

 

Lo interrompe Thomas, dandosi dello stupido per non essersene accorto prima. Le dita di Newt stanno già svitando il tappo e recuperando i fogli di carta giallognola prima ancora che lui abbia il tempo di aggiungere altro.

 

“Credo sia arrivato il momento di leggerla, non puoi continuare a tormentarti per quello che è successo quella notte. Non posso permettertelo.”

 

Thomas abbassa lo sguardo a quelle parole, si mordicchia le labbra e preme i polpastrelli sulla cicatrice lasciatagli dal coltello. Lo fa senza pensarci, lo fa ogni volta che i ricordi tornano a torturarlo. Sente il magone in gola, il respiro farsi più irregolare, ed il peso del senso di colpa torna a premergli sulle spalle. Con mano tremante afferra i fogli e fa un profondo respiro. Lo faccio per Newt. Si ripete, man mano che le prime righe gli scorrono davanti agli occhi.



 

Caro Thomas,
questa è la prima lettera che ricordo di aver scritto. Ovviamente, non so se ne ho scritta alcuna prima del Labirinto.
Ma, anche se non fosse la prima, è probabile che sia l’ultima.

Voglio che tu sappia che non ho paura. Beh, non di morire, ad ogni modo. E’ più il dimenticare.
E’ il perdere me stesso contro questo virus, questo è ciò che mi spaventa. 

Quindi ogni notte continuo a ripetere i loro nomi ad alta voce. Alby. Winston. Chuck.
E li ripeto ancora e ancora come una preghiera e tutto mi torna alla mente.
Soltanto piccole cose come quando il sole era solito colpire la Radura al momento giusto appena prima che scomparisse dietro le mura.
E ricordo il sapore dello stufato di Fraypan.
Non avrei mai pensato che mi sarebbe mancato così tanto.

E mi ricordo di te.
Ricordo la prima volta che sei salito insieme alla Scatola, solo un piccolo pivello spaventato che non riusciva a ricordare nemmeno il proprio nome. Dal momento in cui sei corso nel Labirinto, sapevo che ti avrei seguito ovunque.
E l’ho fatto. L’abbiamo fatto tutti.

E se potessi fare tutto da capo, lo rifarei. E non cambierei una singola cosa.
La mia speranza per te è che quando guarderai indietro, a distanza di anni, sarai in grado di dire lo stesso.
Il futuro è nelle tue mani adesso,Tommy. E so che troverai il modo di fare ciò che è giusto. Lo fai sempre.
Prenditi cura di tutti da parte mia. E prenditi cura di te stesso. Meriti di essere felice.

Grazie per essere stato mio amico.
Addio, amico.
Newt

 

Thomas continua a rileggere quelle parole ancora e ancora, le scolpisce una per una nella sua testa come se fossero marchiate a fuoco. La vista gli si annebbia e calde lacrime scorrono copiose lungo le guance per poi infrangersi sul dorso delle mani e più giù sul foglio di carta. Il torace viene scosso da silenziosi singhiozzi, le spalle si incurvano ed il corpo inizia a tremare. Il suo campo visivo si restringe ed i puntini bianchi tornano a danzargli attorno, lasciandolo a boccheggiare. Le braccia di Newt gli si avvolgono attorno al busto come rampicanti, le dita gli scorrono sulla nuca, tra i capelli castani, la voce dell’altro gli arriva come una litania contro l’orecchio.

 

“Tommy, sono qui. Ehi, no… continua a respirare, sono qui. Resta con me.”

 

E lui obbedisce, il suo corpo torna lentamente a rispondere ai comandi, la stanza smette di girare. Il senso di stordimento, però, lo lascia incredibilmente spossato e lo costringe ad abbandonarsi contro il petto di Newt. Avverte un paio di labbra appoggiarsi sulla fronte, sul naso, sulle guance, su ogni centimetro di pelle del suo volto. Il respiro dell’altro gli solletica il collo e gli occhi scuri di Newt si incastrano nei suoi.

 

“Sssh… va tutto bene. Non ti lascio.”

 

Aggiunge il più grande, lasciandogli il tempo di metabolizzare le parole.
Rimangono a fissarsi per minuti interi, il calore dell’altro che non l’abbandona nemmeno per un secondo, il cuore che rimbomba contro quello di Thomas. Si addormentano così, in un intreccio di gambe e braccia, le fronti a contatto, le dita intrecciate. Uniti, come non lo sono mai stati prima di allora.

 

ーーーー

 

Il tempo scorre lentamente ma inesorabile, Thomas l’ha imparato a proprie spese. L’ha imparato nelle ore che hanno preceduto la battaglia contro i Creatori ai tempi del Labirinto, l’ha imparato nella Zona Bruciata quando le montagne sembravano un miraggio, l’ha imparato nei sei mesi trascorsi senza Minho e passati a pianificare strategie. Ora, però, il lento trascorrere del tempo non gli dispiace. Non gli dispiace quando sa che può avere una vita intera da spendere affianco a Newt, non gli dispiace quando sa che tutti i suoi amici sono finalmente al sicuro, non gli dispiace quando per la prima volta può permettersi di non rivestire più il ruolo di leader.

 

A distanza di quattro settimane può ritenersi orgoglioso del modo in cui la vita torna ad abbracciare ognuno di loro. Gli incubi pian piano stanno lasciando spazio a sogni più piacevoli, le notti insonni diminuiscono progressivamente, la paura di perdere le persone che ama sta lentamente svanendo. C’è soltanto una cosa che non ha ancora avuto il coraggio di fare: lasciarsi andare ai sentimenti che prova per Newt.

 

Il loro rapporto dopo la lettera non è cambiato molto. Continuano a vivere in simbiosi, a gravitare l’uno attorno all’altro, a cercare un contatto fisico. Eppure a nessuno è passato inosservato il modo in cui il viso di Newt s’illumina ogni qualvolta che Thomas ride, il modo in cui le loro teste si avvicinano pericolosamente l’una all’altra ogni qualvolta che parlano, il modo in cui Thomas si offre di mangiare tutto quello che all’altro non piace, il modo in cui le loro mani non possono fare a meno di cercarsi per poi posarsi su una spalla, un ginocchio, un braccio.

 

Di certo Minho lo ha notato ed inizia a non sopportare più questo struggimento continuo fatto di paure insensate e sospiri sognanti. Vuole bene ad entrambi come a due fratelli ma è arrivato il momento di spingerli nella giusta direzione. Questo è il motivo per cui ha trascinato Thomas con sé durante la sua corsa mattutina e sempre questo è il motivo per cui adesso fissa il suo migliore amico con espressione esasperata.

 

“Te l’ho già detto, faccia di caspio. Il piano è raccogliere tutto quello che potrebbe essere utile, riportarlo all’accampamento e poi fare un sonnellino di bellezza. E già che ci sei, aggiungi alla tua lista anche il dover confessare a Newt quello che provi.”

 

Sbotta Minho, assistendo alla ridicola reazione di Thomas mentre inciampa sui suoi stessi piedi e cade di faccia nel terreno. Proprio come la prima volta, eh. Constata ironicamente l’asiatico, scuotendo la testa ed incrociando le braccia al petto.

 

“Cosa? Non so di cosa tu stia parlando!”

 

Farfuglia il moretto, rimettendosi in piedi e pulendosi alla bene e meglio i vestiti. Come se il rossore sulle guance non fosse un indizio abbastanza sufficiente oltre agli occhi a cuoricino che quei due si scambiano in continuazione.

 

“Oh, ma per piacere! Ti conosco meglio di quanto pensi, pive. So cosa frulla in quel tuo cervellino, perciò piantala e digli quello che senti. Ti assicuro che la cosa è reciproca, Newt non ti respingerebbe mai nemmeno tra un miliardo di anni.”

 

“Non puoi saperlo, Minho. Come fai a sapere cheー”

 

“Newt è il tuo caspio di ossigeno, Thomas, e tu sei il suo. Siete quasi morti entrambi, cos’altro ti serve per dirgli che sei innamorato di lui?”

 

Lo interrompe con espressione seria, stringendogli brevemente un braccio, prima di tornare a raccogliere rocce e rametti.
Già, cos’altro mi serve?
Gli fa eco Thomas nella propria mente, mettendosi poi a lavoro.

 

Quando è ormai il tramonto e finalmente possono dire conclusa quella giornata di ricognizione, entrambi sono stanchi e sudati. Thomas è rimasto stranamente silenzioso per tutto il tragitto, rimuginando all’infinito su quello che il suo migliore amico gli ha detto, e una volta raggiunto l’accampamento si è congedato brevemente dai suoi amici dicendo di dover fare una doccia. Inutile dire che è rimasto sotto il getto dell’acqua per un bel pò, con la testa inclinata verso il basso e lo sguardo intento a fissare i rivoletti d’acqua sul pavimento.

 

E’ abbastanza combattuto ed agitato.
Il doversi sempre controllare in presenza di Newt sta diventando quasi doloroso, ma ha paura che esporsi potrebbe rovinare la loro amicizia. Non sa cosa fare, come comportarsi. Di certo non può andare dall’altro e dirgli ‘ehi, sono innamorato di te’ come se nulla fosse. Thomas sospira pesantemente, scrolla la testa come a scacciare quei pensieri e si riveste lentamente. Non ha fame, il suo stomaco è in subbuglio e ha intenzione di dormire per almeno dodici ore di fila.

 

“Sapevo che avresti saltato i pasti, per questo ho portato la cena da te. Hai bisogno di energie, Tommy.”

 

Sussulta alla voce di Newt e resta impalato sulla soglia della propria capanna. L’amico è seduto a gambe incrociate sul suo letto e lo fissa con un sopracciglio inarcato, accanto a lui un piatto con dello stufato fumante.

 

“Hai intenzione di restare lì per tutto il tempo come un pesce lesso?”

 

Thomas si riscuote a quelle parole e si affretta a richiudere la porta, decidendo che è più saggio e sicuro concentrarsi sul cibo anche se si sforza di mandar giù ogni boccone. Per tutto il tempo in cui mangia sente lo sguardo di Newt percorrerlo da capo a piedi, facendogli venire la pelle d’oca. Ed è talmente concentrato nel misurare le proprie reazioni che si accorge di aver ripulito il piatto solo quando l’altro glielo sfila gentilmente dalle mani per appoggiarlo sul tavolinetto poco distante.

 

“Tommy… stai bene?”

 

Il tono di voce con cui ora Newt gli parla è più cauto, tentennante, quasi preoccupato. Si da mentalmente dello stupido, lo sta spaventando per via delle sue paranoie idiote e illogiche.

 

“Scusa.. è che sono solo abbastanza stanco. Credo di essere fuori allenamento, correre tutto il giorno mi ha fatto a pezzi i muscoli.”

 

Constata, mugolando quando muoversi anche solo di poco gli provoca una fitta di fastidio ai muscoli delle braccia. Non si sente così dolorante dal suo primo giorno come velocista nel Labirinto e, all’epoca, si è allenato con Minho ogni giorno per avere una forma fisica perfetta. Ora il suo corpo non è più così preparato e l’essere quasi morto non rientra propriamente nel concetto di allenamento.

 

“Devi solo darti il tempo di recuperare pienamente. E se proprio ti senti indolenzito posso aiutarti a distendere i muscoli con un massaggio.”

 

Ridacchia divertito Newt, dandogli una leggera spintarella con la spalla e guardandolo con uno strano sorrisetto a cui Thomas risponde arrossendo e balbettando.

 

“C–cosa?”

 

Newt non gli risponde ma si limita a scrollare le spalle, come a voler sottolineare che non c’è nulla di strano in quella proposta. E lui si chiede se la sfumatura quasi maliziosa sia stata solo frutto della sua immaginazione, se abbia letto tre le righe qualcosa che in realtà non c’è. Eppure il corpo di Newt è pericolosamente vicino al suo, il respiro dell’altro gli solletica il viso e le dita premono sul suo braccio allentando la tensione nei punti in cui si sente più intorpidito.

 

Tommy…”

 

E’ solo un bisbiglio appena accennato ma è in grado di farlo tremare e chiudere gli occhi. Le dita del suo migliore amico risalgono fino alla spalla, si spostano a sinistra, premono sulla cicatrice sul petto e si fermano all’altezza del cuore che ora pompa velocemente contro la gabbia toracica. Thomas sente improvvisamente caldo, il sangue pulsa rapidamente nelle vene e non è sicuro di riuscire a controllarsi oltre. Le labbra di Newt si chiudono su una porzione di pelle poco sotto l’orecchio e i denti mordono leggermente la carne, questa volta lasciandolo a boccheggiare in modo piacevole.

 

“Newt..”

 

Mormora con uno strano piagnucolio strozzato, reclinando il capo e incurvando le dita attorno ai fianchi dell’altro. Ha solo il tempo di un respiro prima di sentire finalmente quelle labbra posarsi contro le proprie e incastrarsi perfettamente come due pezzi di un puzzle. E’ a quel punto che Thomas scatta, liberandosi dalle catene invisibili a cui si è aggrappato, e perdendo completamente il controllo.

 

Risponde al bacio con ardore, mordicchia il labbro inferiore di Newt e lo sente mugolare, cogliendo l’occasione per approfondire quel contatto. Le lingue si rincorrono, si intrecciano, esplorano, e così fanno le mani. Quelle del più grande si perdono in ciocche di capelli castani, le sue si infilano sotto la maglietta dell’altro per poi percorrere con i polpastrelli la linea di pelle nuda della spina dorsale. Newt si inarca a quel gesto, si tende contro il corpo di Thomas e poi lo spinge a ritroso sul letto, sovrastandolo con il suo corpo e ritagliandosi un posto tra le gambe del più piccolo.

 

I polmoni iniziano a bruciare per mancanza d’ossigeno e la bocca di Newt si stacca quanto basta per potersi rituffare sul collo dell’altro, la lingua che lappa lo stesso punto di prima, le labbra che succhiano la pelle fino a lasciare un segno ben visibile e difficile da coprire. Thomas stringe le ginocchia attorno ai fianchi dell’altro, il bacino che si muove in automatico creando abbastanza frizione da farlo gemere ad alta voce. Sono entrambi eccitati, può sentirlo distintamente dal modo in cui il più grande risponde ai suoi movimenti.

 

“Tommy…”

 

“Non voglio fermarmi.”

 

Lo interrompe prontamente tra un ansito e l’altro, sentendolo ridacchiare contro la sua clavicola. E’ sul punto di scusarsi, di lasciar andare quelle parole, ma si ritrova a gemere ancora una volta quando i fianchi di Newt iniziano a muoversi dal basso verso l’alto in un gesto fin troppo eloquente. Sente l’elettricità incendiare ogni fibra del suo corpo, il calore aumentare a dismisura per poi concentrarsi nel bassoventre, la fronte completamente imperlata di sudore. L’unica cosa che riesce a fare è andargli incontro, spingersi contro l’erezione di Newt e sentirlo gemere di rimando accanto al suo orecchio. Sa che entrambi non resisteranno a lungo, lo intuisce dal modo in cui il più grande gli artiglia le cosce scavando nella carne e tirandolo più vicino, lo sente dal modo in cui le corde vocali dell’altro emettono versi via via più bassi e rochi, lo vede dal modo in cui quelle iridi scure lo guardano come se Thomas fosse lo spettacolo più affascinante del mondo. Poche spinte ed entrambi cadranno oltre l’orlo del precipizio. La prima li porta a fissarsi negli occhi velati dal piacere, quelli color ambra del più piccolo che a malapena riescono a celare il turbinio di sentimenti. La seconda fa combaciare le loro fronti una contro l’altra, i respiri spezzati che si mischiano e le labbra socchiuse per incamerare aria. La terza è quella che li travolge del tutto, facendo esplodere nella loro testa miliardi di caldi fuochi d’artificio che scuotono i loro corpi con infiniti tremori, mentre fiotti di piacere liquido trasformano i pantaloni di entrambi in un caos appiccicoso.

 

Ti seguirei ovunque…

 

Sussurra Newt quando i tremori iniziano a scemare e la voce ritorna stabile. E Thomas allora capisce, finalmente ci arriva, afferra a pieno il significato di quelle parole, si lascia travolgere dalla felicità più pura e il suo sorriso diventa più luminoso del sole.

 

“Anch’io, Newt. Ti seguirei ovunque anch’io. Per sempre.”




 


Note dell'Autrice

E' la prima volta che scrivo una Newtmas, fin'ora mi sono sempre limitata a leggere nella sezione Maze Runner senza mai effettivamente scrivere. Tra l'altro sono anche anni che non scrivo nulla qui su EFP, il mio profilo probabilmente è pieno di polvere e muffa! Però è da un pò di giorni che avevo quest'idea in testa e così mi sono detta che fosse arrivato il momento di provarla e vedere cosa ne sarebbe venuto fuori. Inizialmente pensavo di dividere la storia in due parti, poiché 25 pagine di Word sono tante, ma si sarebbe perso qualcosa strada facendo quindi ho lasciato tutto così com'è. E niente, spero che l'idea sia buona e che la trama abbia un senso. 
Buona lettura! 
  
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