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Autore: sparewheel    22/04/2018    5 recensioni
Regina lo aveva imparato sulla propria pelle: l’amore controlla ogni cosa.
Persino se stesso.
(Storia partecipante al prompt del gruppo facebook “Maybe I need you”)
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Regina Mills
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti :)
Questa os nasce grazie al prompt del gruppo facebook “Maybe I need you” ed è ispirata a “Say you love me” di Jessie Ware.
Nella storia non ho citato versi o strofe della canzone in lingua originale, per questo non è una song fic, ma il testo della canzone è certamente dentro la storia, il suo significato è dentro la storia.
Ringrazio tantissimo il gruppo “Maybe I need you” e _BlueHeart per aver proposto l’iniziativa ed avermi portata a scrivere una cosa del genere. Grazie!
E grazie infinite a chi leggerà, spero che la storia vi piaccia :)
Buona lettura!

 
 
In punta di piedi (dietro un sorriso)
 
Il suo arrivo era sempre stato come quella folata di vento che spalanca le tende e consente al sole di inondare prepotente la stanza buia.
Un’impetuosa invasione di luce e calore sotto forma di iridi verdi e ricci biondi, Emma.
Invasione fastidiosa e indesiderata agli arbori del loro rapporto, divenuta poi bramata e confortante con l’inizio della loro amicizia.
Perché erano amiche, lei ed Emma.
Ne avevano passate tante e, assurdamente, lo erano diventate.
Regina non ci avrebbe scommesso un centesimo, eppure era successo.
E non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura, ma si era abituata da subito all’ “Emma e Regina”.
Mentre a quella piccola luce… al bagliore sprigionato dal diamante all’anulare sinistro dello sceriffo… a quello Regina non si sarebbe mai abituata, lo sapeva per certo.
Stava per sposarsi, Emma.
E Regina era la sua... testimone.
 
Gliel’aveva chiesto ufficialmente qualche settimana prima, piombando nel suo ufficio con gli occhi stranamente spenti e le labbra serrate in una linea piatta.
“Ho bisogno di te Regina” le aveva detto, senza aggiungere altri dettagli.
Ma poco male, perché a Regina i dettagli non servivano e neppure li voleva.
E non le sarebbe servita nemmeno una richiesta ufficiale perché, suo malgrado, era stata testimone dell’unione tra Emma e il pirata sin dai primi istanti.
Aveva dovuto guardarli a Neverland, a Storybrooke, a Camelot, persino all’inferno.
Ma era quello che Emma voleva.
Quindi Regina le aveva sorriso e aveva annuito.
“Certo, sarò la tua testimone”.
Ed Emma era tornata ad essere Emma.
 
Almeno fino ad un paio di giorni dopo, quando si era presentata al 108 di Mifflin Street seccata e nervosa, blaterando di stupidi fiori e inutili decorazioni, prima di attentare alla scorta di sidro di mele in bella mostra nello studio.
Regina le aveva sorriso e non l’aveva fermata.
L’aveva invitata a sedersi, a parlare.
Aveva ascoltato mentre Emma le spiegava quanto poco le importasse di tutte quelle cose. Mentre le spiegava quanto volesse veder passare il giorno delle nozze e poter essere felice.
Voleva quello Emma, voleva lui.
Regina aveva ascoltato ogni parola.
E si era versata più di un bicchiere di sidro di mele a sua volta, continuando a ripetersi che era colpa dell’alcool quel bruciore che sentiva nel petto.
 
Ma non c’era l’alcool a farle da scudo la mattina dopo, nel parco vicino al municipio.
Non c’era arma alcuna a poterla proteggere mentre Emma la guardava con quei suoi occhi verdi così intensi.
“Chi credi che dovrei accontentare Regina?” le aveva chiesto.
E certamente si riferiva alla location per le nozze, ai battibecchi tra i suoi genitori, ma Regina era riuscita a pensare solo ad una vita di sacrifici per gli altri, alle imposizioni del destino, ad un sentiero di dolore che lei per prima aveva contribuito a tracciare.
“Te stessa” le aveva risposto, sorridendo.
Ed Emma l’aveva guardata con ancora più intensità.
Aveva dischiuso la bocca, sembrava volerle dire qualcosa.
Ma dalle sue labbra non era uscito alcun suono.
Si era voltata ad aveva continuato ad allontanarsi.
Regina le aveva chiesto di restare.
Ma sottovoce, in un bisbiglio, solo quando Emma era già andata via.
 
E non l’aveva più vista per giorni.
Non l’aveva più vista fino a quando non l’aveva trovata sul pianerottolo di casa propria ad aspettarla.
Regina l’aveva invitata ad entrare e a mettersi comoda.
Ma Emma era rimasta in piedi all’ingresso, titubante, le dita che si torturavano tra loro.
L’aveva guardata in modo strano Emma, come se fosse lì, ferma immobile, per paura di farsi scappare qualcosa.
Per il coraggio di farsi scappare qualcosa.
Dimmelo, aveva osato pensare Regina.
Ma subito aveva rinnegato quell’assurdo pensiero e si era riscossa.
“Come posso aiutarti?” le aveva chiesto invece, con un sorriso.
E anche Emma si era riscossa.
Il suo sguardo era cambiato, “insegnami a ballare” le aveva detto.
E l’aveva spiazzata.
Non era quello che si aspettava di sentire, non era nemmeno quello che voleva sentire.
Ma almeno era un qualcosa che poteva gestire.
“Te la sei cavata più che bene a Camelot, alla cerimonia non sarà diverso” le aveva fatto notare.
Ed Emma aveva sbuffato ed era arrossita leggermente, prima di confessarle quel suo piccolo segreto.
“Ho usato i poteri dell’Oscuro.
Altrimenti come avrei potuto conoscere i passi di quella specie di flashmob medievale?!”
Regina aveva sollevato un sopracciglio, stupita.
“Mi stai dicendo che hai barato?”
“Come se non lo avessi fatto anche tu…” l’aveva accusata Emma, prima di superarla ed entrare finalmente in casa.
E in un primo momento Regina aveva pensato che lo sceriffo si stesse riferendo al suo essersi finta la salvatrice.
Ma era stato un pensiero stupido, perché era ovvio che Emma conoscesse ben altri suoi trucchi e segreti.
“Hai detto ai miei genitori di non saper ballare, ma hai mentito.
E io so sempre quando menti Regina” le aveva ricordato Emma.
E Regina per poco non era scoppiata a ridere istericamente.
Emma aveva ragione, lei a Snow e David aveva mentito.
Il re non l’aveva mai invitata a ballare, ma Regina ricordava ogni singolo istante delle lezioni di danza che sua madre le aveva fatto prendere.
Come sarebbe potuto essere altrimenti?
Le avevano insegnato a danzare prima che a camminare, ad obbedire prima che a parlare. Non le era stato concesso di essere meno che perfetta.
Ed Emma lo sapeva.
Quello che però Emma non sapeva era che Regina poteva mentirle, aveva imparato a farlo.
Le bastava mentire per prima a se stessa.
Perché solo così, solo così poteva stare accanto ad Emma.
Attorno, Regina, non accanto.
Accanto non le poteva stare.
E non poteva ballare con Emma, ma poteva muoversi intorno a lei, in punta di piedi.
Sentendo senza farsi sentire.
“Puoi condurre tu?” le aveva chiesto Emma prendendole una mano, la musica che le aveva già circondate.
La stava guardando dritto negli occhi Emma, la stava supplicando.
E Regina non poteva, Regina non voleva…
Non se non lo voleva anche Emma.
Ma forse Emma stava tentando, e quello sguardo, e...
“Non ti serve qualcuno che ti guidi” aveva dovuto dirle Regina, non riuscendo a trattenersi.
Non ti serve un capitano
“Il trucco è fare piccoli passi, insieme” le aveva spiegato, cingendole il collo con le braccia e cominciando a muoversi.
Lentamente, a destra e poi a sinistra.
Indietro e avanti.
In punta di piedi.
Perché Regina era a terra ed Emma era difficile da raggiungere.
Perché avevano un tempo che non era una vita.
Ma in quel momento Emma le stava stringendo i fianchi, e la stava ancora guardando negli occhi.
Col viso ad un soffio dal suo.
Con delle labbra che sembravano pronte.
Dillo
Dillo dillo dillo
Si era ritrovata a pregare, Regina.
Perché, dopo anni ad ascoltare sua madre, qualcuno le aveva detto che l’amore controlla ogni cosa.
Che è tutto ciò che serve.
E se solo avessero deciso di crederci… se solo avessero deciso di danzare insieme…
Ma le mani di Emma avevano lasciato i suoi fianchi, gli occhi di Emma avevano lasciato i suoi.
“Vuoi restare?” le aveva chiesto Regina.
Ed Emma le aveva sorriso, prima di andare.
 
E prima di andare a sposarsi, Emma non si era più fatta vedere.
Non le aveva più parlato, non l’aveva più cercata.
Mentre adesso, adesso che era stretta a suo marito muovendo ufficialmente i primi passi della loro vita insieme, Emma la stava cercando con lo sguardo.
E ancora una volta Regina non poteva che raccoglierlo e custodirlo nel proprio.
E sorriderle.
Fino a farla stare bene, fino a darle nuovamente la forza di posare altrove i suoi occhi.
Perché Regina lo aveva imparato sulla propria pelle: l’amore controlla ogni cosa.
Persino se stesso.
 
Sorrise di nuovo Regina.
Si voltò, e cominciò a muoversi tra i pezzi del proprio cuore.
Andando via, in punta di piedi.
 
 
E poi dei passi, lenti, familiari.
E una mano che le sfiora il braccio.
E degli occhi intensi che può vedere anche senza voltarsi.
E una voce che le offre un calore con cui bruciare in eterno.
“Vuoi restare?”
  
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