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Autore: Ghen    11/06/2018    9 recensioni
Dopo anni dal divorzio, finalmente Eliza Danvers ha accanto a sé una persona che la rende felice e inizia a conviverci. Sorprese e disorientate, Alex e Kara tornano a casa per conoscere le persone coinvolte. Tutto si è svolto molto in fretta e si sforzano perché la cosa possa funzionare, ma Kara Danvers non aveva i fatti i conti con Lena Luthor, la sua nuova... sorella.
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Non solo quello che sembra! AU (no poteri/alieni) con il susseguirsi di personaggi rielaborati e crossover, 'Our home' è commedia, romanticismo e investigazione seguendo l'ombra lasciata da un passato complicato e travagliato, che porterà le due protagoniste di fronte a verità omesse e persone pericolose.
'Our home' è di nuovo in pausa. Lo so, la scrittura di questa fan fiction è molto altalenante. Ci tengo molto a questa storia e ultimamente non mi sembra di riuscire a scriverla al meglio, quindi piuttosto che scrivere capitoli compitino, voglio prendermi il tempo per riuscire a metterci di nuovo un'anima. Alla prossima!
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri, Kara Danvers, Lena Luthor
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ours'
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16. Il rapporto tra sorelle è complicato


«Chiudi gli occhi».
Kara aveva la tachicardia alta. La scrivania di Winn era vuota e così aveva direttamente bussato al suo ufficio, col cuore in gola. Sapevano di dover parlare di ciò che era successo e si erano date appuntamento alla Luthor Corp, e ci aveva messo un po' per avere il coraggio di bussare, e di aprire la porta quando le aveva detto di farlo, e ora che si trovava lì davanti a lei non le aveva dato il tempo di dire nulla, semplicemente le aveva ordinato di chiudere gli occhi. Così deglutì e perché avesse deciso di darle retta le sfuggiva, forse era il modo in cui la guardava o la voce accomodante e calda con cui glielo aveva detto, ma lo fece, chiuse gli occhi. La sentì arrivarle vicino; trangugiò ancora saliva e sentì un brivido percorrerle la pelle quando il suo respiro le batté su un labbro e poi la baciò, lentamente. Lena assaggiò il labbro superiore e poi l'altro e Kara non riuscì a fare a meno di schiudere le labbra, accoglierla, prima che si staccasse con delicatezza da lei. Era come se le avesse portato via l'aria.
«Adesso possiamo parlare», le sorrise con una strana espressione, intanto che riapriva gli occhi.
Kara capì: sapeva tanto di bacio ricordo. Il bacio prima di tornare alla realtà. Lena l'avrebbe rifiutata, accidenti; sentiva, lo aveva sentito eccome, che non voleva rifiutarla, ma quel bacio sapeva d'addio. Forse avrebbe dovuto allora cercare di riparare la situazione, perché l'ultima cosa che Kara voleva era rifiutarla, ma se Lena non era della stessa idea… Perché, alla fine, ci erano riuscite. Erano riuscite a rovinare tutto.
Era pur vero che la loro relazione era iniziata su quel treno la prima volta in cui si erano viste, ma baciarsi era il trampolino di lancio e ora sarebbe stato difficile fermarsi. Fermarsi prima che fosse troppo tardi. O forse era già troppo tardi…
«Emh, sì. P-Per quanto riguarda ieri… Non volevo», sussurrò Kara, «È-È successo tutto così, all'improvviso».
Lena alzò un sopracciglio. «Cosa?».
«Cosa cosa?».
«Cosa non volevi?», alzò anche il mento, mostrando un sorriso malizioso. «La tua lingua dentro la mia bocca, mordermi un labbro, tirarlo, le tue mani sul mio sedere, stringerlo, sollevarmi e spingermi contro il muro. Sii più specifica, per favore».
Kara arrossì e spalancò la bocca. «Emh… tutto. Non volevo». Voleva o no rifiutarla? Kara non riusciva a interpretare i segnali.
«Davvero?».
«No».
«Bene», sorrise compiaciuta Lena, «Perché lo volevo anch'io». Le sfiorò la guancia destra e si avvicinò, Kara chiuse gli occhi e si toccarono, si baciarono, lasciandosi andare un attimo, riprendendosi di nuovo, e di nuovo, finché lei non decise di staccarsi piano e di guardarla negli occhi, mentre l'alitava ancora addosso, così totalmente presa da lei.
Non voleva rifiutarla. Kara sorrise non riuscendo a trattenere la gioia. «Quindi… lo facciamo?». Lena inarcò un sopracciglio e Kara avvampò di colpo, spalancando gli occhi. «Oddio, cos'ho detto!? No, non intendevo, cioè, non che mi dispiacere- no! Mh», fece un rumore gutturale con la bocca e si morse il labbro inferiore, tirandosi indietro di un passo, «Intendevo-». Si guardò intorno nell'ufficio di Lena, in cerca di un aiuto qualsiasi, con palese imbarazzo.
«Lo so cosa intendevi». Rise divertita e l'attirò di nuovo a sé. Kara la baciò come se le mancasse l'aria, avvicinandola alla scrivania, per poi staccarsi di nuovo, così presto che Lena sospirò. «Non dobbiamo farlo», le disse quest'ultima con le lebbra sulle sue, scuotendo la testa, così allontanandosi e godendosi lo spettacolo degli occhi di Kara tanto azzurri e grandi, per lei.
Ma… «Non dobbiamo?», Kara la guardò con espressione confusa.
«No. Beh, è ovvio: siamo sorelle. Non in quel modo, ma…».
«Non lo siamo».
«No, per niente». Lena la spinse contro la sua scrivania e affondò la bocca contro la sua, al punto in cui Kara per poco non dovette mantenersi con i gomiti. «Scusa», si spostò, «Non so cosa mi sia preso».
«Davvero?».
«No».
Si sorrisero e scoppiarono a ridere, arrossendo, consce di essere ancora al punto di partenza e per niente sicure di ciò che avrebbero dovuto fare.
Non riuscivano a fare a meno di baciarsi, di volersi, ora che quel muro tra loro era caduto giù. L'immaginare di toccarla ancora le aveva fatto compagnia nei suoi sogni, quella notte dopo la partita. Riuscire a toccarla, dopo tanto tempo che lo aveva desiderato, era una sensazione indescrivibile per Kara. Le sue labbra, il suo sapore, il suo alito caldo e il calore della sua pelle l'avevano ammaliata. Era come aver trovato la sola cosa in tutto l'universo che la rendeva felice. Lena aveva questo potere?
Avevano rovinato tutto. O almeno per un po' lo avevano creduto…

MEGAN
«Tu hai… visto tutto, non è vero?», le aveva domandato al suo rientro in dormitorio, più tardi del previsto, dopo aver lasciato Lena andare via con Ferdinand dopo la partita, quella notte. Non si volevano lasciare. Non avevano parlato se non della partita e si erano baciate di nuovo, prima dell'arrivo della macchina, per paura che le scoprisse. Perché sapevano entrambe che non avrebbero dovuto farsi vedere e che era stato già abbastanza rischioso ciò che era accaduto in palestra, colte dal momento. La squadra di lacrosse e gli studenti della Sunrise vari che avevano assistito alla scena, avevano accolto le loro effusioni con un applauso, quella sera, tutti così eccitati di aver vinto che nessuno le aveva disturbate, né probabilmente avevano davvero fatto caso a chi lei baciasse: tutti sapevano che Lena Luthor e lei erano sorellastre. In ogni caso, era una fortuna che non uno di loro avesse contatti con la loro famiglia allargata.
Già in pigiama, Megan era seduta sul letto e leggeva, non abbandonando un solo attimo un sorrisetto divertito sul viso. «Era da tanto che non vedevo un episodio di Discovery Channel», aveva annuito, chiudendo il libro e fissando il suo visetto color pomodoro. «La riproduzione dei polpi».
«Oddio». Se possibile, Kara era diventata ancora più rossa e si era seduta sul suo letto lentamente come se le sue gambe, a un certo punto, non sarebbero più riuscite a reggerla. Infine, però, le aveva sorriso. «È andata. È fatta, è-è successo e i-io… oh, cielo», aveva preso fiato, «le ho toccato il sedere».
«Oh, l'ho notato».
«E mi è piaciuto».
«Grande conquista», aveva alzato un pugno in segno di complicità.
«Cosa credi che succederà, adesso, Megan? Cioè, è-è palesemente un errore quello che abbiamo fatto, ma- io la voglio. È assurdo, no?», aveva deglutito e cercava di guardarla negli occhi ma, di tanto in tanto, si fissava altrove, in un punto vuoto, incapace di trattenere l'emozione. «Non voglio passare il resto della mia vita a rimpiangere ciò che poteva essere e non è stato! Ma capisco che è pur sempre una situazione delicata e non so cosa ne pensa Lena, p-perché sì, certo, abbiamo parlato di una relazione che passerebbe inosservata alla nostra famiglia, ma quanto potrà tenere, e se veniamo scoperte? Se Lena non volesse mentire? E io? Io voglio mentire alla mia famiglia? Voglio mentire ad Alex?».
«Come al solito tendi a correre troppo, non esiste la mezza misura… Da un bacio casto sei passata alla pomiciata, è chiaro che adesso dalla pomiciata tu stia passando alla fase sul matrimonio. Calmati, Kara», scandì per bene, «vi siete baciate, non vi state per sposare», aveva scrollato le spalle, appoggiando la schiena contro il muro. «Per tutto il resto basta che ne discutiate tra voi. Perché non provate a vedere come la cosa vi fa sentire, va bene? Provate a stare insieme per un po', vedete come va, se funziona, poi potete pensare se parlarne alla vostra famiglia o meno. Sarebbe inutile farlo prima, credo».
«Le ho toccato il sedere…».
«Kara».
«L'ho fatto, Megan», aveva risposto con un sibilo soprappensiero, «Le ho stretto le natiche e l'ho sollevata da terra…». Si era girata con lentezza, guardandola con occhi sgranati. «E se Lena non volesse? Ho corso troppo? N-Non mi era mai successo di… di lasciarmi andare in quel modo».
«Credi che se non volesse, te lo avrebbe lasciato fare?».
«Era tutto così… bello»,
«Mi stavi ascoltando mentre ti davo consigli su ciò che mi avevi chiesto?».
«Ha un sedere… sodo».
«Niente», aveva sbuffato, «L'ho persa».

MIKE
Megan le aveva detto che Mike l'aveva cercata dopo la partita e che solo per caso non l'aveva scoperta durante il gesto affettuoso poco fraterno con Lena. Quando si era svegliata, la mattina successiva, aveva trovato sul suo cellulare un sacco di messaggi da parte sua in cui le faceva i complimenti, ripetendole quanto Selina Kyle fosse una tosta da sconfiggere, come magari lui avrebbe usato un approccio diverso ma che il suo modo di fare aveva comunque fatto vincere la squadra e di chiamarlo, di vederlo, di scrivergli, perlomeno. Aveva completamente ignorato il cellulare dopo essere tornata in camera quella notte. Lo aveva chiuso in un cassetto con l'ansia che Lena le scrivesse per dirle che era stato tutto un brutto errore. Perché avrebbe potuto farlo, dopo che la frenesia fosse passata, ragionando a mente lucida e lontana da lei. Poi si era semplicemente dimenticata di dove lo aveva nascosto. I messaggi di Mike erano davvero tantissimi, ma non era l'unico ad essersi fatto sentire: Alex le aveva chiesto com'era andata, Eliza le aveva fatto i complimenti per la vittoria non appena lo aveva saputo da Lillian che lo aveva saputo da Lena, sicuramente dopo essere tornata a casa; aveva ricevuto anche un messaggio da parte di Winn in cui le chiedeva a che ora fosse la partita e uno da James in cui le chiedeva i risultati. E Lena. Lena, sì, anche lei, come aveva immaginato, le aveva scritto.
Non avevo mai visto niente del genere prima e sono sincera nel dire che non vedo l'ora di rifarlo. Anche la partita mi è piaciuta molto.
«Perché sei così rossa?».
La voce di Mike l'aveva fatta sussultare di colpo. Stava camminando col cellulare in mano fino alla mensa, dove aveva detto di incontrarla quella mattina, ma non aveva notato di essere arrivata davanti a lui.
«Sei ancora eccitata per la partita?», le aveva sorriso, invitandola a seguirlo su uno dei tavoli, dicendole di aver già preso la colazione per entrambi.
«Eccitata?! No, no, mh, no. Stavo solo- emh, rispondendo a Lena». Si era seduta davanti a lui, ancora intenta a guardare lo schermo e infine decidendo di inviarle un messaggio.
Mi dispiace per quel
No. Aveva cancellato.
Scusa per il seder
Aveva cancellato di nuovo.
È stato forse un po' improvviso, non trovi?
Cancellato.
È stato bello anche per me.
Aveva grugnito, guance rossastre, cancellando di nuovo.
«Mangia, Kara, o la frittata si fredda».
«Sì…».
Da me a L!
È stato bello, sì… Dobbiamo parlare!
Infine, aveva inviato. Appena in tempo per sentirsi fare gli applausi dalle ragazze e dai ragazzi in mensa, con cori, fischi e qualche grande Supergirl in ricordo della partita di ieri. Lei era arrossita ma, guardando Mike, il suo entusiasmo era scemato: lui sorrideva ma il suo sguardo era spento. Oh, non aveva certo voglia di stare appresso ai suoi capricci e aveva già deciso che se non gliene avesse parlato lui, lei non gli avrebbe chiesto il perché di quella faccia.
«Supergirl ormai è l'eroina, qui», aveva detto lui, ingoiando.
Va bene, non sarebbe riuscita a starsene zitta. «Sei geloso, per caso?».
Lui aveva abbozzato una risata, dando un'altra forchettata. «Geloso di te? Geloso di cosa?».
«Di Supergirl. Tu sei bravo, ma ho come la sensazione che tu creda che io sia più brava di te o qualcosa del genere e che sia geloso di questo… O di questo», si era guardata intorno verso gli studenti che, incrociando il suo sguardo con il loro, la salutavano e le facevano i complimenti.
«No».
«No?».
«No, Kara, andiamo! Abbiamo solo modi diversi di giocare».
«Okay», aveva dato un morso alla sua frittata, adocchiando lo sguardo di Mike palesemente poco convinto, come se ci fosse ancora qualcosa che gli desse fastidio.
«Okay? Sai cosa…?», aveva sbuffato, «Lascia perdere la partita, sei stata brava e nessuno lo mette in dubbio, sei proprio l'eroina della Sunrise, ma non volevo parlare di questo! Sì, di certo volevo farti i complimenti, come un po' tutti, ma è per quello che è successo dopo la partita».
«Dopo?», Kara si era bloccata, spalancando gli occhi. «Quando tu- Quando tu non mi hai trovata, giusto? Me lo ha detto Megan, che tu-».
«Oh, dai, smettila di arrampicarti sugli specchi, Kara: Megan ti ha coperto. Lo so. Delle ragazze mi hanno detto tutto».
Kara aveva deglutito, cercando di calmarsi. Sì, anche se in parecchi avevano visto quel bacio, se così lo si poteva chiamare, non aveva temuto così tanto fino a quel momento perché nessuno di loro aveva contatti con la sua famiglia, ma era stata un'ingenua a pensare che la cosa sarebbe finita lì: Mike, però, lo conoscevano tutti. Aveva cercato di sorridergli, era inutile mentirgli arrivati a quel punto, tanto valeva cercare di salvare l'irreparabile: «Mike, non puoi capire».
«No, io capisco eccome».
«No, è successo tutto così all'improvviso, cioè, non metto in dubbio che fra noi ci sia stata subito una certa alchimia, sarebbe sciocco negarlo, ma ci sono un sacco di attenuanti, diciamo, e tu, ti prego, non devi farne parola con nessuno».
«Parola con nessuno? E perché mai?», aveva riso all'improvviso, «È una cosa sexy».
Kara si era fermata, non capendo. «Se-Sexy come-».
«Due ragazze che si baciano! E poi eri presa dalla partita, dai, ci sta! Me la immagino la scena», non era riuscito a togliersi un sorrisetto meravigliato dalla faccia. «Non me lo aspettavo, sinceramente… Ma ehi, cosa c'è di male? Tutta esperienza, no? Io lo accetto».
«Sei contento che io abbia baciato qualcun altro?». Lo conosceva bene e lo immaginava nero di gelosia.
«Non qualcun altro: una ragazza», aveva replicato, «E non sono contento, magari sorpreso, ma devi fare le tue esperienze… Mi fa arrabbiare che tu non me lo abbia detto! Chi era? Una delle tue classi? Non me lo hanno saputo dire, accidenti, un sacco di gente e nessuno ha riconosciuto la moretta».
Kara aveva fatto subito un sospiro di sollievo. Ora aveva capito: aveva coperto Lena quando l'aveva spinta contro il muro. Non poteva credere che la sua esuberanza l'aveva portata a salvarsi da quella situazione. «N-Non la conosci».
Lui aveva annuito, finendo la seconda frittata e poi le aveva sorriso di nuovo, entusiasta. «Un amico mi ha riferito che è normale tra ragazze… una specie di fase, prima o poi, un po' tutte la provano. Attizza, uh? A me di certo non dispiace».
Se n'era andata poco dopo, non sapendo in che modo replicare. Una fase? Pensava che un giorno sarebbe tornata da lui dopo aver sperimentato con una ragazza? Perché Mike doveva sempre rovinare tutto?

LILLIAN ED ELIZA
La notte dopo la partita, Lena era tornata a casa con il cuore che batteva così forte da sentirlo in gola, come un tamburo. Quello era stato oltre le sue aspettative. Oltre qualsiasi cosa. Se chiudeva gli occhi, era ancora capace di sentire il respiro di Kara su di lei, le sue labbra, la sua lingua contro la propria. Le sue mani nelle natiche. Le aveva davvero non solo toccato il sedere, ma l'aveva stretto tanto forte da sollevarla e no, di certo non se lo aspettava. Si sentiva un po' frastornata in quel momento, e felice. Ripensandoci, Kara si era davvero lasciata andare, probabilmente complice l'euforia dopo partita. Era stata così brava, era andata a cercarla e, una volta che i loro sguardi si erano incrociati, sapeva che sarebbe successo. Arrivate a quel punto, Lena pensava che era già tanto se era riuscita a separarsi da lei per tornare a casa. Aveva preso il cellulare dalla sua borsa, intanto che posava le chiavi su un mobiletto nell'ingresso dopo aver aperto la porta. Avendo scoperto che non c'erano messaggi da parte sua, aveva deciso di inviargliene uno lei, sorridendo con malizia.
Da Me a Vaniglia
Non avevo mai visto niente del genere prima e sono sincera nel dire che non vedo l'ora di rifarlo. Anche la partita mi è piaciuta molto.
Aveva sorriso di nuovo con soddisfazione, prima di inviare.
«Lena!». Nel buio e nel silenzio interrotto solo dal battere del suo cuore, la ragazza per poco non era saltata sul posto nel sentire la voce di sua madre. «La partita si è protesa fino a tardi? Ti aspettavamo prima per cena».
«Ceno sempre da sola».
«Oggi siamo tornate prima dalla Luthor Corp. Allora, com'è andata?».
«Cosa?». Il suo cuore aveva preso la rincorsa e aveva cominciato a battere ancora più violentemente, mentre sentiva il suo viso farsi caldo. Ma sapeva di dover star calma: lei non poteva saperlo…
«La partita, non è ovvio? Ci sei andata oppure no?», si era appoggiata contro un mobiletto e aveva iniziato a squadrarla, a braccia a conserte.
«Ah, sì… sì, certo», l'aveva sorpassata, dopo aver aver appeso la giacca nell'appendiabiti, entrando in cucina. Ai suoi passi, la luce si era accesa da sola e Lillian l'aveva seguita. «La squadra di Kara ha vinto. Ferdinand dorme nella dependance questa notte, mi ha pregato di dirtelo».
«Passi Ferdinand: voglio sapere di Kara. Ha vinto? Hanno festeggiato?».
Lena aveva ingigantito gli occhi, versandosi da bere. «Oh, sì, ha festeggiato. Hanno tutti festeggiato». Aveva immaginato che una vittoria simile, per Lillian, era un po' come quando lei e Lex tornavano a casa con i trofei di scacchi: portava prestigio alla famiglia, ora che Kara ne faceva parte.
«Bene, ne sono felice. Ne sono felice», aveva ripetuto, annuendo con lentezza. «E sono felice, naturalmente, che tu le sia così vicina…».
«Come?», si era appoggiata al bancone della penisola, sorseggiando dal suo bicchiere. «Non starai per-».
«Oh no, no, sono sciocchezze, Lena, andiamo. Facevo solo la madre preoccupata; temevo che ti attaccassi a Kara con eccessiva morbosità… Ma che siate amiche va bene», aveva annuito, «Va benissimo, per questo dicevo che sono felice che tu le sia vicina».
Per un attimo, Lena aveva pensato che volesse ancora ripeterle quanto con Kara non avrebbe dovuto comportarsi come con le sue amichette, come le aveva chiamate quella volta. Fortunatamente, tuttavia, sembrava essere riuscita a convincersi del contrario o sarebbe stato un problema se avesse immaginato che tra lei e la sorellastra ci fosse del tenero.
«È una ragazza così sfortunata, Lena».
«Cosa?».
«Sfortunata. Per questo mi sta bene che tu e lei siate diventate amiche». Alla sua espressione confusa, Lillian precisò: «Oh, suvvia, dubito che tu non lo sappia, no?».
«Ti riferisci…?».
«Ma adesso ha noi, giusto? Siamo noi la sua famiglia; non le sei solo amica, sei sua sorella ora e ti pregherei di restarle accanto».
Lena l'aveva guardata con attenzione: doveva aver bevuto. Non lo faceva più così spesso, eppure le guance rossastre, il fatto che fosse da sola al buio in giro per casa, i suoi occhi lucidi… Rassegnata, aveva pensato che ogni tanto sua madre non riusciva a non ricascarci.
Avevano sentito dei passi e si erano zittite, aspettando l'arrivo di Eliza. Stretta nella sua vestaglia e ciabatte ai piedi, la donna era passata dal soggiorno in cucina, adocchiando le due intanto che tratteneva uno sbadiglio. «Sei tornata adesso, Lena?», le aveva stretto un braccio in un gesto d'affetto, avvicinandosi per bere anche lei dell'acqua.
«Lena ha portato buone notizie, tesoro: Kara ha vinto».
«La sua squadra», l'aveva corretta, lasciando il bicchiere sul bancone e non togliendole da dosso mezzo sguardo, «Hanno vinto tutte insieme».
«Sì, naturalmente. Ma Kara ne è la capitano, giusto?».
Dava prestigio alla famiglia: aveva ripetuto Lena per sé, a mente.
«Che notizia meravigliosa! Le manderò un messaggio, ormai è tardi per chiamarla».
Aveva bevuto ed era sparita di nuovo verso il soggiorno e Lillian aveva avanzato per raggiungerla, fermata solo un attimo verso Lena, per dirle con un sorriso: «Non sarai abituata a sentirtelo dire, ma… siamo fiere delle nostre figlie».
Sorelle, figlie. Lena si era appoggiata di nuovo al bancone, pensando a quanto le cose stessero davvero per complicarsi.
La mattina dopo, incrociandosi prima di uscire di casa, Eliza si era premurata di riferirle l'ultima trovata:
«Devi liberarti una di queste sere».
«Oh… va bene. Perché?».
«Tua madre ha avuto un'idea brillante: festeggeremo anche noi la vittoria di Kara andando a cena tutte insieme! Una cosa da famiglia, sai», le aveva sorriso con orgoglio. «Sono felice di come lei tenga al nostro rapporto. Detto tra noi: ci sta seriamente provando e sappiamo che Lex non verrà, dovremo cercare di far funzionare la cosa tra noi, al momento», aveva sospirato, per poi sorriderle. «Siamo entrambe molto orgogliose di voi che siete tanto unite. Sarete delle sorelle magnifiche».
Non possiamo farlo
Lo aveva scritto per messaggio, ma non aveva avuto il coraggio di inviarlo a Kara. Erano in macchina e, anche se bisbigliavano, Lena riusciva a sentire chiaramente Eliza e Lillian che discutevano per scegliere il locale in cui vedersi per festeggiare.
Non potevano farlo. Avevano rovinato tutto.

Winn bussò alla porta e le due si lasciarono andare di scatto, sistemandosi ciò che indossavano, Kara i suoi occhiali, Lena il suo rossetto e, alzando lo sguardo, togliendolo con un fazzolettino dalle labbra di Kara, che arrossì violentemente.
«Ne hai ancora», bisbigliò.
«L-Lo tolgo io», decisa e imbarazzata le prese il fazzoletto, voltandosi di spalle alla porta, mentre Lena chiedeva al suo assistente di entrare.
«Signorina Luthor. Kara», enunciò felice, con l'altra ancora di spalle, «È arrivato questo per voi, o meglio, in realtà è per la signorina Luthor, ma siete indicate entrambe e… Sì, sua madre non doveva sapere che Kara si sarebbe trovata qui, immagino». Le porse una busta chiusa con stampati i loro nomi e l'aprì subito, avvicinata da Kara. Winn le lanciò immediatamente un'occhiata e si toccò il lato destro del labbro inferiore. «Sei sporca. Qui». Rise vedendola agitata per ripulirsi.
Dalla busta, Lena tirò fuori un foglietto plastificato rosso e blu, i colori della squadra di Kara, guardando con stupita sorpresa le scritte colorate e, di sfondo, la giocatrice di lacrosse anonima che lanciava in porta la palla. «Hanno deciso la data: tra due giorni», guardò Kara, che annuì, sistemandosi di nuovo gli occhiali.
Winn uscì dall'ufficio e le due stettero in silenzio, fissando il cartellino.
«Perché l'invito?», chiese Kara all'improvviso. «Ci saremo solo noi, anche Alex ha impegni».
«Cerco di smettere di provare a capirla da quando ha detto di essere fiera di me», ammise, scrollando le spalle.
«Beh, ci darà il tempo di andare da Barry, domani. La nostra missione ha la priorità».
Lena rispose con un sorriso, avvicinandosi. «Mi dispiace per il rossetto».
«Davvero?», trattenne una risata, mordendosi un labbro. Quel loro giochetto stava durando un po' troppo.
«No, ma… dovrebbe». La squadrò e si distanziò dopo aver sospirato. «Non so quello che dovremo fare, Kara, ma è ovvio che dovremo iniziare col prendere una ferma decisione, in merito. Loro si aspettano che siamo unite, sì, ma-».
«Come sorelle», finì per lei, per poi sbuffare. Strinse i pugni con decisione e la guardò, annuendo brevemente. Doveva farlo. «Ascolta, ci siamo già passate e non ha funzionato… Non so come sia successo ma sento che era così che doveva andare tra noi e che doveva andare fin dall'inizio. Non voglio passare il resto della mia vita a rimpiangere… noi. Questo bizzarro rapporto tra sorelle è complicato: non lo siamo ed è evidente che non lo saremo mai, ma forse, forse possiamo essere qualcos'altro… Possiamo tentare, darci un'occasione», dalle sue labbra si formò un piccolo sorriso, «Ve-Vediamo cosa succede, okay? Vorrei davvero capire se siamo fatte per stare insieme oppure se è solo qualcosa di passeggero. Non è che dobbiamo sposarci domani, dopotutto». Ricordò le parole di Megan e mai si sentì così grata dei suoi preziosi consigli.
Lena la fissò a lungo prima di sorridere anche lei e così annuire. «E sia», le si avvicinò, guardandola dall'alto al basso per via dei tacchi ai piedi. Si accostò, sembrava volerla baciare e Kara si spinse verso di lei, ma le scivolò prima che potesse davvero toccarla. Si allontanò mostrandole un divertito sorriso.
«Questa si chiama tentazione, signorina Luthor».
«Credimi, se volessi tentarti, te ne accorgeresti», sussurrò facendole l'occhiolino, mettendo mano alla maniglia della porta, per poi voltarsi. «E sposarci non sarebbe una cattiva idea».
«Come?».
«Avremo già pronta la lista degli invitati. Cosa ne pensi? Giusto magari qualche accortezza…».
Kara rise e Lena scosse la testa, mantenendo un sorriso.

Il diretto per Central City era in ritardo, come suo solito. Sarebbe stato meglio fare scalo, aveva suggerito Eliza quando le dissero che andavano a trovare un amico, o prendere l'elicottero come nell'idea di Lillian, ma infine ci riuscirono. Nonostante la metro fosse quasi piena di gente, si erano tenute la mano per cercare due posti vicini e poi non si erano più lasciate andare. Per l'intero viaggio, Kara non aveva fatto altro che parlare della partita e poi delle lezioni che, a detta sua, stavano diventando troppo difficili perché richiedevano la sua massima attenzione in aula, mentre Lena annuiva e sorrideva, fissando la sua mano destra stretta a quella sinistra di Kara, ripensando a quanto detto da sua madre. C'era qualcosa di strano, che non la convinceva. Inizialmente pensava fosse preoccupata per lei perché non voleva che rischiassero di rovinare i rapporti familiari, ma non ne era più tanto certa; nella loro ultima discussione, dopo la partita, sembrava che la sua preoccupazione fosse rivolta a un altro aspetto. Era abbastanza scontato che Lillian sapesse cos'era successo alla famiglia di Kara, ma non si interessava mai fino a quel punto a niente, a meno che non fosse per qualcosa di personale o per qualcosa che le tornava utile. Qual era delle due?
Kara le sorrise e lei ricambiò, ma si stette zitta. Aveva deciso di essere sincera con lei, ma quello… quello era un pensiero pericoloso, tale che poteva rovinare ogni equilibrio della loro vita familiare, oltre che non dirglielo significava proteggere lei da Lillian.
«Siamo quasi arrivate», Kara le carezzò la mano che aveva intrecciata a lei poggiandole sopra l'altra mano. «Andrà bene. Magari il coroner si è trasferito a Central City per altre ragioni slegate a tuo padre. Ma se così non fosse, ne verremo a capo».
Lena la guardò e così si avvicinò, rubandole un bacio.
«Questo per cos'era?», la guardò negli occhi, le sue guance si imporporarono.
«Perché sei tu».
Kara arrossì e, con un sorriso lievemente imbarazzato, era quasi tentata di ricambiare, quando la femminile voce meccanica fece sapere ai passeggeri di stare seduti composti per l'arrivo a Central City. Quando uscirono litigarono per chi doveva portare lo zaino con il necessario di entrambe; Barry Allen le aspettava fuori, mani nelle tasche dei pantaloni stretti, giacchetta rossa aperta con la maniche arrotolate, cappellino con la visiera tirata in avanti: appena Kara lo vide, davanti alla porta, tirò via lo zaino dalle mani di Lena e scansò i passeggeri prima di lei, correndogli incontro. Gli arrivò addosso e lui la chiuse in un abbraccio. A Lena diede la mano e poi si abbracciarono con meno confidenza, camminando nella folla per le scale mobili e per uscire dalla stazione.
«Come vi sembra Central City?», chiese loro una volta in macchina.
«Fa incredibilmente caldo», rispose Lena, sbottandosi la camicetta scura. Notò che Kara le sorrise attraverso lo specchietto per poi spalancare gli occhi, diventare paonazza e guardare altrove. Doveva aver notato in un secondo tempo che la stava guardando mentre si sbottonava, pensò Lena, alzando gli occhi.
«Sì, oggi è una giornata molto calda, in effetti», annuì lui.
Parlarono del più e del meno che arrivarono. Lena notò solo in quel momento, mentre Barry spegneva l'auto, di una sirena adagiata vicino al cambio manuale: non sapeva che il padre affidatario del ragazzo fosse un poliziotto. Quando entrarono, già nell'ingresso Joe colse Kara in un caloroso abbraccio, come due vecchi amici che non si vedevano da tempo. Dopo la salutò anche Iris.
«Signorina Luthor», l'uomo, alto e vestito in giacca e cravatta, le porse una mano e lei gliela strinse imbracciando uno dei suoi sorrisi migliori.
«Lena. Possiamo darci del tu».
Allora lui rise, abbracciandola d'improvviso, tanto che fece una faccia sorpresa e i tre, dietro di loro, risero di rimando. «Da noi è così che si fa».
Era incredibile come Lena, che era loro coetanea, veniva subito trattata come una pari dagli adulti. Portamento, abbigliamento, modo di parlare e trattare o semplice conto in banca? Lena aveva spesso a che fare con gli adulti, forse molto più che con ragazzi della sua età, ma era il tipo di vita che conduceva ad averla portata a crescere in fretta. Per un attimo, Kara si domandò se non si fosse mai sentita esageratamente più matura ad avere a che fare con lei.
Si prepararono per pranzo e Joe si vantò di ogni piatto portato a tavola. A confermare la sua analisi, quando l'uomo portò da bere chiese a Lena se voleva favorire e solo dopo, per correttezza, lo chiese anche a lei. Quando vide Barry e Iris gettarsi da bere li ammonì immediatamente di non esagerare. Dopo pranzo, i ragazzi salirono al piano superiore per sistemare le brande per la notte, svuotando lo zaino con la loro roba. Kara si era portata dietro il cuscino che ci era stato spinto dentro con forza.
Iris chiese a Barry in privato se ci fosse qualcosa che non andava e non che avrebbero voluto escluderla, ma capirono di dover stare più attente a cosa facevano se non volevano essere scoperte le loro indagini private. Iris aveva capito subito che c'era qualcosa che non andava, quanto tempo ci avrebbe messo un poliziotto?
Fortunatamente la ragazza aveva altri programmi per la serata e si scusò di doverli lasciare soli, così i tre uscirono dicendo a Joe che Barry avrebbe mostrato alle ragazze un po' di Central City.
Trovarono la casa subito e si fermarono a guardarla: carina, dalle tinte calde, con le tende alle finestre e i fiori sul davanzale. Erano le sei e mezza del pomeriggio; si erano assicurati di scegliere un orario accessibile in modo da trovare il vecchio coroner a casa, ma nel caso non ci sarebbe stato, avevano un piano d'emergenza. Lo stesso che avrebbero comunque eseguito in sua presenza, perché non erano certi di cosa avrebbero trovato e non se ne sarebbero andati senza risposte. Kara e Barry silenziarono i loro cellulari, si scambiarono un gesto d'intesa e poi alzarono lo sguardo a Lena, che ancora fissava la casa. Era il momento.
Mentre la ragazza suonava il campanello, gli altri due restavano in attesa dietro un cespuglio, guardando verso la porta.
«Sei in tempo a lasciar perdere», sussurrò Kara al ragazzo dietro di lei.
«Il piano è mio», rimbeccò.
«Ma se dovesse andare male, cosa accadrebbe alla tua carriera?».
Lui ci mise un po' a rispondere. «Vediamo di non essere beccati, va bene?».
Dopo qualche minuto, finalmente la porta si aprì, mostrando un vecchio signore coi capelli bianchi, le occhiaie e gli occhiali da lettura tenuti appesi con la cordicella sul collo. Squadrò Lena per un po' prima di proferire parola con un colpo di tosse. «So perché è venuta qui. Si accomodi». Lui la fece passare e poi chiuse la porta.
Sapeva chi era e cosa era venuta a fare. Se ci fossero stati ancora dei dubbi sull'incidente di suo padre, il viso dell'uomo e come l'aveva accolta a casa sua erano già una prova che qualcosa non tornava. Lena si lasciò guidare nel corridoio che odorava di polvere e tabacco, osservando le vecchie foto in bianco e nero, o in osso di seppia, antiche, che abbellivano le pareti grigie, i manufatti sui mobiletti, soprammobili che sembravano custodire una storia. Tenne aperte le orecchie per captare la presenza di qualcun altro in quella casa.
Sembra sia solo.
Scrisse velocemente e inviò, nascondendo il cellulare nella borsetta quando lui, entrando verso il soggiorno, si voltò verso di lei.
«Posso prepararle del tè, signorina Luthor? Desidera qualcosa in particolare?», domandò tormentandosi le mani, gesto che serviva a dissimulare tensione e Lena non se lo fece sfuggire.
«No, la ringrazio. Prenderò magari un bicchiere d'acqua».
Lui la invitò a sedersi su un legnoso e vecchio divano e sparì verso quella che Lena immaginava doveva essere la cucina.
Da Me a Vaniglia
È sicuramente solo, ma è accondiscendente, potrebbe non servire il vostro intervento. Restate nascosti!
Da Vaniglia a Me
Siamo già in casa… Ops!
Spalancò gli occhi. «Cosa…?». Si morse un labbro, vedendo rientrare l'uomo e porgerle un bicchiere d'acqua. Le chiese subito se qualcosa non andasse, vedendola rimettere il cellulare in borsetta, appoggiata sulle ginocchia, e lei non si trattenne di spostare i suoi occhi verso l'alto per poi forzare un sorriso. «Tutto bene, signor Morgan. Lei mi aspettava?».
«Non aspettavo lei, ma aspettavo qualcuno. Prima o poi qualcuno sarebbe venuto a chiedermi di suo padre, signorina». Si sedette sulla poltrona davanti lentamente, attento a non fare peso sulle ginocchia.
«Ci ho messo un po' a trovarla».
«Immagino di sì…», annuì. «E mi duole che lei abbia fatto tanta strada… per niente».
L'espressione sul volto della ragazza cambiò, sorpresa. «Come? Cosa intende?». I suoi occhi vitrei studiavano l'anziano, ma lui non pareva mentire e in fondo non sembrava neppure qualcuno pronto a farlo.
«Non ho fatto io l'autopsia sul corpo di Lionel Luthor, signorina. Dovevo, era il mio incarico, ma appena mi era stato detto che era finito il lavaggio e sono andato, non mi hanno fatto avvicinare».
Lena deglutì. L'infermiere sostituito, il coroner sostituito. Qualcuno sembrava essersi occupato scrupolosamente di tutto. «Eppure lei ha firmato il rapporto, signor Morgan».
«L'ho firmato, certo. E mi sarei anche potuto opporre, ma quando arriva il corpo di un Luthor, ti dicono di farti da parte e sei a un passo dalla pensione…», sembrò dispiaciuto, abbassando i suoi occhi e passandosi una mano sulla fronte.
«Capisco», emise allora lei, comprensiva.
«Avevo a malapena dato un'occhiata al corpo prima del lavaggio».
«Non saprebbe illuminarmi sulla causa del decesso?».
L'anziano si grattò il mento coperto da barba, pensando bene a cosa dire. «Arresto cardiaco, signorina. Senza dubbi c'è stato un arresto cardiaco, come anche precisato nel rapporto».
«Ma?».
«Non sono certo della natura dello stesso… E non mi fraintenda, durante la mia carriera di arresti cardiaci ne ho visti, ma lui era particolarmente strano; al livor, il corpo di suo padre presentava congestioni sanguigne piuttosto estese, come non ne avevo mai visto… come se-», si bloccò, guardandola, «come se qualcosa glielo avesse indotto. Ma non voglio dire che lo sia stato e senza averlo aperto… Mi ha capito».
Lena abbassò lo sguardo, deglutendo, cercando di restare professionale. «Posso chiederle chi ha condotto il tutto, con chi ha parlato, o…?».
Lui la guardò aggrottando le folte sopracciglia, scrollando le spalle appena come se fosse la cosa più naturale del mondo. «La moglie del defunto, signorina Luthor: è stata sua madre Lillian a fare entrare un gruppo di specialisti che hanno pensato a tutto».
Lena socchiuse gli occhi e trattenne il fiato, incapace di non pensare che ci fosse sempre stata lei dietro a tutto, fin dal principio.
«Ehi, Kara, vieni qui», bisbigliò Barry, tenendo ben d'occhio il pappagallo nella sua gabbietta che ronfava con la testa chinata da un lato.
Erano riusciti subito ad arrampicarsi per un cornicione e ad entrare da una finestra del bagno lasciata socchiusa. Attenti a non provocare il minimo rumore, trattenendo un sonaglio appeso alla porta del bagno e fatto scattare aprendo la porta, i due avevano studiato velocemente il piano superiore in cui si trovavano e si erano decisi ad entrare in uno studio. Era pieno di scartoffie ovunque si posasse il loro sguardo, intuendo che, per loro fortuna, il vecchio signor Morgan era un accumulatore seriale che in quegli anni aveva amato portarsi il lavoro a casa. Disgraziatamente, l'altra faccia della medaglia imponeva un tempo eccessivamente lungo per cercare qualcosa legato alla morte di Lionel Luthor là in mezzo, tempo che non avevano. Senza contare che non avevano fatto i conti con una guardia inaspettata: un pappagallino colorato che dormiva ma che, a ogni loro passo, muoveva una piuma. Si si fosse svegliato erano guai.
«Qui sembrano esserci catalogati i suoi lavori per quel periodo, ma…». Si guardarono e Kara diede una veloce occhiata al pappagallo prima di sfogliare anche lei, velocemente.
«Non c'è nessun Luthor».
«No», confermò Barry, guardando anche lui in direzione del pappagallo. «Forse ha spostato altrove quel caso. Controllo in giro».
Si allontanò piano in modo da non far scricchiolare il pavimento di legno, mentre Kara continuava a leggere quei fascicoli. I suoi occhi si spalancarono e provò ad attirare l'attenzione del ragazzo. «Ehi! Sst! Barry». Lui cercò subito di tornare indietro. «Guarda! C'è qualcosa». Si guardarono di nuovo e lui scattò una foto.
«Mi spiace che lo debba sapere da me, signorina», bisbigliò il vecchio coroner con voce impastata, tormentando ancora le mani. «Sono certo che non sia facile da apprendere».
«Non quanto immagina», disse d'un fiato, fermandosi quando udì dei colpi provenire dal piano di sopra. Si ghiacciò ma l'uomo era rimasto fermo, soprappensiero, fissava un punto vuoto. Un altro colpo e una voce stridula che lei sbiancò. «Emh, si è fatto tardi, signor Morgan. La ringrazio per il tempo che mi ha concesso e mi scuso se l'ho disturbata». Si alzò con fretta e, nel gesto di rimettersi la borsetta in spalla, toccò il cellulare, ma quando si accese non vi era alcun messaggio da parte di Kara. Si chiese cosa stessero combinando: sentiva ancora una roca voce provenire dal piano di sopra.
Il signore l'accompagnò per il corridoio. Un'altra vocetta stridula e si voltò, così Lena si sforzò per intrattenerlo.
«Signor Morgan! Signor Morgan, senta». Si assicurò che si fu girato per scrivere velocemente su un biglietto e porgerglielo. «Se pensa che le verrà in mente qualcos'altro, può cercarmi qui». Lo vide voltarsi ancora e così lo scostò con una mano su un braccio, costringendolo a voltarsi. «C'è il recapito del mio ufficio. Nel caso non fossi disponibile, può parlare con il mio assistente».
Lui prese il foglietto, ma era palesemente distratto. «Mi sembra di aver sentito la mia pappagallina, Janice…».
«Naturalmente sarebbe un piacere per me parlare di nuovo con lei, signor Morgan».
«Sì, sì, ma Janice…».
Lena aprì la porta e lui la seguì, finché la pappagallina non si fece sentire più forte e non riuscì più a trattenerlo. Salì le scale cigolanti e vide il sonaglio davanti alla porta del bagno in movimento, intanto che l'animale, dalla porta accanto, che era aperta, ancora gridava.
«Flash! Il flash!», tuonò la pappagallina e quando lo vide spalancò le ali come per richiamare il suo padrone. «Flaaash! C'era flash!».
«Il flash», brontolò Kara, «Ci pensi? Tutti i bisbigli e il cercare di non fare rumore, e poi il flash del tuo cellulare sveglia il pappagallo».
«Sbrigati a scendere, ci pensiamo dopo».
Quando l'anziano si affacciò alla finestra del bagno, trovò i due appesi alla parete di casa sua con un pronto sorriso. Il neo detective Joe West non si fece attendere troppo. I tre aspettavano la sua macchina davanti alla porta di casa Morgan, con l'uomo al loro fianco. Fortunatamente decise di non denunciarli, ma il padre affidatario di Barry non sembrò dello stesso avviso. Mantenne l'aria seriosa per tutto il tempo, alla guida. Temevano che se avesse chiesto loro cosa era saltato in testa, non sarebbero riusciti a raccontargli più del nel necessario e che avrebbe tentato di farli tornare sui loro passi.
«Ho convinto io Kara e Barry ad entrare in quella casa, questo pomeriggio».
Avevano pranzato con qualcosa di veloce e Lena era scesa al piano inferiore per parlare con Joe. Prima che si facesse idee sbagliate, sarebbe stato meglio confidarsi con lui con ciò che poteva raccontare. Lui la guardò con la coda dell'occhio e poi spense la tv, passandosi una mano sulla nuca. Le fece segno di accomodarsi al suo fianco, sul divano.
«Cosa sta succedendo?», le chiese immediatamente. «Non ho fatto domande, ma sapevo che c'era qualcosa che non andava… Non equivocare, sono contento che tu e Kara siate qui, ma ho come la sensazione che non fosse solo per venirci a trovare».
«Mi dispiace», sorrise debolmente, «È colpa mia. Il signor Morgan era il coroner che si era occupato del caso di mio padre e la sua è stata… una morte poco chiara», deglutì, «Volevo risposte, ma non ero certa che fosse pronto a raccontarle, così li ho convinti ad aiutarmi».
«Quello che hanno fatto è reato», si passò una mano sul viso, «È stata una fortuna che abbia deciso di non denunciare». La guardò. Lei doveva pensare che la discussione fosse finita perché stava per alzarsi, così prese voce di nuovo: «Conoscevo il signor Luthor solo di fama, quando era in vita non ero ancora detective. Lo descrivevano come un uomo distaccato, preso dagli affari, un po' sulle sue… Mi spiace molto per quello che gli è successo. Anni fa stavo per perdere mia moglie, la mia ex moglie», si corresse con un sorriso, scuotendo la testa, «Non ci si fa mai l'abitudine! Lei si era ammalata ed era molto grave e sì, la situazione è diversa, tuo padre stava bene prima di morire, ma sai, nemmeno Iris ed io eravamo pronti a perderla. O il piccolo Wally, l'altro mio figlio», estrasse un altro sorriso, «Lui sta con lei, ha la custodia condivisa… Sono cose che ti cambiano, Lena». Era la prima volta che riuscì a dire il suo nome e lei si sentì colpita, come se nominarla fosse un improvviso gesto d'affetto. «Ti cambiano dentro», si toccò il petto. «E non sei più lo stesso. Invece di unirci, questo cambiamento ci ha diviso. Devi sentirlo, comprenderlo. A te come ha cambiato?».
Passo duro ed espressione stanca, poco più tardi Lena salì le scale e si affacciò in camera di Iris, dov'erano disposte le loro brande. La ragazza leggeva con una lucetta accanto, sdraiata sul suo letto, e appena la vide sorrise, dicendole a bassa voce che Kara era con Barry a chiacchierare sul balcone. La finestra era aperta per uno spiffero e si sentivano le loro risate.
«Va bene», la sentì dire, «Stiamo sperimentando, siamo ancora ufficialmente sorelle ma d'altra parte…», lasciò la frase a mezz'aria e Barry intervenne:
«È la vostra vita, Kara! È giusto che vi diate la possibilità di stare insieme, nessuno lo condannerebbe».
Lena arrossì e guardò l'altra, che scrollò le spalle.
«Non lo sanno», bisbigliò. «Barry non sa che si sente e va bene così». Poi le mostrò il pollice in segno di vittoria.
Dormirono vicine, quella notte. Schiena contro schiena, Lena infine si girò, con delicatezza, e provò ad appoggiarsi a lei, passandole un braccio addosso. Pochi attimi e Kara, forse d'istinto, le passò il suo braccio sopra.
Come l'aveva cambiata? Si era sentita così persa dopo aver scoperto che era il suo padre biologico e che era andato per sempre. Aveva passato anni a cercare di capire chi era per poi rendersi conto che non era altri che una Luthor. Si era sentita presa in giro, forse. Delusa, abbandonata, sofferente. Le mancava lui o un senso d'appartenenza? Come l'aveva cambiata la sua morte? Si strinse ancora più forte.
Lillian. Lei aveva nascosto l'omicidio, lei non voleva che si sapesse che era la vera figlia di suo padre, lei l'aveva cresciuta con freddezza come a volerle far pagare di esserlo. L'aveva mai voluta? E cosa voleva da Kara? Oh… Quel brutto pensiero era ancora lì nella sua testa. Lillian Luthor era capace di tutto.
Si agitò tanto da tremare e Kara se ne accorse, svegliandosi e sbadigliando. Si girò, pronta per guardarla in viso attraverso la fioca luce che filtrava dalla finestra. «Non riesci a dormire?».
«È stata Lillian, Kara». Non erano ancora riuscite a parlarne e l'altra spalancò gli occhi, faticando a crederci. «Lei ha pagato degli specialisti che facessero l'autopsia e ha fatto firmare al signor Morgan il rapporto».
«Adesso capisco perché non abbiamo trovato nulla su Lionel. Ma abbiamo trovato altro», sussurrò, «Chi ha pagato il suo trasferimento con pensionamento anticipato di due mesi».
«Mia madre?».
«No. Il senatore Gand».
Come in un film, tutto a quel punto parve più chiaro e non solo un brutto sfocato pensiero nella sua testa. Sua madre e Rhea Gand che parlavano alla mostra con strani sguardi dove sembravano capirsi solo loro, l'interesse di Lillian per Kara, e un improvviso mal di pancia la scombussolò dentro.
«Stai bene? Non ti preoccupare, andrò io a parlare col senatore Gand… Sono certa che la madre di Mike non vedrà l'ora di vedermi», accennò una risata ma Lena non riuscì a ricambiare.
«Per il momento fermiamoci, va bene? Voglio schiarirmi le idee, prima di continuare».
Kara fu costretta a dirle che accettava e si scambiarono un bacio, guardandosi negli occhi, ormai abituati al buio.
Lena odiava non poterle dire la verità, soprattutto adesso, ma se ciò che aveva immaginato era vero cambiava completamente le carte in tavola. Era come un brutto risveglio.
La mattina successiva andarono a farsi una passeggiata per Central City tutti e quattro insieme, riuscendo da lontano ad ammirare l'enorme stabile degli Star Labs. Poi pranzarono a casa e Joe ricevette una telefonata dalla sua ex moglie in cui gli diceva di aver inviato da lui Wally prima del previsto e così, meno di un'ora, e lui era piombato in casa con valigia e buon umore. Lena lesse sulla faccia di Joe cosa avesse significato per lui quel cambiamento di cui parlava, mentre spegneva il telefono e raccontava a loro la notizia. E si vedeva che in fondo, da qualche parte, amava ancora la madre dei suoi figli ma che le cose erano troppo complicate per stare insieme. C'era sempre qualcosa di troppo complicato. Guardò Kara che sorrideva parlando con Barry e arrossì involontariamente.
«Oh, oh, uh», il liceale attirò la sua attenzione, sorridendo da orecchia a orecchia. «Credo che la signorina Luthor mi abbia appena colpito al cuore», si toccò il petto con entrambe le mani.
«Sì, e non sai quanto ti sbagli», rise Iris, scompigliando le treccine sulla testa del fratellino.

Tornarono a National City appena qualche ora prima della cena che loro madri avevano organizzato per la vittoria della squadra di Kara a lacrosse. Lena avrebbe voluto affrontare sua madre e forse avrebbe anche avuto il tempo di farlo prima di uscire di casa, ma appena le si piazzò davanti le parole le morirono in gola. Si accorse che non sapeva da dove iniziare o che forse tutto ciò che aveva compreso di quella faccenda era una follia e che dirla a voce alta lo avrebbe confermato. Ma una verità assodata c'era ed era che Lillian Luthor aveva pagato qualcuno per fare l'autopsia a suo marito per poi nascondere tutto. E anche un'altra verità: teneva stranamente a Kara. Forse doveva solo rifletterci ancora prima di essere pronta a dirlo.
Ferdinand accompagnò con la macchina scura Lillian, Eliza e Lena al ristorante, lo stesso in cui aveva portato Kara in quello che, amava pensare, era il loro primo appuntamento. Buffa coincidenza. Quando la maître venne dalla sua parte estraendo un sorriso, Lena trovò un modo, senza parlare, di farle capire che quella doveva essere la prima volta che si vedevano. Presero un tavolino da quattro e mentre Lillian ed Eliza si sedevano l'una davanti all'altra, Lena notò che il pianista era cambiato: c'era una ragazza ora.
Kara si presentò dopo pochi minuti, con il fiatone e il viso rosso. Non aveva voluto che Ferdinand passasse a prenderla ed Eliza rise mal nascondendo imbarazzo vedendola inchinarsi per cambiarsi le scarpe, lasciare quelle sportive e infilarsi i tacchi che aveva nascosto in borsa. Avevano tutte loro indossato qualcosa di elegante, come richiesto nell'invito.
«Ogni allenamento è importante», si giustificò, sorridendo a Lena che le sorrideva a sua volta, davanti a lei, in uno scambio di sguardi solo loro.
«Avresti dovuto farti da Central City a piedi, allora», rimbeccò Eliza.
«Non credere che non ci abbia pensato». Rubò un pezzo di formaggio dal piatto degli antipasti già a tavola e così tutte cominciarono a servirsi.
Quella cena era una delle cose più strane a cui le ragazze avevano mai partecipato. Le loro madri non perdevano occasione per guardarsi e di tanto in tanto sorridersi, prendersi la mano o smarrirsi tra le note suonate dal piano e mettere le due in soggezione, in special modo ora. Ora che, potevano riconoscerlo, si guardavano allo stesso modo. Mai come prima d'ora si resero conto di come le cose fossero sbagliate: le loro madri stavano insieme e sembravano amarsi davvero. Non dovevano far altro che essere felici per loro, andare d'accordo, vedersi ogni tanto e festeggiare insieme il Ringraziamento, il Natale e l'Indipendenza. Kara non doveva arrossire e guardare altrove quando Lena, nel tentativo di fissarla, si leccava e mordeva un labbro. Allungò una gamba per darle un calcetto e farla smettere: scansò le gambe di Eliza per pura fortuna, così si stirò e le diede un colpo. Spalancò gli occhi e la guardò pietrificata quando si accorse che non poteva tirare via il piede che Lena lo aveva chiuso tra le sue gambe.
«Ma parliamo di lacrosse». Eliza ruppe il silenzio, Lena le lasciò andare il piede e Kara tirò indietro la gamba con forza, sbattendo un ginocchio contro il tavolino e facendo tintinnare i bicchieri. Le ragazze si guardarono solo un attimo fugace, con imbarazzo. «Cos'hai fatto?».
«M-Mi stavo grattando. Scusate».
«Quando sarà la prossima partita e contro chi?».
«È troppo presto per dirlo, lo scopriremo dopo i ragazzi».
Lillian la fissò e Lena fissò lei. «La squadra maschile verrà sempre prima della vostra, non è vero?», chiese la donna, facendo ciondolare il contenuto del bicchiere in mano. «Vi sottovalutano perché siete ragazze. Non comprendono il vostro reale valore».
«Tu sì?», intervenne Lena. «Non intendo delle ragazze, ma di Kara. Comprendi il valore di Kara?».
Quella domanda restò sospesa, intanto che Eliza e Kara si guardavano interrogative e Lillian fissava sua figlia con intensità, a labbra strette.
«Kara ha un'enorme valore per tutte noi».
«Forse dovevo spiegarmi meglio: per te, mamma. Non per tutte noi, o per la famiglia, ma per te».
Il primo chef con la loro seconda ordinazione composta da frutti di mare interruppe il discorso ma Lillian, seppur non aveva risposto alla curiosa domanda, era rimasta a scrutare la figlia per un po', mentre Eliza cambiava iniziando a parlare di lavoro.
«E poi stiamo finalmente decidendo una data», disse a un certo punto, sorridendo alla donna davanti a lei.
«Oh, okay… Quindi vi sposate- voglio dire, certo che vi sposate, i-intendevo, emh, quando? Presto, tardi, cosa dobbiamo fare noi? Per voi, sì», balbettò Kara ed Eliza la guardò estraendo un sorriso che sapeva quasi di compassionevole, stringendole una mano.
«Oh, Kara… Tesoro, il nostro matrimonio non cambierà per niente le cose da come sono ora. Sarà solo ufficializzato. Stavamo pensando ai primi mesi dell'anno».
Kara e Lena si scambiarono una breve occhiata.
«Voi non dovrete far nulla che non facciate già adesso: siate serene, comportatevi bene, sorridete. Fate le sorelle».
A un certo punto Eliza rise, attirando l'attenzione. Aveva ancora un boccone e ce lo scese prima di prendere parola: «Soprattutto dal momento che ci sarà un po' di movimento. Parlo di giornalisti, fotografi, chissà chi altro».
«Sarà meglio invitare noi stesse i fotografi e i giornalisti, in modo da non avere sorprese. Così abbiamo fatto Lionel ed io, al tempo».
Ne parlarono per un po' ed Eliza si elettrizzò nell'immaginare Kara e Alex, e chiaramente Lena, vestite da damigelle. Lei e Lillian sembravano così eccitate dall'idea di diventare moglie e moglie che, dopo un po' di tempo che avevano accettato la cosa, Lena e Kara si sentirono di nuovo a disagio. Disagio che si infrangeva appena i loro occhi si incontravano e comprendevano di nuovo, di nuovo e sempre, che quello che c'era tra loro era naturale come respirare e che no, non ci avrebbero rinunciato.


***


Si chiusero nei bagni con la scusa di andarsi a risciacquare e, con silenzio, assicurandosi di essere sole, si diressero verso i lavelli. Appena aprirono l'acqua, Kara ne approfittò:
«Che cos'era quella scena, prima?».
«Quale?».
«Sai di cosa parlo: il valore di Kara… davvero? Cosa cercavi di fare?».
Lena ansimò, chiudendo l'acqua. «C'è una cosa che devi sapere, Kara», deglutì, immergendosi nei suoi occhi azzurri. «La famiglia Luthor ha come una specie di aura negativa intorno… Una sorta di mantello invisibile. Fino ad ora, voi Danvers ci avete illuminato come il sole. Anche tu lo hai fatto, Kara: mi hai illuminato con la tua luce. Non voglio che questo cambi, non voglio che Lillian infetti voi. Infetti te», le carezzò una guancia e Kara coprì la sua mano con la propria, sorridendo.
«Se c'era una persona che mi irritava più di te, quando ci siamo conosciute, quella era tua madre. Speravo di trovare qualsiasi cosa per far lasciare lei ed Eliza, ma adesso non penso più che sia così tanto male», vedendo il volto di Lena contrarsi con aria contrariata, Kara proseguì, sedendo sul mobile tra un lavandino e l'altro. «Non metto in dubbio che per te sia diverso, ma puoi starne certa: non perderò il mio sorriso, o la mia luce, se è questo che volevi sentirti dire. Sopravviverò ai Luthor».
Rise e Lena si avvicinò di nuovo a lei, lentamente. «Ne sei sicura? Sopravviverai anche alla tua nuova sorella?».
Allora Kara si lamentò, corrucciando lo sguardo. «Non sorella! No, lei mi ha già in pugno… E ha provato a tentarmi seduta a tavola con le nostre madri, l'incosciente».
Lena rise, nascondendo la bocca con una mano. «Scusami. Ma volevi colpirmi». Si avvicinò e poggiò la testa su di lei, nascondendo il viso. «Mi piaci così tanto, non hai idea di cosa ti farei».
L'altra avvampò, prendendole il viso e circondandolo con le sue mani. «Cosa?». Lo avvicinò a sé e l'altra si tirò in avanti con i polsi sul mobile.
Le loro bocche si trovarono subito mentre i loro occhi si chiudevano. Presero respiro e approfondirono il bacio, trovando una la lingua dell'altra, intanto che Lena attirava la ragazza a sé, stringendola nei fianchi, facendole aumentare il battito cardiaco. La bocca di Kara scivolò dalla sua e iniziò a baciarle il collo, sempre più lentamente, mentre le mani di Lena, lasciati i fianchi, avanzavano lungo l'abito rosato dell'altra, salendo sulla pancia, passando le dita sulla sua vita, premendo con i pollici. Si ritrovarono in un bacio e la porta del bagno scattò. Si separarono nell'istante, rumoreggiando con la bocca. Una signora anziana entrò con passo lento, volgendo lo sguardo a terra e alla porta, non parve badare a loro. Entrambe si sistemarono e Kara scese dal bancone, appena in tempo che la vecchina le desse, a bassa voce, della teppista.
«Dice a me?», aggrottò le sopracciglia mentre Lena sogghignava.
La donnina la scacciò con il gesto di una mano e Lena intervenne: «Le chiedo scusa, la mia sorellina, sa… Prometto che la metterò in riga».
Kara si portò le mani sul viso per l'imbarazzo e, ridendo, aprì la porta e tornarono in sala.
























***

Uh, ma questo rapporto tra sorelle è decisamente complicato! E così, Kara e Lena, infine, hanno deciso di provare a stare insieme e vedere cosa succede. Certo, tutto questo dovrà restare segreto, sempre se non riescono a farsi beccare nei bagni dei locali dalle vecchiette XD
Per il resto, Lena ha captato qualcosa dal discorso di Lillian su Kara, ha scoperto che a fare l'autopsia sul corpo di suo padre è stata una squadra di specialisti inviati dalla stessa Lillian e che a pagare il trasferimento con pensionamento anticipato del coroner è stato il senatore Gand, il padre di Mike. Cosa sta succedendo? Ne scoprirete di più leggendo il prossimo capitolo che è sì uno stand alone, ma è anche lo stand alone più importante che ho scritto finora, credo, inframezzato da diversi passaggi temporali, oltre al presente. Spero non sarà difficile capirlo!
E poi vi è piaciuta la gita a Central City? La cena a quattro, madri e figlie? Le scene iniziali con Megan/Mike/Eliza e Lillian?

Piccola nota:
Di autopsie ne so quanto di ingegneria spaziale, per intenderci! Ho cercato di non esagerare con dettagli di cose che non conosco a dovere, non voletemene!

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, ci rileggiamo lunedì prossimo con il capitolo 17 che si intitola Il mantello invisibile :)
Il titolo è un riferimento a quanto detto da Lena in questo capitolo, immaginerete quindi cosa vi aspetta…
(Avverto fin da ora che dopo il capitolo 17 salterò una settimana per impegni, quindi lunedì 25 il capitolo 18 non ci sarà, ma sarà pubblicato il 2 luglio!)




   
 
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