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Autore: nikita82roma    15/04/2018    3 recensioni
Inizio Sesta stagione. Beckett è Washington, Castle a New York.
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Rachel McCord, Rick Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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Quella volta nemmeno per un uomo con le sue conoscenze e le sue risorse era stato un compito facile. Aveva chiamato tutte le persone che conosceva, tutte quelle che gli dovevano un favore, tutti i suoi agganci fino a quando non era riuscito a trovare un aereo disponibile. Un’ora e mezza dopo aver ricevuto quella chiamata Richard Castle era appena decollato da New York, un volo di un’ora o poco più, direzione Washington. Aveva messo piede al loft, nemmeno il tempo di farsi una doccia e prepararsi per l’arrivo di Kate che doveva essere quella sera stessa che quella telefonata aveva cambiato tutti i piani. Non si vedevano da un mese e mezzo, un’infinità per loro che negli ultimi anni avevano convissuto praticamente sempre braccio a braccio, condividendo la quotidianità del lavoro e da un’anno anche molto di più. Non poteva pensare a quando era stata l’ultima volta che non si erano visti per tanto tempo, quei ricordi erano sempre troppo dolorosi, in quel momento ancora di più. Sentì un nodo in gola e quando l’aereo incontrò nella sua salita un vuoto d’aria si sentì incapace di respirare. Imporsi di stare calmo era inutile, in realtà non era mai stato tanto agitato in vita sua: il non sapere era terribile, il “mi dispiace” freddo e distaccato con il quale avevano chiuso la telefonata ancora di più. Gli sembrava che quell’aereo andasse troppo piano, doveva almeno seguire il ritmo dei battiti del suo cuore che gli sembrava potesse scappare via dalla gabbia toracica da un momento all’altro.
Un’ora di volo che a Rick era sembrata una vita, nella quale aveva ripercorso ogni momento passato con Kate, dal loro primo movimentato incontro a quell’ultima notte passata insieme un mese e mezzo prima. Poi c’era stato il lavoro di lei, il suo tour e non c’era stato più tempo per stare insieme. Si erano messi in secondo piano, dietro al lavoro, dietro al resto della vita, non si erano più visti e non riuscivano nemmeno a sentirsi per telefono quanto avrebbero voluto, tra gli impegni prolungati di lui, i turni di lei e qualche fuso orario di troppo che li divideva ancora di più. Pensava che non sarebbe stato facile, non che sarebbe stato così difficile.
Un’ora di volo nella quale Rick capì che le priorità nella vita dovevano essere altre, che tutto quello che era stato importante aveva perso di valore davanti a Kate, davanti a loro, e si sentiva uno stupido per non averlo capito prima, per aver sprecato ancora del tempo che nessuno gli avrebbe mai più ridato. Perché era rimasto a New York? Perché non era andato con lei a Washington? Che senso aveva rimanere separati quando lui avrebbe potuto fare il suo lavoro in qualsiasi parte del mondo, poteva scrivere ovunque. Malediva quel tour che aveva accettato di fare che lo aveva costretto a saltare due fine settimana in cui si sarebbero potuti vedere, in cui lei era libera ma lui era a migliaia di chilometri di distanza a donare sorrisi forzati a chiunque gli si presentasse davanti e invece voleva vedere solo lei. Non ne valeva la pena. Non c’era contratto, notorietà, denaro che potesse comprare il suo tempo, quel tempo che aveva buttato via e solo ora si rendeva conto di quanto fosse importante.
Non poteva finire così, non era giusto, non dopo tutto quello che avevano fatto per stare insieme. Non poteva finire adesso, quando sentiva che avevano ancora tutta la vita davanti per essere felici. Doveva fare qualcosa ed invece si sentiva prigioniero di quella scatola volante che non volava abbastanza veloce.
 
Si era precipitato fuori dall’aeroporto, aveva dato l’indirizzo al primo taxi preso al volo, passando davanti alla fila di persone che protestavano, ma aveva giustificato il suo gesto con un’urgenza, una questione di vita o di morte e strinse i denti pensando che in fondo era proprio così. Capì di essere arrivato quando il taxi si fermò davanti all’intesso ed il tassista si voltò  a chiedere con non poca insistenza il compenso per la sua corsa. Rick pagò ed uscì rimanendo fermo per qualche istante davanti all’entrata, come se l’urgenza di arrivare fosse finita il momento stesso in cui lo aveva fatto, ora c’era solo un altro sentimento che lo aveva avvolto, la paura. Che fosse stato tutto inutile, che fosse stato troppo tardi.
- Richard Castle?
Si voltò di scatto quando sentì chiamare il suo nome. Una donna che avrà avuto più o meno la sua età gli si avvicinò a passo deciso. Probabilmente lo aveva osservato dall’altra parte del parcheggio da quando era arrivato. La vide allungare la mano per salutarlo e lui la strinse, non potendo non notare le macchie di sangue sul polsino della camicia bianca.
- È lei che mi ha chiamato? - Chiese mentre il suo stomaco si stringeva in una morsa.
- No, la mia collega. Io sono l’agente Rachel McCord, la partner di Beckett.
- Oh… - Riuscì solo a dire abbassando lo sguardo. Così era quella la sua partner, pensò, quella che aveva preso il suo posto.
- Mi segua, l’accompagno.
La voce della donna era dura. Sembrava che le importasse molto poco di tutta quella situazione e lui si sentì così in soggezione da non riuscire a replicare. Come un automa la seguì all’interno dell’edificio.
Quell’ospedale non era diverso da tutti gli altri ospedali. Non era diverso da quello dei suoi ricordi più dolorosi. Nel respirare il tipico odore di disinfettante, intenso e pungente, deglutì dolorosamente, cercando di ricacciare indietro tutto quello che non doveva ricordare, ma fu un compito invano. Non si dissero una parola nemmeno nello stretto spazio dell’ascensore che avevano preso per raggiungere uno dei piani più alti dell’edificio, Rick perché troppo occupato a combattere con i suoi ricordi, l’agente perché non sembrava un tipo molto propenso alla conversazione. L’unica cosa che riuscì a pensare fu come Kate riuscisse a lavorare con una persona del genere che le sembrava così diversa da lei che non sarebbe mai potuta essere così fredda ed impassibile, nemmeno per una collega che conosceva da pochi mesi.
La donna fece un cenno ad uno degli agenti che bloccava l’accesso ad un corridoio e questi li lasciarono passare e poi finalmente si fermò.
- La stanno ancora operando. Così mi hanno detto poco prima del suo arrivo.
- Cosa è successo?
- Un’azione di routine. L’agente Beckett era davanti, è stata colta di sorpresa da un complice dell’uomo che stavamo cercando, probabilmente è stata poco prudente…
- Kate non è poco prudente! - Protestò Castle. Detestava già quella donna. Come poteva dare la colpa implicitamente a Beckett? E dove era lei? Era la sua partner, doveva starle vicino, dovevano guardarsi le spalle a vicenda, come aveva sempre fatto lui!
- Evidentemente lo è stata, altrimenti non sarebbe qui adesso. - Rispose l’agente con estrema tranquillità, mostrando un sentimento totalmente opposto a quello di Castle che si torturava le mani per non risponderle o sarebbe esploso. Sentì la rabbia montargli e riportare a galla ricordi e sensazioni che avrebbe voluto dimenticare per sempre. Pensò alla reazione rabbiosa di Josh contro di lui e per la prima volta lo capì. Lui era il suo partner e non era stato in grado di proteggerla quella volta, così come l’agente McCord non l’aveva fatto quel giorno. Il fatto che lui se avesse potuto si sarebbe preso quel proiettile al posto di Kate era solo un dettaglio secondario.
- Non mi fraintenda, Beckett è una brava agente, solo che è ancora troppo istintiva. - Rachel McCord sembrò aver percepito il disagio di Castle e cercò di correggere il tiro. Era stava evidentemente troppo dura in quel contesto, se ne rendeva conto, ma di solito non era lei ad occuparsi di queste cose, trattare con amici e familiari di vittime non era il suo compito. Rimase in silenzio in attesa di una reazione di Castle che si era accomodato su una sedia decisamente provato, pensando che non doveva vedere Beckett come una vittima.
- L’istinto è sempre stata una delle sue migliori qualità, insieme alla capacità di mettersi nei panni delle famiglie delle vittime. - Le rispose Rick fissando le fughe delle mattonelle a terra e l’agente fu colpita da come lui era andato a toccare proprio quel punto dove loro erano così diverse. - Avrà modo di conoscerla meglio di capire quanto valga. - Aggiunse lo scrittore tornando a fissare l’agente. Aveva bisogno di parlare di lei, aveva bisogno che quella donna sapesse quanto Kate Beckett fosse speciale, perché era convinto che non se ne fosse ancora resa conto e lui questo non poteva accettarlo.
In quel momento uscì un dottore che si avvicinò ai due. Rick scattò in piedi come una molla, cercando di leggere nel viso senza alcuna espressione particolare del medico, qualche indizio su quello che gli avrebbe detto. Non aveva fatto in tempo a prepararsi al peggio, distratto da quella conversazione inattesa con la partner di Beckett ed aveva paura di quello che avrebbe sentito.
- Come sta Kate? - Chiese prima che l’uomo si fosse avvicinato abbastanza. Questo aspettò di essere davanti a loro prima di rispondere e quei pochi passi sembrarono a Rick una distanza incolmabile per la sua ansia di sapere.
- Considerando quello che ha subito bene. I tre proiettili non hanno colpito nessun organo vitale, che è quasi un miracolo. Ha avuto una forte sofferenza cardiaca durante l’intervento che ci ha fatto preoccupare, anche vista la sua situazione pregressa, ma ha risposto bene.
- È fuori pericolo? - Chiese Rick interrompendolo.
- L’intervento è andato bene, questo però ancora non possiamo dirlo. Dobbiamo aspettare che si risvegli e valutare il suo quadro generale. Tra poco la porteranno nella sua stanza e potrete vederla, ma ho dato istruzioni per lasciarla sedata per le prossime ore, per dare modo al suo corpo ed al suo cuore di riprendersi. Ora scusatemi ma devo andare. - Il dottore li salutò frettolosamente, non lasciando spazio a Castle di fargli le mille domande che avrebbe voluto.  Si passò una tra i capelli e fece un lungo sospiro che se non era di sollievo era qualcosa che ci andava molto vicino.
- Beckett è forte ed è sicuramente una delle migliori agenti con le quali ho lavorato, ha dimostrato anche in questi pochi mesi tutto il suo valore ma… anche i suoi limiti. - Aggiunse la McCord.
- Limiti? - Rick stava tornando a innervosirsi, le sembrava forse quello il momento di parlare di queste cose? Di parlare di lei così? Le avevano appena sparato perché lei, la sua partner, non le era stata abbastanza vicino ed era Kate ad avere dei limiti? Non poteva sopportare che dicesse quello di lei.
- Beckett vuole sempre cercare la verità, non sa quando fermarsi, ma noi non possiamo sapere tutto fa parte del nostro mestiere e lo dobbiamo accettare. Così come dobbiamo accettare che ci sono alcune volte situazioni in cui non si può avere giustizia per tutti, perché ne va della sicurezza della collettività e non si può mettere a rischio per un singolo. Sono danni collaterali che deve imparare ad accettare, ma non mi sembra propensa a farlo, non ancora almeno.
- Quelli che per lei sono limiti, sono invece quello che rende Beckett speciale, diversa da tutti gli altri agenti, agente McCord. - Le alzando il tono della voce più di quanto non avesse voluto realmente fare. Non voleva intromettersi nel nuovo lavoro di Kate e non voleva crearle problemi, glielo aveva promesso e questa volta intendeva rispettare la sua parola, ma non poteva permettere che qualcuno parlasse male di lei e non la capisse fino in fondo. Sentiva che era compito suo spiegare al quella donna ed al mondo se fosse stato necessario quanto grande fosse Kate Beckett.
- È proprio questo il problema, signor Castle. Ma so che lei non lo capirà, perché lei ha idealizzato l’agente Beckett e forse non riesce più a distinguere la persona vera dal suo personaggio.
- Mi creda, so benissimo chi è Kate Beckett e chi è Nikki Heat, e qualsiasi personaggio io possa creare non sarà mai al suo livello. - Castle cominciava a detestare quella donna e non capiva perché in quel momento lei doveva parlare così di Kate. Si sentiva impotente ed il suo nervosismo aumentava mentre serrava i denti e stringeva i pugni.
- È bello vedere quanto lei stimi l’agente Beckett, signor Castle e lo faccio anche io, anche se  so che le può sembrare strano. Riconosco tutte le sue qualità, ma non è detto che queste qualità lo siano se applicate ad ogni tipo di lavoro. L’agenzia non è la polizia, ci sono regole diverse, protocolli diversi e diverse finalità. - Il tono della McCord sembrava diventato più conciliante, ma a Castle non bastava.
- Cosa vuole dire?
- Che la voglia a tutti costi che ha sempre Beckett di arrivare alla verità e di fare giustizia, per tutte le parti in causa, è qualcosa di speciale per un detective della omicidi, ma non lo è per noi, che dobbiamo sapere quando fermarci, anche se la cosa non ci piace. Quando vent’anni fa sono entrata all’FBI ero animata dagli stessi sentimenti suoi, poi ho capito che in questo lavoro dovevo metterli da parte, perché siamo parte di un ingranaggio più ampio che per funzionare bisogna sapere quando lasciar perdere, per il bene di tutti.
- Perché mi sta dicendo questo? Perché adesso?
- Perché è evidente che lei ha una grande influenza su Beckett, altrimenti non sarebbe qui. So che ci sono delle voci ai piani più alti, su di lei… Penso che lei potrebbe consigliarla per il meglio, appena si riprende…
- Beckett voleva questo lavoro. Era la sua grande occasione. È la sua grande occasione. Io non ho nulla da consigliarle. Anzi l’unica cosa che posso consigliarle è di andare avanti di non piegarsi e di dimostrare il suo valore e tutti i suoi valori. Ed io non le dirò nulla di diverso da questo.
- Sa mi aveva sorpreso che l’agente Beckett avesse indicato lei come primo nome della lista da chiamare in caso le fosse accaduto qualcosa ed anche che lei avesse raggiunto Washington così velocemente, ma adesso, da come parla di lei, mi è tutto più chiaro.
- Lista? Perché chi pensava che chiedesse di chiamare? - Chiese Rick colto di sorpresa.
- Non so, suo padre o magari il suo misterioso fidanzato o un ex collega… - Una telefonata interruppe l’agente McCord che si allontanò di qualche passo da lui.
- Già… il suo misterioso fidanzato… - ripetè Castle tra i denti.
- Devo andare. Tornerò appena Beckett si sarà svegliata.
 
La stanza di Kate era fin troppo illuminata ma lei non se ne accorgeva. Il suo sonno era profondo, indotto dai farmaci per non affaticarla ancora di più.
Si mise seduto sulla piccola sedia vicino al suo letto ed in un gesto istintivo le prese la mano, stando attento a non toccare i vari tubicini collegati ai macchinari che aveva tutti intorno. Si accorse che non era pronto per essere lì quando cominciò a piangere senza riuscire a fermarsi e la paura, l’ansia e la rabbia che aveva cercato di tenere a bada in quelle ore esplosero tutte insieme. Lei, invece, aveva un’espressione che sembrava serena e questo invece che rassicurarlo lo fece stare ancora peggio. Si diede dello stupido da solo, pensando che non le sarebbe stato di nessuna utilità così. Le accarezzò il viso e la fronte cercando di essere il più lieve possibile in ogni suo tocco. Sapeva che tutto quello era per il suo bene, che doveva pazientare, ma sperava che aprisse gli occhi da un momento all’altro, aveva un bisogno fisico di vederla aprire gli occhi, forse solo così sarebbe stato veramente tranquillo. Doveva rimanere in attesa, invece, non essere impaziente, doveva farlo per lei.
- Buonasera, qui ci sono gli effetti personali dell’agente Beckett, mi hanno detto di consegnarli a lei. - Un’infermiera era entrata nella stanza con una busta trasparente in mano. Rick si voltò verso di lei prendendo il pacchetto annuendo, senza nemmeno osservarlo, per poi tornare a dare le sue attenzioni a Kate, ma la donna non se ne andava, anzi rimaneva lì in piedi come se fosse in attesa di qualcosa. - La terremo sedata per le prossime 24 ore, può anche andare a casa, se la situazione dovesse cambiare la aggiorneremo.
Di fatto lo stava mandando via, ma non trovò nemmeno la forza di protestare, cosa che avrebbe fatto in qualsiasi altra circostanza, rimanendo lì anche contro la volontà di tutto l’ospedale. Si alzò e si asciugò con il dorso della mano il viso rigato dalle lacrime, diede un bacio sulla fronte a Kate e poi uscì seguito dalla donna. Riuscì solo a darle un biglietto con il suo numero di telefono, anzi gliene lasciò più di uno, per sicurezza, facendole promettere che l’avrebbero chiamato per qualsiasi cosa, in qualsiasi momento.
Rimase seduto per un po’ nel corridoio con quel pacchetto in mano, c’erano i vestiti di Kate, la camicia sporca di sangue con i fori ben visibili dei proiettili. Sentì il suo corpo tremare ed era convinto che se non fosse stato seduto sarebbe caduto. Quando si fu calmato prese da quella busta solo i suoi documenti, l’orologio di Jim, la collana con l’anello di Johanna e quello che le aveva regalato pochi mesi prima, tutto il resto lo buttò nel primo cestino che trovò.
Non sapeva dove andare, non ci aveva pensato. Uscì dall’ospedale e vagò senza una meta precisa trovandosi a ripensare a tutto quello che gli aveva detto Rachel McCord poco prima. Aveva odiato quel lavoro e quell’offerta che Kate gli aveva tenuto nascosta, aveva odiato quella città che la teneva lontano da lui, ma adesso odiava ancora di più il fatto che qualcuno dubitasse di lei e voleva con tutto se stesso che lei si riprendesse il prima possibile e poi dimostrasse a tutti quanto si sbagliavano. Che lei non solo era adatta per quel lavoro ma che lo avrebbe fatto a modo suo diventando decisamente più brava di tutti loro che la giudicavano. Lui non aveva dubbi su questo, Kate avrebbe potuto fare qualsiasi cosa avesse voluto ed aveva fortemente voluto quel lavoro e lui avrebbe fatto di tutto per aiutarla ed ora sapeva anche come. Fermò il primo taxi che riuscì a trovare con un nuovo obiettivo bene in mente.
 
Erano passate più di ventiquattro ore. Trentasei, per la verità, quando lo avevano chiamato per dirgli che si era risvegliata. Era stato lì fino a poche ore prima, poi lo avevano di nuovo mandato via. Era appena rientrato nell’hotel che aveva trovato vicino l’ospedale, si era riposato appena qualche ora, e poi era corso da lei. Arrivò davanti alla porta della sua stanza che aveva il fiatone, cercò di calmarsi prima di entrare, voleva essere quantomeno presentabile.
Aprì la porta e fece un passo incerto verso l’interno. Non sapeva in che stato l’avrebbe trovata, non sapeva nemmeno cosa le avrebbe detto. Forse avrebbe dovuto portarle dei fiori, pensò vedendo la stanza vuota e spoglia, ma no, era meglio di no, l’ultima volta non era stata una grande idea.
- Castle… - sentì la voce flebile di Kate chiamarlo e non esitò a raggiungerla. Beckett allungò una mano verso di lui, che subito raccolse tra le sue, mentre riprendeva posto su quella sedia che già lo aveva ospitato per molte ore.
- Ciao Beckett. - Le disse trattenendo a stento l’emozione.
- Sei qui… - Gli disse sorpresa di vederlo, sforzandosi di sorridere.
- Tu non sei venuta a New York per il nostro week end ed allora ho pensato di venire io. - Provò a sdrammatizzare non riuscendo a staccare gli occhi dai suoi.
- Grazie
- E di cosa?
- Di essere qui. Stavo morendo dalla voglia di vederti dopo tutto questo tempo. - Le disse provando ancora a sorridere per lui.
- Non devi fare sempre tutto alla lettera, Beckett. - Sapevano entrambi cosa stavano facendo. Provavano a sdrammatizzare per non affrontare la realtà di quella situazione che avrebbe voluto dire troppe che cose che non sapevano se erano in grado di sostenere. Kate chiuse gli occhi e Rick istintivamente strinse di più la sua mano, e lei li riaprì subito tornando a guardarlo. Leggeva nel suo sguardo tutte le paure che lo avevano attraversato, avrebbe voluto poterlo rassicurare, dirgli che stava bene, che non doveva preoccuparsi, ma non riuscì da dire alcunché, mentre lui le accarezzava il dorso della mano con il pollice facendo leggeri movimenti circolari.
- È un modo per dirmi che vorresti baciarmi? - Gli chiese guardando le loro mani. Lui non sembrò capire subito, poi si ricordò di quello scambio al distretto i primi tempi che stavano insieme e sorrise anche lui.
- In effetti sì, vorrei. - Ammise
- Non c’è niente che ti impedisce di farlo. - Lo voleva tanto anche lei, più di quanto avesse realizzato fino a quel momento.
- Potrebbero scoprire che sono il tuo fidanzato misterioso. - Bisbigliò lui come se ci fosse qualcuno che li stesse spiando.
- È importante per te? - Fu lei a stringere ora la mano di lui, per quel che le sue forze le permettevano, avvicinandolo a se.
- No. Non lo è.
Rick appoggiò le labbra su quelle di Kate, quel contatto non diventò subito un bacio, voleva assaporare la sensazione delle loro bocche vicine, del suo respiro nel suo, avrebbe voluto farle capire quanto avesse avuto paura di perderla ancora, prima di perdersi lui nel bacio più dolce che si erano mai scambiati. Appoggiò poi la fronte su quella di lei, accarezzandole il volto.
- Ho avuto paura, Castle. - Gli confessò Kate appena si fu ripresa anche lei da quel momento e sentire quelle parole per lui fu una doccia gelata. - Ancora una volta ho avuto paura di morire e l’unica cosa a cui stavo pensando eri tu. Non volevo lasciarti, non adesso… non così…
- Kate, non lo dire, non ci pensare adesso… è tutto finito… ok? - Provò a rassicurarla e a rassicurarsi.
- Questo lavoro non è più importante di te… di noi. Mi dispiace se lo hai pensato, se ho fatto in modo che tu lo pensassi… io… volevo solo avere un’occasione per fare qualcosa di importante ma… Non vale così tanto… Non vale noi… - Provò a scusarsi mentre Rick le ripeteva che non doveva sforzarsi, non doveva parlare, non doveva dargli spiegazioni, ci sarebbe stato tempo e modo in seguito, ma lei non era dello stesso avviso. Sembrava ne avesse la necessità in quel momento.
- Lo so. È il tuo lavoro, Kate. L’ho capito.
- Ma tu non sei felice di questo.
- Io non sono felice di non poterti stare vicino, sempre. Di non potermi addormentare ogni notte vicino a te, di dover stare tanto tempo senza vederti. Ero abituato bene, a stare tanto tempo con te.
Kate si sporse cercando il volto di Rick, lui lo capì e le si avvicinò e lei bramò il contatto con lui. Mancava anche a lei, più di quanto avesse mai voluto ammettere a se stessa. Le era sempre mancato terribilmente tute le volte che non si erano visti per molto tempo, anche quando non stavano insieme, anche quando era stata lei a porre distanza tra loro.
- Mi dispiace… - Gli sussurrò ancora mentre lui le baciò la fronte accorgendosi di quanto fosse calda in quel momento. Provò ad alzarsi per avvisare un’infermiera, per chiedere se fosse normale, ma appena lei lo percepì lo fermò. - Non te ne andare, per favore.
- Non me ne sto andando. Sei calda, Kate… - Le disse appoggiando la mano sulla sua fronte.
- Una volta eri felice quando lo dicevi.
- Una volta queste pessime battute le facevo io, e tu volevi uccidermi per questo.
- Mi sono mancate anche le tue pessime battute, Castle. - Ammise ancora.
- Ho preso un appartamento qui a Washington, per noi. Quando starai bene lo andremo a vedere e se non ti piacerà ne sceglieremo un altro insieme. Non voglio più perdere tempo Kate, non voglio più stare senza di te, senza vederti per tutto questo tempo. Io posso scrivere ovunque e tu… tu devi continuare a seguire il tuo sogno, la tua grande occasione. - Le disse infine rompendo gli indugi.
- Sarei tornata a New York. - Ammise lei dopo un momento di vero stupore per quello che le aveva detto Castle, faticando ancora a crederci.
- Il tuo lavoro è qui. Il mio è ovunque sei tu. Sempre.
   
 
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