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Autore: apeirmon    21/04/2018    3 recensioni
"- Credo che possiamo vivere in ogni corpo, se lo desideriamo davvero. D’altronde, noi non siamo i nostri corpi o le nostre personalità. Abbiamo vissuto ognuno la vita dell’altro come se fosse nostra senza nessuna finzione. Ormai io sono anche te e tu sei anche me, in un certo senso.
Il treno si ferma. Un’importante destinazione è stata raggiunta. Ci alziamo per scendere."
[Storia partecipante al contest “Di Lune, Torri ed Eremiti” indetto da Laodamia94 sul forum di Efp.]
Genere: Introspettivo, Science-fiction, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Note dell’autore: Questo racconto è un seguito delle precedenti due che ho scritto su “Kimi no na wa.”, in cui ho già descritto accadimenti come la riunione dei due protagonisti che servono a comprenderlo. Comunque, ho provato a renderlo leggibile anche senza conoscere le altre situazioni che ho immaginato.
1) I tamagoyaki sono varianti giapponesi delle omelette.
2) Il torii è un portale di accesso ad aree sacre formato da due colonne e una trave orizzontale sovrastante.
3) Lo shouji è una porta scorrevole tradizionale del Giappone.
4) Il chabudai è un tavolo basso tipicamente nipponico.
5) In giapponese “Miyamizu” significa “acqua del tempio” e “Taki” cascata. Il riferimento è al fatto che abbiano imparato a riconoscersi al di là delle identità che prendono, quindi dei loro nomi.
 

Novità di Tokyo

 
Il mio matrimonio procedeva meglio di quanto mi aspettassi.
Quando la mia ragazza mi aveva fatto capire di volere un matrimonio nella più totale normalità ero molto scettico. Anzi: direi preoccupato. Anche perché la normalità non si abbina granché alle nostre vite. Voglio dire: se una cometa si spacca e una delle sue parti cade proprio sul tuo villaggio, trasformandone buona parte in un bacino idrico, non hai più una visione sicura di quello che ti riserverà la sorte.
Per di più, quel villaggio era l’unico mio punto di riferimento per il futuro. Trasferirci a Tokyo era stata una scelta terrorizzante, per me. Ha aiutato la voglia di allontanarmi da mio padre e dalla sua impresa edile. Per mia moglie è stato più facile, credo. Lei ha sempre avuto la curiosità di esplorare l’ambiente cittadino, con la sua varietà di svaghi e di impieghi, dove le persone non sono tutte facce familiari ogni giorno e i nuovi incontri sono sempre dietro l’angolo.
Quando ci siamo trasferiti da Itomori, l’abbiamo fatto scegliendo un appartamento comune. Io sono riuscito a trovare lavoro come fattorino in un albergo, mentre Sayaka ha preso posto in un’emittente radio di Tokyo. Grazie ai nostri guadagni e ad un prestito, abbiamo potuto comprare una casa vera e propria con tanto di piccolo giardino dietro la veranda. L’ambiente cittadino cementato è soffocante e ho più nostalgia del verde di quanto avessi immaginato alla partenza dal villaggio.
Dopo il matrimonio, avvenuto quasi un anno fa, abbiamo deciso di mettere da parte dei risparmi ogni mese prima di provare ad avere un bambino. Quando verrà quel momento gli darò tutta la libertà che gli serve e lascerò che sia lui a scegliere come impiegare le giornate.
In effetti, più ci rifletto, più il ruolo di genitore mi preoccupa. Un padre è una figura di riferimento che dovrebbe dare ai propri figli l’appoggio e la sicurezza necessari per fare delle scelte in modo sicuro. Allo stesso tempo, però, non voglio che si affidino troppo a me, o non troverebbero l’abitudine a cavarsela da soli.
Mentre rifletto su queste alternative, mi accorgo che lo sportello del banco-frigo è aperto e io non ho ancora scelto il formaggio per poter mettere un altro segno di spunta nel biglietto della spesa.
Mi sbrigo a fare la mia scelta e interrompo lo scambio di temperatura con il corridoio, dopodiché metto il prodotto nel carrello e mi dirigo allo scaffale del pane. Poco prima di raggiungerlo, sento una voce alle mie spalle: - Teshigawara?!
Quando mi volto per sapere chi aveva pronunciato il mio cognome, vedo un ragazzo dai capelli castani di lunghezza media, forse poco più giovane di me, con rari occhi celesti. Indossa una felpa viola e indaco, oltre a jeans e scarpe da tennis grigie.
- Sì, mi chiamo così. Non mi ricordo di te, scusa. Chi sei?
L’espressione del ragazzo cambia improvvisamente da una incuriosita a una agitata.
- Ah, no… Non mi ricordo nemmeno io dove ti ho conosciuto. Ora è meglio che mi sbrighi a fare la spesa, o tornerò tardi. È stato un piacere rivederti.
Il ragazzo si affretta a cambiare reparto, mentre lo guardo disorientato. Decido di non indagare oltre: oggi tocca a me cucinare mentre Sayaka finisce l’emissione sulle riviste di giardinaggio e se faccio tardi dovremo prolungare le nostre già troppe ore di stanchezza.
 
Appena mi sveglio, capisco di essere di nuovo tornato nel corpo di quella ragazzina.
Per la terza volta sarò costretto a rimanere in questo appartamento nauseante da quanto è invaso dall’ordine, lontano dalla mia casa, dai miei videogiochi e, soprattutto, dal mio progetto.
Il mio progetto…
Ho avuto sempre molta cura nell’evitare che qualcuno lo scoprisse proteggendo il computer da qualunque infiltrazione esterna per controllarlo e adesso rischio che una sconosciuta arrivi a sapere di cosa si tratta da mia madre.
Se solo mia madre non avesse forzato la mia password… Perché non si fida mai di quello che faccio? Ah, già: perché per lei sono un inetto parassita che procura solo guai. Be’, meglio che essere un ingranaggio del suo genere, sicuramente. Fatica ogni giorno con il rischio di prendersi qualche malattia dall’ospedale e ha il coraggio di ritenerla vita.
Sento suonare il campanello dell’appartamento. Dev’essere di nuovo quel seccatore che ha fatto questi scambi con la sorella della ragazzina. Non ho voglia di stare ad ascoltarli. Credo che andrò a scuola fingendo di essere lei, per quanto mi disgusti avere a che fare con ochette che non capiscono nulla del mondo.
Eppure mi viene l’impulso di ascoltare quello che hanno da dirsi. Potrebbe essermi utile per capire come liberarmi da questa maledizione del cambio di corpo.
Mi alzo ed esco dalla camera da letto con il pavimento privo di qualunque oggetto (chi le lo farà fare a togliere e rimettere tutto negli scaffali o negli armadi?) e mi affaccio in corridoio. La porta che lo separa dal salotto è chiusa. Mi avvicino ad essa per poggiare l’orecchio e sento le loro voci.
- Scusa se ti disturbo così presto, ma non potevo aspettare che finissi con il lavoro. Io stesso non mi sarei potuto concentrare sui progetti edili per la piscina. - sento dire all’ospite che avevo previsto.
- Non preoccuparti. Vederti mi può solo rendere la giornata meravigliosa.
Alle parole della ragazza segue un breve silenzio. Quasi quasi mi viene da tornarmene a letto e sonnecchiare. Smettetela di fare gli sdolcinati e venite al dunque!
- Non voglio prenderti molto tempo, quindi ti dico subito tutto. Ieri, in negozio, ho incontrato Teshigawara. Mi chiedevo se foste ancora in contatto e se potevi presentarci. In un certo modo, lui e Sayaka erano anche amici miei. Sento nostalgia di tutto quello che ho vissuto a Itomori. Mi piacerebbe riparlarci.
Non è nulla di importante. La testa mi dice di tornare a letto, eppure i piedi non obbediscono. Che succede? E perché ho le guance bagnate?
- Non è così semplice. Da quando mi sono trasferita qui con Yotsuha, abbiamo perso i contatti.
- Che peccato… Come mai?
- Be’, ecco… Vedi, quando ho dovuto spiegare come sapevo della scissione della cometa, non ho saputo cosa dire. Gli altri abitanti di Itomori mi hanno vista come una specie di portatrice di sfortuna. Dopo poco tempo, chi non si è dovuto trasferire per il disastro mi considerava una pazza.
- Ma è assurdo! - sento gridare il ragazzo. - Dopo che li hai salvati?!
- Già. Saya-chin e Tesshi non hanno creduto che non ricordassi nulla e si sono offesi perché non li ho informati di cosa sapevo. Inoltre, stando con me si attiravano anche loro la maldicenza.
- Ma adesso che ci siamo ritrovati è diverso. Abbiamo i ricordi tutti e due e possiamo spiegare tutto.
- Non lo so… Sono passati anni. E poi, non saprei nemmeno come contattarli.
- Ci penso io. Ho accesso ai dati di mappatura urbana con gli indirizzi di ogni abitante di Tokyo. Se sei d’accordo…
A quel punto stacco l’orecchio non mio dalla porta e vado a cambiarmi per andare a scuola. Nel mio primo scambio sono già stato nell’istituto da raggiungere e mi sono fatto un’idea di come comportarmi per non dare nell’occhio. Meglio ascoltare dei noiosi sproloqui in una classe che le smancerie sui tempi andati di questi due.
Metto la divisa della Toyama e prendo la borsa della ragazzina, prima di dirigermi in cucina.
- E va bene, tentar non… Yotsuha! Buongiorno. - mi saluta sua sorella.
- Sono Hideo. Continuate pure a discutere. Ora esco.
- E la colazione?! Non vorrai riempire mia sorella di schifezze prese ai distributori?!
Apro la porta d’ingresso dell’appartamento.
- Non è un mio problema. Dille di non rubarmi il corpo, così siamo tutti soddisfatti.
 
Ed eccomi di nuovo in questa camera, piena di CD su mensole, scrivania e anche sul pavimento. Come al solito, il portatile azzurro è poggiato sul comodino, pronto all’uso, e un cestino è pieno di carte di merendine e altro cibo occidentale.
Appena ha scoperto che mi ritrovo periodicamente nel corpo di un altro ragazzo, il giorno dopo della prima volta che è successo, Mitsuha mi ha raccontato che anche a lei è capitato lo stesso nel periodo precedente all’incidente della cometa di Tiamat. Ho fatto fatica a crederle, all’inizio, ma quando, tre giorni fa, mi sono ritrovata di nuovo a vivere la stessa vita, mi sono convinta che mia sorella non fosse pazza, né mi stesse mentendo.
Sarebbe divertente stare per un giorno ogni tanto nel corpo di un maschio, ma questo Gemu Hideo in cui mi incarno non ha neanche muscoli. Però devo dire che in quanto a genitali non è messo male. Riprovo a infilare una mano nelle mutande per sentire il fallo irrigidito in tutta la sua lunghezza, poi tengo lo scroto caldo nel palmo della sua mano.
Non mi sento in colpa nei suoi confronti, perché so che anche lui approfitterà del mio corpo. Ricordo ancora quando vedevo mia sorella (ma non era lei) tastarsi il seno la mattina.
No, decisamente non mi sento in colpa. Anzi, è molto piacevole, per quanto strano.
Dopo un po’ che stimolo i suoi testicoli, l’eccitazione raggiunge il massimo. Sento lo sperma caldo risalire e invadermi la mano. Resto qualche minuto a percepire quel momento.
Mi alzo per andare a lavare il suo corpo e quasi subito inciampo su una pila di CD, riuscendo a rimettermi in equilibrio. Una persona così disordinata deve avere davvero poca serietà e cura di se stessa. La nonna era sempre molto chiara su questo punto, quand’era in vita: il disordine nella casa ha un suo riflesso nel disordine dello spirito, per questo è importante rimettere tutto al suo posto e mantenere l’armonia.
Passando davanti allo specchio del bagno, osservo i suoi corti capelli neri, gli occhi castano scuro e il volto affilato. Il tipico aspetto di un ragazzo giapponese medio.
Mi lavo le mani con cura, poi mi spoglio e metto i suoi vestiti in una cesta per la biancheria. Provo un po’ di disagio nel toccare la sua pelle insaponandomi e risciacquandomi.
Adesso che ho finito, mi metto l’accappatoio e ritorno nella camera da letto di Hideo. Mentre attraverso il corridoio, sento il rumore di posate sulla ceramica. Dev’essere uno dei suoi genitori che si prepara a far colazione.
Non ho idea di quali vestiti scegliere che siano adatti a lui, ma non ha molta importanza, dato che non deve vederlo nessuno. Vestitami (o vestitomi?) vado a rimettere l’accappatoio nel bagno e scendo le scale verso la sala da pranzo.
 
Che grande evento! Sento quel criminale di mio figlio lavarsi, e di prima mattina per giunta!
Stranamente si è alzato prima di me, oggi. E non è la prima volta che si comporta in modo insolito.
Circa una settimana fa ha finto di avere un’amnesia, pur di non affrontare l’argomento “banca”. Se non avessi sospettato qualcosa e non avessi portato il suo computer da un tecnico per sapere cosa combinava, adesso sarebbe in prigione.
Dopo aver indossato gli abiti da lavoro, vado al piano di sotto per mangiare. Prendo la scatola di zuppa di miso dalla credenza e la verso nella pentola, poi la riempio d’acqua. Resto vicino ai fornelli per mescolarla sinché non è pronta, poi spengo la piastra e prendo una ciotola per riempirla con un mestolo in acciaio.
Una volta servitami, mi siedo al tavolo e aggiungo dell’acqua minerale per raffreddare la zuppa. Ho appena il tempo di mangiare due cucchiaiate che sento Hideo scendere le scale.
- Buongiorno, mamma.
- Ah, adesso mi saluti? Come se quello che è successo fosse un’inezia. Non ti accorgi ancora di quanto sia grave quello che stavi per fare?
Lui mi guarda come se si aspettasse qualche cambiamento da parte mia.
- Mi dispiace se ti ho fatta arrabbiare, non era mia intenzione.
- Se rimani rinchiuso qui, avrai sempre queste idee folli. Spero che ti renda conto di doverti sforzare di avere una vita regolata. Ora voglio mangiare e andare tranquilla al lavoro.
Così mi siedo e finisco la mia zuppa.
 
Sono davvero in agitazione.
Ieri, mentre innaffiavo le viole in giardino, mi sono ritrovata davanti al cancello una persona del tutto inaspettata. Mi ha detto di stare andando al lavoro, ma che le avrebbe fatto piacere passare per fare una chiacchierata. Sul momento ero troppo sorpresa per ragionarci bene, così le ho detto di avvicinarsi oggi. Ma adesso ne sono pentita: non credo di essere in grado di riaffrontare Mitsuha.
Non vado fiera del modo in cui mi sono comportata con lei, interrompendo un’amicizia durata dieci anni, ma le pressioni che senti dall’ambiente ti portano allo sfinimento, se cerchi di combatterle, ed ero anche abbastanza spaventata dal modo in cui era riuscita a prevedere il disastro della cometa senza nessuna prova.
Katsuhiko non ha mai avuto questa paura. La sua mente non ha mai avuto difficoltà ad accettare situazioni fuori dal normale, dando loro spiegazioni ipotetiche. Lui si era allontanato da Mitsuha proprio perché lei non ha voluto spiegarci come abbia fatto a prevedere l’incidente.
Il suono del campanello mi fa scattare in piedi dalla poltrona. Ho il battito cardiaco più veloce del normale e un brivido mi attraversa.
Dopo un respiro, mi dirigo alla porta e guardo dall’oblò con funzione di spioncino. Riconosco la figura di Mitsuha ma, con mia sorpresa, è accompagnata da un ragazzo più o meno della nostra età.
Mi decido ad aprire la porta e ad avvicinarmi al cancello.
- Ciao, Mitsuha. Chi è il tuo amico?
- Salve, Saya-chin. Lui è… be’…
- Sono il suo ragazzo, Tachibana Taki. - si presentò con un inchino. - Ci tenevo tanto a conoscere gli amici d’infanzia di Mitsuha che le ho chiesto di venire con lei. Mi scuso immensamente.
- Non c’è problema. Piacere di conoscerLa, Tachibana-san.
- Mi chiami pure “Taki”. - replicò lui.
- Venite, vi accompagno dentro.
Li guido oltre l’ingresso e faccio indossare loro le pantofole per gli ospiti. Subito dopo aver indicato loro il divano, sento i passi decisi di Katsuhiko emergere dall’andito.
- Incredibile… Sei davvero Mitsuha! - le mormora mentre si avvicina per abbracciarla. Poi nota anche il suo accompagnatore.
- Lui è Tachibana Taki-san. È il…
- È il ragazzo strano che ho incontrato l’altro giorno al negozio! Che sta succedendo?!
Mi giro verso i due ospiti, che non hanno ancora avuto il tempo di sedersi.
- Ecco, Tesshi, siamo venuti qui proprio per parlare di questo… e di tutto. - gli dice Mitsuha.
- Intendi… di quel “tutto”? Dopo tutti questi anni? - le domanda lui.
- Lo so che sembra strano ma il fatto è…
- ...che non poteva spiegarvelo prima perché la memoria le è tornata da poco. - conclude Tachibana-san per la ragazza. Sempre che sia la sua ragazza realmente.
Io e Katsuhiko ci guardiamo, poi lui si siede e invita con un cenno gli ospiti ad imitarlo.
- Bene, vi ascoltiamo. Voglio proprio sapere cosa dovete dirci.
A quel punto iniziano a raccontare, più l’altro ragazzo che Mitsuha, una strana storia su scambi di corpo, viaggi nel tempo e richieste al dio Musubi che mi provoca un leggero mal di testa.
Alla fine, Katsuhiko li guarda attentamente a braccia conserte, mentre il mio sguardo passa dall’uno agli altri.
- ‘Mettiamo che io creda a questa storia. Come mai sei anni fa non potevi raccontarla e adesso sì?
- I ricordi si sono cancellati ad entrambi quella notte. Sono tornati solo da quando ci siamo ritrovati.
Mitsuha ci guarda supplichevole mentre parla e dentro di me so che quella è la verità, eppure ho una confusione in testa che mi impedisce di capire con esattezza cos’è successo.
Per questo preferisco usare l’anima.
- Mi dispiace per averti abbandonata. Non riesco neanche ad immaginare quanto ti sia sentita sola. Avremmo dovuto sostenerti e difenderti da quelle accuse di pazzia.
Mi alzo e la raggiungo per abbracciarla e lei fa lo stesso. La sento singhiozzare.
- Non avevo nessuno quando sono venuta a Tokyo… Avevo davvero bisogno di voi.
Katsuhiko si avvicina per metterle una mano sulla schiena e io vedo gli occhi di Tachibana-san illuminarsi di gioia per l’incontro che è riuscito ad organizzare.
 
Pur vedendola con un altro corpo, la casa dei Gemu è inconfondibile.
Situata nel quartiere di Jyuugaoka, è all’angolo tra due strade, con tanto di cortile ricco di aiuole. Le murate sono di un giallo luminoso e il muretto esterno è decorato da piastrelle di vari colori.
Socchiudo gli occhi e mi dirigo con decisione al pulsante del campanello e lo premo. So che i genitori di Hideo sono entrambi a lavoro in quell’orario, quindi posso parlargli direttamente.
Dopo circa un minuto, suono nuovamente il campanello. Non ottenendo ancora risposta, continuo a premere il pulsante sinché non vedo scostarsi un lembo di tenda alla finestra.
- Se non mi apri, al prossimo scambio distruggerò tutti i tuoi CD! - gli grido.
Dopo qualche secondo, sento aprirsi il cancello elettronico con uno scatto ed entro.
Attraversato il breve tratto che mi separa dalla porta, accedo alla casa, per la prima volta con il mio corpo. Vedo Hideo appoggiato alla parete con le braccia conserte.
- Allora, sbrigati a dirmi quello che vuoi e poi lasciami in pace.
- Ho saputo da tua madre che hai scritto un programma per introdurti in una banca. - Il ragazzo strinse gli occhi. - Volevo chiederti di persona perché, visto che credo tu sappia che i soldi sarebbero rintracciati facilmente, se ne prendessi. Qual’è il vero motivo?
- Una persona comune come te non capirebbe.
- Allora fammi diventare meno comune, perché voglio capire.
- Le banche impoveriscono la gente distribuendo prestiti senza avere realmente il denaro e prendendo gli interessi di questa somma fittizia, arricchendosi senza produrre realmente ricchezze. Così c’è meno denaro per le classi medie e povere, mentre i ceti ricchi continuano ad accumularne per lussi e spese di cui non hanno bisogno. Volevo mettere un virus nei programmi di una banca, così da invalidarne i sistemi e farla fallire.
Annuisco lentamente.
- Secondo me soffri per l’assenza dei tuoi genitori.
- Sei proprio stupida. Cosa c’entra il fatto che siano sempre a lavoro con il fallimento delle banche.
- Be’, è la povertà che causano le banche a obbligarli a lavorare di più.
- Questo non toglie che ci sia un furto legalizzato per ogni persona che fa crediti o prestiti.
- Sì, ma questo non toglie che ti senta solo.
I muscoli facciali di Hideo si contraggono.
- Se è pieno di idioti che accettano questo sistema di schiavitù, che porta in molti casi al suicidio da stress, senza provare ad avere una vita, la solitudine è l’unico modo per continuare a pensare.
- Io credo che tu abbia speso molte energie a cercare di convincere chi avevi vicino, anziché cercare chi condivide il tuo pensiero. A me interessa discutere di quello che pensi. Per te va bene?
Gli occhi che ho controllato io stessa, perdono il controllo da parte del proprietario.
- In ogni caso devo avere a che fare con te.
Socchiudo gli occhi e sorrido.
 
La cena con Saya-chin e Tesshi è stata piena di belle emozioni e di racconti da parte di tutti.
Ora, io e Taki-kun siamo seduti in un vagone del treno diretto alla stazione di Yotsuya e quasi del tutto vuoto per l’ora inoltrata
- Ti ringrazio per avermi chiesto di andare a trovarli. Senza il tuo aiuto forse non ci saremmo più rivisti. È come se la tua presenza nella mia vita mi rendesse tutte le cose importanti.
Taki-kun guarda il pavimento del vagone e si porta una mano alla nuca.
- Smettila… Non ho fatto niente di che.
- Anche quando ci scambiavamo mi hai dato molto di quello che mi mancava nella vita. L’hai completata. Penso che… - sento il sangue riempirmi le guance. - ...sia destinata ad essere felice finché sto con te.
Lui mi guarda assorto. Mi posa una mano sulla guancia e mi avvicina a sé. Deglutisco.
Il suo bacio è lento e delicato. Mi sento piena di energia nuova, che non appartiene alla Mitsuha che conosco. Sento chiaramente delle sensazioni piacevoli che non sono mie. Forse sono le sue.
Quando le nostre labbra si staccano, i nostri occhi si contattano.
- L’hai sentito anche tu? - mi chiede.
Io annuisco sorridendo.
- Credo che anche questo sia musubi. È una forza che non appartiene né a te né a me, ma a noi.
Taki-kun guarda fuori dal finestrino gli edifici immersi nella notte.
- Secondo te è possibile che per ogni musubi ci sia un essere che aspetta che lo viviamo dal suo punto di vista? Voglio dire, è possibile che noi non viviamo solo come Mitsuha e Taki, ma siamo in ogni altra persona e in ogni musubi e non ce ne accorgiamo?
Piego in dentro le labbra e rifletto su quello che mi ha appena detto.
- Credo che possiamo vivere in ogni corpo, se lo desideriamo davvero. D’altronde, noi non siamo i nostri corpi o le nostre personalità. Abbiamo vissuto ognuno la vita dell’altro come se fosse nostra senza nessuna finzione. Ormai io sono anche te e tu sei anche me, in un certo senso.
Il treno si ferma. Un’importante destinazione è stata raggiunta. Ci alziamo per scendere.
- Che ne dici se domenica torniamo al tuo villaggio? Vorrei tornare di nuovo lì con te.
La proposta mi sorprende, ma la trovo una splendida idea.
- D’accordo. Così potrai conoscere anche mio padre. O meglio, lui conoscerà te.
Ed è da qui che ci separiamo.
   
 
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