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Autore: Just_Charlie    19/05/2018    7 recensioni
Clexa fencing (più o meno) AU
Clarke Griffin è una madre single che si destreggia tra lavoro, amici e le fantasie della sua piccola Madi. Quando una storia della buonanotte diventa molto più reale di quanto avesse mai potuto immaginare, Clarke conosce Lexa Woods, la bellissima (e terribile) insegnante di scherma di Madi.
Tra colpi di fioretto e lingue taglienti come spade, riuscirà Clarke ad aprire il suo cuore all'amore?
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Clarke Griffin, Lexa, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buonsalve amici lettori! Innanzitutto volevo ringraziare tutte le persone che hanno recensito questa storia o l’hanno inserita nelle liste, siete veramente in tanti! Il calore con cui questa storia è stata accolta mi rende veramente molto felice.

Seconda cosa, forse un pochino meno piacevole… sono sommersa dal lavoro per l’università e non sono riuscita a completare la scrittura del terzo capitolo come promesso in una risposta ad una recensione. Dato però che non volevo lasciarvi a bocca asciutta per troppo tempo, ho deciso di pubblicare la prima parte adesso, e di scrivere nei prossimi giorni la seconda parte e di pubblicarla una volta pronta. In questo modo avrete due capitoli un po’ più corti (più o meno la metà del solito) ma più vicini nel tempo. Col quarto capitolo – università permettendo, dato che già la settimana prossima ho due esami, poi a giugno inizia la sessione… uff! – dovrebbe tornare tutto normale.

Spero che questa mia decisione non vi dispiaccia!

Intanto godetevi la prima parte del terzo capitolo 😊

Baci,

Charlie

                   

                  

                

              

CAPITOLO TRE: CENERENTOLA (PARTE UNO)

                 

                     

Clarke si svegliò in un letto non suo. Ci mise un po’ ad accorgersene, i residui di tutto l’alcol che aveva bevuto la sera prima le martellavano la testa senza sosta. Ma le differenze erano evidenti: luce diversa, colori diversi, odori diversi. E soprattutto, Clarke non dormiva mai sul lato sinistro del letto. Quello era di Madi quando faceva i brutti sogni, il più lontano dalla porta nella sua camera a casa sua.

Dove apparentemente non era, in quel momento.

«Ma che diavolo-» borbottò senza capire, la luce che entrava dalle grandi finestre le feriva gli occhi. Si passò una mano sul volto, come per cercare di scacciare la confusione.

Si girò di lato.

E la vide.

C’era una donna che dormiva accanto a lei nel letto, nuda. Era bellissima. Il profilo perfetto del naso le impreziosiva il volto, le lunghe ciglia che le accarezzavano le guance sembravano tremare. Ad ogni respiro che usciva dalle sue labbra piene e perfettamente disegnate, l’aria faceva alzare una ciocca di capelli castani che era finita a coprire parte del suo viso d’angelo. La schiena nuda era coperta sulla vita da un lenzuolo rosa pallido, e una gamba affusolata si allungava lungo il materasso, lasciando poco spazio a Clarke. Clarke la osservava ammaliata, senza sapere chi fosse né come avesse fatto a ritrovarsi nel letto con una donna dalla bellezza così celestiale.

Questa volta i ricordi impiegarono più tempo per riaffiorare. Clarke restò a guardarla dormire per quello che le parve un tempo infinito, senza sapere cosa fare né cosa dire. Si sentì un po’ una stalker, a guardare una sconosciuta mentre dormiva, così aperta e indifesa. Ma era troppo bella per staccarle gli occhi di dosso. E poi la stanza non le diceva niente se non quello che aveva già intuito: i loro vestiti sparsi ovunque, una delle sue scarpe persa lungo il corridoio che Clarke riusciva a vedere se si piegava un po’ in avanti; il minimalismo con cui era arredata la camera le fece pensare a qualcuno di solitario, che non viveva con la sua famiglia. Niente foto né alcun segno che quella stanza fosse realmente abitata, se non nel letto.

Clarke rimase lì, ferma e confusa sul letto, per minuti e minuti e minuti e minuti e –

I ricordi si avventarono su di lei come avvoltoi sulla carcassa di un animale.

«Credo che tu mi debba un drink» disse la donna con voce suadente e un mezzo sorriso.

La donna non controllò neanche che il bagno fosse libero da occhi indesiderati prima di spingere Clarke contro la porta e baciarla.

«Almeno dimmi il tuo nome?» disse Clarke cercando di respirare a pieni polmoni, ma suonò più come una domanda.

La donna rise. «Non è più divertente così?»

«Ti prego, dimmi che ti posso portare a –

«Oh merda»

Clarke impanicò.

Era andata a letto con una sconosciuta.

Era andata a letto con una sconosciuta.

ERA ANDATA A LETTO CON UNA SCONOSCIUTA.

E dio, se le era piaciuto.

Clarke nascose il viso tra le mani, trattenendo a stento un urlo isterico. Era andata a letto con una sconosciuta e le era piaciuto. L’eccitazione del mistero, il fatto che tutto sarebbe svanito con il sorgere del sole, e quella cosa che mi ha fatto con la lingua là sott–

Clarke si impedì di pensare oltre. Non aveva nulla contro le storie di una notte; il problema era che non erano mai state per lei. Per Clarke il sesso non era solo sesso. Certo, con Niylah lo era stato, ma quello era stato un periodo di debolezza dopo essersi lasciata con Finn; aveva sentito terribilmente la mancanza di un corpo accanto al quale dormire la notte, una spalla su cui appoggiarsi nei momenti di stanchezza, una persona su cui contare e nella quale rifugiarsi quando fuori era buio. Ma avevano mutualmente deciso di troncare la storia prima che potesse evolvere in qualcosa di più. Lei e Niylah erano comunque rimaste amiche; si vedevano ancora per un caffè, di tanto in tanto.

Quello che era successo quella notte, però, era tutt’altra storia. L’alcol le aveva completamente assopito la ragione; l’istinto aveva preso il sopravvento, trasformandola in qualcosa che non era. Clarke seguiva sempre la sua coscienza. Non era una donna che si lasciava prendere dal momento e dalle emozioni. Era un’artista, ma il suo lato razionale aveva sempre avuto la meglio nella sua vita reale. Era un controsenso vivente, lo aveva saputo fin da bambina. Era sempre stato così.

Ma non quella notte.

Non questa notte.

Clarke si alzò di scatto dal letto, accorgendosi soltanto in quel momento di essere nuda anche lei. Si girò verso la donna che dormiva, imbarazzata; ma era ancora profondamente addormentata. Riavendosi, raccolse le sue mutandine e se le infilò alla velocità della luce, saltellando su un piede. Ma dove è finito il reggiseno? Lo vide all’inizio del corridoio, proprio accanto allo stipite della porta. Messo anche quello, recuperò il vestito e se lo infilò dalla testa, senza pensare. Lo tirò giù fino ad una lunghezza accettabile e si guardò intorno, cercando altre cose che le appartenessero. Ma la stanza era vuota di lei. Adesso, soltanto il suo lato del letto stropicciato poteva tradire la presenza di un’altra persona nella camera.

Recuperò la prima scarpa nel corridoio ed entrò nel soggiorno alla ricerca della seconda. Vide che la sua borsetta era per terra accanto al divano, ma della scarpa nessuna traccia. Clarke si fermò per pensare, cercando di ripercorrere con la memoria quella notte. Per quanto la facesse vergognare, doveva farlo: quelle erano le sue décolleté preferite e non se ne sarebbe mai andata senza averle trovate entrambe.

Allora, Clarke, pensa un po’. Cosa è successo? Clarke non aveva molti ricordi di quella notte, in realtà. Dal taxi che avevano preso per andare a casa della donna, le memorie di Clarke erano confuse e annebbiate. Ricordava la foga dei baci, le unghie, i denti. I gemiti.

La donna la spinse facendola cadere all’indietro sul letto. Clarke si morse il labbro, guardando quella dea scesa dal cielo. Le si sedette a cavalcioni sulle gambe, cingendo la vita di Clarke con le braccia. La baciò con passione, senza remore, avventandosi sulle sue labbra con famelica attenzione, poi scese giù, giù, lungo il collo, marchiandolo con morsi che fecero sussultare Clarke. La donna rise, una risata sottovoce, sexy come non mai. Un brivido partì dalla schiena di Clarke facendola tremare da capo a piedi. La donna le abbassò le spalline del vestito e la guardò negli occhi, aspettando la conferma che stava cercando.

«Stai cercando questa per caso?»

Clarke urlò e si voltò di scatto, spaventata a morte.

Non era più sola.

C’era lei.

Indossava una vecchia t-shirt di un blu scolorito tendente al verde smorto. Aveva i capelli tutti arruffati, e delle occhiaie che tradivano la notte appena trascorsa.

È comunque bellissim-

In mano aveva la scarpa mancante di Clarke.

Merda.

Già, merda.

«Vogliamo fare Cenerentola e il principe azzurro o posso offrirti un caffè e possiamo parlare?» chiese la donna con un sorriso storto che fece sciogliere Clarke. Clarke aveva un debole per i sorrisi storti. Era stato quello che l’aveva fatta cadere ai piedi di Finn. Guardò prima la scarpa che la sua sconosciuta teneva tra le mani, poi il suo viso, poi di nuovo la scarpa, poi il suo viso ancora, in un circolo vizioso che stava facendo andare in fumo il cervello di Clarke. Non sapeva cosa dire, non sapeva cosa fare. La sua coscienza le gridava di scappare, di scappare il più in fretta possibile senza voltarsi più indietro, di scappare e tornare alla sua normalità, perché un altro sguardo a quegli occhi chiari e non ce l’avrebbe più fatta. Sarebbe caduta nella tela del ragno e, come un’ingenua farfalla, non ne sarebbe più uscita.

Dall’altro lato, qualcosa dentro di lei le diceva di restare. Perché in fondo un caffè non significava nulla, no? Avrebbe potuto tranquillamente andarsene dopo aver recuperato la sua scarpa e aver bevuto una tazza di caffè di cui sembrava avere disperatamente bisogno.

Pensa a Madi, Clarke.

E se una volta pensassi anche a me?

Il copione della sera precedente si ripeté.

Clarke sorrise imbarazzata, si sistemò i capelli dietro le orecchie e annuì.

Anche la donna annuì, e si avvicinò a lei. Le porse la scarpa, che Clarke prese lentamente. Quando entrambe ebbero la mano sulla scarpa, si guardarono. C’era qualcosa di strano, nello sguardo di quella donna. Come una storia che non aveva mai raccontato a nessuno ma che urlava per scappare fuori ed essere divulgata al mondo. Clarke scosse la testa e si prese la sua scarpa, infilandosela assieme a quella che già aveva. I tacchi di prima mattina dopo una notte del genere erano la cosa più assassina di cui Clarke avesse mai fatto esperienza.

«Allora, caffè?» Ripeté la donna, sorridendo ancora.

«Caffè» disse Clarke, annuendo.

La donna si avviò in cucina, e Clarke la seguì con titubanza. Si sentiva a disagio, ora che non era l’unica sveglia. Non aveva la più pallida idea di cosa dire alla donna con cui aveva passato quella che molto probabilmente sarebbe stata una delle migliori notti della sua vita, se non la migliore in assoluto. Ma ora che il sole era sorto, la magia che le aveva attratte quella notte sembrava avere perso il suo effetto. Almeno per lei. La donna – sarebbe mai riuscita a scoprire il suo nome? – invece sembrava essere calma e sicura di sé, come quella notte.

Clarke rimase accanto alla porta, mentre la donna accese la macchina del caffè e si appoggiò al bancone della cucina, guardandola.

«Allora,» disse «Hai dormito bene, Clarke?»

Sentirla pronunciare il suo nome fu uno shock piacevole e allo stesso tempo terrificante.

«Come-» le si spezzò la voce. Clarke tossì, e la guardò negli occhi «Come sai il mio nome?»

La donna scoppiò a ridere, e si portò una mano al viso per nascondere la risata. Aveva una luce maliziosa negli occhi, una luce che fece insospettire Clarke. Sapeva qualcosa che lei ignorava. La donna dopo qualche secondo smise di ridere, e si morse il labbro. Piegò la testa e guardò Clarke assottigliando gli occhi.

«Davvero non ricordi?» chiese. Di fronte al silenzio di Clarke, andò avanti «Non credevo fossi così tanto ubriaca questa notte. Ti chiedo scusa»

Quella risposta lasciò Clarke senza parole. Crede davvero che…?

Clarke portò le mani in avanti e si affrettò a fermarla «Non devi scusarti di niente, anzi. Non hai fatto nulla di sbagliato. Ero molto, molto, molto consenziente»

«Di quello me ne ero accorta» disse la donna.

Clarke arrossì e distolse lo sguardo. «Allora, come sai il mio nome?» chiese, guardando il frigorifero.

«Te l’ho chiesto io» rispose, e Clarke la vide con la coda dell’occhio muoversi per prendere qualcosa dalla credenza. Che anche lei fosse imbarazzata? «Potrei averlo voluto gridare mentre venivo.»

«Oh.»

Quella conversazione stava diventando sempre più imbarazzante secondo dopo secondo. Clarke si grattò la testa e si guardò attorno, sentendo il sangue affluirle sempre di più alle guance. Ecco perché non faceva mai sesso con gente a caso. Odiava la mattina dopo.

La donna versò il caffè e offrì a Clarke una tazza come gesto di pace.

Stettero in silenzio per un po’, ciascuna persa nei propri pensieri e nella propria tazza di caffè. In realtà, Clarke stava cercando di non pensare. La sua mente continuava a ripeterle tutti i modi in cui quella situazione sarebbe potuta andare storta, ma lei cercava di non darle ascolto. È solo una tazza di caffè. Solo una tazza di caffè. Solo una tazza di caff-

«Allora, Clarke» disse l’altra poggiando la sua tazza sul bancone della cucina «Cosa fai nella vita?»

Clarke la guardò con gli occhi sgranati di un cerbiatto sorpreso dai fari di un’auto, cuore che le martellava in petto.

Il suo cervello smise di funzionare.

E Clarke scappò.

«Io sono una mamma» disse, e appoggiò la tazza sul tavolo della cucina senza guardare la reazione dell’altra donna «E adesso devo proprio andare, mia figlia mi aspetta da una mia amica» Girò la testa per una frazione di secondo verso la donna, e la vide con la bocca semiaperta e la tazza ferma a mezz’aria. Merda. «Grazie per il caffè ma devo proprio andare»

Clarke recuperò in fretta la sua borsetta da terra e uscì da quella casa il più in fretta possibile. E per fortuna che la porta non era chiusa a chiave.

Non smise di correre finché non ebbe superato l’isolato, accorgendosi di non avere la più pallida idea di dove si trovasse.

               

                     

   
 
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