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Autore: lirin chan    09/06/2018    1 recensioni
[La storia partecipa all’invasione in massa di EFP in data 9/06/2018 per il compleanno di Rei Murai]
«Ho investito un cane».
Già dopo aver ascoltato quelle parole spocchiose intrise di irritazione, Kiba ebbe la sua ennesima conferma: i turni di notte facevano schifo.
Genere: Commedia, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kiba Inuzuka, Sasuke Uchiha
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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A Kiba chan, il mio Babbo Matsudaira,
che mi ha sempre parlato anche quando io non riuscivo ad aprire bocca.
Grazie.
Lirin

 

 

Inuzuka Kiba non era un genio. Nonostante la sua laurea in Medicina Veterinaria e il suo master in Chirurgia, non si riteneva una cima in molti altri aspetti della sua vita, come in cucina o nell’aprire un cartone del latte senza farlo uscire tutto fuori e schizzarsi la camicia nuova, oppure ricordarsi dove aveva parcheggiato al supermercato.
Ma la cosa che proprio non riusciva a comprendere era come fosse possibile toccasse sempre a lui il turno di notte in ambulatorio il sabato sera.
Sbuffò insofferente e scorse la bacheca di Facebook, trovandoci solo foto di quell’imbecille di Naruto intento a vantarsi dei festini a base di birra organizzati insieme ai loro amici.
«Bastardi, spero che domani vomitiate pure il cenone di Capodanno di due anni fa…» sibilò fra i denti, facendo scivolare il telefono sul tavolo in un gesto di stizza.
Non gli dispiaceva lavorare di notte, ma quello era il terzo sabato di fila che gli capitava e cominciava a essere stanco. Avere le notti libere i restanti giorni della settimana era come assistere nel remake di Io Sono Leggenda, con lui e Akamaru come unici esseri viventi in giro per la città.
Si alzò dalla sedia e si stiracchiò la schiena, chiedendosi quando esattamente avesse cominciato ad avere gli stessi dolori di suo nonno; fece un passo per raggiungere la gabbia dei suoi pazienti addormentati quando il citofono squillò.
Dette uno sguardo all’orologio a muro sopra di sé, domandandosi quale estrema urgenza fosse capitata alla gattara insonne alle tre e mezza del mattino.
Il citofono squillò di nuovo e Kiba poté giurare di averci percepito dell’insofferenza. Si affrettò ad aprire la porta chiusa a chiave e, quando la spalancò, la prima cosa a passargli per la testa fu che non si era accorto che avesse cominciato a piovere.
Davanti a lui, il tizio vestito in completo nero e lo sguardo incazzato, dava l’impressione di un gatto preso a secchiate. Tra le braccia, anch’esso bagnato di pioggia, stava un cane dal pelo nero innaturalmente immobile.
«Ho investito un cane».
Già dopo aver ascoltato quelle parole spocchiose intrise di irritazione, Kiba ebbe la sua ennesima conferma: i turni di notte facevano schifo.

 

LA DIFFERENZA FRA CANI E GATTI STA IN COME DIMOSTRANO LA FELICITÀ

 

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«Mi sembri un po’ troppo giovane, sei almeno laureato? O sei un tirocinante?»
Kiba fece un lungo respiro profondo e contò le paperelle colorate disegnate sulla manica del suo camice, continuando a fasciare la zampa rotta del cane. Nel complesso era stato molto fortunato: solo una frattura lieve alla zampa e due costole incrinate.
«Sì, signore. Ho preso la laurea all’università di Tokyo e ho un master in Chirurgia».
Perché doveva giustificarsi con quello stronzo, come se fosse lui il cattivo? Non era lui ad aver investito un povero cane mentre faceva retromarcia!
Alzò per un attimo lo sguardo sul tizio dall’altra parte del banco d’acciaio. Anche dopo qualche ora dal suo arrivo, il completo era ancora visibilmente bagnato; i capelli erano umidi e arruffati, alcuni ciuffi sparati in direzioni che sfidavano la fisica, e gli occhi scuri, fissi sull’animale sedato, non facevano intravedere nessuna particolare emozione, forse solo un po’ di irritazione e stanchezza. Nel complesso non era male, togliendo l’aria da stronzetto e rendendolo muto.
Tornò al suo lavoro, tagliando la benda auto-aderente e si voltò per prendere una garza, cercando la misura giusta.
«Vorrei tenerlo in osservazione per qualche giorno, per escludere del tutto emorragie interne» disse, giusto per spezzare quel silenzio opprimente.
Alle sue spalle udì solo un mugugno che non seppe dire a quale cazzo di risposta associare, ma lasciò perdere.
Si voltò e infilò la garza alla zampa, finendo il lavoro. Si soffermò a osservare il cane; era un husky maschio di tre o quattro mesi, un po’ sottopeso, ma si sarebbe ripreso bene da quella brutta esperienza. Gli accarezzò piano la testa, sotto le orecchie, sorridendo.
«È un bellissimo esemplare» commentò, aspettandosi un altro verso indefinito.
«Se lo dici tu» replicò lo stronzetto, allontanandosi dal bancone d’acciaio e avvicinandosi alla porta della stanza «Vorrei pagare e andarmene a casa, sono molto stanco».
L’improvvisa rabbia, che Kiba teneva dentro fin da quando lo stronzo aveva ammesso di aver investito quella povera bestiola, esplose in un ringhio quasi canino.
Si voltò, con passi rabbiosi raggiunse l’uomo che aveva già fatto qualche passo fuori lo studio. «Credi che sia così semplice? Basta che paghi e il fatto che quel povero cane sia con una zampa rotta venga perdonato?»
Lo faceva incazzare quel suo tono freddo, all’università aveva conosciuto fin troppi stronzetti imbottiti di soldi che non subivano le conseguenze delle loro azioni. Gli occhi scuri, cerchiati da occhiaie, lo fissarono con irritazione.
«E che cosa vuoi che faccia? Che gli tenga la zampa e gli canti ‘Soffice Kitty’, dottor Dolittle?» rispose, puntando in alto il suo nasino altezzoso, con lo sguardo di chi era abituato ad averla spesso vinta a parole.
A Kiba prudevano le mani dalla voglia di attaccarlo al muro e prenderlo a ginocchiate nei genitali, ma era un adulto, un laureato e un medico, non era più il ragazzino che faceva a botte con Naruto per chi avrebbe avuto l’onore di mangiare l’ultima cotoletta di maiale.
Doveva far lavorare il cervello.
«Hai investito un cane, potrei denunciarti per maltrattamento!»
Sapeva che non avrebbe avuto nessun effetto, ma quel ghigno di chi aveva già la vittoria in pugno lo fece rabbrividire.
«Sono un avvocato» bastò solo quello a fargli capire a pieno quanto la prima impressione che aveva avuto di quel tizio si fosse rivelata esatta: testa di cazzo, spocchioso e così tanto innamorato della sua immagine allo specchio da pensare solo a se stesso.
A quel pensiero una piccola idea malvagia lo fece ricrede sul fatto di non considerarsi un genio.
«Beh, sarebbe un peccato se qualcuno mettesse in giro la voce che…» prese in mano il modulo di ricovero dell’animale, ghignando «…Uchiha Sasuke, grande avvocato, abbia investito un povero cane e lo abbia persino abbandonato con una zampina rotta, tutto solo, in un ambulatorio freddo e sterile».
Vide il volto dell’altro, già pallido di natura, diventare ancora più bianco e perdere ogni traccia di sicurezza.
«Le chiacchiere delle persone sanno essere così crudeli, non sai quanto possono andare lontane quando arrivano alle orecchie di certe signore anziane».
Era sicuro che, in quel cervello pieno di leggi ed egocentrismo, i neuroni stavano lavorando strenuamente per trovare una soluzione vantaggiosa. Già quella vista poteva considerarsi una vittoria, ma l’ombra di sconfitta che passò negli occhi scuri fu ancora meglio.
«Cosa vuoi che faccia?»
Fu un ringhio basso, quasi impercettibile, ma bastò a far allargare il ghigno di vittoria di Kiba.
«Vai a casa, riposati per bene e domani pomeriggio torna qui. Ci divertiremo insieme, te lo assicuro».


Inaspettatamente, nei giorni successivi al loro primo incontro le cose andarono meglio. Ovvero, in maniera lenta ed estenuante, Kiba era riuscito a comprendere che la natura di alcune sfaccettature del suo nuovo ‘amico’ erano, per lo più, dati da inabilità sociale.
Sasuke diceva senza mezzi termini quello che pensava, senza curarsi di offendere il suo interlocutore, cioè Kiba. Lo chiamava ‘cane, ‘pulcioso’, ‘testa a forma di ciotola’ e tanti altri fantasiosi epiteti che non riusciva nemmeno a ricordare. Era schizzinoso e maniaco dell’ordine, doveva fare tutto con un suo metodo prestabilito, cosa che Kiba non riusciva a comprendere.
Doveva però ammettere che con il cane era insolitamente permissivo, nonostante Sasuke si pulisse con il disinfettante ogni volta che l’husky lo leccava o gli si buttava addosso. Lo aveva visto perfino sorridere mentre guardava l’animale scodinzolargli davanti.
Sasuke era un tipo strano, rigido, schivo, parlava poco e, quando lo faceva, spesso faceva uscire cattiverie, ma doveva ammettere che era piacevole stargli vicino. Trasmetteva calma e silenzio, cosa del tutto nuova per un tipo come Kiba, circondato solo da tizi rumorosi.
«Devi andare più piano, vorrei ricordati che qualcuno gli ha rotto una zampa» disse, osservando Uchiha Sasuke, grande e grosso avvocato con due palle d’acciaio, irrigidirsi a fianco di un cucciolo di husky zoppicante.
«Non capisco cosa vuole» lo sentì borbottare, fissando il cane scodinzolante che zoppicava per raggiungerlo. Kiba sbuffò.
«Vuole dimostrarti quanto è felice di essere stato investito da un bel faccino come te, ovvio! Non hai mai avuto un cane?» domandò, grattandosi la testa. Sasuke gli lanciò un’occhiata di ghiaccio e si allontanò di qualche passo dall’animale, che ricominciò a seguirlo.
«Casa mia non era adatta agli animali».
Kiba alzò un sopracciglio.
«Oh, troppo piccola?»
Credeva fosse un figlio di papà con i soldi che spuntavano da ogni orifizio.
«No, piena di cose troppo costose per essere messe a disposizione di graffi e peli».
Ah. Il suo intuito non sbagliava proprio mai. Spocchioso bamboccio.
Il silenzio calò sul piccolo parco sul retro dello studio veterinario.
Sasuke non sembrava una persona cattiva, forse un po’ fuori dal mondo delle persone ‘normali’. Erano già due ore che lo aveva costretto prima a lavare il cane, stando attento a non toccargli le ferite; poi a fargli fare una passeggiata. Forse era stato fin troppo crudele, ma doveva ammettere che vedere quel tipo rigido cercare di non sporcarsi era stato epico.
Anzi, forse pure tenero, se toglieva le occhiate di fuoco e le lamentele.
«Per quanto ancora dovrò tornare qui?» chiese con tono insofferente l’altro.
Kiba ghignò.
«Non so, hai assimilato la lezione?»
«E quale doveva essere? Non investire i cani? Per quanto tu possa essere scettico, me lo hanno già insegnato all’asilo, grazie» commentò, scartando di lato il cane che tentava di saltargli addosso.
Alla risposta, il veterinario alzò gli occhi al cielo, esasperato.
«Veramente stavo tentando di insegnarti quanto gli animali ti riempiano la vita di felicità ed emozioni, ma evidentemente è tutto inutile» si alzò dalla panchina e si avvicinò ai due, per poi allacciare il guinzaglio al collare dell’animale «Puoi andare, volevo solo essere un po’ cattivo».
«Cosa gli succederà ora?»
Kiba rimase pietrificato per un attimo, stupito. Sasuke aveva il suo solito sguardo senza particolari emozioni, ma le sopracciglia corrucciate facevano trasparire qualcosa di simile alla preoccupazione.
«Non abbiamo trovato micro-chip, credo sia un semplice randagio. Andrà in un canile» rispose, col cuore pesante. Odiava mandare gli animali in quei posti, ma non c’era altra scelta.
L’husky, inconsapevole, si appoggiò alle gambe di Sasuke, continuando a scodinzolare.
«Ti si è affezionato» disse, ridacchiando per i peli che si erano attaccati ai pantaloni dell’altro.
«Non mi sono mai preso cura di nessuno, lavoro fino a tardi e abito da solo. Non credo di essere adatto a…»
«Puttanate» lo interruppe «Sai, a un tipo gatto come te, che ti dimostra affetto ignorandoti e facendosi le unghie sui tuoi jeans preferiti, un cane è quello che ci vuole!»
Sasuke lo fissò, dubbioso.
«Vuoi dire un tipo iperattivo e poco aggraziato come te?» Per la prima volta vide l’ombra di un sorriso arricciargli le labbra, peccato che fosse di derisione rivolta a lui.
Per qualche strano motivo gli venne da arrossire e distolse lo sguardo.
«Sei davvero un gattaccio spocchioso».
«E tu un cane esasperante. Dammi quel guinzaglio» puntualizzò, allungando la mano.
Kiba esaudì la sua richiesta, ridacchiando.
«Come lo chiamerai?» chiese. Sasuke rimase un po’ interdetto, come se non avesse considerato il ‘problema del nome’. Poi gli puntò gli occhi addosso.
«Kiba».
Il veterinario lo guardò dubbioso.
«Sì?»
Non capiva perché lo stesse chiamando.
«Lo chiamerò Kiba» annunciò Sasuke, con tono definitivo, per poi voltarsi per andarsene con il suo nuovo cane che gli zoppicava a fianco.
Il veterinario rimase per un attimo pietrificato sul posto, a bocca aperta. Si risvegliò solo quando capì che Sasuke non aveva alcuna intenzione di fermarsi e lo aveva abbandonato lì, come un cane in autostrada.
«Cosa?! Ehi! È un modo tsundere da gatto per dimostrare il tuo affetto per me?! Ehi! Mi ascolti?! Sasuke!» gli abbaiò dietro, per poi scattare in avanti per raggiungerlo.
Erano un cane e un gatto, ma le differenze diventavano minime quando camminavano a fianco.

   
 
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