The Night belongs to Lovers.
(The Night belongs to Us)
Kagura si spalmò la crema idratante
sulle lunghe gambe, avendo ben cura di massaggiare bene la pelle per farla
assorbire, appoggiando il tallone sull’orlo della vasca da bagno. Canticchiò
tra sé e sé il nuovo tormentone estivo, più per calmarsi che perché le
piacesse.
Aveva i nervi a
fior di pelle. Dopo una giornata infernale al lavoro, con il suo capo, il
signor Naraku, che la faceva impazzire, l’unica cosa
che le sarebbe andata a genio era quella di immergersi nell’ampia vasca da
bagno in compagnia del suo uomo e di un bel calice di vino rosso e di
rilassarsi, a lume di candela, tra schiuma profumata e tiepidi massaggi, magari
dopo una cena consegnata a domicilio dal ristorante giapponese dell’angolo.
A passo d’uomo
sulla tangenziale bloccata dall’ennesimo ingorgo dell’ora di punta, aveva
fantasticato di farsi trovare sul tavolo della cucina coperta solamente da
bocconcini di Sushi, come Samantha di Sex and The City nell’omonimo film. E
pensando dagli orari impossibili ed imprevedibili che faceva Sesshomaru, di certo
sarebbe finita nella stessa identica maniera: un’attesa snervante di tre ore,
combattendo tra i crampi dello stomaco affamato e quelli dati dalla scomoda e
prolungata posizione.
Mentre giungeva a
questa conclusione, quella che riteneva la ciliegina sulla torta di una
giornata davvero schifosa era stata la rottura improvvisa dell’impianto di
condizionamento dell’auto, che l’aveva abbandonata all’afa insopportabile di
quel torrido giorno di inizio Luglio.
Imprecante, sudata
ed agonizzante aveva raggiunto la porta di casa e l’aveva aperta, trovandosi
davanti un’inaspettata ospite.
Rin, la figlia che Sesshomaru aveva avuto dal precedente matrimonio, se ne
stava tranquillamente spaparanzata sul suo divano candido, leccando voluttuosamente il gelato al cioccolato che aveva
in mano.
Gelato che era
spalmato su tutta la sua faccina sorridente, sulle sue manine paffute e
soprattutto sul suo divano, che aveva assunto un colore ben lontano da quello
originale.
A salvare la
diletta pargola dall’infanticidio era stato nientedimeno il genitore, che
sbucato dal corridoio, aveva spiegato, senza dimostrare timore alcuno davanti allo
sguardo assassino della compagna, come la madre di Rin
era dovuta partire urgentemente per lavoro, e che la bambina avrebbe passato a
casa loro i successivi due giorni.
“Splendido” aveva
ringhiato la donna, tentando di sfoggiare un sorriso in direzione della
piccola. D’altro canto, lei le era già saltata addosso, riempiendola di
appiccicosi rimasugli di gelato, abbracciandola calorosamente.
Mai vista bambina
più attaccata alla fidanzata di papà.
E così, dopo una
rumorosa cena a base di pizza farcitissima, che aveva
vanificato la sua dieta di ben 4 mesi, Kagura non era
riuscita a farsi che una misera doccia, in completa solitudine, mentre Sesshomaru, ligio al dovere di padre, era occupato
nell’ennesima visione di “Madagascar”
Ma, essendo
ottimisti, si poteva sempre rimediare.
Quando aveva
annunciato che sarebbe andata a lavarsi Sesshomaru le
aveva lanciato uno dei suoi sguardi
penetranti. La donna si era trattenuta a malapena dal domandargli se avesse
intenzione di fargli compagnia.
C’era ancora speranza
di una rilassante ed energizzante sessione di erosterapia
infrasettimanale. Bastava chiudere la porta della cameretta della bimba e della
loro, e non far troppo baccano.
Non era mica la
prima volta che capitava.
Sesshomaru avrebbe inizialmente dimostrato
una incomprensibile riluttanza a cedere alle sue grazie, adducendo come scusa Rin che dormiva nella stanza di fianco, ma ormai Kagura lo conosceva troppo bene, e sapeva quali tasti toccare. Copione già visto tutte le
volte che la bambina dormiva da loro, e che ormai era un gioco abitudinario.
La finestra del
bagno sbatté improvvisamente, facendola sobbalzare. Si avvicinò e la riaprì,
guardando fuori, nella strada buia. Il vento soffiava forte, e le nubi che
aveva visto in lontananza durante la giornata ora erano sopra la propria testa.
Un lampo la convinse a chiudere i vetri: stava arrivando un temporale bello
grosso.
Sentì Rin che si lamentava, mentre Sesshomaru
la convinceva ad andare a dormire, accompagnandola nella camera.
“Papà, io ho paura
dei temporali, lo sai!” piagnucolò.
Kagura alzò gli occhi al cielo,
incrociando le dita. Sesshomaru era incredibilmente
duttile alle richieste della figlia. Ci mancava solo che accettasse di farla
dormire nel loro letto!
“Avanti, ormai sei
grande, Rin. Non fare storie e dormi!”
Oh, un colpo di
fortuna, giusto alla sera?
Si infilò la
leggera sottoveste di seta nera, la preferita di Sesshomaru.
Si spazzolò i capelli un’ultima volta e aprì la porta del bagno per assicurarsi
che l’uomo fosse in camera. Veloce come al solito, lui si era già infilato
sotto le coperte, senza, come suo solito, indossare la maglia del pigiama, poco
virile, secondo lui. E lei, visto lo spettacolo, non se l’era mai sentita di
ribattere il contrario.
Uscì dal bagno
della loro camera, scivolando fuori dalla porta maliziosamente, ancheggiando
con finta noncuranza.
Fuori dalla
finestra, un tuono annunciò l’inizio della tempesta, e uno scroscio rumoroso d’acqua
seguì immediatamente. Kagura finse di provare
inquietudine nel sentire i rumori del temporale, mentre al suo fianco, Sesshomaru sembrava immerso nella lettura di un thriller di
Ken Follett.
“Mi sento un po’
agitata, Sesshomaru… non mi aiuteresti a calmarmi?”
pigolò, scivolando sotto le lenzuola leggere, al suo fianco.
L’uomo alzò un sopracciglio.
“Conosco le tue intenzioni. E puoi scordartelo stanotte. Sono stanco e la
bambina dorme dall’altra parte della parete.” Tuttavia passò un braccio attorno
alle sue spalle. La donna sorrise, prima di avvicinare le labbra al suo collo,
continuando la propria opera di convincimento.
Stoico come suo
solito, Sesshomaru proseguiva la (finta) lettura del
libro.
Le mani della
donna percorsero il petto scolpito, le spalle, si infilarono tra i capelli
argentei, mentre avvolgeva una gamba a quella dell’uomo.
Lui emise un
sospiro esasperato, chiudendo di scatto il libro. “Mi prometti che poi mi lasci
leggere in pace?”
“Se avrai fatto il
bravo si.” Giurò lei, vittoriosa.
Accompagnato da un
sorrisetto sornione, il libro venne abbandonato sul comodino, mentre il
proprietario impegnava le proprie mani sotto la seta della sottoveste della
compagna.
Un secondo dopo,
mentre Kagura aveva appena finito di armeggiare con i
pantaloni del pigiama, la vocetta della figliastra li
scongiurava di aprire la porta e di non lasciarla sola durante quel temporale.
“So che siete
svegli!” protestò, mentre i due adulti evitavano di risponderle, interrompendo il loro momento
magico. “Vedo che avete la luce accesa!”
“Tu e la tua
solita mania di farlo con la luce accesa!” sibilò la donna, ritraendosi e
cercando di ricomporsi. “Adesso vai a convincerla a dormire da sola e torni
qui, va bene?”
“Farò quello che
riterrò opportuno” fu l’acida risposta del’uomo, mentre si avvicinava alla
porta e la apriva, per trovarsi davanti Rin con i suoi
occhioni scuri spalancati, imploranti, mentre
stringeva tra le braccia il suo cuscino con la federa rosa.
Uno spettacolo che
non avrebbe commosso Kagura nemmeno se fossero stati
in mezzo alla terza guerra mondiale. Peccato per lei, il suo uomo la pensava
diversamente.
“Ok, Rin, come vuoi. Ma che sia l’ultima volta.”
Se Kagura avesse avuto il porto d’armi, in quel momento Sesshomaru sarebbe stato crivellato da una scarica di mitra
e abbattuto definitivamente da un colpo di bazooka.
La bambina si
avvicinò al letto, mal celando lo sguardo trionfante, mentre fuori il vento
faceva tremare i vetri e la pioggia scrosciava, accompagnata dai tuoni. “Ti
dispiace Kagura, se dormo qui con voi?”
La donna alzò le
spalle, voltandole la schiena, stendendosi in posizione supina. “Figurati!”
disse, cercando di mantenere un tono neutro. In fondo la colpa non era della
bambina spaventata e un po’ approfittatrice, ma del padre scemo.
Sesshomaru sembrò volerle dire qualcosa, ma
lei voltò sdegnosamente lo sguardo, e non poté far altro che spegnere la luce.
Mezz’ora dopo,
un po’ a causa dei tuoni fuori dalla
finestra, un po’ a causa del nervoso e un po’ a causa degli innumerevoli calci
che Rin gli aveva rifilato nel costato (dannata mocciosa,
il giorno dopo sarebbe stata piena di lividi nelle gambe e non avrebbe potuto
nemmeno indossare la gonna! I pantaloni lunghi erano uno strazio in estate), Kagura non era riuscita ancora a prendere sonno. Sbuffò per
la milionesima volta, tentando di cambiare posizione.
Come diavolo
faceva Sesshomaru a ronfare beatamente con una
bambina sul letto che ogni volta che si girava saltava come un canguro e
scalciava come un cavallo imbizzarrito?
Basta, non ne
poteva più. Decise di andare in bagno a calmarsi un po’.
Si alzò, cercando
di fare il meno rumore possibile, e scivolò dentro il bagno della camera,
chiudendo la porta alle sue spalle.
Si sedette sul
bordo vasca, fissandosi mestamente le unghie smaltate dei piedi.
Ripensò a due
weekend prima, quando Sesshomaru gli aveva proposto
due giorni al mare.
Aveva accettato
con entusiasmo, grata al suo uomo di aver trovato un po’ di tempo, tra le cause
legali che stava seguendo nel suo mestiere di avvocato principe del foro, da
passare insieme, su una bella spiaggia a prendere il sole tra cocktail alla
frutta e piatti a base di pesce in ristoranti raffinati.
Anche solo per due
giorni.
Ma Sesshomaru non aveva proprio intenzione di trascorrere un
weekend romantico: “Bene, Rin sarà molto contenta che
venga anche tu.”
…come, Rin?
“Si, lo sai che ti
si è affezionata molto.” Aveva risposto
semplicemente. “Quest’estate sarò molto impegnato, temo di non riuscire a
trovare una settimana da trascorrere in vacanza come al solito. Cercherò di
trovare qualche fine settimana qua e la.”
Niente vacanze né
per la figlia, né per lei. Soprattutto per lei, seconda arrivata nei suoi
affetti. “AH.”
“C’è qualcosa che
non va, Kagura?”
Lei aveva scosso
le spalle: era normale che Sesshomaru avesse una
lista di priorità diverse dalla sua. Rin era sua
figlia, aveva bisogno di cure ed attenzioni, e già era stato difficile vederla,
a causa del suo lavoro. Dopo il divorzio, poi...!
Era giusto così,
in fondo. Anche se a lei dava fastidio non essere al primo posto nel cuore del
suo uomo.
Forse con il
passare del tempo le cose sarebbero cambiare. Stavano insieme da un paio di
anni, convivevano da una decina di mesi, e si vedevano alla sera, spesso ad
orari improponibili, dopo aver passato ore ed ore al lavoro.
E nemmeno tutti i
weekend riuscivano a stare insieme: Spesso Sesshomaru
si barricava nel suo studio casalingo per proseguire il lavoro, o faceva
capatine in ufficio, o aveva udienze al sabato.
A volte Kagura sentiva di avere un compagno part-time.
Così, mentre lei
cercava di distrarsi cercando di migliorare il suo pollice verde con le
piantine del terrazzo, che sembravano colpite da una misteriosa malattia ogni
volta che si avvicinava a loro, lui passava il suo tempo tra cellulare, Skype e pratiche cartacee e non.
Probabilmente la
persona che se la passava peggio di lei era la sua segretaria. Non la invidiava
nemmeno un po’. Tappa, grassa, con l’alito pesante e il capo che la tartassava
ventiquattro ore al giorno.
“Senti
chi parla di capi bestiali”
pensò. A volte le veniva da piangere, con quel sadico di Naraku
che non gliene faceva passare una e la trattava come una pezza da piedi. Aveva
pensato più di una volta di mandarlo a quel paese ed uscire sbattendo la porta,
ma in periodo di crisi nera non era di certo la scelta più saggia da fare.
In bilico sul
bordo della vasca, Kagura si strinse le ginocchia al
petto. Uno dei suoi giochi da pseudo equilibrista che colpivano sempre Sesshomaru. Anni di Yoga le avevano insegnato a fare ben
altro.
Fece il punto
della situazione:
Aveva 32 anni, 33 a fine mese.
Il suo uomo
sembrava metterla costantemente in secondo piano, se non in terzo. Figurarsi,
non si era nemmeno accorto che era andata a farsi togliere le doppie punte, il
giorno prima!
Rin la presentava come “Matrigna”,
perché a scuola le avevano insegnato che i compagni dei genitori erano i
“Patrigni” o le “Matrigne”. Come detestava quel nomignolo disneyano!
Il suo lavoro era
uno schifo.
Le unghie laccate dei
piedi, a guardarle meglio, erano rovinate.
Iniziavano a
comparire le prime rughe d’espressione.
Dal rumore
sembrava grandinasse, e la sua macchina era posteggiata all’aperto.
C’era altro o
poteva bastare, al momento?
Sentì il bisogno
irrefrenabile di piangere. Non c’era nessuno che la potesse vedere, e anche
suoi eventuali singhiozzi sarebbero stati coperti dal rumore del temporale. Che
male c’era a lasciarsi andare, ogni tanto?
Plin.
Plin.
Plin.
Si, era proprio
tutto uno schifo.
La pioggia
tamburellava sui vetri. Anzi, no. Era qualcuno che picchiettava contro la porta
del bagno. La donna si asciugò in fretta gli occhi, deglutendo, prima di
bisbigliare un “avanti” il più neutro possibile.
Sesshomaru entrò nel bagno con uno sguardo
interrogativo che gli attraversava gli occhi d’oro.
“Non ti senti
bene?” le domandò, raggiungendola. Si sedette a suo fianco, studiandole
l’espressione del volto. Una cosa che solitamente a Kagura
faceva un piacere enorme, essere al centro della sua attenzione, ma che,, in
quel momento, in cui non voleva farsi vedere da nessuno, diede un incredibile
fastidio. Incrociò le braccia al petto, scuotendo la testa. “Non hai mai
bisogno di andare in bagno di notte?”
“Capita. Ma non ho
sentito lo sciacquone. E sei seduta sulla vasca.”
La donna volse lo
sguardo altrove, infastidita. “Lasciamo stare, torna a letto da tua figlia.”
“TSK! Trovato il
problema.” Commentò Sesshomaru. “L’imprevista
pargola.”
Kagura annuì senza rendersene
conto. “Stasera avevo proprio voglia di
stare in pace. Ho avuto una giornata allucinante, con quello stronzo mal cagato di Naraku che mi tartassava. E il caldo. E l’aria condizionata
che non funziona in auto. E… e lo scorso weekend
siamo andati al mare con tua figlia. E il weekend prima pioveva e ti sei
barricato nell’ufficio e…”
Lo sproloquio
della donna fu interrotto dalle labbra di Sesshomaru,
premute sulle sue. “Sempre a blaterare inutilmente voi donne.” Borbottò, staccandosi appena. “fate finta di nulla e
poi esplodete come un vulcano. Cosa ti costava dire tutto subito?”
“Io… non volevo.. ecco… So che per
te tua figlia è importante e viene prima di tutto.” Iniziò, lo sguardo liquido
fisso di nuovo sulle unghie dei piedi. “Però… ho
bisogno anche io di stare un po’ con te, ed invece…
Non abbiamo più tempo per stare insieme… Io mi
immaginavo diversamente la nostra
convivenza. ”
“Io ti avevo
avvisato che…”
Kagura scattò in piedi, ringhiando un Basta esasperato e minaccioso. “Non
provare a dare la colpa a me adesso!” Fece per andarsene, ma Sesshomaru la trattenne, facendola sedere sulle sue
ginocchia come se fosse stata Rin, durante uno dei suoi
capricci, abbracciandole la vita sottile.
“Ho già sentito
questi discorsi. Dalla mia ex moglie. E sappiamo entrambi come è finita.” La
trattenne nel suo ulteriore moto di andarsene. “Non è una cosa piacevole, per
quanto sia contento di essermi tolto quella pigolante opportunista dalle
scatole.”
Un lampo
improvviso illuminò il suo volto serio, concentrato sul volto della donna, il
suoi sguardo penetrante che sembrava volerle leggere nella mente attraverso gli
occhi. “Non hai tutti i torti. Rin si è addormentata,
se la portassi ora nel suo letto non se ne accorgerebbe minimamente. Può
andare?”
“E’ solo la punta
dell’Icebearg.” Kagura non
voleva demordere. Mandava giù troppi bocconi amari anche in ufficio, se avesse
iniziato anche a casa avrebbe ricevuto il titolo di Martire dello Stress entro
autunno. E quella non era proprio una fascia a cui ambiva particolarmente.
“Hai ragione”
asserì l’uomo. “Non posso prometterti mari e monti, Kagura,
ma posso fare del mio meglio per trovare il tempo di stare insieme. Però tu mi
prometti che cercherai di non essere ingiustamente gelosa di Rin?”
Lei soppesò le sue
parole, e annuì conciliante. “Farò del mio meglio” E visto che aveva fatto
trenta, era meglio far trentuno e di mettere alla prova la rinnovata accondiscendenza
del proprio uomo. “Per il mio compleanno facciamo un weekend al mare io e te?”
“Al mare a fine
Luglio? Sei impazzita? Hai una vaga idea di quante migliaia di persona affollino
un metro cubo di spiaggia?” Kagura sentì il sangue
schizzargli velocemente al cervello, ed era quasi sicura che avrebbe potuto
prenderlo sul serio a calci. “E poi ho già prenotato due biglietti per Parigi.”
Aggiunse Sesshomaru, inconsapevole di essersi appena
salvato la pelle.
“Parigi?”
“Si, Parigi.
L’anno scorso ti ho portata a New York, quest’anno Parigi. Se riesci a
sopportarmi per un altro anno vedrò cosa inventarmi.”
Il bacio di Kagura lo investì in pieno, e per poco non lo fece cadere
all’indietro, nella vasca. Dopo un secondo di disorientamento, dato
dall’impulsivo gesto della donna, Sesshomaru
ricambiò, abbracciandola.
La fece scivolare
a cavallo delle sue ginocchia, con le mani che percorrevano la schiena e
scendevano sulle gambe lisce, senza staccare le labbra dalle sue.
“Hey…” li rimproverò dolcemente la donna, senza fermarlo.
“Cosa hai intenzione di fare, con tua figlia che dorme al di là della porta?”
L’uomo alzò le
spalle in un segno di disinteresse, mentre scivolavano insieme all’interno
della vasca da bagno. “Rin dorme alla grande, e con
tutti questi tuoni, di certo non sentirà nulla.”
Kagura ridacchiò, tra un bacio e l’altro,
mentre il temporale estivo imperversava fuori dalle mura.
Salve
Salvino!!!
Ecc
questa nuova shot confezionata appositamente per il
contest!!
Vi
ringrazio innanzitutto per i commenti positivissimi
per Lost Kingdom . Buona estate!
E.C.