Fanfic su artisti musicali > One Direction
Segui la storia  |       
Autore: mononokehime    10/05/2018    0 recensioni
Talvolta ciò che ci rimane più impresso della realtà sono i dettagli che la compongono.
Questo è particolarmente vero per Carter Mason, accanita osservatrice del mondo che la circonda; proprio questa sua ossessione per i particolari la legherà indissolubilmente ad uno sconosciuto sulla metro, che farà di tutto per ritrovare.
DAL TESTO:
In quel momento la metro frenò bruscamente e Carter, non più appoggiata ad un sostegno, perse l'equilibrio sbilanciandosi all'indietro contro il corpo di una persona che la afferrò per il fianco sinistro, colta alla sprovvista.
Ancora frastornata, nel tentativo di recuperare l'equilibrio la ragazza abbassò lo sguardo sulla mano che la stringeva. Era una mano grande, giovane e maschile, le dita affusolate ma non per questo sottili.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Carter odiava ancora prendere la metro.
Eppure da quando aveva conosciuto Harry la situazione era decisamente migliorata. Talvolta i due si incontravano sulla metro e facevano il viaggio insieme – Harry provava a farlo sembrare casuale, e Carter si sforzava di non mostrargli che se n’era accorta praticamente fin dalla prima volta.
Erano solo quattro fermate, ma in quel quarto d’ora scarso chiacchieravano avidamente. Perlopiù parlavano di musica, anche se talvolta il discorso si spostava sui mille interessi di Carter; Harry sembrava non stancarsi mai di sentirla parlare di ciò che la affascinava, che si trattasse dell’ultimo film di Nolan o di qualche vecchio libro di poesie che aveva trovato in biblioteca.
Il tempo a loro disposizione si esauriva drasticamente più in fretta degli argomenti che emergevano uno dopo l’altro; quel giorno Harry sembrò non voler lasciare a metà il discorso sul degrado del panorama musicale contemporaneo che stava infiammando entrambi, perché lanciò una proposta che spiazzò completamente la ragazza di fronte a lui.
«Ti va di fermarti a cena da me, stasera?» chiese a bruciapelo, con la sua solita spontaneità disarmante. «Ordiniamo un paio di pizze, nulla di particolare. Per una volta non devo fare il turno di notte da Tesco»
Carter deglutì a vuoto mentre la metro rallentava accanto alla banchina di Neasden; percepì la propria testa annuire da sola quando il treno si arrestò sui binari, e riuscì a malapena a registrare l’ampio sorriso che si disegnò sul volto di Harry prima che le porte si aprissero ed il ragazzo la salutasse con la mano per poi scendere alla fermata.
Lei lo seguì con lo sguardo come si era ormai abituata a fare, quindi prese un sospiro appena tremante ed estrasse il cellulare dalla tasca del giubbotto. Cercare nella rubrica il numero di Louis ed avviare la chiamata fu un gesto automatico.
La linea squillò libera per un tempo che a Carter sembrò infinito prima che l’amico rispondesse.
«Porca puttana, Mason, dovresti saperlo ormai che non puoi svegliarmi alle otto di mattina e sperare anche che io non mi incazzi»
«Sono quasi le nove, Lou» puntualizzò lei con una risatina, scuotendo la testa. «E ho bisogno di parlarti»
«Ti ascolterò solo se mi dirai che il mondo sta per esplodere o che Walkers ha smesso di produrre patatine»
Carter sbuffò divertita al tipico atteggiamento melodrammatico di Louis; il ragazzo viveva con i genitori e lavorava solo nel weekend, pertanto per lui dormire fino a tardi durante la settimana equivaleva ad una sorta di rituale sacro.
«Harry mi ha invitata a cena da lui stasera»
Ci furono alcuni istanti di silenzio, tantoché Carter guardò il display del telefono per assicurarsi che non fosse caduta la linea; tuttavia presto la voce di Louis tornò ad echeggiare più squillante di prima.
«Che cazzo aspettavi a dirmelo??» tuonò, facendo ridere l’amica. «Love, questa è un’emergenza. Ti sei fatta la ceretta? Hai il tempo per farti una doccia e sistemare quei quattro spaghetti che hai in testa? Guarda che io stasera devo uscire con Gabe, non riuscirò a venire da te per darti una mano a prepararti!»
«Frena, Lou» lo bloccò lei, non potendo fare a meno di sorridere. «Mi ha solo invitata a mangiare una pizza»
«Certo, come no» replicò sarcastico Louis con uno sbuffo. «Sai meglio di me che preferirebbe che tu mangiassi il suo…»
«Louis!» soffiò Carter, sentendosi divorare dall’imbarazzo. «Non succederà niente del genere, sei impazzito?»
«Farò finta di crederti, love» tagliò corto il ragazzo, probabilmente roteando gli occhi. «Ma nella vita quello che conta è arrivare preparati. Dai retta allo zio Tom, per una volta»
Carter masticò un’imprecazione tra i denti, passandosi il telefono da una mano all’altra mentre usciva dalla metro che nel frattempo si era fermata a St. Johns Wood.
«Ti richiamo dopo, ora devo andare al lavoro» mormorò, tentando nel frattempo di fare slalom tra i passeggeri che andavano e venivano per il sottopassaggio. «Ti voglio bene, Lou»
«Anche io, love. Chiamami su FaceTime mentre ti prepari, così proverò a farti evitare di indossare quegli orrendi felponi di cui sei ossessionata»
«Scusa tanto se per me risvoltini e magliette a righe vanno bene solo a Venezia» lo rimbeccò lei indispettita, guadagnandosi una risata dal suo migliore amico che riattaccò dopo averla salutata.
Carter ripose il telefono nella tasca del giubbotto con un sospiro, percorrendo controvoglia gli ultimi metri all’uscita della stazione verso il Beatles Coffee Shop. Alzò la saracinesca metallica all’ingresso ed aprì la porta, accendendo subito tutte le luci per annunciare l’apertura del negozio; alcune persone iniziarono ad avvicinarsi e ad entrare dietro di lei, prendendo subito a guardarsi intorno.
Le ore trascorsero insolitamente rapide, senza particolari intoppi né clienti problematici, ed alle quattro in punto Baylee spalancò la porta con il solito chiassoso entusiasmo che la contraddistingueva.
«Sei puntualissima, B» la accolse Carter, sogghignando con fare provocatorio. «Che si festeggia?»
«Questa battuta non faceva ridere nemmeno all’inizio, figuriamoci dopo la milionesima volta che l’ho sentita» replicò Baylee con una smorfia, togliendosi il cappotto.
«Vuol dire che passerò la notte a studiare un’alternativa» ribatté prontamente Carter, chinando il capo in un finto gesto reverenziale. La sua collega si lasciò andare ad una risatina mentre scuoteva la testa, quindi lanciò un’occhiata inquisitoria all’amica.
«Sembri parecchio di buonumore» commentò, socchiudendo le palpebre. «Fammi indovinare, scommetto che è successo qualcosa di bello con il tuo dio greco dagli occhi verdi»
Carter alzò le spalle con fare innocente, ma il leggero sorriso che le era rimasto sulle labbra la diceva lunga su quanto Baylee avesse ragione. Quest’ultima difatti emise una breve risata, tirando un lieve pugno sulla spalla della collega.
«Avanti, Carrie, racconta!» la spronò, impaziente di conoscere i dettagli. «Vi siete baciati? Avete fatto sesso? Ti ha chiesto di sposarlo a Parigi con i fuochi d’artificio rosa alle vostre spalle?»
«Idiota!» la rimbeccò Carter, spalancando gli occhi e guardandosi rapidamente intorno per assicurarsi che non ci fosse nessuno ad ascoltare. «Niente di tutto questo, mi ha solo invitata a cena a casa sua»
Baylee mise su un’espressione delusa che nonostante tutto fece sorridere Carter.
«Oh, eddai, neanche un bacio?» si lamentò, aggrappandosi al braccio della ragazza e scuotendolo. «Stasera è la tua occasione, Carrie! Fagli ricordare che nei pantaloni non ha un Teletubbies!»
«Tu sei fuori di testa» replicò Carter, scoppiando a ridere mentre si liberava dalla presa. «E non chiamarmi Carrie, lo sai che mi dà sui nervi»
«Ti fossilizzi sempre sui dettagli più irrilevanti» sentenziò implacabile Baylee, afferrando uno straccio umido e passandolo su una macchia di latte della macchina per il caffè. «Il fatto che ti abbia invitata a casa sua significa che vuole passare del tempo con te, da soli, altrimenti avrebbe continuato a vederti sulla metro come nelle ultime settimane. E non c’è bisogno che ti dica cosa si può fare quando si è da soli, giusto?»
Carter sbuffò sorridendo mentre si infilava il giubbotto, anche se dentro di sé le parole di Baylee l’avevano completamente scombussolata. La ragazza poteva avere ragione, così come Louis; tuttavia non voleva nemmeno pensare alle implicazioni di quelle congetture. Per questo salutò in fretta la collega, e dopo essersi infilata le cuffie tirò a sé la porta d’ingresso uscendo dal piccolo locale mentre avviava in riproduzione casuale la sua playlist preferita dell’ultimo periodo.
 
She said luck is what you make it
You just reach out and take it
 
Scendeva le scale che portavano alla banchina a passo svelto, quasi con impazienza febbrile, lo scalpiccio delle suole degli anfibi coperto dagli sferzanti accordi della chitarra acustica nelle cuffie.
 
She said nothing ever happens
If you don’t make it happen
 
La metro si fermò davanti a lei un paio di minuti dopo, e Carter entrò cercando subito con lo sguardo un posto libero dove sedersi. Non sarebbe riuscita a stare in piedi a lungo; le gambe sembravano quasi cederle per l’eccitata agitazione che aveva improvvisamente iniziato ad invaderla.
 
But after a while
You realize time flies
And the best thing you can do
Is take whatever comes to you
‘Cause time flies…
 
Carter si morse l’interno di una guancia mentre i suoi occhi seguivano passivamente le sagome confuse che scorrevano rapide fuori dai finestrini, i contorni resi indefiniti dalla velocità della metro. Sembravano quasi i suoi pensieri, così caotici e sfuggenti da non riuscire ad afferrarli prima che scivolassero via; ad un certo punto li lasciò semplicemente liberi di intrecciarsi l’uno con l’altro, allacciati da un’unica costante comune.
Harry era ormai un chiodo fisso, piacevolmente presente, invariabile, inesorabile. Spadroneggiava nella sua mente con la sua caratteristica disinvoltura, e lei era stata irrimediabilmente soggiogata da quel fascino così accattivante e spontaneo.
Non riusciva a spiegarsi come fosse possibile l’apparente interesse di Harry nei suoi confronti; Carter non aveva mai avuto un’opinione particolarmente alta di sé, ed essendo una persona piuttosto chiusa aveva un numero davvero ristretto di amici che potesse considerare tali. Gli altri la consideravano in genere troppo sofisticata, bizzarra, dai gusti eclettici ed un carattere insopportabilmente perfezionista; cosa spingesse Harry a voler ridefinire i confini della comfort zone di lei, giorno dopo giorno, non riusciva proprio a capirlo.
Era così assorta nei propri pensieri che mancò la propria fermata e fu costretta a scendere a Kingsbury per poi aspettare la metro in direzione opposta; imprecando per la propria distrazione spostava nervosamente il peso da un piede all’altro, agitata per il tempo che stava perdendo oltre che per la cena incombente.
D’un tratto un dubbio le attraversò la mente come un lampo; non aveva idea di dove abitasse Harry, e per giunta non si erano neppure accordati per un orario né per un luogo d’incontro. Come avrebbe fatto a raggiungere casa sua? Lui si sarebbe dimenticato della cena?
Quella prima ondata di panico si dissipò almeno in parte quando si ricordò di avere il numero di telefono di Harry; lui gliel’aveva dato quasi per scherzo, diversi giorni prima, ma Carter non aveva mai avuto il coraggio di scrivergli né di chiamarlo. Tuttavia in quel momento l’esitazione non era neppure qualcosa da prendere in considerazione, ed alla ragazza venne quasi da ridere per essersene dimenticata in una situazione del genere.
Prima di cambiare idea scavò nella rubrica del telefono fino a trovare il contatto di Harry, che selezionò per avviare la chiamata. Si portò il cellulare all’orecchio, il labbro inferiore stretto tra i denti mentre contava gli squilli della linea libera.
«Pronto?»
«Ciao Harry, sono… sono Carter» balbettò, stranamente a disagio. All’altro capo della linea sentì la risata sommessa del ragazzo, e le si strinse il cuore al pensiero di non poterlo guardare mentre rideva.
«Finalmente sono riuscito a farti usare il mio numero di telefono» commentò lui, con tono giocosamente beffardo. «Avevo quasi paura che pur di non chiamarmi avresti fatto finta di dimenticarti del mio invito»
«Aspetta, l’hai fatto apposta a non dirmi dove incontrarci?» inquisì Carter, colpita da quell’improvvisa rivelazione e trovandone una conferma nella risatina di Harry che seguì. «Sei assurdo, non ho parole»
«Intanto ha funzionato» replicò trionfante, al che Carter alzò gli occhi al cielo sorridendo. «Riesci a farti trovare alla fermata di Kilburn intorno alle sette e mezza? Ti aspetterò lì»
La ragazza si passò il telefono da una mano all’altra mentre entrava nella metro che si era appena fermata di fronte a lei, aggrappandosi ad un palo per non venire sbalzata all’indietro quando il mezzo ripartì.
«Certo, alle sette e mezza a Kilburn» ripeté come un automa, reprimendo l’impulso di esultare come una bambina. «Ci vediamo lì»
«A dopo... ah, e grazie del numero!»
Idiota”, avrebbe voluto rispondergli lei, ma Harry aveva già riattaccato. Trattenne un sorriso mentre scuoteva appena la testa, tornando subito a guardare fuori dal finestrino per assicurarsi di non perdere di nuovo la fermata.
Una volta arrivata a Wembley si mise quasi a correre, percorrendo in tempo record il centinaio di metri che la separavano da casa. Erano ormai lei cinque di pomeriggio, e le restavano solo due ore e mezza di tempo per prepararsi ed arrivare a Kilburn; non appena fu entrata in camera gettò la borsa sul letto e tirò fuori il cellulare dalla tasca del giubbotto, quindi aprì FaceTime e contattò Louis.
Il viso dell’amico comparve poco dopo sullo schermo, e quando Carter lo vide si sentì in qualche modo rassicurata da quella presenza familiare seppure solo virtuale.
«Ehi, Lou» sospirò, sistemando il cellulare su uno scaffale della libreria all’altezza del proprio viso. «Sono appena tornata a casa, ho pochissimo tempo e sono nel panico»
«Fai bene ad esserlo, love» replicò impietoso Louis, passandosi una mano sul mento. «Dio, è la qualità dell’immagine che fa schifo oppure hai un brufolo enorme sulla guancia?»
Carter impallidì e si portò freneticamente le mani sul viso, tastandolo ovunque per trovare conferma delle parole del ragazzo.
«Dove? Dove…?» blaterava confusamente, correndo verso il lungo specchio accanto alla porta della camera. «Louis, fatti curare! Non ho un cazzo sulla guancia!»
La risata di Louis echeggiò per tutta la stanza, al che Carter esasperata tornò a fronteggiare lo schermo del telefono.
«Ci sei cascata in pieno, love» sghignazzò, godendosi lo sguardo furente dell’amica. «Prenderti per il culo è così facile che quasi non c’è gusto»
«Vaffanculo!» sbottò lei, i nervi a fior di pelle che non la facevano stare ferma un secondo. «Ci mancano solo i tuoi scherzi del cazzo per farmi passare l’ansia. Mi dai una mano a trovare qualcosa da mettermi o hai intenzione di continuare a ridere come uno stronzo?»
«Okay, okay, rilassati» replicò divertito Louis, alzando le mani. «Apri quell’armadio e fammi vedere qualsiasi cosa non somigli ad una felpa oversize»
Ci volle quasi un’ora, sommata ad una quantità spropositata di imprecazioni da parte di entrambi, prima che Carter trovasse qualcosa da mettere che l’avrebbe fatta sentire a proprio agio; dopo che si fu fatta una rapida doccia e sistemata alla bell’e meglio i capelli Louis la osservò disgustato mentre si infilava un paio di jeans neri appena strappati sul ginocchio, una t-shirt aderente a maniche lunghe dello stesso colore con stampata la silhouette del viso di Jimi Hendrix ed una camicia in flanella a quadri rossi e neri.
«Come sto?» chiese speranzosa, facendo un giro su se stessa sotto lo sguardo del ragazzo.
«Benissimo, se stai andando alla serata grunge dell’osteria di paese» commentò velenoso, beccandosi un’occhiataccia da parte di Carter. «Non fare quella faccia, love. Hai un appuntamento con il ragazzo per cui perdi le bave dal primo momento che l’hai visto e ci vai vestita come una tossicodipendente?»
«Di sicuro non ho intenzione di presentarmi a casa sua con vestito e tacchi, che per inciso non ho nemmeno» protestò lei, mostrandogli il dito medio. «Ora riattacco, sono in ritardo»
«Se non arrivi in tempo puoi sempre dirgli che eri entrata in una discarica per cercare dei vestiti da mettere, e che ti ci sei persa dentro» malignò con un ghigno. «Divertiti, love, e ricordati di fargli mettere il preservativo se scopate»
«Noi non… ah, vaffanculo, mi ha riattaccato il telefono in faccia» borbottò, recuperando il cellulare e gettandolo nella borsa. Si sentiva inspiegabilmente agitata, nonostante conoscesse Harry ormai da qualche settimana e si sentisse del tutto a proprio agio in sua compagnia; dentro di sé non vedeva l’ora di passare un’intera serata con lui, ma all’esterno era un concentrato di ansia e paranoie infondate.
Mentre camminava a passo svelto verso la stazione, dopo essersi infilata le sue inseparabili Dr Martens ed essere uscita di casa, non faceva che sistemarsi il giubbotto e passarsi le mani tra i capelli convinta di essere un completo disastro. Non aveva nemmeno provato a truccarsi, non essendone minimamente capace; l’unica sua concessione alla vanità era stata un velo di mascara sulle ciglia – il solo prodotto di cosmesi che era in grado di usare senza sembrare uscita da un laboratorio di pittura facciale per bambini.
Fortunatamente la metro non la fece aspettare; il viaggio per Kilburn le sembrò comunque interminabile – nonostante durasse meno di dieci minuti – dal momento che per la fretta si era dimenticata a casa le cuffie e non poteva neppure ascoltare musica.
Quando la voce registrata annunciò l’imminente arrivo alla fermata di Kilburn, Carter si sentì rimescolare completamente; cercando a fatica di controllare il batticuore martellante si posizionò davanti alle porte in modo da non venire spintonata dai passeggeri all’uscita. Mentre il treno rallentava intravide Harry sulla banchina, i capelli raccolti e le mani nelle tasche del lungo cappotto nero che gli fasciava il corpo come se gliel’avessero cucito addosso. Era di una bellezza quasi impossibile da sopportare, anche solo vedendolo di sfuggita dai finestrini del treno ancora in movimento.
La ragazza deglutì quando le porte si aprirono, ed espirò la poca aria che le era rimasta nei polmoni in una nuvoletta di condensa che si liberò nella sera gelida di novembre. Il suo sguardo si inchiodò subito in quello di Harry, che le sorrise e si incamminò nella sua direzione.
«Buonasera» la salutò, gli angoli delle labbra inclinati verso l’alto in un’espressione giocosamente canzonatoria. «Com’è andato il viaggio?»
«Esattamente come tutti i giorni» replicò lei con una smorfia, ma senza riuscire ad impedirsi di sorridere subito dopo. «Tu comunque sei scandaloso, non riesco ancora a credere che hai usato quel trucchetto da quattro soldi per avere il mio numero»
Harry ridacchiò mentre si incamminava verso il sottopassaggio con Carter al proprio fianco.
«Sei tu che mi hai praticamente costretto a farlo» si difese, lanciandole un’occhiata innocente. «Non mi hai mai scritto da quando ti ho dato il mio»
«Perché avrei dovuto?» lo provocò Carter, piegando la testa di lato. Lui esibì un’espressione sorpresa per l’insolita intraprendenza della ragazza, ma questo non gli fece perdere il sorriso divertito che tornò a disegnare una lunga fossetta sulla guancia sinistra mentre riportava lo sguardo davanti a sé.
«Perché lo volevi almeno quanto lo volevo io» affermò con noncurante sicurezza, senza togliere gli occhi dalla strada. Carter deglutì a vuoto, le guance in combustione ed il petto stretto in una morsa che le faceva mancare il respiro; alzò il viso verso quello del ragazzo che le camminava accanto, trovandolo placidamente disteso. Il suo cuore batteva così forte che temeva quasi che lui potesse sentirlo.
Proseguirono lungo la A5 per un altro paio di minuti in silenzio, finché ad un certo punto Harry piegò a sinistra per entrare nell’ampio giardino comune di un enorme complesso di appartamenti. Carter lo seguì, il naso sollevato verso la struttura che doveva contenere diverse decine di monolocali; quando entrò insieme a lui all’interno perse il conto delle scale, dei corridoi e dei piani che li portarono di fronte ad una porta color crema su cui era affissa una targhetta con il numero 709.
La ragazza aspettò che Harry estraesse le chiavi ed aprisse la porta, quindi una volta oltrepassato il minuscolo disimpegno all’ingresso il suo sguardo impaziente si rivolse all’appartamento che le si era presentato davanti agli occhi.
La prima cosa che catturò la sua attenzione fu la parete sulla destra, interamente ricoperta di vinili le cui copertine erano appese sul muro bianco con ordine quasi maniacale; Carter riconobbe una moltitudine di album storici, come Nevermind dei Nirvana e The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd, ma anche dischi di nicchia come – sorrise compiaciuta nel vederlo – In Absentia dei Porcupine Tree, uno dei suoi preferiti in assoluto.
Il resto dell’ambiente era sobrio ed ordinato, con un parquet chiaro che ricopriva i pavimenti e pochi mobili dalla linea pulita disposti in modo esteticamente piacevole ma funzionale. Un divano nero di pelle era posizionato ai piedi della parete con i vinili, rivolto verso un basso tavolino di vetro rettangolare; di fronte vi era un’ampia libreria piena di libri, dotata di un elaborato impianto stereo che probabilmente valeva almeno quanto un intero stipendio di Carter. A completare l’arredamento in fondo alla stanza c’era un angolo cottura con un piccolo tavolo scuro a quattro posti, che dava su un minuscolo terrazzino.
Una risatina di Harry la riscosse dalla sua contemplazione assorta.
«Hai intenzione di restare all’ingresso tutta la sera?»
Carter spostò lo sguardo sul ragazzo, che si era tolto il cappotto nero e probabilmente stava aspettando che lei facesse altrettanto a giudicare dalla sua mano tesa nella sua direzione. Roteò gli occhi al cielo ma sorrise, togliendosi il giubbotto e porgendolo ad Harry che lo appese ad un attaccapanni a muro vicino alla porta d’ingresso.
«Niente male» mormorò ammirata, tornando ad osservare le copertine quadrate dei vinili che campeggiavano sulla parete. «Hai anche un giradischi?»
«Avevo un meraviglioso Rega RP1 fino ad un paio di mesi fa… poi il gatto di mia sorella me l’ha devastato, facendosi le unghie sul piatto e distruggendo il braccetto»
L’aria tragica di Harry fece sorridere Carter, sebbene dentro di sé inorridisse per uno scempio del genere. Se fosse successo a lei di sicuro quel gatto non avrebbe rivisto la luce del sole.
«Tua sorella…?»
Lui annuì, sciogliendo lo chignon ormai disordinato e passandosi una mano nei capelli castani che poi tornarono a ricadere morbidamente sul maglione color panna a trama larga.
«Gemma, la mia sorella maggiore. Mi aveva chiesto di badare al suo stupido gatto per un weekend mentre era alla spa con il fidanzato, per il suo compleanno… ovviamente mi ha promesso che mi ricomprerà il giradischi come regalo di Natale»
Carter non riusciva a non restare incantata quando scopriva qualcosa di più su Harry. Era un personaggio affascinante e particolare, completamente diverso da tutti i ragazzi con cui aveva avuto a che fare nella sua vita; era curioso ed attento nei confronti del mondo che lo circondava, proprio come lei, ed era irresistibilmente imprevedibile.
«Sono felice di non avere un gatto» commentò semplicemente lei, con un’alzata di spalle che fece spuntare la fossetta sinistra accanto al sorriso di Harry.
«Anch’io, credimi» replicò lui, recuperando nel frattempo il telefono dalla tasca dei jeans neri. «Che pizza vuoi?»
«Margherita» rispose, corrugando poi la fronte alla smorfia che le rivolse. «Che c’è?»
«Solo margherita?» la punzecchiò, piegando la testa di lato. «Niente salamino? Verdure? Funghi? Ananas?»
«Solo margherita» ribadì Carter, alzando le sopracciglia in un’espressione seccata solo per finta. «Non mangio molto. E poi non dirmi che sei uno di quegli scherzi della natura a cui piace sul serio l’ananas sulla pizza»
Harry si portò una mano al cuore con aria teatralmente inorridita.
«Scherzi? Non esiste» affermò, scuotendo la testa. «Pensavo avessi un’opinione migliore di me, Carter»
Lei deglutì a vuoto, la bocca improvvisamente secca come il deserto; era la prima volta che Harry pronunciava il suo nome, e avrebbe voluto sentirglielo ripetere ancora e ancora. Così lento, così graffiato, così carico di fascino inaspettato…
«Tutto a posto?»
Un paio di luminosi occhi verdi erano puntati dritti nei suoi, e la fecero riscuotere da quel piccolo limbo ovattato in cui si era persa per alcuni secondi. Annuì vigorosamente, un po’ imbarazzata, ed abbozzò un sorriso.
«Una margherita» ripeté ancora, come un automa. «Una margherita andrà benissimo»
Non si ricordava minimamente di cosa stessero parlando.



Spazio autrice
Ciao a tutti <3
Sono un po' di corsa quindi sarò davvero brevissima hahah
Durante le settimane successive al secondo incontro sulla metro Harry e Carter si rivedono diverse volte, chiacchierano un sacco e scoprono di stare parecchio bene nella compagnia reciproca :') quindi Harry azzarda un invito a cena usando un trucchetto a dir poco becero per avere il numero di lei hahah
Che dite, come andrà la cena? Io vi annuncio solo che quello di giovedì prossimo sarà l'ultimo capitolo di Details :')
Nel frattempo ringrazio di cuore
leccaleorecchie
 (mi ha fatto morire il tuo nick hahah) e m12 per aver inserito questa storia tra le preferite <3 <3

Un abbraccio,
mononokehime
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: mononokehime