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Autore: PiscesNoAphrodite    20/04/2018    8 recensioni
Pisces si approssimò dinanzi al discepolo e materializzò una rosa che comparve nel palmo della sua mano, avvolta dall’aura che pervadeva lui stesso. Annusò il profumo emanato dal fiore per porlo tra i capelli del ragazzo biondo; il quale avvertì, a quel contatto, una repentina sensazione di svuotamento, di liberazione da ogni sentimento negativo che lo abbandonò in luogo di una profonda tristezza.
***
(In questa OS, nella quale compaiono Aphrodite e Misty come protagonisti, c'è un nesso con la precedente che ho scritto: “L'angelo della morte”, per chi l'avesse letta)
-Disclaimer: i personaggi e l'universo descritti in questa storia, realizzata senza scopo di lucro, non mi appartengono ma sono proprietà di M.Kurumada.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hound Asterion, Lizard Misty, Pisces Aphrodite
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'La bellezza della Giustizia '
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Santi di Athena


 


 

Le rose rosse ricoprivano la scalinata che conduceva al Tredicesimo Tempio, alla stregua di un sodalizio tra il custode della Dodicesima Casa e la suprema autorità del Santuario; sbocciavano, proliferando sulla superficie ostile in virtù della potente emanazione del cosmo del Santo di Pisces. Una visione ammaliante, un sinistro e ingannevole preludio di morte.


 

La nobile figura di Aphrodite si delineava, solitaria, sullo sfondo, in contemplazione della distesa scarlatta; indossava vesti usuali al Santuario che rievocavano le consuetudini della tradizione greca. La sua indole era schiva, ostile, come il clima inospitale delle desolate lande della Groenlandia in cui si era formato. Sembrava non rimpiangere l'assenza della routine che colmava la vacuità delle sue lunghe giornate, in quell'epoca di pace. Il discepolo aveva ottenuto la sua armatura e ormai s'incontravano di rado, se non motivati da qualche onere.

Cinse lo stelo di una rosa tra le dita, pensieroso, la annusò per poi sistemarla tra i capelli accennando un sorriso; era un gesto insolito, che in altri tempi avrebbe rifuggito con sdegno, ma gli sovvenne rivolgendo i propri pensieri a qualcuno a lui caro.


 

***


 

L'Arena, dove si svolgeva l'addestramento quotidiano, era il luogo di ritrovo più frequente, ma non solo quello, poiché vi era una condivisione costante della quotidianità e mai un momento di quiete in cui rimanere in pace con se stessi. Misty riusciva a comprendere il volontario isolamento di Aphrodite, il quale trascorreva gran parte del tempo in solitudine nella vastità del suo Tempio. Anche in questo era simile a lui; amava la desolazione di quel luogo, il profumo delle rose, il silenzio delle mura millenarie in cui l'unico rumore a udirsi era l'eco dei suoi passi. Nutriva po' d'invidia per quella posizione privilegiata, ma nonostante tutto doveva accettare la sua vita, sforzarsi di trovarvi una realizzazione; non l'aveva scelta ed era il risultato di un percorso, di un imperscrutabile disegno del fato.

Sembrava distinguersi dagli altri, pur indossando la medesima, asettica, divisa del Santuario che rendeva all'apparenza tutti uguali. Splendeva di luce propria, di superba eleganza. Rifuggiva i loro modi, detestava la tendenza a insudiciarsi nella polvere, quel modo di allenarsi e contendere corpo a corpo. I Santi d'Oro si elevavano, invece, come pervasi da un'aura mistica e nobile, soprattutto Aphrodite.

Misty non si esprimeva verbalmente, tuttavia tali pensieri sembravano scaturire dal distacco con il quale si relazionava nei confronti dei suoi pari; non era realmente introverso, ma chiuso in un suo mondo, barricato entro un recinto invalicabile.

Assorto, si soffermò a osservare la struttura in forma di ellisse dell'edificio che sorgeva adattandosi al declivio naturale del terreno e sembrava quasi concepito come un ibrido di stili architettonici: la facciata era movimentata da archi, lesene con funzione decorativa, e colonne portanti sormontate dai capitelli dei tre ordini, i quali nell'antichità alludevano alle tre classi sociali. Un connubio tra Teatro greco e Anfiteatro romano. Non ci avevo mai pensato prima d'ora, dedusse. Vantava una buona cultura, unitamente all'amore per l'arte e per tutto ciò che evocava armonia e bellezza.

Il Santo d'Argento si avviò, in seguito, verso l'area più interna dell'Anfiteatro; attraversò i vari settori giungendo nell'arena per porsi in disparte come sempre, e assistere agli allenamenti dei suoi pari senza partecipare. I suoi pensieri vagavano ancora, erranti, mentre rivolgeva ai compagni d'armi un vacuo sguardo di tanto in tanto. Non nascondeva il proprio disinteresse; sopraffatto da una noia mortale, sembrava essere molto più coinvolto da se stesso. Si accostò con le spalle al muro, rigirando la solita ciocca di capelli tra le dita: era incantevole e sapeva di esserlo. Quell'atteggiamento, del tutto spontaneo, ebbe l’effetto di catalizzare l'attenzione degli altri su di lui.


 

“L'efebo del Santuario. Il Santo della Lucertola... Hai paura di sporcarti?”


 

Misty sgranò gli occhi chiari, quella voce lo destò dai suoi pensieri. Chi osava rivolgersi a lui in quel modo? Sebbene nella provocazione vi fosse un fondo di verità, nessuno avrebbe dovuto usare il nome della costellazione di riferimento di un Santo, per additarlo con l'intento di deriderlo.

Algol... un bastardo che si ostina a non voler riconoscere la mia superiorità. Un essere malvagio che non si fa remore nel tramutare in pietra chi non lo asseconda. Mi domando perché le sacre vestigia di Perseus non lo rinneghino.

Si rivolse verso il Santo che ricordava recare il temibile scudo di Medusa agganciato sul retro dell'armatura, quando la indossava: “Faresti meglio a tacere, sei goffo e lento, puoi poco o nulla senza lo scudo.”


 

Il Santo di Perseus s'indignò per il disprezzo e la superbia di cui erano pervase quelle parole perché, a suo avviso, un ragazzino dall'aspetto angelico non poteva essere anche così audace. Non pose tempo in mezzo e lo prevaricò, sovrastandolo con il peso del proprio corpo. Misty finì per giacere al suolo, sul dorso, a contatto col terreno sabbioso dell'arena, fronteggiando l'antagonista in una posizione scomoda. Perseus scrutò con uno sguardo obliquo l'altro Santo, le cui fattezze delicate non ispiravano a nobili intenti e fantasie le menti più perverse. Ne avvertì anche il disagio, il disgusto. Conosceva bene l'insana, irragionevole, avversione di Misty per il contatto fisico; il fatto che aborriva qualunque cosa potesse comprometterne la perfezione, e vederlo in difficoltà sembrava divertirlo molto.


 

“Quanto mi piacerebbe sbatterti, prima di tramutarti in pietra.”


 

L'esternazione che sfuggì dalle labbra di Algol era così oscena che Misty - benché non gli suonassero nuove certe allusioni sul proprio conto - sentì di non poter tollerare l'affronto. Non era più disposto a subire insulti né umiliazioni. Il suo smarrimento si volse in collera; elevò il cosmo, e in un fugace istante scagliò il suo rivale lontano da sé avvolgendolo in un turbine di vento; senza sporcarsi le mani, dando una sleale, blanda, ma efficace dimostrazione del proprio potere: “Non ho bisogno di toccarti, viscido!”, aggiunse.

Si levò in piedi, scrollandosi la polvere dagli indumenti, lungi dagli sguardi degli altri Santi, i quali si erano approssimati nei pressi dell'altro per accertarsi delle sue condizioni. Forse, Misty aveva esagerato senza rendersene conto, o di proposito, ma non gli importava perché quel balordo avrebbe fatto meglio a tacere.


 

“Ben fatto, credo che ti starà alla larga per un bel po' di tempo, ma è proibito contendere tra di noi in questo modo, dovresti saperlo.” Asterion sorrise e lo esortò ad allontanarsi insieme a lui, in disparte, a distanza dal mormorio degli altri Santi che si erano raccolti nuovamente intorno a loro.


 

“Me ne assumerò la responsabilità, se dovrò farlo.”


 

***


 

Misty ricevette un plico che conteneva un messaggio, lo aprì e vi lesse una comunicazione dal Custode della Dodicesima Casa. Aphrodite? Scorse velocemente tra le righe, ma nella missiva il mentore non spiegava alcunché, desiderava soltanto vederlo il più presto possibile. Per quale motivo, Aphrodite, voleva incontrarlo? Erano ormai rare le occasioni in cui avevano l'opportunità d'incontrarsi perché il Santo d'Oro difficilmente lasciava vacante il Tempio.

Misty si congedò dal latore e raggiunse il proprio alloggio privato; esso disponeva di un paio di vani, ed era già molto per lui considerando che fin dall'infanzia aveva dovuto condividere lo spazio di un dormitorio con altri bambini.

Era un luogo semplice, arredato in modo essenziale come previsto dal regolamento del Santuario, ma al suo interno si potevano scorgere pochi dettagli che riflettevano la personalità di chi lo abitava: uno scrittoio sul quale era riposta una brocca di vetro con dei fiori recisi, delle rose, e un ripiano con dei libri, molti libri. Strano, avrebbe pensato chiunque giudicasse Misty soltanto in base all'aspetto fisico e al modo in cui si poneva; un ragazzo superficiale e altezzoso.

Ripose la lettera in un cassetto e chiuse la porta alle proprie spalle, si sarebbe incamminato verso il Dodicesimo Tempio, dopotutto non gli dispiaceva incontrare il suo maestro.


 

Aphrodite lo aspettava, sapeva che avrebbe risposto alla chiamata senza porre indugi. Non vi era persona più efficiente e affidabile al Grande Tempio di quel Santo d'Argento, nonostante le sue leziose abitudini. Lo ricevette in cima alla rampa, sulla soglia; all'ombra delle colonne portanti, sormontate dalla trabeazione che sosteneva gli altri elementi architettonici disposti sul frontone del Tempio. Pisces rifuggiva l'opprimente caldo estivo. Le sue labbra si distesero in un vago sorriso, ma i bellissimi occhi esternavano quel gelido distacco che Misty conosceva così bene.

”Non ti ho invitato per convenevoli. Non immaginavo fossi capace di abbassarti a un livello così becero e triviale. È forse questo che ti ho insegnato?”

Laconico, Pisces non si smentiva mai. Misty intuì, nel senso di quelle parole, quale fosse il motivo della convocazione. Non si sorprese, malgrado sperasse in qualcos'altro, almeno in un saluto, che non gli era stato rivolto; ma disincanto e gioia, per aver ritrovato Aphrodite, contendevano parimenti in quelle circostanze. Si riscosse in fretta dalle proprie elucubrazioni: ”Mi ha mancato di rispetto.”

”È disdicevole raccogliere provocazioni e, come tu ben sai, è vietato contendere tra parigrado.”

”Le regole esistono anche per essere infrante” ribatté il più giovane, insofferente. Stava sudando e odiava quella sensazione sgradevole sul suo corpo; si schermì gli occhi sensibili con la mano per proteggersi dal riverbero del sole.

Si domandava perché Aphrodite s'intrattenesse a discutere sulla soglia, all'interno sarebbe stato senz'altro più agevole parlare; ma il Santo d'Oro non era dell'umore adatto, non approvava il comportamento tenuto pubblicamente dal discepolo perché sembrava metterlo in cattiva luce. Sebbene, in minima parte, sarebbe potuto essere per lui un motivo d'orgoglio, ma si limitò a pensarlo senza darlo a vedere.

Aphrodite risolse indietreggiando di qualche passo e lasciò libero il passaggio, come per accondiscendere alla silenziosa richiesta, si voltò con eleganza procedendo all'ombra del loggiato: “Questo è quello che pensi tu, ma non corrisponde alla verità.”, sentenziò, asciutto.

Misty allungò il passo per raggiungere Aphrodite e stabilirsi al suo fianco; desiderava rapportarsi con lui da pari a pari, cogliere l'espressione del suo viso: ”Lo rifarei, non sono pentito” disse.

“Chi ha iniziato per primo?”

A quella domanda seguì un silenzio sul quale Pisces avrebbe scommesso. Sedette all'ombra, sulla superficie rialzata dello stilobate; in quel punto spirava un gradevole alito di vento, ed esortò il discepolo a fare altrettanto.

“Non ho iniziato io, ma...”

“Niente ma, non voglio sentire ragioni. Potevi ferirlo gravemente o ucciderlo, allora sarebbero stati guai seri... Indossare le Sacre Vestigia non ti autorizza ad abusare del tuo potere.”

“Non indossavo le Sacre Vestigia, in quell'occasione...” replicò Misty, ma Aphrodite gli impedì di concludere la frase e gli prese il mento, esortandolo a guardarlo dritto negli occhi.

“Ti rendi conto della risposta idiota che mi hai dato? Ma lasciamo perdere. Qual è stato il motivo del diverbio, perché hai colpito un tuo pari? Che cosa ti ha detto di sconveniente?”

Il Santo d'Argento si perse in quello sguardo, in quelle iridi celesti ombreggiate da lunghe ciglia, e soltanto adesso notava il neo sotto l'occhio sinistro del suo maestro. Non si spiegava il motivo di tutte quelle domande perché sapeva, era convinto, che Aphrodite, oltre a conoscere l'esatto svolgimento della vicenda; la quale aveva reso protagonisti lui e il Santo di Perseus, fosse a conoscenza di ogni singola parola e insulto che si erano scambiati.

“Non posso ripeterlo, è troppo offensivo e volgare” risolse.

“Capisco. E tu, invece, da chi accetteresti un simile approccio?”

La domanda del Santo d'Oro giunse inattesa, bruciante. Il discepolo ne colse il significato, senza nascondere la propria perplessità, e trasalì arrossendo fino alla punta dei capelli, poi distolse lo sguardo e tacque per un breve istante. Dopodiché raccolse la sfida, o stette al gioco, rispondendo a tono con un'esternazione che proruppe quasi meccanicamente dalle sue labbra:

“Non potresti immaginarlo.”

Aphrodite ponderò la risposta con calma serafica e rivolse uno sguardo al più giovane, indugiando sull'ovale perfetto nel quale rilucevano gli occhi azzurri dal taglio squisito: un volto cherubico, al contempo sfacciatamente arrogante. I suoi capelli ondulati, striati di riflessi d'oro e di rame, ricadevano come lingue di fuoco in ciocche ribelli fin quasi alla vita. Indossava indumenti privi di macchie e senza una piega; la camicia era adorna di un vezzoso ricamo sul bordo della scollatura rettangolare. Tutto il suo essere era emblema di perfezione; un'ossessione, la sua, che sembrava quasi rasentare la follia. Il Santo d'Oro provò per lui quasi tenerezza.

“Un po' sfrontato per essere un marmocchio di tredici anni.” Lo aveva sminuito senza preoccuparsi di offenderlo, dopo essersi destato da fugaci riflessioni.

“Sedici” rettificò Misty con imbarazzo ma senza scomporsi, sapeva che Aphrodite, dotato di pronta intuizione, avrebbe percepito il suo disagio.

“Ne ho sedici.”

“E, nonostante i tuoi sedici anni, dimostri di avere le idee ancora molto confuse. Perseveri in una condotta infantile” scosse il capo in segno di disapprovazione, senza notare che il volto di Misty si era adombrato di tristezza. Quest'ultimo fissava con uno sguardo assente il riverbero del sole infrangersi sul marmo.

“Io sono perfetto, posso eguagliarti” esordì Misty con sicurezza, per poi pentirsi, poiché si trattava dell'ennesimo pensiero sfuggito al suo controllo.

“Questo dovrebbero dirlo gli altri, non ti pare?”

”Perché non vuoi riconoscerlo?”

Misty si portò una mano davanti alla bocca, consapevole di aver parlato a sproposito. Non poteva continuare a struggersi rincorrendo invano l'approvazione di Aphrodite; se ne rese conto tardi, quando ormai il danno era fatto. Lo vide alterarsi, e in luogo dell'encomio cui anelava giunse il secco rimprovero.

“Adesso basta! Non sei così stupido, o perlomeno cerca di non smentirti ora.”

Aphrodite si levò in piedi deciso a porre fine alla conversazione:

“Adesso puoi ritornare alle tue mansioni. Riguardo al motivo per cui sei qui: vorrei suggerirti di essere cauto in merito a imprevisti che potrebbero sorgere in alcune circostanze. Per questa volta mi sono pronunciato a tuo favore, ma se si verificherà un altro episodio simile non potrò più intercedere. Le regole del Santuario sono molto rigide.”

“Alcune persone non posso sopportarle, né persone né cose.”

“È ovvio, tu preferisci i complimenti... Dovrai imparare, invece, volente o nolente. Il rispetto va guadagnato e lo si ottiene anche ignorando le provocazioni.”

“Perché non ho potuto concorrere per un'armatura d'Oro?”

Era la prima volta che Misty osava porre quell'interrogativo al suo maestro, non si era mai permesso perché temeva la risposta, temeva di essere tacciato di presunzione come al solito; ma in quel mentre espresse il suo desiderio frustrato e represso.

“Perché le vestigia di Libra non sono vacanti e il proprietario è ancora vivente in qualche angolo sperduto del mondo” disse Aphrodite, perdendo la pazienza. Si stava davvero infuriando.

“Ho risposto, sebbene tu non sia degno di alcuna considerazione. Adesso vattene, apprendo con dispiacere che i tuoi peggiori difetti persistono. A che pro un'armatura d'oro? Per soddisfare la tua smisurata ambizione e vanagloria? Tu vivi nella menzogna, sei un illuso. Credi che indossandola appariresti diversamente ai miei occhi e a quelli degli altri? No, tu sei soltanto ciò che gli altri vedono, niente di più.”

Il ragazzo più giovane corrugò le sopracciglia sottili, i suoi occhi riflettevano uno spirito indomito; si atteggiava come se non temesse la reazione del Santo d'Oro, pur essendone intimidito, ma non così tanto come quando era solo un bimbo inerme. Altri sentimenti prevalsero sulla sensazione d'inadeguatezza che provava, sempre, dinanzi all'autorevole presenza. Esitava, non voleva andarsene così, non voleva accondiscendere passivamente a un ordine perentorio.

Aphrodite mosse qualche passo avanti per fronteggiarlo, viso a viso: gli prese il volto delicatamente ma con fermezza, e accostò le labbra alle sue. Lo baciò cingendogli la vita e stringendolo a sé. Misty vacillò, sentendosi mancare, quasi volesse abbandonarsi tra le sue braccia. Gocce di sudore imperlavano il suo volto. Era una sensazione nuova, non l'aveva mai provata. Era confuso. In fondo, ignorava la reale natura dei sentimenti che nutriva nei suoi confronti; lo adorava, questo sì, ma non sapeva se ciò fosse dovuto a semplice affetto o a qualcosa di più profondo che era incapace di decifrare.

Il Santo d'Oro si distaccò e gli rivolse un freddo sguardo: “Non è quello che volevi? Siamo tutti ai tuoi piedi, estasiati dalla tua virtù, e fascino: sei l'orgoglio del Santuario!” Lo aveva schernito con sarcasmo, e si strofinò la bocca col dorso della mano senza dissimulare un certo disprezzo. Avrebbe sputato in terra, ma la buona educazione lo indusse ad astenersi dal farlo.

“Sì, Aphrodite, sei malvagio. Non vi è aggettivo più appropriato, degno della fama che ti circonda!” disse il Santo d'Argento, scandendo quel nome, era la seconda volta nella vita che lo chiamava per nome e non maestro. Il volto pallido s'imporporò. Gli sovvenne il cupo scenario di intrighi e misfatti avvenuti al Santuario, dei quali aveva avuto sentore da bambino, che aveva avallato col silenzio e la connivenza: ”Sei un essere spregevole, subdolo, come quei due con i quali hai ordito fosche trame: quei tali Shura e Death Mask, e chissà cos'altro condividi con loro!” Soggiunse, e nel frattempo si sentì afferrare per la camicia da una stretta possente.

“Come osi parlarmi così? Insolente! Ti ammazzo!” Aphrodite lo costrinse a ridosso di una colonna trattenendolo per la veste; il suo volto era trasfigurato dalla collera e nonostante tutto non perse il controllo.

Bada bene che l'ignavia ti ha reso complice.

Non mi fai paura.

Misty non replicò e sostenne il suo sguardo con la medesima determinazione, consapevole del fatto che Aphrodite fosse infinitamente più forte, ma rimanendo fermo nei suoi propositi. Non più lacrime, come quando era un semplice apprendista timorato dal suo mentore: non si sarebbe rimangiato le parole per chiedere scusa, quando riteneva di non doversi scusare. Era difficile, perché la sua sola presenza incuteva timore, il suo sguardo severo, glaciale, era specchio di un'indole irriducibile. Ma Aphrodite si arrese, forse perché sorpreso in positivo dall'insospettato coraggio del discepolo, dal modo schietto in cui era riuscito a tenergli testa.

“Vattene, sparisci, prima che io cambi idea!”, gli ordinò, lasciandolo libero.

Il ragazzo biondo gli riservò uno sguardo di sufficienza; si riebbe, e scostatosi dalla colonna esalò un silenzioso sospiro ravviandosi la chioma scarmigliata. Si allontanò senza voltarsi indietro, sentiva ancora il volto bruciare, ma indignazione e ira si stavano placando, lentamente.


 

Erano simili eppure dissimili nella loro affinità. Era l'indole dominante, il piacere d'imporsi e vincere, a guidare le azioni del Santo di Pisces. Odiava la vana ostentazione. La debolezza che si celava dietro la vacuità. Sì, quel ragazzo era in grado di fargli perdere le staffe, per quel motivo, e renderlo furioso ogni volta. Aphrodite aveva represso l'istinto d'imbrattare quegli indumenti perfetti, di schiaffeggiare il volto innocente sul quale era impressa l'odiosa espressione di sufficienza; lo aveva già preso a schiaffi, quando Misty era poco più di un bambino, perdendo il notorio autocontrollo, e si era ripromesso che non l'avrebbe mai più sfiorato nemmeno con un dito. Tutto sommato lo amava, come si può amare un fratello minore.

Fremeva ancora dalla collera, turbato. Rimasto solo, si volse indietro e scomparve all'interno di quelle mura, alla ricerca della quiete interiore che si era lasciato alle spalle. Serrò i pugni conficcandosi le unghie nel palmo delle mani. Dopotutto era solo un giovane di ventidue anni che ricopriva un ruolo importante, la cui pazienza era stata di nuovo messa a dura prova.

La pianta è cresciuta storta, non è più possibile raddrizzarla. Quando Misty scoprirà se stesso, allora, sarà troppo tardi...

Strinse lo stelo della rosa tra le labbra e gli aculei lo trafissero, ma rimase insensibile al dolore e al gusto amaro del sangue, così come lo era stato nel ridimensionare l'eccessiva sicurezza ostentata dal suo discepolo. Aphrodite si attardò di fronte allo specchio, impreziosito dalla cornice barocca, e si concentrò sulla propria immagine riflessa, com'era solito fare. Con una salvietta umida tamponò le labbra ferite dalle spine disseminate lungo lo stelo della rosa. La pelle era tumefatta, livida, una macchia d'imperfezione gli deturpava il volto spezzando la consuetudine nel vedersi sempre impeccabile. Questo accrebbe la sua ira che tuttavia sbollì in un pensiero fugace: in cosa sono diverso da Misty, se vedermi imperfetto mi suscita sconforto? A chi voglio imporre la mia superiorità morale?


 

***


 

Quel violento litigio lo aveva sconvolto nel profondo, al punto di intraprendere la via del ritorno immerso in una miriade di pensieri, senza prestare attenzione al paesaggio circostante e al tratto di strada già percorso. Misty udì una lugubre risata alle sue spalle che lo indusse a fermarsi nell'atto di calpestare il primo gradino di pietra, oltre la soglia della Quarta Casa. Il Santo di Cancer aveva forse subodorato il tema di quella discussione con Pisces, dalla quale era emerso anche il suo nome? Un'ondata di gelo parve investirlo ed era il suo stesso sangue nelle vene, aveva la peluria degli avambracci irta, nonostante il caldo; e fu sopraffatto dal terrore. Avveniva puntualmente, ogni volta che gli sovvenivano i racconti delle macabre imprese attribuite a quel Santo, il quale dimorava insieme alle inquiete anime dei morti imprigionate nel suo Tempio. Ed egli indossa le Sacre vestigia, non è possibile...

“Sei sempre sconvolto, ogni volta che incontri Pesci.”

“E a te cosa importa?” proruppe il Santo d'Argento, voltandosi col proposito di abbandonare il luogo il più velocemente possibile.

“Vedo che quel damerino non ti ha insegnato le buone maniere, si chiede il permesso prima di passare in casa d'altri!”

“Credi di impressionarmi? Mi avete stancato con quest'ossessione sull'osservanza delle regole!”

Rimasero per qualche istante a fissarsi, fronteggiandosi, senza parole. Cancer, con la perenne espressione sadica stampata a trasfigurargli il volto, che tuttavia conservava una parvenza di fascino: ”I più deboli debbono sottostare ai più forti” sentenziò.

“E chi ti assicura che io sia il più debole?” Misty colse l'occasione per studiarlo e si avvide di averne catturato l'attenzione a suo vantaggio. Il suo ingegno machiavellico emergeva nei momenti più critici, quando non poteva fare affidamento sulla mera forza. Solo Aphrodite non ne veniva mai tratto in inganno.

“Sei audace... Potrei esimermi, per questa volta, dallo scaraventarti nell'Ade” disse il Santo d'Oro, sollevando il mento del ragazzo per bearsi della vista del suo bel viso.

“Rinunceresti ad abbellire il tuo lugubre antro, con la mia testa?” replicò Misty dissimulando in qualche modo la propria inquietudine.

“Non scherzare con me... preferisco che tu rimanga in questa dimensione, per adesso s'intende; non vorrei che la rosa di Svezia prendesse il mio gesto come un affronto personale, e tu sai bene che è meglio non farlo arrabbiare.” Death Mask sembrava divertito e Misty realizzò di aver conquistato definitivamente la sua simpatia, non gli era costato troppa fatica.

Strano, è tale la devozione che gli riserva. Ed è così determinante l'ascendente di Aphrodite su costui, da non farlo sembrare nemmeno quel mostro di cui parlano.


 

L'ostacolo incontrato lungo il cammino non aveva avuto l'effetto di distrarlo dai pensieri negativi che l'affliggevano.

Il suo rimuginare fu interrotto soltanto dal brusco passaggio di una torma di ragazzini che giungevano di corsa sollevando un polverone lungo il viale. Misty si distolse dalle proprie riflessioni, nel momento in cui uno di quelli gli girò intorno sfoggiando un sorrisetto di scherno, unito a curiosità, impresso sul volto sbarazzino; con tutta certezza l'aspirante ignorava d'imbattersi in un Santo d'Argento con indosso l'anonima divisa del Santuario.

E insistette a fissarlo ancora un po', quasi inebetito, come se scorgesse in lui un'entità divina o contemplasse una visione angelica; in realtà, Misty si sentiva molto più come un demone in quel momento. Ma, questa volta, non avrebbe ceduto ad alcuna provocazione. Era il suo aspetto esteriore a trarre le persone in inganno, ne era conscio, ci aveva fatto l'abitudine.

Stupidi mocciosi, sciatti e indisciplinati, che pena mi fate... si disse, riservando un unico ma terribile sguardo al ragazzino impertinente, dai tratti orientali; il quale continuava a scrutarlo, con trasporto, indugiando sui lineamenti così delicati da rasentare il connubio tra l'umano e il divino, tra realtà e sogno.

“Seiya! Sbrigati o arriverai in ritardo!”

Il giapponese, udendo il richiamo degli altri che si erano già allontanati lungo la strada, si voltò di scatto e corse via. Misty lo accompagnò con lo sguardo ed ebbe un'intuizione che suonò più come un vago e sinistro presentimento. Sono stanco, sono solo stanco...

Arrivò nei pressi dell'Anfiteatro. Il tempo trascorso durante il tragitto gli consentì di ritrovare il contegno adeguato: algido, sostenuto, come sempre. Gli occhi asciutti.

Si leccò le labbra, percepiva ancora il sapore di Aphrodite su di esse; inalava l'effluvio di rose che promanava dalle vesti del Santo d'Oro impregnatosi alle proprie. Era tutto così surreale.

Inspirò profondamente, rilassandosi, col proposito di far svanire i cattivi pensieri, per quanto gli risultasse difficile farlo. Quando l'autostima veniva meno, Misty sprofondava in un baratro oscuro. Ma aveva imparato a dissimulare i propri sentimenti, rendendosi conto che palesarsi con sincerità non è sempre sinonimo di saggezza.

Tra i Santi d'Argento vi era una persona in grado di scandagliare nelle menti altrui... Asterion di Canes Venatici sbucò alle sue spalle, silenzioso come un felino; era un ragazzo dall'aspetto rassicurante, dallo sguardo intelligente. Un amico sincero, fidato.

Misty non si curava del fatto che fosse in grado di leggere nella mente; il compagno d'armi non faceva mai menzione della propria singolare abilità, si rapportava nei suoi confronti con discrezione, quasi non disponesse di un simile dono. Un dono che riteneva essere benevolo e deleterio al tempo stesso.

“Oggi, gli allievi di Marin e Shaina si contenderanno l'armatura di Pegasus. Hai voglia di assistere?”

Oh, guarda, ecco perché andavano così di fretta quei mocciosi. Gli sovvenne l'incontro con uno di quegli apprendisti e assentì, con il semplice moto dello sguardo. Si asciugò i rimasugli del sudore sulla fronte, sistemandosi gli indumenti in disordine, e si apprestò a seguire l'amico; nulla del disagio che stava vivendo sembrava trasparire dalla sua persona. In realtà, desiderava ardentemente di isolarsi e sfuggire a ogni contatto umano, fino a quando non si sarebbe placato il livore che covava nell'animo.

I due Santi giunsero sulle gradinate, appartandosi nei pressi del settore riservato alla loro Casta, e non troppo distanti dalla confusione che si udiva dalle prime postazioni. Il Santo di Lacerta finse interesse per la sfida proposta, pur consapevole di essere poco credibile, in quanto egli stesso, analogamente ad Aphrodite, era solito disertare quel luogo.

In quell'occasione, l'atmosfera concitata sembrava infastidirlo; il clamore, l'ardere dei fuochi celebrativi, la vacuità del combattimento fine a se stesso, e lui era un Santo di Athena! Spesso se ne domandava il senso, e se ciò corrispondesse veramente al suo ruolo in quella società dove le gerarchie sembravano così ben distinte tra loro ancorché connesse da una linea molto sottile.

Trattenne il fiato, rivolgendo lo sguardo alla tribuna d'onore che ospitava le autorità del Santuario celate all'ombra del baldacchino velato; la cerimonia gli rievocava il giorno della sua investitura, facendogli rivivere l'emozione di non lontani trascorsi, ma anche l'ebbrezza del successo... Simulava, avrebbe ingannato chiunque ma non Asterion; il quale conosceva le ragioni della sua tristezza, sapeva cosa gli passava per la mente, ma non disse nulla. Questi scostò una ciocca di capelli dal volto dell'altro, con riguardo, era un semplice gesto che implicava rispetto, nulla di più.

Misty ne era conscio e tollerava quel genere di confidenza dalla persona con cui condivideva un legame quasi fraterno; era un'amicizia disinteressata, lungi dal costituire un mezzo per raggiungere i propri fini come alcuni credevano. In sua presenza riusciva a essere se stesso: avrebbe potuto esternare la propria amarezza e Asterion lo avrebbe confortato; o mettersi un fiore tra i capelli e decantare il proprio fascino con uno sproloquio narcisista, e ne avrebbero riso insieme.

Lo aveva conosciuto subito dopo la sua investitura, e da quel momento la loro amicizia divenne indissolubile. Soltanto la morte avrebbe potuto spezzare quel legame...


 

Misty? Sembra quasi un epiteto infantile, non può essere il tuo vero nome!”

No, infatti, non lo è. Il mio vero nome non lo ricordo, non l'ho mai conosciuto, mi hanno soprannominato Misty perché il mio potere è legato al mistral, il vento che spira da nord-ovest. E tu, invece, sei Asterion: il signore delle stelle. È molto affascinante il significato del tuo nome.”


 

Asterion era assorto in vaghi ricordi, ma i suoi pensieri s'interruppero nell'istante in cui Misty si levò in piedi e risolse d'allontanarsi con una scusa: “Il loro modo di combattere è indecente.”

“Ogni apprendista ha un elemento a lui affine, eleva il cosmo e combatte nel modo che gli è congeniale. Il tuo elemento è l'aria, quei due si affidano alla forza bruta. Questo è uno dei motivi per il quale tu sei stimato dall'intera Casta d'Argento: è la nobiltà della tua tecnica a elevarti su tutti.”

“Non mi piace questo spettacolo. Devo andare adesso, e non provare a trattenermi perché tanto io so che tu sai...”, sorrise, scherzoso, con l'intento di tranquillizzare l'amico, sebbene celasse un animo inquieto e tormentato dietro il suo apparente candore.

“Misty!” Asterion insisté nel tentativo di persuaderlo, ma il ragazzo, irremovibile, sgusciò via.

“Devi dare valore a chi ti dà valore!” Gli disse ancora.


 

***


 

La sera svelava la fredda luce delle stelle, astri ammantati da un tenue bagliore; un fresco alito di vento spirava attraverso la finestra semiaperta della stanza, illuminata dall'argenteo chiarore della luna.

Misty sembrava già immerso in un sonno profondo, privo di sogni. La giornata appena trascorsa si era rivelata estenuante e costellata da un avvicendarsi di episodi più o meno sgradevoli. Aveva ceduto alla stanchezza.


 

Gli parve d'abbandonarsi in un languido abbraccio, fluttuando senza peso in acque inesistenti; ammaliato dall'intensa fragranza floreale che promanava dall'intreccio morbido e sensuale, lieve e sublime.

L'allocco appollaiato sul ramo sbirciava furtivo con l'occhio vigile e languido.

Le labbra si sigillarono in un bacio, in più baci, egli rimase senza fiato, stordito dall'estasi congiunta all'intenso aulire di fiori, ma il volto, il volto di chi aveva rubato i suoi baci non riusciva a vederlo.


 

S'inumidì le labbra con la lingua, schiudendo gli occhi; risvegliandosi con i lunghi e serici fili dei capelli incollati al volto diafano, mortalmente pallido, realizzando di essere stato il protagonista di un sogno. Faceva molto caldo, si sollevò, barcollante e confuso, ravviando una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

I sogni, si sa, sono sogni, è l'inconscio a svelarsi in essi libero da qualsivoglia inibizione. Misty stava riflettendo a questo proposito nel momento in cui si versò un bicchiere d'acqua, osservando le prime luci dell'alba inondare la stanza. Accostò il bicchiere alle labbra e bevve un sorso mentre un nuovo interrogativo balenò nella sua mente. Chi era la persona misteriosa che gli era comparsa in sogno? In verità, lui, conosceva la risposta, ma era ostinato a negare l'evidenza. Si mise davanti allo specchio contemplando con trasporto il riflesso che vi scorgeva, fino al momento in cui la visione non iniziò a deformarsi.

Aveva gli occhi velati di lacrime. Lacrime? Era convinto di non essere più in grado di piangere, ma adesso le lacrime scendevano lungo il suo viso; erano lì, le vedeva, non poteva far finta di nulla e ne rammentò anche il gusto: salato, sgradevole, come il dolore che si prova.

Accostò la mano contro la superficie dello specchio, come per catturare qualcosa d'inafferrabile: la sua stessa immagine. Misty era infatuato di se stesso, da sempre. L'altro, nel sogno, era lui, tale e quale al riflesso nello specchio. Lo sapeva bene ed era perfettamente consapevole che ciò lo avrebbe condannato all'eterna solitudine, oltre che all'infelicità.

La lastra parve incrinarsi, percorsa da crepe che s'infittirono; ma era solo il frutto di un'illusione, poiché la piacevole immagine riflessa ricomparve sulla superficie integra. Fu il bicchiere, che Misty tratteneva ancora nell'altra mano, a sfuggirgli cadendo sul pavimento. Si piegò per raccogliere i vetri rotti, ma fu pervaso da un'improvvisa indolenza e si limitò a spazzare in un angolo il cumulo di schegge taglienti, posticipando così il riordino della stanza. Doveva ancora lavarsi e vestirsi e aveva già perso troppo tempo.


 

***


 

Non c'era più alcun pretesto che trattenesse Aphrodite a presidiare il Tempio in un periodo di pace, non si percepiva la presenza di alcun cosmo ostile, nessuna minaccia. Decise di allontanarsi dalla Dodicesima Casa per la prima volta, dopo uno strenuo indugiare; e s'incamminò lungo il sentiero di scale che lo condusse a varcare i confini dei restanti Templi, uno a uno, fino a scendere al livello sottostante dove si estendeva la valle.

Rivolgendo lo sguardo alle proprie spalle poteva scorgere le sagome delle ultime Case Zodiacali profilarsi in tutto il loro splendore, svettanti sulla sommità del colle. Solo in quel frangente, Aphrodite, si rese conto di beneficiare di una posizione privilegiata, consona al proprio temperamento altezzoso e asociale.

Il Santo d'Oro seguì la strada principale con lento incedere, era un lastricato di pietra dal quale spuntavano ciuffi di erbetta tenera. Lo sguardo del Santo si smarrì oltre le fila parallele dei cipressi che delimitavano il ciglio della strada, desiderava godersi il paesaggio. L'area boschiva si estendeva a perdita d'occhio lateralmente al viale; il vento stormiva tra le piante diffondendo l'odore di resina dei sempreverdi tipici di quella regione.

Aphrodite giunse nel cuore della piccola città-stato, che rievocava fedelmente la polis Greca: con la sua piazza principale e il dedalo di vicoli che si dipartivano conducendo alle varie abitazioni. Era un ambiente troppo affollato per i gusti del Santo di Pisces, il quale fu costretto a prestare attenzione all'ossequiosa deferenza di servitori, ancelle, e soldati semplici, riservando loro un saluto stentato e uno sguardo di sufficienza.

Era diretto verso l'ala riservata ai Santi d'Argento, intuì che non avrebbe trovato Misty nei pressi dell'Anfiteatro, che si ergeva a cielo aperto distante dal centro abitato; poiché conosceva bene l'indole del ragazzo, il quale non era solito allenarsi insieme agli altri perché, a suo dire, non ne aveva bisogno e rifuggiva con disgusto la sola idea di sporcarsi.

Tuttavia, non trovò Misty nemmeno nel quartiere dei Santi d'Argento, ma ebbe l'occasione d'imbattersi in qualcuno dei commilitoni. Incontrò un Santo dall'aspetto imponente, il quale recava una vistosa cicatrice sul viso, ed era evidente la sua cecità da un occhio che appariva privo dell'iride. Aphrodite lo avvicinò, celando nell'imperturbabilità dei tratti un sentimento di repulsione alla vista del volto sfigurato; che la sua indole di esteta avrebbe aborrito, ma in realtà provò stima per l'indubbio valore di quel Santo. Quantunque i suoi occhi cerulei tradissero una sorta di supponenza, dovuta all'autorevolezza del proprio rango.

Supponenza... Quella fu la prima impressione che passò per la mente del suo interlocutore, e probabilmente, fu anche la stessa che ne ricavò Asterion; il quale si avvicinò, incuriosito, ai due Santi, ravvisando nella fisionomia di quel ragazzo la descrizione che alcuni facevano a proposito del Custode della Dodicesima Casa.

Cogliendo l'opportunità d'incontrare di persona il Santo d'Oro, Asterion realizzò quanto questi fosse simile a Misty: possedeva lo stesso fascino, e non fu sorpreso di ravvisarne una certa similitudine anche nella gestualità. Con la differenza che Pisces si figurava palesando un'aura quasi divina, e l'ingannevole dolcezza, enfatizzata dai tratti gentili del suo volto, non precludeva altrettanta forza e potere...

Dopo quella costatazione rimembrò l'atteggiamento scostante e l'aria di superiorità con cui il discepolo di Aphrodite si rapportava nei loro confronti, e riuscì quasi a intuirne le ragioni; l'impassibile sguardo del Santo d'Oro incuteva timore reverenziale e rispetto. Asterion rivolse i propri pensieri a Misty e provò empatia. Probabilmente una simile convivenza lo aveva indotto a plasmare il suo carattere, ad adeguarsi alle circostanze, dedusse, ma poi si riscosse dalle proprie riflessioni, sentendosi quasi stupido nel porsi domande e darsi conferme così ovvie.

“Sto cercando il mio discepolo, dove posso trovarlo?” chiese Pisces, spezzando il silenzio. Sembrava una domanda formulata con gentilezza; ma in quella richiesta, falsamente conciliante, egli sottintendeva una risposta immediata da parte di coloro che reputava dei subalterni.

“Mi dispiace, ma non possiamo aiutarti, oggi non lo abbiamo ancora visto” rispose Moses, e Asterion, ancora sovrappensiero, ne convenne con un laconico assenso.

Aphrodite sorrise, il suo sguardo si assottigliò e lo rivolse in direzione del luogo dove sorgeva l'Arena, la cui sagoma si stagliava all'orizzonte contro il cielo limpido:

“Come? Misty non è solito allenarsi insieme ai suoi pari?” domandò, fingendosi ignaro, sebbene conoscesse la risposta.

“No, oggi dovrebbe essere uno dei suoi giorni liberi. Comunque non lo fa mai, non è sua abitudine” replicò Asterion. Come non lo fai tu, avrebbe desiderato aggiungere, ma evitò poiché era già irritato abbastanza e non palesava alcun intento di sottomissione volto a compiacere la vanità di Aphrodite.

“Ah, davvero? È così talentuoso?”

“Perché non dovrebbe esserlo? Ti farà piacere sapere che presso di noi è la guida indiscussa, l'unico tra i Santi d'Argento a indossare un mantello.”

Pisces si fece serio e poi sorrise: “Un mantello? Solo i Santi d'Oro sono soliti usare il mantello”, affermò, ma sorridendo smarrì la vena sarcastica ostentata poc'anzi, quasi compiaciuto per una risposta che non s'aspettava.

“Quindi prendete ordini da lui... Bene, la cosa non può che rendermi orgoglioso. Temevo avreste trovato Misty insopportabile.”

Può anche darsi, a volte, che lo sia, ma non quanto te. Pensò Asterion, di rimando.

Aphrodite non desiderava esternare il proprio stupore, e si premurò di distogliere l'enigmatico sguardo dai due Santi d'Argento per rivolgerlo altrove. Aveva ironizzato a proposito della considerazione di cui poteva godere il suo allievo nell'ambito di quella cerchia, aveva messo in discussione le sue effettive capacità; non perché ne fosse privo, ma perché esigeva da lui sempre il massimo. Lo aveva deriso: sei l'orgoglio del Santuario, gli aveva detto. Ed era stupito di scoprire che, forse, i suoi pari lo consideravano davvero come tale, ma in che modo aveva conquistato la fiducia di quella marmaglia? Aphrodite detestava gli atteggiamenti vanesi, ai quali Misty si abbandonava spesso e volentieri; e lo aveva indotto a reprimerli senza riuscirvi. Insomma, se lui non riusciva a sopportare l'indisponente abitudine del suo discepolo a compiacersi di se stesso, come avrebbero potuto tollerarla quei sacri guerrieri?

“Se vuoi parlare con Misty, dovresti provare a cercarlo nella zona in cui alloggia. Posso accompagnarti.”

“No, preferisco andare a cercarlo da solo. Indicami soltanto la strada” rispose il Santo d'Oro.

Ascoltò i suggerimenti, e subito dopo si mosse verso la direzione indicata, spargendo nell'aria l'effluvio di rose di cui erano intrise le sue vesti, senza ringraziare né porgere un saluto ai Santi di rango inferiore.


 

“Che cos'ha in mente?”

“Non lo so, è come un guscio impenetrabile. Non sono riuscito a leggere nei suoi pensieri...”

“E non ispira affatto simpatia.”

“No, decisamente.”


 

Finalmente solo, Aphrodite parve ritrovare il proprio equilibrio interiore, la compostezza che sembrò vacillare durante una conversazione protrattasi troppo a lungo; non amava esporsi, rischiare di esternare i propri sentimenti, mostrare troppo di sé. Svanì, così com'era comparso, nell'ombra, inghiottito in uno dei tanti vicoli silenziosi dove la calura sembrava attenuarsi tra le tipiche case bianche, sparse, che lo costeggiavano.

Raggiunse l'ultima abitazione, accedendo da una scalinata dai gradini sconnessi a una piccola corte, sopraelevata, ben curata, adorna di narcisi e piante di agrumi; provò a bussare a una delle porte d'ingresso, ma non udì risposta, allora spinse un poco l'uscio dinanzi a sé, i cardini stridettero ed esso si spostò.

Non c'era nessuno all'interno della stanza principale, vuota, dalle spoglie mura di pietra, dal pavimento di terra battuta; non molto grande e con pochi mobili, assai differente nella sua modestia dallo sfarzo ostentato all'interno dei Templi sull'Acropoli. Non sembrava una dimora adeguata alla bellezza del suo pupillo, alla sua nobiltà, alla sua grazia: come poteva accettare di alloggiare in un luogo così angusto e dimesso? Aphrodite provò sdegno, quasi avesse subito lui stesso un affronto. Rammentò di averlo sentito rivendicare il diritto d'indossare l'armatura d'oro, ma non lo aveva mai sorpreso a lamentarsi per quell'umile condizione. A volte, Misty rappresentava per lui un vero rebus, ma a un tratto, realizzò come il suo allievo anteponesse se stesso a ogni altra cosa, persino a ciò e a quanti lo circondassero, tanto da non preoccuparsi nemmeno di chiudere a chiave la porta... Provò dispiacere, perché una simile leggerezza era parte integrante di quella stessa natura e non vi si poteva porre rimedio.

Rivolse una maggiore attenzione ai dettagli, e si trattava davvero di pochi oggetti di scarso valore, ma erano disposti con ordine e cura. Vi era un ristretto angolo adibito a libreria dove erano allineati numerosi testi, ma ciò non incuriosì Aphrodite, poiché già sapeva che il suo discepolo amava leggere, e fin da piccolo era solito curiosare nella sua biblioteca personale.

Anche la finestra era aperta e sul davanzale vi erano molti uccellini intenti a beccare indisturbati del pane o delle gallette che erano stati sbriciolati appositamente per loro, da un cuore, tutto sommato, gentile.

Aphrodite si approssimò allo scrittoio ove era riposto il vaso con le rose, ne estrasse una e la annusò per poi riporla cautamente al suo interno; il suo sguardo ricadde sul cassetto semiaperto, lo aprì senza ritegno e vi trovò custodita la lettera che lui stesso aveva inviato a Misty. C'era anche un libro che somigliava tanto a un diario, lo prese e lo sfogliò: vi erano fiori secchi e foglie che si frapponevano tra le pagine, usati a mo' di segnacarte...

Si premurò di raccogliere il contenuto, che era scivolato inavvertitamente dalle pagine, per rimetterlo al suo posto, ed era così tentato di sbirciare tra le righe; attratto dalla calligrafia elegante e regolare, troppo perfetta per essere quella di un sedicenne. Non voleva farsi tentare dalla curiosità, non era nelle sue abitudini soprassedere alle regole, all'insieme dei valori che si era imposto di rispettare, sebbene le stesse già violando; e tuttavia scorse di sfuggita il proprio nome, racchiuso in brevi versi, senza riuscire a trattenersi dal riservargli uno sguardo.

Se l'invidia è una forma di ammirazione, allora io sono invidioso di te, Aphrodite. Invidio la tua bellezza, la tua forza, il tuo rango. Odio il modo in cui il tuo splendore riesce a mettermi in ombra, e il modo in cui mi ricordi, ogni volta, ciò che sono. Ma ti ho sempre adorato. In realtà, tu hai ragione: io sono debole, temo di deturpare la mia immagine, perché essa è la mia forza e io ne sono fiero, è l'unica cosa che possiedo al di là del nulla che mi circonda...

Richiuse il diario per riporlo nel cassetto, in quel mentre si ritrovò con la mente sgombra da ogni pensiero e rimase indifferente, non provava sdegno né compassione. Aveva sempre reputato Misty patetico, senza farne un mistero, e nonostante tutto era riuscito anche a farsi amare da lui. Non era mai stato prodigo di lodi nei suoi confronti. Quasi temesse inconsciamente che, tra i tanti difetti, le indiscusse qualità di quel ragazzo potessero offuscare lo splendore del più bello di tutti i Santi di Athena; ma Aphrodite era orgoglioso e lungi dal riconoscere di provare un sentimento così meschino...

Sollevò il coperchio di una scatola di latta, di quelle dove si conservano i biscotti: era foderata con una stucchevole carta con decorazioni infantili e amenità, e all'interno trovò una collezione di conchiglie dalle svariate forme e colori che erano state raccolte sulla spiaggia del Santuario. Aphrodite si soffermò a riflettere, senza celare il proprio disappunto nell'imbattersi in una sequela di oggetti inutili e - per lui - privi di significato; poi prese una conchiglia accostandola all'orecchio, l'aria che s'incanalava tra le due fenditure laterali produceva il caratteristico suono che ricordava le onde del mare.


 

***


 

Il mare... amava assaporare il gusto della salsedine sulle labbra e sentirne il profumo tra i capelli; del mare amava l'impeto e la quiete, si dilettava a smarrire lo sguardo all'orizzonte dove il cielo terso si fondeva con le acque smeraldine tra il garrire dei gabbiani.

Riemerse dall'acqua raggiungendo la riva, senza fretta, e proprio in quel momento riconobbe, a distanza, le fattezze familiari della figura che si stagliava solitaria sullo sfondo: la fluente chioma indaco, l'eleganza, la potente aura che il suo cosmo emanava.

Sorpreso, non si aspettava d'incontrarlo dopo così breve tempo, e non desiderava nemmeno rivederlo dopo l'ultima volta; soprattutto in quel luogo così magico e prezioso, da non voler condividere il senso di pace e di gioia che gli infondeva. Non riuscì a dissimulare la propria insofferenza dietro un falso sorriso di circostanza, e tale disappunto trasparì, non tanto dall'espressività del suo volto, quanto dal modo di porsi, assai poco conciliante nei confronti del suo mentore.

“Aphrodite porgimi i vestiti, renditi utile”, esordì, incapace di celare il risentimento non del tutto sopito.

Il Santo d'Oro non proferì verbo, sembrava perplesso a sua volta, e non fu in grado di replicare a quella richiesta arrogante. Sorprendendosi anche di se stesso poiché le parole, per niente gentili, appena udite, non lo scalfivano. In altre occasioni, il suo orgoglio lo avrebbe sicuramente indotto a reagire al fine di rivalersi, ma non adesso. La sua attenzione ricadde sui vestiti abbandonati sulla spiaggia; li prese senza obiettare e soprattutto senza distogliere lo sguardo da Misty, che si trovava lì davanti a lui; continuava a fissarlo, istupidito, ammaliato. E, per la prima volta, Aphrodite sembrava cedere al fascino della vana bellezza, la quale si contrapponeva a quegli ideali da lui nobilitati.

Il suo interlocutore gli ingiunse di voltarsi, infastidito dal suo sguardo fisso e insistente, prendendo gli indumenti dalle sue mani. Misty avrebbe dovuto sentirsi lusingato, e gonfiare il suo ego, nel suscitare finalmente l'interesse della persona che più ammirava al Santuario, invece tutto ciò lo indisponeva. Come avviene a chi è stanco di aspettare invano: disilluso, e ormai disinteressato dall'ottenere l'attenzione che un tempo bramava ardentemente, ma della quale, ora, non gli importa più.

Aphrodite obbedì alla richiesta, lasciandosi sfuggire un sorriso: “Vieni spesso qui?”, gli chiese, attendendo che finisse di rivestirsi.

“Ogni volta che trovo il tempo per farlo. Desidero spendere al meglio ogni attimo di questa effimera esistenza. Fosti tu a definirla così, non ricordi?” rispose Misty, dopo aver indossato l'ultimo pezzo della divisa, e s'incamminò lungo la riva.

Già, perché purtroppo la pace non potrà durare in eterno... si disse Aphrodite, senza replicare, e si sfilò i calzari. Risolse di seguirlo immergendo i piedi nell'acqua, sembrava soggiogato dalla sua presenza lo assecondava come non aveva mai fatto, quasi pendesse dalle sue labbra.

Stettero in silenzio, fermandosi ad ammirare il paesaggio. L'acqua era tiepida e la sabbia si stava raffreddando, il sole si eclissò lentamente all'orizzonte proiettando sfumature ambrate sulla placida distesa marina, increspata da una lieve brezza.

Misty era solito passeggiare sulla spiaggia, contemplare il moto delle onde e l'immensità del mare, che s’insinuava, a volte impetuoso, nelle insenature scavate tra le formazioni rocciose della costa inesplorata; pervasa dalla remota quiete che evocava lo splendore di epoche dimenticate. Amava bagnarsi nelle stesse acque che lambivano altre spiagge lontane. Provava malinconia e nostalgia per sbiaditi ricordi, che affioravano vaghi dalla sua memoria: ricordi di un mare azzurro e di un bambino biondo che correva spensierato tra i campi di lavanda in fiore.

“E a te non manca qualcosa?”, chiese al suo mentore. Preso da altri pensieri si era predisposto con toni più concilianti nei suoi riguardi.

“Cosa dovrebbe mancarmi?”, replicò Aphrodite con aria interrogativa.

“Quello che eri, dove vivevi, dove sei nato.”

“Il clima rigido della Svezia? No, la mia vita è qui ora. Sebbene le temperature estive siano un po' troppo esagerate.”

“Lo supponevo, non dovevo chiedertelo. Ecco, insomma, si vede che nonostante tutto... sei realizzato?”

Aphrodite si voltò per riflettere sulla domanda appena udita; soffermandosi a osservare, senza malizia, l'esile figura del ragazzo delinearsi con grazia sotto gli indumenti. Gli ultimi pallidi raggi del sole s'insinuavano attraverso i suoi capelli biondo scuro.

“Mi identifico nel mio ruolo e in ciò che rappresento. Siamo Santi di Athena, è ovvio, non capisco il senso della tua domanda.”

“Sì, è vero, dovrei rallegrarmene” replicò il più giovane, sorridendo per la prima volta.

Non era mai accaduto che conversassero come due ragazzi comuni, al di là del divario, delle gerarchie e dei rispettivi ruoli. Misty chiuse gli occhi, quasi a voler celare i sentimenti che sarebbero trapelati dallo sguardo; persuaso dalla melodia del vento e del mare, dall'odore salmastro unito al piacevole profumo di rose che si diffondeva dai capelli di Aphrodite, unitamente ai suoi, mossi dal vento, a solleticargli il volto. Pisces prese una ciocca di quei setosi fili per contemplarne i riflessi dorati:

“In realtà sono venuto a cercarti perché ho bisogno di una persona di fiducia, con le tue conoscenze, che si occupi al mio posto di alcune cose. Necessito della tua presenza alla Dodicesima Casa, per un certo periodo di tempo.”

Il Santo d'Argento dischiuse gli occhi, senza rispondere.

“Sempre se non ti dispiace.”

“Dispiacermi?”, Misty rispose, infine, con un'altra domanda tanto per guadagnare tempo, e distolse il proprio sguardo per indirizzarlo verso la linea dell'orizzonte, dove il sole era scomparso in concomitanza col calare della sera.

“Non è un ordine, sei libero di decidere per questa volta.”

Il più giovane soppesò le parole, e si premurò di rivolgere l'attenzione al suo mentore; ne ammirava, come sempre, la compostezza che era altresì riflesso della sua stessa forza.

“Non posso”, sentenziò, in breve.

Aphrodite lo guardò, sconcertato, non si aspettava un rifiuto e non prese, inizialmente, quella decisione come un affronto, predisponendosi con intento benevolo ad ascoltare le sue ragioni. Era imprevedibile, avrebbe potuto reagire senza fare una piega o indignarsi, non era abituato a essere contrariato a maggior ragione dai sottoposti; e per quanto potessero essere maestro e allievo, Misty non era un suo parigrado.

“Non posso, rappresento un modello di riferimento per loro, e sarebbe ingiusto delegare qualcun altro al mio posto”, rispose Misty, dopo aver preso un lungo respiro. Sapeva di dargli una delusione. “Mi dispiace” concluse, e a seguito di quell'affermazione sviò lo sguardo dal quale riemerse un'antica inquietudine.

Aphrodite lo fronteggiò, gli prese il volto, questa volta per costringerlo a focalizzare l'attenzione sul proprio sguardo: ”Come biasimarti, quello è il tuo ruolo, puoi relazionarti soltanto con i tuoi parigrado e dopotutto ti si confà. Loro sono al tuo stesso livello...”

A Misty non piacque quell'affermazione, che ebbe l'effetto di ferirlo nell'amor proprio, ma non volle esternare il turbamento che ne derivava. Riuscì a tacere sostenendo il fiero sguardo dell'altro. Il suo mentore non aveva gradito di passare in secondo piano, ma indugiò per un istante a riflettere e concluse, in virtù del buonsenso, che il suo discepolo, forse, aveva fatto la scelta giusta. Dopotutto era una decisione in cui dimostrava di non sottrarsi alle responsabilità per elevare la propria condizione, e sembrava quasi anteporre il bene altrui alla vanità. Non è da lui, realizzò.

Fece scivolare la mano, dal volto, lungo i capelli di Misty che sfiorò con una carezza; non poteva scusarsi e ammettere di essere stato impulsivo ma gli consentì di distogliere lo sguardo, smorzando così la tensione tra loro.

“E va bene, farai ciò che vuoi”, desisté.

“Mi dispiace.”

“No, è tutto risolto. Stai tranquillo” rispose ponendogli il dito indice sulle labbra. Dopodiché si piegò sulle ginocchia e prese una conchiglia, la osservò soffiandoci sopra per rimuovere i granelli di sabbia.

“Non avevo mai prestato attenzione alla forma di questi gusci, alcuni sono davvero insoliti non trovi? E c'è anche gente che perde del tempo a collezionare certi oggetti insulsi.”

Il Santo d'Argento deglutì, e si chinò a sua volta per osservare la conchiglia che Aphrodite aveva raccolto: “No, non sono oggetti inutili, la conchiglia funge da protezione per gli invertebrati.”

Pisces non replicò e si levò in piedi riservandogli uno sguardo torvo; ma proprio in quel momento, il più giovane, percepì l'aura amichevole di un altro Santo che si poneva a breve distanza da loro.

“Misty, finalmente sono riuscito a trovarti. Volevo riferirti che...”, Asterion non terminò la frase e notò la persona, girata di spalle, voltarsi per guardare verso di lui, fu allora che riconobbe il Santo d'Oro e ne avvertì il cosmo potente.

“Ah, vedo che sei già qui, insieme a lui”, osservò.

“Sì, e gli ho riferito tutto ciò che avevo da dirgli”, rispose Aphrodite, gettando la conchiglia sulla sabbia con noncuranza.

Scese la sera, gli astri e la luna falcata fecero capolino dalla volta del cielo riflettendosi sulle chete acque del mare.

Pisces si approssimò dinanzi al discepolo e materializzò una rosa che gli comparve nel palmo della mano, avvolta dall’aura che pervadeva lui stesso. Annusò il soave profumo emanato dal fiore per poi porlo tra i capelli del ragazzo biondo; il quale provò una repentina sensazione di svuotamento, di liberazione da ogni sentimento negativo che lo abbandonò in luogo di una profonda tristezza.

Questa volta, Aphrodite aveva aveva fallito, consapevole, nel vano tentativo di conquistare e vincere, e quello era stato il suo modo di congedarsi.


 

 

   
 
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