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Autore: AleDic    09/06/2018    3 recensioni
[Steve!Centric ⎸Romanogers a libera interpretazione ⎸Missing Moments ⎸1.737 parole]
Di solito pranza solo. Anche se si tratta di Captain America, una leggenda vivente, a differenza di quel che si crede, la gente non fa a gara per parlargli. Molti degli agenti impallidiscono solo a vederlo da lontano. Una volta in cui gli serviva trovare una corrispondenza facciale nel database, l’agente Cooper della sezione Ricerca, nel vederlo a pochi centimetri dalla sua postazione, ha cominciato a balbettare e diventare di una tonalità malva preoccupante; due agenti finirono per scortarlo in Infermeria. Le uniche eccezioni sono giorni come quello, in cui Natasha non si trova in qualche missione[...]
{Sesta classificata a parimerito al contest “keep calm e... fatemi amare la vostra otp II edizione" indetto da Elettra.C sul forum di Efp}
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Personaggi: Steve Rogers, Natasha Romanoff
Pairing: Romanogers a libera interpretazione, accenni Steggy
Generi: Slice of life, Introspettivo, Malinconico, Sentimentale + accenni Angst e Fluff
Rating: Verde
Tipi di coppie: Nessuna, Het
Avvertimenti: Missing Moments, multi-flashfic 330 + 212 + 340 + 279 + 343 + 233 parole, possibili OOC per mie paranoie, soprassedete sul titolo, davvero non sapevo quello che facevo  
Contesto: spezzoni di missing moments da pre-The Winter Soldier a pre-Infinity War
Note autrice: Ehilà, gente! Primo approdo nel fandom degli Avengers (anche se non il primo in quello del MCU), e mi butto con una storia Romanogers. Io amo AMO il rapporto tra Steve e Nat, credo che sia un legame a 360° gradi e che potrebbe sfociare anche nel romantico, ecco perché lascio la OS a libera interpretazione, ho cercato infatti di attenermi più possibile al canon, sia per i missing moments sia per la caratterizzazione, e spero di esserci riuscita. Mi sono focalizzata più su Steve, sui suoi sentimenti e sull’evoluzione del loro rapporto dal suo punto di vista, ma ho in mente di scriverne una anche Nat-centrica (colpa soprattutto della novel Marvel’s Avengers: Infinity War - The Heroes’ Journey, che consiglio assolutamente a tutti e di cui potete scaricare il pdf dal link che ho allegato o iscrivendovi al mio gruppo facebook sugli Avengers). Grazie a chiunque si fermi qualche minuto a leggerla e a chi vorrà lasciarmi un commento.

 
Alla prossima,

 
Ale

 





 

 

 

 

 

 

 

Di cose perdute e vuoti incolmabili  

 

~ e di quello che, imperterrito, resta ~

 




 

 

 

I.

Il bancone d’acciaio offre più di quello che si sarebbe aspettato, ma meno di quello che dovrebbe. Non che per Steve rappresenti un problema: rispetto al fronte, il cibo della mensa dello S.H.I.E.L.D. risulta più che accettabile. Per questo non ha mai riflettuto molto sulla scelta: prende il necessario per mantenersi in forze, aspetto e sapore a parte. È proprio in procinto di mettere sul vassoio un piatto di quello che sembra purè, quando sente una voce al suo fianco.
«Io proverei la salsa.»
Natasha fissa il bancone e il suo vassoio con un sopracciglio alzato, che Steve riuscirebbe a interpretare come disappunto o divertimento se si trattasse di qualcun altro - chiunque altro - ma Natasha è simile a una nebbia fitta che impedisce di vedere al suo interno; Steve non l’ha nemmeno sentita arrivare.
«Il giovedì c’è sempre salsa italiana. È la cosa più salutare che troverai», afferma prima di allontanarsi.
Steve la guarda ancora un momento; poi rimette il purè al proprio posto e ordina un piatto di salsa.

Di solito pranza solo. Anche se si tratta di Captain America, una leggenda vivente, a differenza di quel che si crede, la gente non fa a gara per parlargli. Molti degli agenti impallidiscono solo a vederlo da lontano. Una volta in cui gli serviva trovare una corrispondenza facciale nel database, l’agente Cooper della sezione Ricerca, nel vederlo a pochi centimetri dalla sua postazione, ha cominciato a balbettare e diventare di una tonalità malva preoccupante; due agenti finirono per scortarlo in Infermeria. Le uniche eccezioni sono giorni come quello, in cui Natasha non si trova in qualche missione: allora se la ritrova accanto senza avere la minima idea da dove sia arrivata, che gli consiglia quali piatti scegliere; poi prende uno dei dolci del buffet-frigo - non l’ha mai vista mangiare altro, se di “mangiare” si può parlare; per lo più si limita a un cucchiaino appena passato nella mousse - e si accomoda su una delle sedie al suo tavolo.
In quei giorni, il cibo è sempre migliore.

 

II.

I contrabbandieri sono bene armati. Ovviamente. Dalle informazioni ricevute dallo S.H.I.E.L.D., i criminali hanno rubato armi Chitaure da rivendere in traffici illeciti ai confini della Bulgaria, così Fury l’ha inviato a occuparsene. Ciò che allo S.H.I.E.L.D. è sfuggito di condividere, è stato quanti contrabbandieri fossero e che utilizzassero le armi che hanno intenzione di rivendere. Inizia a chiedersi se Fury sappia quello che fa.
Steve ne sta combattendo cinque sul molo; uno di loro gli scaglia contro un raggio viola che prontamente disperde con lo scudo. Il rombo dell’attacco è talmente acuto da impedirgli di rendersi conto dei cecchini comparsi sui container alle sue spalle. Lo realizza solo quando percepisce dei colpi dietro di lui, seguiti da gemiti di dolore.
«Sembrava ti servisse una mano.»
Natasha atterra elegantemente al suo fianco, dopo aver neutralizzato i due uomini.
«Sembrava giusto», risponde, ringraziandola con un gesto del capo.
L’attimo di trionfo dura poco, il tempo in cui i contrabbandieri tirino fuori qualcosa di simile a un cannone alieno.
«A quanto pare, questi tizi sanno come organizzare un comitato di benvenuto», commenta Romanoff con un velo di divertimento.
Steve si lascia contagiare dal suo buonumore e si mette in posizione senza più preoccuparsi di cosa sia stato detto o meno: se Fury ha inviato anche Natasha, sa davvero quello che fa.

 

III.

La camera d’ospedale è incredibilmente silenziosa. Ai suoi tempi, tutte quelle stanze e corridoi erano inesistenti: i reparti si presentavano come file interminabili di lettini adagiati l’uno accanto all’altro, e medici e infermiere che si destreggiavano tra loro; l’aria era sempre piena di echi di passi veloci, pessimi odori e gemiti di dolore.
L’ultima volta che si è risvegliato in ospedale con il corpo che gli sembrava di piombo, era stato qualcosa come una, anzi, due vite fa. Aveva diciassette anni e Bucky era stato mandato dall’altra parte della città per lavoro; al suo risveglio se l’era ritrovato accanto con l’aria di chi avrebbe voluto dargli un pugno, ma era troppo preoccupato anche solo per sgridarlo per più di due minuti (due minuti senza neanche riprendere fiato).
Adesso, invece, nella sua stanza singola, gli unici suoni che sente sono il ronzio dei macchinari del nuovo millennio, e quel fastidioso odore di medicine.
«Cominciavo a credere volessi dormire per altri settant’anni.»
Normalmente, avrebbe voltato il capo immediatamente nella direzione della voce, ma anche solo il minimo movimento gli provoca dolori lancinanti, perciò è costretto a procedere lentamente e con cautela. Tuttavia, sa già a chi appartiene quella voce molto prima di vedere la chioma rossa della donna seduta a pochi centimetri dal letto.
Deve avere davvero un pessimo aspetto, perché Natasha appare perfettamente rilassata, ma Steve riesce a scorgere il velo di preoccupazione che le solca il viso - la cosa gli fa piacere, in realtà; significa che sta cominciando a imparare a vedere al di là della nebbia. È un inizio.

«Tu compari sempre così?», si sforza di dire, piano e il più naturale possibile, in modo di rincuorarla almeno un po’.
«Questa volta non avevo scelta, dubito che i due uomini armati fuori dalla stanza mi avrebbero fatta entrare», si giustifica candidamente. «E poi è meglio che non mi abbiano vista aggirarli: gli agenti governativi hanno già avuto abbastanza imbarazzo con le falle nella sicurezza, almeno per questo secolo.»
Nonostante il dolore che gli scorre per tutti i muscoli del corpo, Steve non riesce a trattenere un sorriso.

 

IV.

Il complesso degli Avengers è più che mai operativo; i nuovi membri del gruppo si stanno allenando nell’arena interna. Steve li osserva dall’alto della piattaforma, pieno di dubbi. Far diventare quelle persone una squadra capace di proteggere il mondo è un compito più che arduo. Sente di essere lontano anni luce dal riuscire a comprenderli: Wanda è poco più che una ragazzina, e Visione... non sa neanche da dove cominciare. Entrare in sintonia con loro abbastanza da poterli aiutare a trovare loro stessi, guidarli affinché diventino ciò di cui il mondo ha bisogno… Steve non sa se sia la persona giusta per farlo.
Tutti i suoi vecchi compagni hanno preso la loro strada, alcuni perfino in altri mondi. Per Steve non c’è mai stato altro posto dove andare, un’altra strada da percorrere. Gli Avengers, si dice, sono l’essenza stessa di ciò che ha sempre voluto essere. Quella è casa sua. Il tarlo che lo assilla, però - da sempre, da molto prima che la Guerra avesse inizio - continua a sembrare inestinguibile: da solo, forse, non è abbastanza.
«Mi stai davvero chiedendo se Steve Rogers sia in grado di tirar fuori degli eroi dalle persone?»
Rivolgersi a Natasha gli viene più che naturale: è come se ormai sapesse che può sempre contare su di lei.
«Ti sto chiedendo se vuoi aiutarmi a farlo.»
Steve non sa perché l’abbia fatto, perché lei abbia deciso di restare quando là fuori è pieno di possibilità che stanno solo aspettando. Immagina che Nat sia un po’ come lui.
Lei lo guarda un momento, quasi fosse indecisa su cosa dire o su come dirlo. L’attimo dopo, sta già camminando al suo fianco verso l’arena di allenamento.
«Perché credi che sia qui?»

 

V.

Credeva di essere rimasto solo nella vecchia chiesa quando sente dei passi avvicinarsi.
L’edificio sembra molto più grande ora che è vuoto; la luce che filtra dalle grandi vetrate arriva sfumata di vari colori che accompagnano le corone di fiori ai piedi dell’altare. La fotografia in bianco e nero quasi stona in quell’esplosione variopinta; per Steve è quasi un sollievo: un ultimo legame con Peggy, qualcosa che non lo faccia sentire l’unico a stridere con ciò che lo circonda. Gli fa pensare al ritaglio inserito nella sua bussola, alla donna forte e decisa che ricorda, ora che i ricordi sono l’unica cosa che gli è rimasta. Può contarli uno a uno, può percepire il peso di ognuno di loro come se li portasse tutti sulle spalle, perennemente, dal momento in cui ha aperto gli occhi e non c’era più bianco e neve fredda, non c’era più il vecchio accampamento perennemente circondato dal fango, né i suoi amici a renderlo più accogliente di quanto potesse mai essere. Un battito di ciglia e tutto era andato perduto.
Quando vede Natasha avvicinarsi lungo la navata, in quel silenzio così pregno di rimpianti e vuoti incolmabili, qualcosa in lui si spezza, e fa così male che non riesce a trattenersi dal parlare.   
«Uscito dal ghiaccio ho pensato che quelli che conoscevo fossero morti. Poi ho scoperto che lei era viva. L’avevo ritrovata.»
Nat si è fermata a qualche centimetro da lui, una mano a tenersi il polso dell’altra, come a impedirsi di fare qualcosa, mentre sostiene il suo sguardo. Steve non l’ha mai vista così, si muove cauta, quasi fosse incerta, e c’è un’ombra nei suoi occhi che gli fanno sembrare lucidi – deve essere quella luce ingannevole che le vetrate continuano a far entrare imperterrite, fa apparire ogni cosa diversa da com’è in realtà. È colpa sua, si dice, se tutto gli sembra così insopportabile. È colpa sua se Natasha gli sembra così fragile, almeno quanto lui in quel momento.
Quando gli risponde, Steve potrebbe giurare di aver percepito la voce tremarle – appena appena.  
«Anche lei ti ha ritrovato.»

 

 
VI.

Per un po’, Steve ha pensato davvero di poter far parte di quel mondo. Fury gli ha dato uno scopo; gli Avegers gli hanno dato una casa. Il mondo è diverso da come lo ha lasciato settant’anni fa, ma lui poteva ancora servirlo, proteggerlo, essere il soldato di cui ha bisogno.
Ma si sbagliava.  

Il Quinjet sorvola l’Ucraina senza emettere un suono; Sam ha rintracciato i contrabbandieri nel centro-sud del Paese, verso i confini. È una missione altamente pericolosa, come tutte quelle che hanno affrontato finora. Nessuna informazione certa. Nessun rinforzo. E le persone che avrebbero dovuto servire, le stesse che stanno proteggendo rischiando la vita, danno loro la caccia.

Da quando ha riaperto gli occhi sul mondo, questo non ha fatto altro che continuare a sgretolarglisi intorno. A Steve sembra di aver passato tutta la vita continuando a perdere ciò che è importante per lui, e un moto di solitudine gli avvolge il petto. È così intenso e improvviso da costringerlo a voltarsi alla sua sinistra. Una figura è seduta poco dietro di lui, la vecchia chioma rossa ora sostituita da una biondo cenere. Deve aver percepito il suo sguardo perché smette di guardare oltre il vetro e volta il capo verso di lui; e quella sgradevole sensazione, per un momento, svanisce.
Natasha è ancora lì, con lui, come sempre; ed è abbastanza da permettergli di mantenersi in equilibrio anche mentre tutto intorno crolla.
«Sei pronta?»

   
 
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