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Autore: Hana_Weasley    27/05/2018    1 recensioni
Min Yoongi indossa una maschera da quando è un ragazzino perché ha paura del suo aspetto ma Jeongguk sarà capace di penetrarla con la sua innocenza e purezza d'animo.
Ispirata alla storia dietro The Truth Untold - Yoonkook
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Min Yoongi/ Suga
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Da quando è uscita The Truth Untold non posso fare a meno che pensare agli Yoonkook e quindi eccomi qui, con una piccola os!
Alcune note sulla storia:
- è ambientata in un tempo indefinito ed in un luogo indefinito
- è ispirata alla storia da cui prende ispirazione la canzone, chiamata "La Città di Smeraldo" ed ideata dalla bighit stessa. 
- La maschera indossata da Yoongi gli copre la parte superiore del viso ed una delle guance, lasciando quindi scoperta l'altra guancia e le labbra/mento.
Buona lettura!

The Truth Untold





Min Yoongi era un ragazzo di appena venticinque anni e passava gran parte della sua giornata rintanato nella sua villetta di campagna, lontano da qualsiasi altro umano abitasse nella piccola provincia.
Tuttavia, non era stata una sua scelta, quella di isolarsi completamente dal monto, quanto meno una necessità dettata dalla sua condizione.
Yoongi era un mostro.
O almeno quello era uno dei nomi con cui in passato era stato additato.
Non era sempre stato lontano dalle persone, in realtà. Yoongi quando era nato sembrava un bambino come gli altri.
Era molto allegro, gli piaceva combinare pasticci e mettere le mani nel fango ed era anche tanto amichevole.
Nessuno, neppure sua madre, si sarebbe mai potuta aspettare che Yoongi avesse ereditato un rarissimo gene da parte del suo bisnonno.
Dermatite polimorfa solare, questo era il nome della rara malattia di cui soffriva Yoongi.
Allergia al sole, più semplicemente.
Il bambino, all’età di otto anni, aveva cominciato a presentare delle macchie rosse sul corpo che avevano allarmato sua madre. Quest’ultima, inizialmente, aveva pensato si trattasse di un morbillo o della varicella ma la pediatra non era stata capace di indicare cosa avesse precisamente.
Ci vollero altri due mesi prima che la verità venisse a galla.
Yoongi stava giocando insieme al suo vicino di casa quando aveva cominciato ad urlare in preda ad un dolore lancinante. Si era accasciato sull’erba, coprendosi il volto con le manine e urlando il nome di sua madre che corse immediatamente dal figlio per poi apprendere con orrore che quest’ultimo aveva il volto completamente pieno di vesciche e bolle rosse.
Dopo quel giorno, Yoongi cominciò a passare la maggior parte del suo tempo in casa.
Quando doveva andare a scuola o uscire con sua madre veniva coperto completamente e se doveva invitare un amico era solo a casa sua, mai fuori.
Yoongi, se doveva essere sincero, non era entusiasta di non poter passare più le sue giornate al parco o sul prato di casa sua, ma sua madre gli aveva spiegato che per lui era pericoloso, e lui ascoltava sempre sua madre.
Sul suo volto vi erano rimaste le cicatrici di quel giorno, tutta la parte destra era rosastra e piena di piccolissimi buchi ma Yoongi non se ne era mai davvero vergognato prima. Sua madre gli ripeteva ogni giorno quanto fosse bellissimo ed aveva i suoi amichetti, quindi, gli andava bene così. Sapeva di essere diverso dagli altri, ma andava bene così.
Fino a quando  alle medie non cominciarono a prenderlo in giro ed a prendere di mira chiunque gli fosse amico o si dimostrasse semplicemente gentile nei suoi confronti.
Molti erano i nomi con i quali era stato chiamato ed ognuno di essi era l’equivalente di una pugnalata nello stomaco per Yoongi, che piano piano stava iniziando a perdere la voglia di lottare, di farsi vedere in giro, di esistere.
Così disse a sua madre di non voler più andare a scuola.
Non le disse mai quel che accadde ma probabilmente dovette intuirlo perché non si oppose alla sua richiesta. Assunse un insegnante privato che ogni giorno andava da lui e gli insegnava ciò che avrebbe dovuto fare a scuola.
E Yoongi internamente soffriva, perché si sentiva solo, si sentiva un mostro e si chiedeva perché a lui e non a qualcun altro, ma il ragazzo aveva imparato piuttosto in fretta che sua madre, se possibile, soffriva ancora di più.
Doveva essere dura vedere il proprio figlio venire emarginato dal mondo a causa della sua condizione. Quindi Yoongi si mostrava forte di fronte a lei, perché voleva che almeno sua madre fosse felice. Perché voleva illudersi di poter essere felice anche lui un giorno.
Non lo divenne.
Dietro i vetri oscurati della sua camera è dove Yoongi passò tutta la sua adolescenza. Seduto di fronte al suo pianoforte a comporre delle musiche che nessuno al di fuori di lui avrebbe mai sentito.
Desiderando che tutto ciò finisse un giorno, che tutta quella sofferenza cessasse.
Non cessò.
Così Yoongi, appena diplomato, decise di trasferirsi e escludere definitivamente il mondo dalla sua vita.
Sua madre gli comprò una piccola villetta in campagna, in una zona praticamente disabitata e dove Yoongi potesse sentirsi a suo agio.
Il giovane in realtà non usciva molto, nonostante non passasse mai nessuno da quelle parti, perché la sua era una paura irrazionale, quella di mostrarsi al mondo, per quel che era.
Così il ragazzo, quando era costretto ad uscire per compare qualcosa, indossava una maschera che gli copriva la parte superiore del volto e la guancia sfregiata ed un cappuccio, tentando di camuffarsi quanto possibile.
Le uniche gioie, gli unici motivi per i quali ancora viveva, oltre a sua madre, erano il suo pianoforte e il piccolo giardino nel quale piantava ogni tipologia di fiore.
I fiori erano delicati e belli, proprio come la musica, e a Yoongi davano un senso di pace.
Quando, quindi, non si trovava di fronte al suo pianoforte, il ragazzo indossava la sua maschera ed il cappuccio della grossa felpa e andava a prendersi cura dei piccoli fiori, come se fossero i suoi figli.
Gli piaceva pensare al fatto che era solo grazie a lui se da quei piccoli germogli erano nati quei fiori. Gli piaceva pensare di doversi prendere cura di qualcosa.
La sua monotona routine venne spezzata una uggiosa giornata di aprile.
Yoongi si trovava affacciato alla sua finestra ad osservare il cielo nuvoloso quando notò un movimento nel suo giardino.
Per un attimo pensò di esserselo immaginato ma qualche istante dopo qualcosa di nero si mosse nuovamente.
A quel punto il ragazzo spalancò i suoi occhi, deciso a capire di cosa si trattasse, quando vide sbucare un ragazzino coperto dal cappuccio della sua logora felpa. Si chiese cosa diavolo ci facesse nel suo giardino ma poi notò i fiori che teneva nella sua mano, mentre si guardava circospetto e poi scappava rapidamente.
E se Yoongi avesse potuto, lo avrebbe rincorso immediatamente, quel ladruncolo che aveva osato prendere i fiori di cui si era preso cura per tanto tempo senza pensarci due volte.
Ma Yoongi era un mostro e quindi rimase alla finestra, mentre una lacrima solcava il suo viso deturpato.
 
Il giorno dopo, alla stessa ora, il ragazzino si presentò nuovamente, così come fece il giorno seguente e quello ancora dopo, per una settimana.
Ogni volta, ignaro di essere osservato, si intrufolava nel suo giardino e coglieva tutti i fiori che poteva e poi fuggiva, senza mostrare alcun rimorso.
Fu dopo qualche giorno così, che Yoongi, stanco di vedere il frutto del suo duro lavoro venirgli portato via, decise di seguire il ragazzino e scoprire perché fosse così tanto interessato ai suoi fiori.
Mise quindi la sua felpa e la maschera silenziosamente uscì di casa, cominciando poi a seguire il ragazzino che sembrava non essersi accorto di nulla.
Doveva avere poco più di diciotto anni, pensò Yoongi, i tratti del suo bel viso erano molto giovani. Tuttavia, i suoi vestiti erano sempre pieni di rappezzi e buchi. Yoongi non sapeva spiegarsi il perché.
Senza neppure rendersene conto, seguì il ragazzino fino in città, con una voglia ed una necessità che non sentiva da quando era un bambino.
Quando arrivarono in centro, Yoongi cominciò a capire la situazione.
Il ragazzino tirò dalla tasca della felpa un piccolo barattolo che posò a terra e poi ci si sedette di fronte. Yoongi rimase nell’ombra per tutta la giornata, osservando il ragazzo seduto a terra offrire fiori ai cittadini per una manciata di spiccioli.
Lo vide sospirare quando le persone lo ignoravano, lo vide abbassare la testa in imbarazzo quando gli veniva riservato uno sguardo di disgusto. Uno sguardo che Yoongi conosceva perfettamente, che aveva vissuto con la sua pelle e sapeva quanto potesse far male.
Lo vide anche sorridere luminosamente quando una donna si fermava e comprava uno dei fiori.
Quando il sole cominciò a tramontare, il ragazzo raccattò il barattolo e si alzò da terra, dirigendosi verso il panificio all’angolo della piazza.
Yoongi lo vide entrare dentro ed uscire qualche minuto dopo con un pezzo di pane tra le mani.
Lo vide abbracciare il pane e poi dirigersi verso il portico dove Yoongi sapeva solitamente si raggruppassero i senzatetto.
Durante il tragitto verso casa, Yoongi non poté far altro che pensare al povero ragazzo e si ritrovò a stare male per lui.
Era così giovane e bello e non meritava certo di vivere una simile vita.
Decise così di non dirgli nulla riguardo ai fiori ma di lasciarglieli prendere. Anzi, avrebbe anche voluto insegnargli a prendersi cura dei germogli, ma Yoongi sapeva che non avrebbe mai potuto fare una cosa del genere. Si sarebbe spaventato, e quella era l’ultima cosa che voleva.
 
Il giorno dopo, quando il ragazzino tornò, Yoongi decise di accoglierlo come meritava. Cominciò quindi a suonare al suo pianoforte una dolce melodia. La sera precedente, appena tornato a casa, si era sentito ispirato e aveva composto quel pezzo pensando al sorriso genuino del ragazzo. Era la prima volta che componeva una musica così calma ed allegra.
Yoongi, attraverso la finestra, vide il ragazzo guardarsi attorno confuso, chiedendosi chi stesse suonando il pezzo per poi accorgersi che la musica veniva dalla casa. Si guardò attorno curioso fino a quando non scorse il pianoforte dalla porta finestra. Yoongi lo vide spalancare la bocca, meravigliato, e chiudere gli occhi, godendosi la musica e non poté fare a meno di sorridere all’immagine davanti ai suoi occhi.
Poi,il ragazzino sembrò rendersi conto di essere in una proprietà altrui perché spalancò gli occhi spaventato e corse via, senza cogliere neppure un fiore.
Yoongi sperò non avesse sofferto la fame quella sera.
Il pomeriggio dopo, non era sicuro se si sarebbe presentato, ma decise ugualmente di sedersi al piano ed iniziare a suonare. Poco dopo, una testa spuntò a lato della porta finestra socchiusa e quando si accorse che il pianoforte, e quindi chi lo suonava, erano proprio di fronte al vetro, sbiancò, cominciando ad inchinarsi come a chiedere scusa.
Yoongi, rimanendo dietro il suo pianoforte, parlò, cercando di rassicurarlo.
“Come ti chiami?” chiese, curioso di conoscere di più sul ragazzino.
Egli lo guardò dubbioso se rispondere o no. “J-Jeongguk.” Balbettò, distogliendo lo sguardo dal pianoforte.
“Puoi prendere tutti i fiori che vuoi.” Gli rispose Yoongi con una voce incredibilmente gentile.
Jeongguk spalancò gli occhi, preso alla sprovvista. “Davvero?
“Sì, mi farebbe davvero piacere.”
“Grazie mille, signore.” Rispose educatamente il senzatetto, inchinandosi grato.
“Ti prego, non chiamarmi signore. Ho solo venticinque anni. Puoi chiamarmi hyung.”
Oh.” esclamò. “Qual è il tuo nome, hyung?” chiese, reclinando lievemente il volto.
“Yoongi.”
“E cosa fai qui tutto solo, Yoongi hyung?”
Se si fosse trattato di qualcun altro, Yoongi probabilmente gli avrebbe dato contro, ma Jeongguk sembrava avere un magico potere su di lui, capace di incantarlo e calmarlo.
“Sono malato e quindi non posso uscire.” Spiegò pazientemente, evitando di spiegare che tipo di malattia avesse.
“Mi dispiace…” mormorò il ragazzino.
“Va tutto bene.”
“Quello che stavi suonando prima… puoi rifarlo? Chiese Jeongguk con una punta di imbarazzo nella vocina.
Yoongi non rispose, si limitò a posare la dita sui tasti d’avorio del pianoforte e riprendere a suonare.
Era la prima volta che Yoongi suonava per qualcuno che non fosse sua madre e non riusciva neppure a comprendere davvero cosa lo avesse spinto a farlo. Si era da sempre convinto che nessuno sarebbe stato capace di sentire le sue composizioni, eppure adesso stava suonando di fronte ad uno sconosciuto.
 
Dopo allora, Jeongguk cominciò a presentarsi alla sua finestra ogni giorno.
I due giovani ragazzi non parlavano molto, in realtà, preferivano rimanere in silenzio aspettando che il pianoforte di Yoongi riempisse con le sue delicate melodie, testimoni dei loro incontri, quei pomeriggi che sembravano collocarsi in una dimensione a parte, per Yoongi, simile a quella onirica.
Yoongi rimaneva sempre dietro il suo strumento, avendo paura di come Jeongguk avrebbe potuto reagire se avesse rivelato il suo vero essere mentre Jeongguk sedeva con le spalle alla finestra e ascoltava la melodia, fino a quando non doveva andarsene per vendere i fiori.
Con il tempo, Jeongguk cominciò anche ad accompagnare con la sua voce le composizioni di Yoongi che giorno dopo giorno, cadeva sempre più vittima dell’incantesimo che il ragazzino gli stava inconsapevolmente infliggendo.
E wow, Jeongguk aveva la voce di un angelo, era un sussurro, delicato come i petali dei suoi fiori. E forse lo era, forse Jeongguk era un fiore, il più raro e bello di tutti, ed era per quello che Yoongi stava così bene con lui.
Yoongi desiderava avvicinarsi a lui, desiderava tenerlo tra le braccia, vedere il suo volto da vicino, perdersi nei suoi occhi così espressivi. Desiderava averlo sempre accanto a sé, sentendolo cantare mentre lui suonava il piano. Desiderava baciarlo, si rese conto. Per la prima volta desiderava baciare qualcuno, saggiare le sue labbra, tenere una persona tra le sue braccia, esplorare il suo intero corpo, venerarlo.
E quasi riusciva a convincersi, quasi si alzava dalla seggiola e toglieva la maschera, ma poi si ricordava del suo aspetto, si ricordava delle parole affilate come una lama e degli sguardi delle persone e capiva di non poterlo fare.
Lo spaventava quel desiderio.
Lo spaventava perché Yoongi sapeva che sarebbe rimasto solo un sogno proibito, sapeva che quella mela non sarebbe mai stata colta da lui. Perché era un mostro, perché era un codardo, perché Jeongguk meritava di più. Perché Jeongguk era troppo prezioso per lui e non voleva perderlo per nulla al mondo.
“Hyung, perché ti nascondi sempre dietro il pianoforte?” gli chiese un giorno Jeongguk.
Yoongi rimase in silenzio. Non sapeva cosa rispondergli.
“I-io… non voglio che la gente veda il mio aspetto.” Ammise al più piccolo.
“A causa della malattia?”
Yoongi abbassò lo sguardo, imbarazzato, e sussurrò un flebile “Sì.”
“Io non potrei mai giudicarti, hyung. Lo sai questo?” chiese Jeongguk.
Yoongi non rispose.
No. Non lo sapeva.
Perché tutti coloro che aveva incontrato lo avevano giudicato e per quanto Jeongguk fosse una brava persona, Yoongi sapeva che chiunque lo avrebbe allontanato se avesse visto il suo volto, se avesse visto i segni delle vesciche, la pelle lucida e rosea che trasformava il suo volto in qualcosa di grottesco, di spregevole, di disgustoso.
Non disse nulla, quindi, sperando che l’argomento cadesse così come era iniziato.
“Sei una persona buona, Yoongi hyung. E tanto gentile. Mi permetti di utilizzare i tuoi fiori, nonostante tutto il duro lavoro che metti per farli sbocciare. Mi fai compagnia, mi fai sentire meno solo al mondo. Mi rendi felice. Quindi sappi che io ti accetterei sempre, qualunque sia il tuo aspetto.”
Yoongi dovette sforzarsi per non piangere davanti al più piccolo quel giorno.
Perché mai avrebbe voluto ammettere che quelle parole lo avevano fatto sentire amato da qualcuno che non fosse sua madre, per la prima volta in vita sua. Quelle parole si erano insinuate ne suo petto, creando un piacevole tepore al livello del cuore, si erano incise nella sua pelle rovinata.
E Yoongi voleva crederci, perché Jeongguk non diceva bugie, era sempre sincero, e Yoongi si fidava di Jeongguk. Voleva credergli perché era stanco di essere solo e di nascondersi, da quando aveva conosciuto il ragazzo.
Ma la paura è qualcosa difficile da controllare e da gestire, è un’ombra che ti segue silenziosamente, che si nasconde e nei momenti in cui non te lo aspetti torna ad attaccare, sempre più buia, sempre più spaventosa.
La paura lo teneva immobilizzato, quindi Yoongi non fece nulla.
Avrebbe voluto offrire a Jeongguk un letto ed una dimora dove stare, avrebbe voluto offrirgli la sua compagnia, i suoi fiori, se stesso.
Ma non disse nulla.
 
Jeongguk tossì per l’ennesima volta, quel giorno, e Yoongi gli chiese se stesse bene, la preoccupazione era percepibile nella sua voce profonda.
“Non ti preoccupare, hyung, è solo un po’ di tosse. Purtroppo però oggi non riuscirò a cantare, puoi comunque suonare il piano per me?” gli chiese e Yoongi annuì senza pensarci due volte, sorridendo dietro il pianoforte quando vide gli occhi di Jeongguk brillare di felicità.
Passarono la giornata così fino a quando Jeongguk non si alzò improvvisamente, dirigendosi verso il pianoforte.
Yoongi cominciò a tremare impercettibilmente, non sapendo cosa aspettarsi dal ragazzo. Non si era mai avvicinato a lui, sapeva quanto si sentisse a disagio e aveva sempre rispettato quella cosa.
Ma quando Jeongguk si ritrovò accanto a lui, Yoongi constatò che il nervosismo, la paura e l’ansia erano improvvisamente scomparse.
La sola vicinanza con Jeongguk era stata capace di far sentire Yoongi come mai si era sentito prima e il maggiore non riusciva a capire, non riusciva a capire che diavolo di potere avesse il ragazzo per spazzare via la sua paura così semplicemente.
Jeongguk si sedette accanto a lui sulla sedia di fronte al pianoforte per poi voltare il busto così da poterlo osservare. Infilò una mano nella grossa tasca della felpa di qualche taglia troppo grossa e tirò fuori uno dei fiori che aveva colto dal suo giardino.
Si trattava di un fiore che aveva cominciato a coltivare recentemente, da quando Jeongguk aveva cominciato a venire a trovarlo ogni giorno. Si chiamava Smeraldo ed era una tipologia piuttosto rara e Yoongi aveva deciso di aggiungerlo nel suo giardino perché gli ricordava Jeongguk. Era un fiore poco conosciuto e raro ma incredibilmente bello e con diverse sfumature colorate sui suoi grossi petali, proprio come era Jeongguk. Il colore predominante era il blu, simbolo di armonia e capace di rilassare ed allontanare l’ansia e Yoongi non poteva fare a meno che pensare a Jungkook che era sempre così calmo, così equilibrato e che con le sue parole e la sua voce pacata era capace di spazzare via tutte le paure e l’ansia del maggiore.
Vi era poi il bianco, simbolo di purezza e di fiducia negli altri. E Jeongguk era puro, era immacolato e bello nella sua innocenza ed era capace, con i suoi grossi occhi, di far sì che Yoongi si fidasse di lui, delle sue parole, dei suoi sorrisi.
E poi vi era il significato del fiore. “La verità che non ho potuto dire.” L’aspetto che Yoongi nascondeva dietro quella maschera che cominciava a pesare giorno dopo giorno come un macigno.
Jeongguk osservò il fiore per qualche istante prima di avvicinarsi a Yoongi e arricciarlo, lentamente, ai suoi capelli corvini. Con delicatezza e attenzione, il ragazzo si assicurò che il fiore non cadesse e poi si allontanò di qualche centimetro per osservare con uno sguardo soddisfatto la sua opera.
E Yoongi rimase in silenzio, perché non sapeva cosa dire, perché non sapeva cosa volesse significare quel gesto.
“Così mi avrai sempre accanto a te.” Gli disse il ragazzo.
Jeongguk…” il nome uscì dalla sua bocca quasi senza fiato, come un sussurro spezzato. Non sapeva cosa dirgli, non sapeva perché lo aveva chiamato, ne aveva solo sentito la necessità.
Il ragazzo posò una mano sulla sua maschera, là dove si trovava la sua guancia sfregiata, e l’accarezzò, proprio come se stesse accarezzando la sua pelle. La accarezzò con così tanta accortezza ed affetto che riuscì a percepirlo anche Yoongi, sulla sua pelle. C’era amore, c’era fiducia, c’era speranza nel lieve tocco di Jeongguk e Yoongi non poté che lasciarsi andare ad esso, mettendosi completamente nelle mani del minore.
Il ragazzo si avvicinò lentamente poi, prendendo anche l’altra guancia tra le sue mani. Osservò Yoongi negli occhi ed esitò per un attimo, come a dargli il permesso di scostarsi se avesse voluto. Ma Yoongi non voleva allontanarlo, sognava quel momento da tempo e mai, mai avrebbe potuto rifiutarlo.
E così Jeongguk lo baciò sulle labbra. Fu un breve bacio a stampo, un semplice contatto tra le loro labbra ma per Yoongi fu un’epifania.
Era percepibile l’amore ed il rispetto che Jeongguk provava per lui, era percepibile ciò che voleva dirgli con quel bacio.
“Io ci sono, fidati di me.”
E Yoongi gli crebbe. Yoongi finalmente gli crebbe e mentre le loro labbra si strofinavano affettuosamente le une contro le altre, Yoongi percepì la paura abbandonare il suo corpo.
Si staccarono lentamente e Yoongi gli sorrise, imbarazzato, mentre le sue guance acquisivano una sfumatura rosata.
Jeongguk ridacchiò grattandosi la testa e distogliendo lo sguardo, anche lui in imbarazzo.
“Spero andasse bene…” sussurrò, improvvisamente insicuro della sua azione di poco fa.
Domani.” Rispose Yoongi.
huh? Domani?” chiese il ragazzo, visibilmente confuso.
“Domani voglio togliermi questa maschera. Per te.”
Jeongguk spalancò la bocca, non aspettandosi questo cambio di rotta.
“N-non voglio obbligarti, hyung, se non sei sicuro n-”
“Lo sono, Jeongguk-ah. Mi fido di te e voglio mostrarti il mio vero essere.” Ed era vero. Yoongi aveva ancora paura, ma aveva anche fiducia nel cuore di Jeongguk.
Il più piccolo sorrise luminoso e Yoongi pensò di non aver mai visto qualcosa di più bello in vita sua. E che si sarebbe potuto abituare ad avere quel ragazzo accanto a lui per il resto della sua vita.
“Sono sicuro tu sia bellissimo. E non vedo l’ora di poterti ammirare domani.”
Dopo un po’ si salutarono, con la promessa di rivedersi il giorno dopo. Con la promessa di cominciare una vita insieme.
 
Quel giorno, Jeongguk non si presentò.
Yoongi tentò di non lasciarsi prendere dal panico, pensando si fosse trattato di un imprevisto, nonostante Jeongguk non fosse mai mancato ai loro incontri. Semplicemente Yoongi non voleva pensare di essere stato nuovamente abbandonato, non dopo tutte quelle promesse del giorno precedente, non dopo aver completamente donato il proprio cuore al ragazzo più giovane.
Così Yoongi attese.
Attese un giorno, e poi quello dopo e quello dopo ancora, di fronte al suo pianoforte, attendendo di scorgere la figura di Jeongguk nel suo giardino.
Dopo tre giorni così, Yoongi prese il suo mantello e la sua maschera ed uscì di casa, diretto in città. Lo avrebbe affrontato, gli avrebbe chiesto qual era il suo problema e poi avrebbe affrontato le conseguenze.
Arrivato in città, però, Yoongi non scorse il giovane al suo solito posto, vi erano solo alcuni petali secchi dei suoi fiori.
Cominciò ad allarmarsi, a quel punto, chiedendosi dove fosse finito il ragazzo e decise di entrare nel panificio nel quale sapeva Jeongguk comprasse da mangiare per chiedere informazioni.
Spinse la porta ed un campanellino avvisò la donna nella piccola cucina sul retro dell’arrivo di un cliente.
“Cosa posso fare per lei?” chiese la donna, chiaramente a disagio per la maschera che stava indossando,
“Avrei bisogno di un’informazione. Sa dov’è finito il ragazzino che qui di fronte alla strada vendeva fiori?”
Il volto della donna si incupì immediatamente. “Il poverino è morto qualche giorno fa nella notte. Dicono si trattasse di una brutta polmonite… Era così gentile, che peccato.”
Il mondo di Yoongi crollò a quelle parole.
Uscì dal panificio barcollando e sbiascicando un “grazie” per poi tornare verso casa, incapace di pensare lucidamente.
Camminò lentamente lungo il sentiero che ormai conosceva a memoria, mentre le lacrime gli offuscavano la vista e scendevano rapidamente, bagnandogli tutto il volto.
Nella sua testa continuava a sentire la voce di Jeongguk chiamarlo, continuava a sentire la sua dolce voce cantare.
Sulla sua guancia nuda ancora poteva sentire la sua grossa mano e sulle sua labbra sentiva ancora il fantasma di quell’unico bacio che si erano scambiati, quel bacio che simboleggiava tante promesse che mai si sarebbero potute mantenere.
Non sarebbe dovuta finire così.
Non a Jeongguk.
Quando Yoongi arrivò a casa ed i suoi occhi incontrarono il pianoforte marrone, un pensiero colpì il ragazzo.
Era tutta colpa sua.
Se solo fosse stato più coraggioso fin dall’inizio.
Se solo l’avesse ospitato in casa sua.
Se solo gli avesse dato una coperta.
Se solo se ne fosse accorto.
Se solo, se solo, se solo.
Yoongi si prese la testa tra le mani e rilasciò un urlo disperato, l’urlo di una bestia che fino a qualche giorno prima aveva assaporato la libertà per poi scoprire fosse solo un’illusione, una bugia.
Prese la sua maschera e senza pensarci un attimo la scagliò a terra, rompendola in mille pezzi.
E quando si rese conto di ciò che aveva appena fatto, Yoongi si inginocchiò davanti ai cocci della maschera e pianse.
Pianse come non faceva da quando era un ragazzino.
Pianse perché era uno stupido, un patetico, perché si era illuso, perché amava Jeongguk ma non aveva fatto nulla per lui. Perché non sapeva se il ragazzo si fosse reso conto dei suoi sentimenti. Perché Jeongguk meritava di più, meritava la vita, la felicità, il sole che illuminava la sua pelle.
La paura e l’ansia di Yoongi tornarono come il peggiore dei suoi incubi, ancora una volta, pronti a divorarlo nell’oscurità ma in mezzo al delirio che il giovane stava provando, in mezzo a tutti i rimorsi e la disperazione vi era il sorriso di Jeongguk, vi erano le sue parole sincere, vi era il suo amore.
E Yoongi lo sapeva che se si fosse lasciato sconfiggere dall’oscurità ancora una volta, non sarebbe più tornato a galla. Yoongi semplicemente lo sapeva. Quella era la sua unica possibilità.
Si alzò da terra ed uscì di casa, senza più alcuna maschera a coprire le sue cicatrici, affrontando la paura a pieno petto, rivelandosi al mondo per ciò che era.
Andò in giardino e piantò tutti gli Smeraldo che gli erano rimasti, riempiendo l’intero spiazzo di piccoli buchi dai quali poi sarebbero nati i fiori. I fiori di Jeongguk.
Perché lo aveva perso, perché Yoongi non avrebbe mai amato qualcuno così tanto, perché gli Smeraldo erano lui, erano la sua essenza.
Perché gli serviva un promemoria di ciò che era accaduto, qualcosa che gli ricordasse che tutto ciò era davvero successo, che Jeongguk era davvero esistito, che al mondo c’era stato qualcuno che lo aveva amato per quello che era, che era stato capace di fargli sconfiggere la sua paura.
Perché lo voleva ancora.

 
  
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