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Autore: Afaneia    30/05/2018    5 recensioni
Dopo lo scontro al Castello di Hyrule, Link è stato sconfitto e imprigionato da Ganondorf.
Non sa neppure quanto tempo sia passato. Il sole ha continuato ad avvicendarsi al buio un numero di volte che gli è parso infinito, proiettando attraverso le vetrate liquide pozze di colore e luce che s'intarsiano e s'intrecciano sul pavimento ferendo i suoi occhi. Link vede il riflesso di quei barbagli variopinti contro il nero delle palpebre chiuse. È così esausto che non riesce nemmeno a lottare contro la luce. Ovunque volti il capo in cerca di un po' d'ombra, di un poco di buio e di frescura nella quale riposare gli occhi lacrimanti, Link non vede altro che iridescenti giochi di luce in cui danzano coni di polvere.
[Fanfiction basata sulla trama di Ocarina of Time, partecipa alla 4 Seasons Challenge indetta dal gruppo Facebook Il giardino di EFP.]
Genere: Angst, Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dark Link, Ganondorf, Link
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Serenata

Buongiorno a tutti!

Questa storia partecipa alla 4 Seasons Challenge (Ripopoliamo i fandom!) indetta dal gruppo Facebook Il Giardino di EFP. Il prompt che ho scelto prende spunto dal romanzo Lo strano caso del Dottor Jekyll e Mr. Hyde di Robert Louis Stevenson, ed è questo: Grazie a una sostanza, il protagonista riesce a trasformarsi nel terribile Hyde, suo lato malvagio. Hyde si macchia di orrendi delitti.

Ho da fare qualche piccola premessa. Mi sono divertita immensamente a scrivere questa storia, ha catalizzato la mia attenzione per giorni impedendomi anche di studiare, e sono abbastanza soddisfatta di quello che ho scritto; ma ho reinterpretato e stravolto il prompt a modo mio, per poter creare qualcosa di mio nel mio stile, e non so se piacerà a tutti. Non volevo scrivere qualcosa di pedissequamente scopiazzato da Stevenson, anche perché non ne sarei stata in grado. Ho perciò approfittato del fatto che un lato malvagio di Link esiste esplicitamente nel gioco e viene incontrato proprio nel Tempio dell'Acqua, e ne ho tratto le mie conclusioni che potete leggere qui. È anche la prima volta che scrivo basandomi su un prompt, perciò chiedo venia!

Devo specificare anche che in questa storia il castello non è crollato dopo la battaglia.

Prima di lasciarvi alla lettura, non posso che ringraziare per l'ennesima volta Fiulopis, mia amica quasi sorella e compagna di viaggio, per la sua immensa pazienza nel betare questo testo. Se è un po' meno illeggibile lo devo solo a lei.

Detto questo, buona lettura a tutti!


Serenata per la mia sete


Nessuno ha mai condiviso una parte dei miei tormenti. Voi, gli innocenti,

gli astuti, i disperati, con i vostri secondi fini, per me

avevate solo ammirazione disinteressata, ma per niente amore,

solo una pretenziosa ammirazione. E per di più vi irritate

per le mie debolezze, come se vi avessi tradito. E in verità vi ho tradito,

giacché ho tradito me stesso.


G. Ritsos, Aiace.



Dopo giorni neppure ricorda più il suo nome.

È nudo, è carne, è pelle che dopo tanto tempo ha smesso di prudere e di fare male, è sangue che si è rappreso come se non avesse più la forza di sgorgare.

Non sa neppure quanto tempo sia passato. Il sole ha continuato ad avvicendarsi al buio un numero di volte che gli è parso infinito, proiettando attraverso le vetrate liquide pozze di colore e luce che s'intarsiano e s'intrecciano sul pavimento ferendo i suoi occhi. Link vede il riflesso di quei barbagli variopinti contro il nero delle palpebre chiuse. È così esausto che non riesce nemmeno a lottare contro la luce. Ovunque volti il capo in cerca di un po' d'ombra, di un poco di buio e di frescura nella quale riposare gli occhi lacrimanti, Link non vede altro che iridescenti giochi di luce in cui danzano coni di polvere.

Gli hanno lasciato dell'acqua. Non ricorda neppure da quanto tempo non beva. La brocca è trasparente e increspata di luce, l'acqua proietta sulla pelle della sua mano tesa un pallido arcobaleno tremolante; se ne avesse la forza, egli non avrebbe che da protendere quella mano e bere. Ma quella forza che ha sempre avuto oggi gli manca, l'ha perduta nella sua gola riarsa, nella sua lingua gonfia di sete a tal punto da soffocarlo, nelle sue labbra spaccate dall'arsura. Ha strisciato verso quella brocca vagheggiando miraggi di fiumi finché ha potuto, ma il suo corpo l'ha abbandonato prima di giungervi.

Gli piacerebbe riuscire a lasciarsi morire.

Neppure quando le porte della sala si spalancano irrorando il pavimento di una lama di luce che si allarga fino a investirli completamente Link trova la forza di volgere il capo. La sua mente ormai incapace di trattenere qualsiasi pensiero non è neppure in grado di provare paura o vergogna della propria nudità.

La voce di Ganondorf è profonda e bassa tanto da vibrare nella sua cassa toracica, ma Link è tanto spossato che non ne trema. «Sei addivenuto a più miti consigli?»

L'unica cosa che Link vuole è che tutto questo finisca, che questa sete che lo tormenta più delle ferite smetta di dilaniargli la gola. Egli vede l'ombra scura di Ganondorf che si allunga su di lui, ed è solo da quell'ombra, egli lo sa, che può aspettarsi l'unica pace che gli sia rimasta.

«Perché sono ancora vivo?»

Alla sua domanda Ganondorf non risponde. Lo sta fissando: Link percepisce la forza del suo sguardo possente che percorre l'umiliante magrezza mortificata del suo corpo, ma neppure stavolta Link prova l'impulso di coprirsi.

Il silenzio dura tanto a lungo ch'egli quasi dimentica d'aver posto la domanda. Chiude gli occhi. Vorrebbe solo dormire, morire, lasciar andare questo corpo martoriato e non dover soffrire più; ma quando socchiude gli occhi, e la beatitudine di uno stato d'incoscienza colma e appanna la sua mente sin quasi a fargli scordare dove si trovi, d'improvviso un fiotto d'acqua gelida e voluttuosa gli inonda le labbra e la gola, e Link si ritrova a bere come se traesse il primo respiro dopo ore di apnea. Ganondorf si è curvato su di lui, lo ha coperto del proprio mantello e lo sta aiutando a bere.

L'acqua che gli scorre in gola è fresca e refrigerante tanto da fargli scordare tutto, gli riempie la mente come prima la sete: quelle forze che fino a un attimo prima gli mancavano lo assalgono e lo travolgono, Link si solleva e afferra violentemente la brocca con le mani: quella è acqua ed egli ne vuole ancora, ancora!

Con l'acqua d'un tratto torna in lui tutta la lucidità che gli era venuta meno. Link non ha forze per opporsi al nemico che gli ha appena dato da bere e lo ha coperto del proprio mantello, ma quando Ganondorf si allontana da lui, egli ha almeno riacquisito piena coscienza di dove si trovi. La nebbia si sta dissipando nella sua mente, i suoi occhi lacrimanti sono ancora feriti dalla luce ma vedono più chiaramente: provando vergogna della propria nudità, Link si drappeggia maggiormente nel mantello mentre si sforza di sollevarsi a sedere. Gli gira la testa, ma non è nulla – solo un po' di debolezza. Passerà.

Ora che è lucido, si vergogna d'aver bevuto dalle mani del suo nemico e contemporaneamente di volerne ancora; ma fare l'orgoglioso, nudo e spossato e ferito com'è ora, sarebbe solo ridicolo e patetico, ed egli tace.

Come se avessero continuato a parlare per tutto quel tempo, riallacciandosi ala sua domanda, Ganondorf risponde finalmente a bassa voce: «Sei vivo perché ucciderti sarebbe uno spreco.»

Nella situazione in cui si trovano ora, a fronteggiarsi l'un l'altro dopo una sconfitta, quelle parole suonano come la derisione più scontata e mortificante che possa immaginare: Link è nudo, ferito, e sta morendo di fame e di sete. Non ha neppure con sé la sua spada. In questo momento a Ganondorf basterebbe un unico colpo per ucciderlo e porre termine a tutta questa orrenda storia, ma quando lo guarda Link si accorge che non lo sta affatto deridendo. È tremendamente serio, per quanto le sue parole non abbiano alcun senso.

«Dov'è Navi?»

«Navi?» ripete Ganondorf lentamente, senza capire, pronunciando le sillabe come se stesse saggiando il suono di una lingua straniera a lui sconosciuta. «Navi... vuoi dire la fata?»

«La mia fata, sì.»

«Non lo so. Dopo la battaglia non s'è più trovata. Nessuno dei miei le ha fatto del male, devi credermi. Può darsi che sia tornata nella foresta.»

Da quando tutta questa storia è iniziata, questa è la prima volta che Navi non è più con lui; ma per tutti i giorni precedenti Link ha sempre pensato che fosse morta. Non sa neppure come sentirsi a questa notizia. Quando aveva il sentore che fosse morta, Link si sentiva posto di fronte al peso dell'ineluttabilità come in un incubo orribile dal quale non gli restasse alcuna alternativa che aspettare di svegliarsi: se Navi era morta, non gli restava che aspettare di morire a sua volta. Se Navi è viva e volontariamente se n'è andata, allora la vita non è finita, ma lui è stato abbandonato.

Forse Ganondorf percepisce lo scorrere di questi pensieri sul suo volto, ma in ogni caso non ne fa parola. Accenna ad andarsene: non ha più nulla da dirgli, o forse parlare con un moribondo non riserva per lui alcuna attrattiva.

«Tornerò domani. Ordinerò che ti portino ancora da bere. Ah, c'è un'altra cosa...» Già sul punto di lasciare la sala del castello, Ganondorf torna sui suoi passi con l'aria pensosa e assorta di qualcuno che si sia appena ricordato esattamente per quale motivo era venuto da lui. Ancora avvolto nel suo mantello, Link ha un istintivo moto d'arretramento, ma dura solo un attimo: fuggire non avrebbe neppure senso.

«Non posso lasciarti tenere l'Ocarina del Tempo, ma nei tuoi abiti hanno trovato questa. Ti terrà compagnia.»

In un ultimo gesto di sterile orgoglio, Link impone a se stesso di non abbassare lo sguardo sull'oggetto che Ganondorf gli ha gettato di fronte finché quegli non se n'è andato; ma non appena l'eco solenne dei suoi passi si è spenta nell'aria e la porta si è chiusa sbattendo, i suoi occhi corrono automaticamente al suolo.

Sul pavimento di fronte a lui c'è l'ocarina di legno di Saria.


Al suo risveglio il giorno seguente – e che sia un nuovo giorno glielo assicura la rinnovata pienezza della luce – Link si sorprende d'aver dormito. Evidentemente era la sete a tormentarlo più della luce, e dopo aver bevuto la febbre che lo pervadeva gli ha dato tregua, ma ora è assetato di nuovo.

Quando si solleva a sedere lo assale un altro senso di sorpresa: il suo corpo purulento e insanguinato non gli prude più. Durante il suo sonno le ferite si sono rimarginate come per magia, e la sua pelle è ora solcata da pallide linee sottili come cicatrici rimarginatesi da anni. Possibile che dopo averlo torturato ora si siano presi tanto disturbo da curarlo con la magia mentre dormiva?

Il manto del suo nemico lo avvolge ancora e solo in questo momento Link realizza con orrore di avervi dormito per tutta la notte: allora vorrebbe spogliarsene e respingerlo, rinnegare quegli orrendi viluppi che lo avvolgono; ma come fare, se l'unica alternativa è quella di rimanere nudo e vulnerabile di fronte a quel nemico che gli ha dimostrato almeno la pietà di coprire le sue membra?

A distogliere i suoi pensieri da quel problema è l'acqua. Link la nota con la coda dell'occhio cogliendone i riflessi sul pavimento: Ganondorf ha mantenuto la parola, ed egli vi si precipita con più ardore che sulla libertà stessa. L'acqua gli scivola lungo la gola più dolce e fresca di quanto egli abbia mai sognato, ed egli ne vorrebbe ancora e ancora!

Tornano a portargliene durante la giornata. A un tratto, mentr'egli sta seduto ancora avvolto nel mantello, con la fronte premuta contro la liscia ocarina di legno per trarne conforto, le porte della sala si spalancano ed entrano scure figure silenziose che scivolano sul pavimento senza un fruscio. Non dicono una parola. Portano vino e pane e minestra e posano tutto sul pavimento, prima di scomparire in silenzio senza neppure guardarlo.

Link prova vergogna di avere fame e di accettare quel cibo, ma non può farne a meno. Il coraggio di morire in battaglia non gli è mai mancato, ed egli si è gettato nel buio e ha affrontato draghi e mostri invisibili e streghe e il re del male in persona; ma il coraggio di morire ignominiosamente di fame e di sete, senza giovare con la propria morte a nessuno, questo coraggio gli manca. Perciò Link mangia e beve sino a sentirsene lo stomaco gonfio e dolorante e solo allora, guardando meglio, si accorge che le figure ammantate non hanno portato solo cibo e acqua, ma anche un involto di stoffa. Srotolandolo con cautela egli realizza che è una tunica verde di foggia kokiri che potrebbe sembrare la sua, se solo non fosse di un tono di colore appena più scuro. Anche accettare questi abiti gli ripugna, ma le uniche alternative sono quelle di rimanere nudo o di continuare a coprirsi del mantello del proprio nemico, e non ha dubbi su quale sia l'ipotesi che lo turba meno.

Quando Ganondorf torna a fargli visita, a sole ormai calato, Link può avere almeno la soddisfazione di aspettarlo seduto in posizione eretta, a testa alta, e vestito. Chiudendo la porta alle proprie spalle, Ganondorf lo scruta per un momento con sguardo carico di approvazione.

«Vedo che oggi possiamo parlare.»

«Potevamo parlare anche ieri.»

«Sì, ma sarebbe stato un colloquio alla pari?» ribatté Ganondorf senza esitare, e Link rimane per un attimo ammutolito dalla sua convinzione. «Non si può confrontarsi da pari a pari con un uomo che sta morendo. Invece ora che sei guarito, ti sei rifocillato e non sei più costretto a coprirti col mio mantello possiamo parlarci da uomo a uomo e guardarci negli occhi senza tremare. Non è così?»

Da questa fiumana di parole Link si sente travolto senza trovare nulla da ribattervi: forse la sua mente, per quanto lucida, è ancora rallentata dalla disidratazione dei giorni scorsi, o semplicemente egli non riesce ad afferrare perché mai il suo mortale nemico gli stia dicendo tutto questo.

«È per la Triforza?» mormora piano. È l'unica soluzione che la sua mente riesca a vagliare in questo momento, ma Ganondorf scuote pazientemente la testa in riposta alla sua domanda.

«No, o almeno non del tutto. Quando avrò finito con te, tu mi consegnerai a Triforza del Coraggio di tua spontanea volontà.»

Colla voce rotta in gola dall'angoscia di conoscere una risposta che a questo punto si è fatta inevitabile, Link obbliga se stesso a domandare: «Dov'è Zelda?»

Per la prima volta nel corso della loro conversazione, gli occhi di Ganondorf si accendono di fastidio. «È scappata dopo la battaglia con uno dei suoi trucchi Sheikah. I miei uomini la troveranno, comunque. Non ha più nessun posto sicuro dove nascondersi.»

È a questo punto che tutto d'improvviso acquista un senso: come ha potuto non capirlo prima?

«È per questo che uccidermi sarebbe uno spreco?» esclama Link infervorato. «Perché pensi che possa portarti dove si nasconde la principessa? Pensi che lo sappia o che te lo direi?»

«Certo che no» risponde Ganondorf con la massima calma, e tutta la sua foga si spegne bruscamente. «Non mi interessa. La troveremo comunque anche senza il tuo aiuto, e comunque in questo castello ci sono due pezzi di Triforza. Zelda non può più nulla, ormai.»

La sicurezza delle sue parole non lascia dubbi sulla sua sincerità: Ganondorf troverà davvero Zelda, o quantomeno ne è sinceramente convinto, e finché resterà prigioniero qui, senza la sua spada e la sua libertà, Link non può più fare nulla per aiutarla o anche solo per comunicare con lei. Ma Zelda, dal canto suo, starà ancora cercando di salvarlo?

«Allora perché sono qui?» insiste Link un po' più debolmente. «Uccidermi era più conveniente, allora perché?»

«Sei qui perché voglio proporti qualcosa che nessuno ti ha mai dato, Link... una scelta.» La sua voce è lenta e profonda, suadente, i suoi occhi dorati e fissi come quelli di serpenti non si distolgono dai suoi. «Ma ora non è il momento di parlarne.»

Link non ha alcuna intenzione di dargli la soddisfazione di chiedergli di cosa si tratti: se Ganondorf vuole rivelargli questa nuova trovata per umiliare la sua prigionia, dovrà farlo senza il piacere di vederlo supplicare per scoprirlo. Per non mostrare di dar peso alle sue parole, Link cambia decisamente argomento. «Dov'è la mia cavalla?»

«Vorrai dire la mia cavalla.» Ganondorf ride tra sé del suo stupore. «Avevo un accordo verbale col signor Ingo per la piccola Epona. Comunque non ha importanza... non mi aveva detto che è di stazza tanto minuta. In effetti, credo che sperasse di ingannarmi. Al momento si trova nelle stalle del castello. Sì» soggiunge con insistenza, quasi a sfidare il suo sguardo attonito. «Tu non ci crederai, ma nessuno le ha fatto del male. È ben strigliata e ha cibo e acqua, ma pare che non voglia mangiare senza di te. Vorrei tenerla sellata e pronta a partire per te, ma credo che sia molto triste. Forse sentirti suonare la consolerebbe un po'...»

Senza riuscire a trattenere il sarcasmo, Link non può impedire a se stesso di domandare: «Tenerla sellata per me? E perché? Conti forse di lasciarmi andare molto presto?»

«Non appena ti sarai ripreso» risponde Ganondorf con la naturalezza di qualcuno che stia dicendo una cosa proprio ovvia. La sua sicurezza lo lascia ammutolito. L'uomo che gli sta di fronte e che lo tiene prigioniero è il signore del male, allora perché ogni sua parola suona così sincera? «Non posso lasciarti andare prima perché, te l'ho detto... la tua morte sarebbe uno spreco. Ma quando il tuo corpo sarà pronto, sarà allora che deciderai liberamente se restare o andartene per la tua strada e continuare a opporti a me.»

«Liberamente?» echeggia Link con voce carica d'amarezza, e l'eco delle sue parole si ripete schernendolo tra le volte dell'ampia sala vuota. Ma neppure stavolta Ganondorf muta espressione.

«Liberamente è quello che ho detto, e io non ho che una parola. Quando ti farò la mia proposta, mi dirai allora se la tua scelta sarà libera o se sarò anche io come coloro che, senza chiederti nulla, si sono impossessati della tua vita e te ne hanno portati via sette anni...»


La sua sete è continua, assoluta, totalizzante. Link beve brocche intere nell'istante stesso in cui gli vengono portate, ne richiede ancora e ancora, in continuazione: una sete come questa egli non ricorda di averla mai provata, è come se l'acqua stessa gliene accrescesse il desiderio: che non gli portino più cibo, se vogliono, ma che gli diano da bere!

«Assaggia del vino, Link» gli dice Ganondorf talvolta, porgendogli coppe di vino speziato e profumato rosso come sangue, o esili calici di vino bianco e frizzante, leggero come umidità che evapora. «Il vino è molto più buono dell'acqua e ti farà sentire meno triste. Bevi una coppa di vino, ti prego.» Ma le coppe ch'egli gli porge Link le respinge con sdegno, e non in spregio del nemico che gliele offre, ma in segno di rifiuto della bevanda stessa. Non è di vino ch'egli non riesce a placare la sete.

«I miei uomini stanno battendo Hyrule palmo a palmo. Oggi o domani troveranno la principessa e la porteranno qui.» Ganondorf non gli dice certamente questo per il gusto di metterlo a parte dei suoi fallimenti, ma Link coglie benissimo il senso delle sue parole: se Zelda non è ancora stata trovata, allora vuol dire che è libera ma non è venuta a salvarlo. Alle sue palesi provocazioni non reagisce, ma di giorno, quando Ganondorf non è con lui, Link scruta gli intarsi delle vetrate sentendosi profondamente solo. A quanto pare tutti gli sforzi che ha compiuto per trovare le pietre spirituali prima e i sette saggi erano destinati a rimanere fini a se stessi e non ricambiati: giorno dopo giorno, la possibilità già remota che Zelda venisse prima o poi a liberarlo si fa sempre più rarefatta e inconsistente, e alla fine egli finisce per non sperarci neanche più. Era l'eroe a dover salvare la principessa, non il contrario, a quanto pare; e questo equipara l'eroe a certi personaggi sciocchi e bonaccioni delle favole. Il suo compito era di dare sette anni della sua vita e tutto il suo coraggio per cercare di salvare Hyrule, ma di fronte al suo egoistico fallimento la sua vita non ha più significato, e Hyrule si è presa il suo sacrificio e lo ha lasciato in questa prigione a marcire per punirlo del suo fallimento. Non c'è altro da dire.

La variopinta luce che s'insinua dalle vetrate non gli ferisce più gli occhi come quando aveva la febbre e stava morendo, ma egli l'osserva ora con un'ammirazione carica di desiderio che non gli è possibile reprimere. È la prima volta che si chiede lucidamente per quale motivo non si trova in una segreta, ma in una sala meravigliosa e ricca di luce capace di contenere centinaia di persone. Il suo nemico vuole forse torturarlo con la libertà che gli ha sottratto e che lo perseguita appena al di fuori di queste finestre? Eppure non gli pare che sia così.

La notte Epona lo chiama. Di tutta la sua vita, lei è l'unica che gli sia rimasta e che continui a cercarlo: Link sente la disperazione dei suoi nitriti prolungati e dello scalpitare dei suoi zoccoli, ma impiega giorni interi a decidersi a suonare per lei. Per un po' di tempo, ogni volta che porta alle labbra l'ocarina di Saria, egli non fa che risentire dentro di sé le parole di Ganondorf che lo esortano a suonare e si ferma, poiché seguire il suo consiglio gli pare una debolezza e l'ultima cosa che voglia è proprio dargliela vinta. Ma la quarta sera i nitriti di Epona risuonano così disperati e fiacchi, indeboliti dall'affanno, ch'egli teme che possa lasciarsi morire: allora portare alla bocca l'ocarina per suonare diventa l'unica alternativa possibile.

Quando intona la loro canzone i nitriti di Epona si placano immediatamente. Epona è felice di saperlo vivo, e Link continua a suonare per lei fino a sentirla esultare e scalpitare per l'impazienza di tornare a cavalcare.

Ora che sa che è vivo Epona si è rasserenata, certo, ma Link non può lasciarla così solo dopo averle detto questo. Epona è l'unica creatura al mondo che gli sia rimasta, è prigioniera e sola come lui, e merita di sentirlo vicino e di sapere che tutto andrà bene: perciò, se l'ocarina è l'unico strumento ch'egli abbia a disposizione per comunicare con lei, allora è con quello che le parlerà.

È la prima volta che Link non si limita a suonare ma crea, e non è neppure certo di saperlo fare: ma sa quello che vuole dire, ed è certo che le note gli verranno da sole.

Link canta la luce polverosa e la fresca penombra della sua prigionia, e canta la sete che gli divampa in gola e non si acquieta mai. Ma poi, via via ch'egli continua a suonare e che la sua musica s'innalza, le note si fanno diverse, più basse e profonde, lungirisonanti, ed egli capisce di star cantando degli abissi del lago e della propria nostalgia. Senza ch'egli abbia un'intenzione precisa la musica cambia, si fa vorticosa e incalzante come le gelide correnti del fiume: Epona si è acquietata, lo sta ascoltando, e chissà se ha riconosciuto quel fiume sul quale tante volte si è impuntata scalpitando per la paura...

Link canta la speranza delle sorgenti e il refrigerio della pelle d'oca, gelata, e la sua mente è tanto coinvolta, rapita in quella musica e nella serenata della sua propria sete, ch'egli impiega un tempo assurdamente lungo a rendersi conto che non sta più suonando da solo. È il timbro solenne e profondo di un organo, basso tanto da vibrargli nella cassa toracica, che riprende la sua musica e l'arricchisce, la completa e poi, quando egli s'interrompe bruscamente e allontana l'ocarina dalle labbra per ascoltare, la prosegue.

Ganondorf si discosta dalla freschezza delle sorgenti. Nella musica ch'egli sente e che echeggia e si ripete tra le volte ricurve, Link ascolta per la prima volta la serenata di una sete che non è la sua ma di un altro uomo, che è cresciuto nell'aridità del deserto e nell'attesa delle oasi, e che per tutta la vita ha combattuto la frustrazione dei miraggi sulla sabbia. Quella musica gli parla di un'arsura dilaniante, intollerabile, ma d'un tratto si fa stupore e meraviglia, e nelle note che vibrano di ammirazione Link ascolta tutta la devozione di quell'uomo che, una volta divenuto adulto e lasciato il deserto, vede per la prima volta il lago e se ne innamora a tal punto da votare tutto se stesso a possederlo.


Vengono un mattino a svegliarlo quelle nere figure ammantate che non pronunciano una sola parola. Non sa neppure quanto tempo sia passato, ma gli pare che siano trascorsi mesi interi, o forse anni, chissà, dall'ultima volta che ha veduto il sole non filtrato da queste finestre multiformi. Di certo sono passate settimane, ed egli ormai è così stanco di questa prigionia. Vorrebbe solo che tutto questo finisse.

Quest'oggi è diverso. Le figure portano acqua tiepida e teli per asciugarlo, e Link si lascia spogliare e lavare e strofinare senza opporre resistenza né domandare perché. È la prima volta che lo lavano da quando si trova qui, e Link si abbandona alle loro mani senza la minima ribellione. Ogni velleità di rivolta è ormai spenta in lui: si sente così stanco, e la sua mente è così leggera e confusa. Link ha lottato per giorni e giorni, ha districato labirinti e si è gettato nel buio a spada sguainata, facendosi scudo soltanto del suo coraggio e della sua predestinazione, ha continuato ad avanzare anche se tutto attorno a lui crollava e tutti fuggivano, ma oggi gliene manca la forza, o forse la voglia. Se Zelda non è tornata a cercarlo, se persino Navi lo ha abbandonato, perché mai dovrebbe essere proprio lui l'unico a lottare? La sconfitta si è già compiuta. Abbandonarsi agli eventi, ormai, è più facile.

Sul suo corpo asciutto le figure fanno scivolare una tunica diversa dall'altra, di seta bruna quasi trasparente che aderisce alla sua pelle, sottile e impalpabile come aria, e poi lo conducono fuori dalla sala. Link li segue senza opporre resistenza.

Il devastato viale del castello si spalanca sotto un cielo livido e nebbioso, ma non è dal panorama che i suoi occhi vengono attratti. Di fronte a lui, Ganondorf lo sta aspettando sul suo stallone nero, ed Epona lo attende con occhi docili e mansueti come se non avesse nulla da temere. Anche lei è stranamente tranquilla, oggi.

Non c'è bisogno che gli dicano cosa fare. Link sale in sella con un unico movimento fluido, come se si ricongiungesse a una parte di sé, e Ganondorf lo guarda con uno strano sguardo carico di compiacimento, ma neppure lui si sbilancia a dire qualcosa.

Attraversano in silenzio questa città spettrale popolata di mostri che li fissano con occhi avidi e protendono le loro braccia ischeletrite verso di loro, ma non provano neppure ad avvicinarsi, come se la sola presenza di Ganondorf bastasse a placarli. Link li osserva con disinteresse mentre abbandonano la città dove un tempo sorgeva il mercato.

Ma quando si lasciano alle spalle le mura della città e la piana si spalanca di fronte a loro, Link prova una strana sensazione al pensiero di vedere per la prima volta Hyrule senza Navi. Quest'alba che infervora le colline Link l'ha vista centinaia di volte, eppure mai lo ha emozionato meno: di fronte alla luce che allaga la pianura, il suo cuore quest'oggi non prova il minimo anelito. Prova solo sete.

È solo quando si dirigono decisamente verso ovest, lasciandosi l'alba alle spalle, che Link capisce che la loro meta è la Valle Gerudo, in quel deserto dove Ganondorf, attraverso la musica, gli ha raccontato d'esser nato e di aver patito la sete. Forse avrebbe dovuto aspettarselo, ma scrollando le spalle Link serra maggiormente le cosce sulla sella e si rassegna ad attendere il viaggio.

Giungono in vista della fortezza Gerudo sotto un sole caldo e soffocante di metà giornata, e Link ormai non prova che un calore insopportabile e una debolezza spossante che gli martella la testa. C'è stato un tempo in cui questo forte che si erge alle porte del deserto è stato uno dei luoghi ch'egli ha amato di più al mondo, stagliato contro la sabbia e contro l'infinito, col suo popolo orgoglioso di donne fiere e sprezzanti che vivono al di fuori di ogni imposizione; ma quel tempo è finito, a quanto pare. Così come prima lo splendore della pianura, ora neppure questa roccaforte rosseggiante scolpita nella roccia riesce più a commuoverlo minimamente con la sua bellezza. Quando i suoi occhi lacrimanti per la troppa luce si soffermano dolorosamente sulla fortezza, Link si sente assalito da pensieri che non pensava di aver concepito mai, e che perciò non può chiamare propriamente ricordi. Egli ripensa alla giornata interminabile che ha trascorso nella prigione della rocca, sotto il sole a picco, a leccare l'umidità che trasudava dalle pareti per placare la sete, in quei giorni in cui bisognava aspettare la notte per approfittare dell'oscurità e ingannare le Gerudo... Link si sorprende di provare rancore, e allo stesso modo, forse perché di rancore non ne ha mai provato, si sorprende anche di quanto sia soddisfacente abbandonarvisi. Non si è mai sentito così, ma non gli dispiace del tutto. È stranamente appagante.

«A che cosa stai pensando?»

La voce di Ganondorf gli giunge attutita, come soffocata da una grande distanza, forse perché la sua mente è leggera e ovattata e come rapita, e Link è costretto a esercitare un immane sforzo su se stesso per distogliere gli occhi dalla contemplazione e riportarli su di lui. Lo sta osservando.

Le parole gli si formano sulle labbra spontaneamente. Sono parole nuove, corrispondenti a pensieri ch'egli non ha mai logicamente realizzati in questi termini, ma che per la prima volta si sorprende a constatare quanto perfettamente adeguati siano alle situazioni che ha vissuto e ai sentimenti che albergavano in una qualche zona profonda e inconfessabile della sua coscienza. È come riuscire a pronunciare per la prima volta una parola che abbia avuto sulla punta della lingua per giorni. «Stavo pensando a quando le porte della città si chiudevano al tramonto lasciandomi fuori, quando ero ancora solo un ragazzino, e io mi ritrovavo abbandonato nella notte ad aspettare l'alba combattendo con le spalle al muro...»

«Pensi alla loro ingratitudine?» chiede Ganondorf a bassa voce, e Link finge di non sentire solo per non dovergli dare ragione. Ingratitudine,già – ecco la parola che gli serviva.

Link vagheggia la penombra della cittadella sin da quando l'ha vista profilarsi all'orizzonte, persino il ricordo di quell'acqua salata che trasudava dalle pareti gli pare il sapore più dolce del mondo; ma via via che si avvicinano, Link intuisce sempre più chiaramente che non è quella la loro meta. Ganondorf sprona il suo stallone nero verso la collina rocciosa che sovrasta la roccaforte proteggendola da nord, ed egli si sente sempre più scoraggiato. Ha troppa sete e si sente troppo debole per cavalcare così, sotto il sole; ma neppure per un momento gli viene in mente di chiedere una pausa, e persino Epona tiene dietro allo stallone nero che la precede docilmente come una puledra che segua la madre.

Ganondorf si ferma quando sotto di loro si spalanca la vampa fiammeggiante del deserto, i cui accecanti riverberi di sabbia gli acciecano e gli bruciano gli occhi: con le orecchie ronzanti e la testa sempre più leggera e incostante, Link solleva un braccio per ripararsene il viso.

«Dimmi, Link. Ti piace quello che vedi?»

Una distesa sterminata e vasta come la luce del giorno, infinita quanto e forse più dell'orizzonte stesso: nel suo eterno amore per Hyrule, Link sa che fino a qualche giorno prima non avrebbe desiderato nient'altro che smarrirvisi e non dover mai più far ritorno ai luoghi abitati – ma pare che siano cambiate molte cose, ormai.

«È arido.»

«Esattamente: è arido» mormora Ganondorf. I suoi occhi sono ormai perduti in quella distesa di sabbia, e chissà, forse vedono cose accessibili solo a lui. «Link, tu provi la mia stessa sete. Se tu fossi nato nel deserto come lo sono io, non avresti forse fatto di tutto per conquistare una terra dove poter bere?»

Link ormai ha la mente colma di sete e non riesce a pensare ad altro che a quella sete, e si sente la vista sempre più debole e appannata e le cosce che mantengono sulla sella una presa sempre meno salda, colle orecchie che non odono che ronzii...

Ma perché non sente altro che questo ronzio?

«Dove sono le Gerudo?» chiede Link improvvisamente, come riscuotendosi. La sua voce è troppo esile e tremante, e quando appunta lo sguardo su Ganondorf, con un senso d'urgenza improvviso e il brivido di un presentimento che s'insinua lungo la sua schiena, la sua vista è annebbiata e indebolita ed egli lotta e si ribella e fa forza su se stesso per riuscire ancora a tenere gli occhi aperti e a respingere questa nebbia che lo assale... «Perché non sorvegliano la fortezza? Che cosa hai fatto?»

Ma quando si volge leggermente verso di lui, lo sguardo di Ganondorf è perfettamente sereno.

«Ti ricordi quando abbiamo parlato dell'ingratitudine?»


Quando Link si sveglia è di nuovo mattina, ma la luce che gli ferisce gli occhi non è più quella variopinta e setosa delle vetrate del palazzo. Link si solleva di soprassalto a sedere quando s'accorge di trovarsi disteso su un divanetto in un locale riccamente decorato, una camera nobile dalle pareti tappezzate di damasco e limpidi vetri trasparenti in parte coperti da pesanti cortine di broccato scuro. Ma cosa sta succedendo?

Non ha più febbre, eppure prova ancora una gran sete e le tempie continuano a pulsargli con violenza, martellando da qualche parte là dietro gli occhi. Link si alza dal divanetto comprimendosi il capo con una mano mentre si muove a tentoni in cerca dei suoi vestiti: ma in fondo al letto non c'è una tunica verde né bruna come si aspettava, ma le sue mani scivolano su una veste di seta nera che pare cucita per il suo corpo stesso. La indossa senza farsi domande.

Neppure quando scopre che la porta è aperta Link si sente troppo sorpreso, come se in fin dei conti si aspettasse anche quello. Si sente strano e confuso, come se si muovesse in uno strano sogno con un percorso predeterminato di fronte e non avesse nient'altro da fare che seguire quel percorso senza la minima possibilità di scelta.

Guidato da questa curiosa sensazione di ineluttabilità, Link sale di nuovo l'eterna scala a chiocciola di quel giorno lontanissimo in cui è salito con la spada in pugno ad affrontare il nemico – quel nemico che era potente e mortale e ch'egli sapeva esser tale perché era stata Zelda a dirglielo! - e poi, quando non c'è più modo di salire, spinge l'ultima porta e la spalanca davanti a sé.

C'è tutta una tavola apparecchiata dove Ganondorf lo sta aspettando mentre quegli oscuri servitori incappucciati si muovono in silenzio contro le pareti. Link avanza nella sala sentendosi come se s'inoltrasse a una festa nella quale fosse non invitato eppure egualmente atteso – o piuttosto in una trappola nella quale fosse già predestinato a cadere per le ineludibili trame del ragno. Nessuno manifesta la benché minima reazione al suo ingresso, e Link avanza verso Ganondorf come nella stuporosa nebbia di un sogno.

«Ah, Link, vedo che ti sei ripreso... è stata colpa mia. Avrei dovuto sapere che il tuo fisico non era ancora pronto per quel viaggio. Hai pensato alla mia proposta?»

Travolto e confuso da questo torrente di parole che non gli lascia neppure il tempo di capire, Link si ritrova a sbattere più volte le palpebre per scacciare le vertigini e la nebbia che continua ad assalirlo. La testa gli fa tanto male ch'egli è costretto ad appoggiarsi al tavolo con tutto il proprio peso per non cadere. «Quale proposta? Tu non hai...»

«Oh, Link.» Gli occhi di Ganondorf hanno un guizzo strano ed egli sorride tra sé, come se conoscesse di lui un qualche segreto che ancora Link stesso non conosce. Ma quale? «Non mentire a te stesso. Tu sai benissimo qual è la proposta che ti faccio, l'unica proposta che un nemico può farti. Lo sai fin dal primo momento che abbiamo parlato; e se vuoi sentirlo dire da me, è perché in cuor tuo tu hai già preso una decisione, ma non vuoi portarne il peso sulla coscienza....»

Sì, certo che Link lo sa, l'ha sempre saputo in fin dei conti, ma fingere di non sapere era più facile e moralmente più accettabile, e non gli richiedeva alcun particolare sforzo d'accettazione. Ganondorf non può volere da lui che una cosa, la sua spada, il suo braccio, la sua volontà non succube ma liberamente fedele e leale; e questo non tanto, o non soltanto, perché ne abbia bisogno, ma perché proprio il tradimento dell'eroe del tempo costituirebbe la sua ultima e definitiva vittoria su Zelda.

La cosa che lo spaventa è che tutto questo non lo turba affatto. Che la sua mente è colma, satura di pensieri di risentimento verso quella gente che ha richiesto da lui il sacrificio della sua vita per la propria salvezza e in cambio lo ha abbandonato fuori delle mura a combattere da solo contro i non morti; e infine che questi pensieri, per quanto egli sia riuscito a formularli solo adesso, in realtà gli appartengano allo stesso modo del suo coraggio.

Il suo silenzio dev'essere durato tanto a lungo e il suo languore deve apparire tanto evidente che Ganondorf gli porge con insistenza una grossa coppa. Colla gola riarsa e la mente ottenebrata dalla sete Link gliela strappa avidamente di mano, e quegli scoppia a ridere della sua irruenza. I suoi occhi saettano di una malvagità che si fa a ogni momento più complice e coinvolgente.

«Tu mi piaci, Link, perché la tua sete è tale che ti ubriachi d'acqua. Bevi, bevi pure, ti prego: vorrei ancora guardarti ubriacare...»

Ma quando Link porta la coppa alle labbra e sta per bere, d'un tratto il riflesso dei suoi occhi nell'acqua attrae per un istante la sua attenzione ed egli allontana da sé la coppa con un gesto d'orrore. Alla vista di quegli occhi, d'improvviso gli è tornato in mente qualcuno che ha incontrato una volta nel Tempio dell'Acqua: quell'ombra scura e aggressiva, identica a lui, dalla quale Navi l'ha messo in guardia tanto alacremente... e si è ricordato anche di un'altra cosa. Che per tutto il tempo che è rimasto qui, egli non ha fatto altro che bere e avere ancora più sete...

«È drogata!»

Anche di fronte al suo timore Ganondorf non manifesta il minimo moto di stupore, come se questa obiezione se l'aspettasse ormai da lungo tempo e fosse preparato a rispondervi. Col mento posato contro il pugno chiuso, sorride tra sé mentre lo scruta pigramente.

«Perché pensi che lo sia?» Link non risponde e non fa il minimo movimento per allontanare ancora la coppa, allora prosegue serenamente: «Te lo dirò io: perché tu vuoi rinunciare a essere l'eroe di Hyrule solo per vendicarti della sua ingratitudine, neppure troppo in profondità in realtà, e credere che io ti abbia drogato è solo un altro modo per venire a patti con la tua coscienza e sgravarti della responsabilità morale di comportarti in modo malvagio. La verità è che il rancore ti piace tremendamente, e trasferirne la colpa su di me, con qualsiasi mezzo, è l'unico modo che tu abbia per accettarlo. Ho indovinato?»

Link rimane in silenzio.

«Non ti dirò se l'acqua è drogata o meno, perché in fin dei conti neppure tu vuoi saperlo, ma ti darò la scelta che ti avevo promesso. Puoi accettare questo rancore che ribolle in te e farlo fruttare o andartene via e tornare a essere l'eroe, e far finta che non ti importi nulla di dover strisciare nel fango e nel buio per salvare gente che neppure conosce il tuo nome. Puoi bere l'acqua che ti offro e placare la tua sete, e accettare la vendetta di cui io ti faccio dono su tutti coloro che si sono serviti di te, o lasciare questo castello oggi stesso e andare a cercare la principessa ovunque si nasconda: la scelta è tua. Puoi accettare la possibilità che quest'acqua sia drogata e faccia emergere quel lato oscuro di te stesso che ti sei sempre rifiutato di accettare, o puoi smettere di berla e scoprire se questo rancore che provi è veramente solo colpa di quest'acqua o se è davvero così che sei fatto...»

Link porta la coppa alle labbra e beve tutto d'un fiato.







   
 
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