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Autore: Steffa    02/07/2009    4 recensioni
Privato del dolore grazie alle medicine che gli erano somministrate e senza la consistenza liquida del sangue che colava sull’unica mano che gli era rimasta, gli sembrava che gli arti fossero ancora al loro posto, credeva di poterne percepire la presenza proprio come quando ci si addormenta su un braccio e al risveglio quello formicola insensibilmente.
Poco per volta, poi, la sua mente era tornata, ma tutto quanto era ancora troppo perché potesse sopportarlo.

Quarta classificata al contest indetto da RoyEd 4Ever, aka Roy Mustung sei uno gnocco, "A Contest For The Images".
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alphonse Elric, Edward Elric, Roy Mustang
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Note: Bwhahaha, shiiii, mi piace scrivere di un Edward depresso e menomato…. XD Beh, la fic si svolge dopo la trasmutazione di Trisha, durante il periodo di convalescenza di Edward… ù_ù Che allegria ragazzi… *ç* Buona lettura!!



Looking Toward The Lighthouse


Alphonse sapeva che suo fratello Edward aveva avuto un periodo nero, quando erano stati piccoli.
Lui gli era rimasto accanto con quel suo nuovo corpo di ferro troppo grande per poter passare agilmente tra gli stipiti di una porta, troppo rumoroso per poter riempire le notti insonni con vagabondaggi senza meta.
Ricordava gli occhi vuoti che fissavano senza vederlo il muro davanti a lui, oppure le colline rigogliose di vita dopo le giornate piovose.
Ricordava la sua pelle divenire sempre più pallida, quasi trasparente, simile alla carta velina e aveva temuto che potesse sgretolarsi al minimo soffio di vento.
Ricordava la manica vuota e la gamba del pantalone cascante, grottesche visioni che facevano ancora male dopo anni.
Non avrebbe mai dimenticato le frasi spezzate che gli sfuggivano dalle labbra durante i sempre presenti incubi notturni, gli scatti febbrili di quel piccolo corpo, il sudore che gli imperlava il viso tirato in una smorfia.
Eppure lui non gliene aveva mai parlato, non si era mai confidato, probabilmente nel tentativo di preservarlo nella sua innocenza oramai comunque perduta.
Edward, da parte sua, portava quei ricordi sigillati nella mente dietro un muro di finta allegria; aveva tentato per anni di lasciarseli alle spalle, ma era giunto alla conclusione che non sarebbe stato possibile.
La notte, nonostante la spossatezza, non appena chiudeva le palpebre rivedeva quel mostro che lui stesso aveva creato, lo sentiva ricordargli insistentemente che la colpa era solamente sua e sempre lo sarebbe stata.
Quel periodo della sua infanzia era stato come un baratro scuro e profondo dal quale non si era mai chiesto lì per lì come avrebbe fatto ad uscirne, semplicemente lo viveva passivamente.
Era maneggiato dalla zia Pinako come se fosse stato una marionetta perché mangiasse quel minimo per non morire, lo lavava, lo vestiva, gli medicava le ferite dei moncherini.
Non ne aveva un ricordo preciso, ma per i primi giorni di convalescenza, sotto shock per ciò che era accaduto, non era riuscito a rendersi realmente conto d’aver perduto un braccio e una gamba.
Privato del dolore grazie alle medicine che gli erano somministrate e senza la consistenza liquida del sangue che colava sull’unica mano che gli era rimasta, gli sembrava che gli arti fossero ancora al loro posto, credeva di poterne percepire la presenza proprio come quando ci si addormenta su un braccio e al risveglio quello formicola insensibilmente.
Poco per volta, poi, la sua mente era tornata, ma tutto quanto era ancora troppo perché potesse sopportarlo.
Si era reso conto che quella immensa presenza sempre accanto a lui, altri non era che Alphonse, il suo nii-chan costretto senza un corpo a vivere come un’anima in un’armatura vuota.
Non avrebbe potuto provare dolore, non avrebbe potuto sentire il calore dei raggi solari né la fresca brezza del mattino.
Aveva pianto quella volta, silenziosamente sotto le coperte e per poco tempo, ma lo aveva fatto perché Alphonse non ne sarebbe stato in grado, glielo doveva.
Da allora i suoi occhi erano rimasti vuoti e freddi, asciutti e indifferenti per proteggersi da quel mondo che faceva troppo male.
Ascoltava senza sentirlo realmente Alphonse al suo fianco che gli parlava di mille argomenti inutili, mentre era sdraiato nel letto in quella stanza scura e con l’aria pesante, difficile da respirare, oppure seduto sulla sedia a rotelle che Winry aveva costruito con la zia, sulla soglia di quella casa che non era sua, senza interessarsi di quel mondo esterno, troppo vasto e troppo spaventoso.
Non provava alcuna necessità, non chiedeva mai nulla di più rispetto a quello che riceveva e probabilmente non avrebbe richiesto neppure quello.
Non lottava, non aveva energie per farlo, non aveva desideri.
Non aveva più aperto bocca per parlare, non rispondeva all’infinito ciarlare del fratello, ma mai lo avrebbe voluto da qualche altra parte, se solo si fosse deciso a pensarlo.
Probabilmente Alphonse era divenuto la sua ancora di salvezza, lo teneva collegato con la realtà, seppur debolmente.
A volte aveva visto anche Winry, lontana, seminascosta dallo stipite della porta, senza il coraggio di andargli vicino e rendersi conto che quegli occhi erano veramente vuoti, morti.
I giorni non avevano significato, tanto meno le ore, i minuti, i secondi.
Persisteva in un eterno presente.
Fu in un giorno uguale a tutti gli altri che accadde.
Alphonse lo aveva appena messo sulla sedia a rotelle, sollevando quel suo leggero corpo come se fosse stato riempito di piume.
La manica lunga della maglia, la destra, scendeva scomposta sin sul bracciolo, non riempita da ciò che vi sarebbe dovuto essere e così faceva anche la gamba sinistra dei pantaloni.
Teneva il capo chino per il semplice motivo secondo il quale non vedeva l’utilità di mantenere lo sguardo alto, più intento a fissare il moncherino nascosto.
Non prestò nemmeno attenzione al rumore della porta che veniva aperta con forza e una voce limpida gli penetrò nelle orecchie senza che lui registrasse le parole che pronunciava.
Pochi attimi, passi pesanti e affrettati e ancora quella voce penetrante, più forte nei suoi timpani.
Quando sentì una mano stringergli il colletto della maglia, sollevandolo per metà dalla sua postazione, poté vedere chi era stato a fare tutto quel baccano: un uomo con scuri capelli, pelle candida, occhi d’antracite con un taglio assottigliato.
Registrò quelle informazioni distrattamente, pensando che quella pelle sembrasse riflettesse la luce del sole come un faro, mentre quello lo scrollava urlandogli chissà che cosa in faccia.
Già, parlava, forse di ciò che aveva fatto, dunque era arrivato da lui per accusarlo, come era giusto che fosse.
Sentì Alphonse accanto a lui che pregava quello sconosciuto di perdonarli, usando quel tono che solitamente accompagnava calde lacrime di rammarico.
Ma Alphonse non poteva più piangere.
Ricadde sulla sedia a rotelle malamente, un poco scostato dove la mancanza del braccio gli impediva un appiglio.
Furono rapide le mani fredde e amorevoli del fratello che lo rimisero composto.
Poteva sentire la pelle bruciare, là, dove immaginava l’uomo lo stesse fissando, guardava il corpo di un peccatore, lui che aveva condannato il suo dolce nii-chan ad un’esistenza misera.
Durante quella infinita passività era quasi giunto alla conclusione certa che Alphonse lo odiasse per ciò che gli aveva fatto, eppure era sempre al suo fianco, anche in quel momento mentre erano riuniti attorno al tavolo con zia Pinako e quello sconosciuto.
Fu come se avesse udito per la prima volta in vita sua, bevve le parole che uscivano sicure e ammaliatrici dalle sue labbra come se fossero acqua fresca in un deserto.
L’alchimia era sempre stata il centro di tutto e vi sarebbe tornata da quel giorno, poiché quello sconosciuto gli aveva lanciato una lenza con un’esca succosa e lui aveva abboccato senza esitazioni.
Ridare ad Alphonse il suo corpo.
Cominciava a credere di poterci riuscire se si fosse impegnato, se avesse studiato più di quanto non avesse già fatto.
Era tornato ad aprire gli occhi sul mondo, vide la vecchia zia, mentre rispondeva con parole amare, vide l’ombra che suo fratello proiettava con il suo grosso corpo sul pavimento e vide di nuovo l’uomo nella sua divisa blu.
Se ne stava diritto, seduto compostamente, l’espressione contenuta, ma comunque infervorata per la causa che stava sostenendo.
Sembrava che volesse indicargli il cammino più sicuro da seguire per raggiungere i propri risultati.
Lo paragonò distrattamente per la seconda volta ad un faro che, nella notte scura e tempestosa, mostrava la via ai vascelli sperduti nella tormenta.
Edward era rimasto sballottato in ogni dove, era stato ferito molto più profondamente di quanto il suo corpo potesse mostrare, ma da quel momento aveva scorto un barlume nel buio.
Una scintilla lontana che prometteva sicurezza, o per lo meno una possibilità di salvezza.
Fu da quel momento, solo nella stanza con la puzza di vissuto, l’aria immobile e le unghie della mancina affondate nel bracciolo della sua sedia, fu esattamente in quel momento che cominciò a lottare per la sua vita e per quella di Alphonse, guidato da un lume lontano.
Ma Edward sapeva dove volgere lo sguardo per vederlo, sapeva dove si trovasse il suo obbiettivo, semplicemente avrebbe dovuto raccogliere le energie e seguire la strada.




Angolino dell'autrice
Scritta in una notte insonne, probabilmente lo si nota.... -.-"
Sinceramente, però, mi piace la mia piccolina, soprattutto mi piace far star male Edward... Son sadica ormai.... *gira in tondo*
Cooomunque...
4° classificata al concorso indetto da RoyEd 4Ever, aka Roy Mustung sei uno gnocco!! *.*
Son felice della mia postazione, pensavo di essere moooolto ma molto più in basso! XD
Allora... A shi, l'immagine a cui dovevo fare riferimento, eccola qui!

E il giudizio della carissima giudice!! ^.^
Commento:
Molto carina, senz'altro e con esattamente due errori grammaticali! xD
Cioè, in realtà è sempre lo stesso errore ripetuto per due volte ma hai un voto altissimo in grammatica, perciò non preoccuparti!
Se ti stai chiedendo qual è questo fantomatico errore è quello di mettere la "d" attaccata alla preposizione semplice. xD
Te l'ho spiegato anche nel precedente commento all'altra storia e mi sembra che tu abbia fatto VERAMENTE dei passi da gigante!
Hai capito che non lo dovevi fare e questo è il fantastico risultato! ^^
Comunque sia, la storia è abbastanza originale, lo stile è molto chiaro e limpido, scorrevole...
Per quanto riguarda l'utilizzo dell'elemento mi hai preso un pochetto per la gola in quanto il mio personaggio preferito è Roy - xD - e definirlo un faro - un BELLISSIMO faro xD - mi ha fatto praticamente brillare gli occhi! *_*
Ma poi sono ritornata in me! xD
Comunque sia, l'unico problema di quel punto è che dovresti renderlo un pochino più chiaro al lettore: io sapevo che avevi scelto quell'immagine ma un estraneo che la legge non ci arriva facilmente, perciò... ^^ aggiungi solo qualche frase che lo ricorda di più.
La storia mi è piaciuta, brava! ^^

P.S: sono io la pazza che vede RoyEd dovunque o ce n'era un po'? xD


- 9,8 punti alla grammatica;
- 8 punti all'originalità;
- 9 punti per lo stile;
- 8,2 punti per l'utilizzo dell'elemento immaginoso;
- 4 punti al giudizio personale.


Il bannerino è sempre fantastico!!! ^w^


Kiss
  
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