Le spine strappano la pelle e affondano nella carne ad ogni respiro. Ogni parte del suo corpo è un blocco di cemento, ad eccezione degli occhi: il suo obiettivo è nel mirino, immobile tra la neve.
Il vento sferza la pelle, c'è un buco al posto dello stomaco e ogni volta che deglutisce è come inghottire sassi, ma non può muoversi. Se si muove, è finita.
Il berretto scompare tra la neve. Ljudmyla spalanca gli occhi e preme il calcio del Moisin Nagant contro la spalla. I rovi strappano la carne e l'uniforme: non ha importanza, non adesso.
L'altro cecchino preme sui gomiti e raddrizza la schiena. La testa è un punto al centro esatto del mirino.
Una pressione dell'indice.
Il fucile rincula contro la spalla. A metri di distanza, il sangue macchia la neve.
È stata una delle esperienze più tese della mia vita.
Alla fine, (il cecchino nazista) ha fatto un movimento di troppo.
Alla fine, (il cecchino nazista) ha fatto un movimento di troppo.
Ljudmyla Mychajlivna Pavličenko è stata tra i cinque cecchini più letali della storia, con ben 309 uccisioni confermate (di cui 36 erano altri cecchini). Il momento che ho scelto di descrivere è quello di un duello con un altro cecchino, durante la battaglia di Sebastopoli, in cui Ljudmyla fu costretta ad arretrare tra i rovi e a rimanere immobile, senza cibo né acqua, per tre giorni, finché l'altro cecchino non si espose. Il Moisin Nagant era il suo fucile.