YO CONTIGO TU CONMIGO
Capitolo 1: Unstoppable
I put my armor on show you how strong I am
I put my armor on I’ll show you that I am
I’m unstoppable
I’m a Porsche with no brakes
I’m invincible
Yeah I win every single game
I’m so powerful
I don’t need batteries to play
I’m so confident
Yeah I’m unstoppable today…
(“Unstoppable”
– Sia)
Steve
Rogers osservava le stanze appena ammobiliate e dipinte di fresco del suo nuovo
appartamento, ricavato dal suo vecchio bilocale di Brooklyn ampliato e
rimodernato. Mentre guardava soddisfatto la sua nuova abitazione, che ricordava
tanto quella di quando era ragazzo e allo stesso tempo appariva completamente
diversa, ripercorreva nella memoria tutto ciò che era accaduto e che lo aveva
condotto fino a quel punto.
Gli
ultimi tre anni erano stati densi di avvenimenti: era riuscito a ritrovare
Bucky e, per alcuni mesi, era stato anche in grado di gestirlo, rieducarlo,
abituarlo a vivere di nuovo come un ragazzo normale. In ciò era stato aiutato
da Tony Stark, che aveva offerto loro un appartamento nella Stark Tower e aveva
sempre appoggiato Steve quando si era trattato di proteggere il suo compagno.
Poi,
però, tutto era precipitato.
Due
anni prima un nuovo nemico, Zemo, aveva dimostrato che Bucky poteva essere
ancora pericoloso e instabile, bastava che ascoltasse una certa sequenza di
parole in russo e il giovane tornava ad essere il temibile Soldato d’Inverno.
Lo stesso Zemo, che aveva perduto la sua famiglia in Sokovia e perciò voleva
distruggere gli Avengers, aveva ordito un piano diabolico per minare il gruppo
proprio alle sue fondamenta. Prima di essere catturato, aveva fatto in modo che
Stark vedesse il video del 1991 in cui Bucky, condizionato dall’Hydra,
assassinava a sangue freddo i suoi genitori.
Dopo,
nulla era stato più lo stesso.
Steve
era partito con Bucky per Wakanda dove il giovane, consapevole di essere ancora
una minaccia, si era fatto ibernare, assistito da T’Challa, Re di Wakanda e
nuovo membro degli Avengers, nella speranza che i suoi scienziati riuscissero a
trovare una soluzione per impedire nuovi eventuali condizionamenti mentali.
Steve, nel frattempo, si sarebbe riunito al gruppo degli Avengers che avevano
rifiutato di firmare gli Accordi di Sokovia, voluti dalle Nazioni Unite dopo i
fatti avvenuti in quel Paese e che avrebbero portato alla creazione di un ente
governativo apposito per monitorare i superumani e gestire le loro missioni. Sarebbe
rimasto al loro fianco per lottare per la libertà degli Avengers…
In
realtà, però, il Capitano non era riuscito a tollerare a lungo questa
situazione: non poteva aver faticato e lottato tanto allo scopo di ritrovare
Bucky per poi doverlo perdere di nuovo! Era grato a T’Challa per ciò che stava
facendo per lui e Bucky, ma non accettava di restarsene con le mani in mano
senza cercare di aiutare a modo suo l’amico di un tempo, la persona più
importante che aveva al mondo, il suo compagno. Tra una missione e l’altra,
aveva deciso di acquistare il suo vecchio appartamento di Brooklyn, lo aveva
fatto ampliare e ristrutturare e aveva creato un luogo dove lui e Bucky
avrebbero potuto vivere in pace e felici come quando erano ragazzi. Poi aveva
fatto ritorno in Wakanda e chiesto a T’Challa di liberare il giovane
dall’ibernazione per riportarlo con sé a Brooklyn: si era ritirato dagli
Avengers per non creare problemi a nessuno e aveva scelto di vivere una vita
tranquilla, ritirata e anonima al fianco del suo compagno. Aveva scritto una
lettera a Tony in cui spiegava le sue ragioni e sperava che avrebbe compreso:
non gli avrebbe più imposto la sua presenza né, tantomeno, quella di Bucky, ma
non poteva rinunciare al compagno di una vita, a colui che era tutta la sua
famiglia e tutto il suo mondo; per lo stesso motivo si ritirava dagli Avengers,
sia per non causare problemi allo stesso Tony per il suo rifiuto di uniformarsi
agli Accordi di Sokovia, sia perché non voleva far parte di un gruppo nel quale
Bucky non potesse essere compreso.
Tutto
ciò era accaduto mesi prima e adesso, finalmente, Steve sedeva sulle scale che
portavano all’appartamento, scale che racchiudevano tanti ricordi della sua
infanzia e adolescenza, ripercorrendo con la mente gli avvenimenti e cercando
di convincersi che d’ora in poi la sua vita sarebbe stata quella, una vita
quotidiana, tranquilla, al fianco di Bucky e senza più dover pensare a
missioni, alieni da combattere, governi corrotti e quant’altro.
Steve
sorrise vedendo Bucky che, dopo aver trasportato gli scatoloni vuoti fino al
contenitore adibito alla raccolta della carta, adesso tornava verso di lui. Era
stato lui ad insistere per fare i lavori più pesanti e Steve lo aveva lasciato
fare, rendendosi conto che per il suo compagno era molto importante sentire che
la sua forza poteva essere usata per cose belle quali un trasloco e l’arredamento
di una casa, piuttosto che per distruggere e uccidere. Sapeva che Bucky aveva
bisogno di sentirsi normale.
Il
giovane salì le scale e si sedette accanto al compagno. Non era stanco, ma
sembrava che qualcosa lo turbasse.
“Va
tutto bene, Buck?” gli chiese Steve.
Barnes
abbozzò un sorriso che però gli uscì come una mezza smorfia.
“Immagino
di sì. Mi chiedevo solo… sei davvero sicuro di ciò che fai, Steve? Io non ti ho
chiesto niente” disse.
“Ne
sono più che sicuro” replicò deciso il Capitano. “Anzi, non sono mai stato così
sicuro di una cosa in vita mia.”
“Nemmeno
quando volevi arruolarti a tutti i costi?”
Il
volto di Steve si illuminò. Se Bucky scherzava, se Bucky rievocava con affetto
il loro passato, allora c’era davvero una speranza!
“Diciamo
allora che sono convinto di quello che ho fatto proprio come quando volevo
arruolarmi e combattere contro i nazisti” precisò, sorridendo. “Ho fatto il mio
dovere per troppo tempo ed è ora che vada in pensione. Del resto, abbiamo anche
l’età giusta, no?”
Una
lieve risata addolcì i lineamenti del Soldato d’Inverno.
“Vorrei
solo che, un domani, non ti pentissi della tua scelta. Hai già perso fin troppo
a causa mia e io non voglio che…”
“Cosa
avrei perso, Bucky? Guarda che tutto ciò che rimpiango è non aver potuto vivere
una vita normale, insieme a te. Certo, avrei voluto che fossimo tornati
entrambi sani e salvi dalla guerra e che ci fossimo ritrovati nel nostro mondo,
nella realtà di allora. Avrei voluto contribuire alla ricostruzione del mondo
distrutto dal nazifascismo, vivere quegli anni di fatica e allegria in cui
tutto sembrava possibile. Questo avrei voluto, ma sono passati più di
settant’anni e quel mondo non esiste più. Di quel mondo restiamo solo noi due,
io e te. E, anche se non potrà mai essere la stessa cosa, voglio fare in modo
che la nostra realtà sia il più possibile simile a come sarebbe stata allora”
dichiarò con decisione Steve. Una lieve malinconia velava i suoi occhi, ma non
si sarebbe lasciato abbattere dalle difficoltà, non lo aveva mai fatto.
“E
i tuoi amici?” insisté Bucky.
“Buck,
non siamo più in Wakanda!” sdrammatizzò il Capitano. “Sam, Nat,
Clint e Scott sanno benissimo dove abitiamo e possono venire a trovarci ogni
volta che vogliono. Mi sono ritirato dagli Avengers ma non significa che non avrò
più rapporti con loro.”
“E
Stark?”
Un
attimo di silenzio imbarazzato, una sorta di disagio che Steve fu pronto a
spazzare via.
“Tony
capirà, ne sono sicuro. Non subito, non sarebbe nemmeno giusto chiederglielo,
ma prima o poi capirà” affermò, quasi più per se stesso che per il compagno.
“Non
so nemmeno se potrò mai capirlo io” mormorò Barnes, lo sguardo perduto in
qualcosa di lontano e doloroso. “Maledizione, Steve, Howard era mio amico e io… mi sono reso conto solo
dopo di quello che mi avevano costretto a fare! E se lo facessero ancora?
Basterebbe che mi telefonassero e dicessero quella sequenza di parole e
potrebbero ordinarmi qualunque cosa, di assassinare il presidente, di far
saltare la sede degli Avengers, perfino… di uccidere te…”
Steve
lo strinse forte tra le braccia. Non era uno sciocco, era consapevole del
pericolo, ma sapeva anche che avrebbe fatto qualsiasi cosa per proteggere
Bucky.
“Non
lascerò che si avvicinino a te in alcun modo, te lo prometto. Se anche dovessi
proteggerti come tu facevi con me da ragazzino, lo farò. Sei tutto quello che
ho, Buck, e non ti perderò, non più, non un’altra volta” disse, a bassa voce e
tenendo il giovane stretto tra le braccia. Non lo lasciò finché non sentì
allentarsi la tensione nel suo corpo e poi, finalmente, poté abbandonarsi ad un
lungo bacio che era insieme amore, desiderio, tenerezza e promessa.
Quella
era la loro casa, la loro vita, e niente e nessuno avrebbero più potuto
metterla a rischio.
Nel
nuovo quartier generale degli Avengers, Tony Stark aveva convocato Peter Parker
per mostrargli le nuove caratteristiche e funzionalità che voleva inserire
nella sua nuova tuta. Però, quando il ragazzo era arrivato, non aveva trovato
subito il suo mentore ed era andato a cercarlo, piuttosto confuso. Forse si era
sbagliato sull’orario concordato? O magari Stark aveva avuto un impegno
improvviso? Poteva capitare, certo, il miliardario era sempre coinvolto in
mille progetti…
Invece,
alla fine, Peter trovò Tony in un ufficio, da solo, in piedi di fronte ad una
delle grandi vetrate.
“Signor
Stark, mi aveva fatto chiamare? Sono in ritardo?” chiese, dopo aver atteso
inutilmente per qualche minuto che l’uomo si voltasse verso di lui.
Stark
sembrò scuotersi nel sentire la sua voce. Si voltò lentamente e, sulle prime, parve
non riconoscere nemmeno il suo giovane amico, era come se il suo sguardo lo
attraversasse, fissato su qualcosa che nessun altro poteva vedere.
“Si
sente bene, signor Stark? Posso anche tornare un altro giorno, se preferisce…”
Tony
parve resettarsi mentalmente e ritornare nel qui ed ora.
“Sì,
ti ho fatto chiamare e no, non sei in ritardo. E’ solo che, mentre ti
aspettavo, mi sono messo a pensare a tante cose. Sei qui per vedere le nuove
funzionalità della tua tuta, no?”
“Sì…
almeno credo” rispose Peter, incerto. Il signor Stark si stava comportando in
modo davvero strano, era come se… possibile che fosse ubriaco? No, sembrava piuttosto turbato, ma perché?
“Senti,
ragazzo, forse sarebbe meglio che tornassi un altro giorno” disse poi Tony,
lasciandosi cadere su una comoda poltrona dell’ufficio.
“Va
bene, se oggi è impegnato possiamo occuparci della mia tuta un’altra volta, non
c’è fretta” replicò Peter. “Allora arrivederci, signor Stark. Mi farà sapere
lei quando sarà libero.”
Tony
guardò il ragazzo che si accingeva a uscire dall’ufficio e ad andarsene e
improvvisamente cambiò idea. Forse quello che gli era venuto in mente era
assurdo, ma lo era poi davvero? Non aveva parlato con nessuno di ciò che lo
tormentava e adesso voleva confidarsi con un ragazzino… che sciocchezze! O no?
“Aspetta,
Peter” Stark aveva raggiunto il ragazzo sulla soglia della stanza, aveva chiuso
la porta e adesso lo stava riportando indietro. Fece accomodare un Peter Parker
molto perplesso su un’altra poltrona di fronte alla sua e iniziò a parlare.
“Rhodes è stato qui stamattina e mi ha detto di aver parlato
con il segretario di Stato Ross… beh, più che parlare pare che gli abbia sbattuto in
faccia la sua opposizione agli Accordi di Sokovia e la decisione di voler
riunire tutti gli Avengers senza alcun controllo governativo” spiegò. “Mi ha
stupito, visto che lui era uno dei firmatari, ma poi ho capito dove voleva
arrivare.”
Parker,
invece, non aveva capito per niente dove Tony Stark volesse arrivare con quel
discorso.
“Secondo
lui la separazione degli Avengers è stata un grave errore e sta portando
conseguenze sempre peggiori: eravamo un gruppo di amici, amici veri, e adesso
la maggior parte di loro è lontana, alcuni operano in segreto, di altri non
abbiamo più notizie…”
“Beh,
ma se è così è facile: lei può fare un giro di telefonate, riunirli tutti e
dire loro che non siete più d’accordo con le restrizioni del governo. Magari
diventerete tutti dei fuorilegge, ma
sarete di nuovo amici, no?” propose Peter con un’invidiabile ottimismo.
“Non
è propriamente come invitare un gruppo di amici a prendere l’aperitivo” lo
deluse Stark, “e comunque il problema non sono tanto gli Accordi di Sokovia e
il segretario di Stato Ross… non più, almeno.”
“E
allora cosa?” domandò il ragazzo, al quale non sarebbe dispiaciuto partecipare
a un bel complotto antigovernativo…
Tony
Stark lo guardò dritto negli occhi e gli fece la domanda che lo tormentava
ormai da mesi.
“Tu
potresti mai perdonare l’uomo che ha ucciso la tua famiglia?”
FINE