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Autore: Spoocky    20/06/2018    1 recensioni
Partecipa alla 26 Prompt Challenge del gruppo Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart [https://www.facebook.com/groups/534054389951425/1765156793507839/] 7/26 - Cura
Il Dottore si prende a cuore il bene dell'Universo e sulle sue spalle grava il peso della responsabilità di tutto il creato.
Ma chi ha cura di lui?
Ambientata nel periodo in cui Ten decide di viaggiare da solo.
Ispirata alla canzone "La Cura" di Franco Battiato
[https://www.youtube.com/watch?v=7KQeQOnBvZk ]
Genere: Angst, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Doctor - 1, Doctor - 10, Sorpresa
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Disclaimer: Io non possiedo ne Doctor Who, ne la canzone citata. 

Buona Lettura ^.^
 

Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie, 
dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via. 
Dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo, 
dai fallimenti che per tua natura normalmente attirerai.
 
Aveva a disposizione un’ infinità di tempo ed uno spazio in costante espansione eppure quell’apparentemente insignificante cabina blu era tutto ciò che gli restava, quelle quattro pareti di legno erano tutta la sua casa. Un reticolo immenso di stanze e corridoi.
Immensamente vuoto ora che non aveva nessuno con cui condividerlo.
Si trascinò con passo pesante nell’ultimo rifugio veramente sicuro che gli fosse rimasto in tutto l’Universo.
Solo quando la porta si fu richiusa silenziosamente alle sue spalle si lasciò sfuggire un lungo gemito di dolore. Per tutta la superficie del suo corpo si andavano aprendo ustioni e piaghe purulente.
I monsoni acidi di Ascarigus V non lasciavano scampo, nemmeno ad un Signore del Tempo perché le radiazioni gamma emesse dal terreno ricco di isotopi di Uranio inibivano il suo fattore rigenerante.

Gli Ascarigiani erano un popolo pacifico ed estremamente accogliente, a dispetto dell’inferno radioattivo in cui vivevano, e ripugnavano radicalmente ogni forma di violenza. Quindi non erano assolutamente problematici, in se.
A creare scompiglio era il sistema confinante con quello di Ascarigus: il tristemente famoso sistema di Raxacoricofallapatorius, i cui abitanti erano celebri per avanzare pretese su pianeti esterni al loro raggio di competenza.
La rigenerazione precedente aveva addirittura dovuto allontanarli dalla Terra, dal Governo britannico per la precisione, e sperava di non aver più nulla a che fare con quella razza tanto molesta.
Eppure, quando i Raxacoricofallapatoriani avevano tentato di invadere Ascarigus V si era sentito in dovere di fare da arbitro tra le parti, ringraziando il fatto che la fisionomia degli Ascarigiani era troppo incompatibile con quella degli invasori perché questi potessero interpretare di nuovo in senso estremamente letterale l’espressione “mettersi nei panni di un altro”.
Certi della superiorità del proprio organismo, avevano dunque sfidato il Dottore – eletto campione degli Ascarigiani – ad una prova di coraggio: chi avesse resistito più a lungo sotto la pioggia corrosiva si sarebbe aggiudicato il pianeta.
Avevano sottovalutato la tenacia del Dottore nel combattere per una causa in cui credeva e tre di loro si ridussero a pozzanghere fumanti prima che il capo spedizione capisse che sarebbe stato meglio arrendersi.
Ma neppure il Signore del Tempo ne era uscito illeso.
Gli era stato fornito un copricapo protettivo, senza il quale avrebbe seriamente rischiato di morire, quindi il volto, la testa e soprattutto i capelli erano ancora a posto ma tutto il resto era un disastro.
Aveva dolore dappertutto, persino in posti che prima non sospettava neppure di avere.

Si avviò barcollando verso l’interno del T.A.R.D.I.S. lasciando una scia di impronte insanguinate alle sue spalle.
Cominciava a sentire freddo e ormai non vedeva bene da un pezzo: sapeva di stare andando in shock.
Doveva rimediare, e in fretta.
Non poteva rigenerarsi ora, aveva ancora troppe cose in sospeso.
Appena prima di uscire dalla sala controllo, le gambe gli cedettero e cadde a terra, lacerandosi la pelle già ferita delle mani e delle ginocchia.
Gridò per il dolore atroce e si rannicchiò sul pavimento con gli occhi pieni di lacrime. Impossibilitato a muoversi, troppo debole per alzarsi, pianse per l’agonia insopportabile delle ustioni profonde che si stavano squarciando.

Rimase a contorcersi in un bagno di sudore, lacrime e sangue finché una forza esterna a lui non lo spinse di nuovo in piedi.
Mani invisibili lo sorressero per tutto il tragitto fino alla camera di guarigione, e lo condussero ad un cubicolo sterile.
I vestiti gli scivolarono di dosso e le scarpe gli si sfilarono mentre un getto delicato leniva e disinfettava le sue ferite, lavando via tutto il sangue rappreso e la sporcizia.
Ne uscì completamente esausto e dolorante ma decisamente meno sofferente.
Infilò una tunica appesa nelle vicinanze e si lasciò cadere nel proprio letto.
La struttura ovoidale lo accolse nel proprio interno caldo e tanto soffice da non disturbare la sua pelle ferita.
Una luce dorata si diffuse attorno al suo corpo addormentato, avvolgendolo come l’abbraccio di una madre di cui non serbava ricordo e aiutandolo lentamente a guarire.
Rannicchiato su se stesso come un bambino nel grembo materno, orribilmente solo nell’Universo, il Dottore dormiva sicuro e protetto nell’unico luogo che potesse chiamare “casa”.
 

Ti solleverò dai dolori e dai tuoi sbalzi d'umore, 
dalle ossessioni delle tue manie. 
Supererò le correnti gravitazionali, 
lo spazio e la luce per non farti invecchiare. 


Entrò come una furia, sbattendosi la porta alle spalle, imprecando e sbraitando con il volto contratto e gli occhi arrossati da un pianto disperato.
Aveva dato tutto se stesso, lottando fino all’ultimo contro un destino apparentemente già scritto si era aggrappato ad una fievole speranza con le unghie e con i denti.
Ma aveva fallito.
Un intero pianeta, una civiltà millenaria era precipitata nell’oblio, divorata dal vortice del Tempo senza che potesse fare nulla.
Uomini, donne e bambini, un’intera specie votata allo sterminio.

Meskajiok era da tempo destinato a perire stritolato dal campo gravitazionale delle stelle gemelle che lo circondavano e che si stavano approssimando l’una all’altra sempre di più.
La cosa più grave era che i suoi abitanti ne erano perfettamente consapevoli.
Da secoli infatti si preparavano ad affrontare il drammatico destino del proprio pianeta nel modo che a loro pareva più logico: morendo con esso.
Ritenevano infatti di non poter abitare altro ambiente che quello in cui erano sempre vissuti e non concepivano neppure lontanamente l’idea di poter cambiare in alcun modo, tant’è che il loro ordinamento sociale non subiva variazioni da almeno otto millenni.
Ovviamente, pur essendo sufficientemente avanzati dal profilo tecnologico, i viaggi spaziali rimanevano impensabili e le civiltà che se ne servivano erano viste con sospetto se non con vero e proprio astio.
Il Dottore aveva avuto il suo bel da fare a cercare di farli ragionare: aveva speso ore preziose cercando di convincerli a cambiare idea e accettare l’aiuto di una delle tante civiltà vicine o di scappare con lui sul T.A.R.D.I.S. Sarebbe riuscito a salvarli tutti, anche a costo di fare centinaia di viaggi.
Niente da fare: nessuno di loro sembrava dotato del poco buonsenso sufficiente per starlo a sentire.

Allora tentò il tutto per tutto: si frappose con il suo veicolo tra le stelle in rotta di collisione e tentò di generare un campo energetico tanto potente da separarle una volta per tutte.
All’inizio sembrò funzionare ma progressivamente la struttura iniziò a dare segni di cedimento, fino a non lasciargli altra scelta che allontanarsi o perire anch’egli nella catastrofe.
La razionalità ebbe la meglio e si arrese, scappando verso un sistema vicino da cui osservare e piangere il compimento di quel genocidio.

Non durò che poche ore: ormai l’attrazione gravitazionale tra i due corpi celesti era tale da non permettere resistenza alcuna e l’unico deterrente era lo spazio tra loro.
Un’esplosione spettacolare e tutto quello che rimase del sistema Meskajiok fu una supernova dai mille colori.
Uno spettacolo meraviglioso negli occhi del Dottore mentre il suo cuore piangeva di dolore e la sua testa rimbombava delle grida di tutti i morti.
Ogni molecola del suo essere si ribellava ad una realtà inaccettabile: salvare tutti era impossibile.
Perché salvare gli altri, proteggerli e prendersene cura era la sua missione, la sua ragione d’essere più profonda.
Era più che un chiodo fisso: era un istinto viscerale insopprimibile ed ogni volta che non riusciva a soddisfarlo gli procurava un dolore tremendo.
Per questo si rintanò piangendo nella sua cabina, dove trascorse ore a gridare, agitarsi e piangere.
Quando ebbe dato fondo a tutte le proprie energie e crollò a terra abbracciandosi le ginocchia la solita luce dorata accorse ad avvolgerlo, consolandolo e confortandolo con la sua sola presenza.
Era la sua unica fonte di forza e l’unico modo che aveva di ritrovare la pace.
Il suo unico porto sicuro nell’infinita vastità dello spazio e del tempo.

E guarirai da tutte le malattie, 
perché sei un essere speciale, 
ed io, avrò cura di te. 

 

Nel suo bozzolo di cuscini e coperte, il Dottore si contorceva in preda agli spasmi ed alla febbre.
La Febbre Itrifichea era una delle pochissime malattie in grado di affliggere un Signore del Tempo, il cui unico vantaggio era di contrarla in forma non letale, come invece sarebbe stata per ogni altro essere vivente.
I sintomi erano quelli di una grave influenza: febbre alta, vomito, tosse e dolori articolari.  
A differenza di ogni altra creatura nell’Universo, il Dottore non aveva nessuno che si prendesse cura di lui, nessuno che gli tenesse la mano o gli passasse uno straccio umido sulla fronte per alleviare il fastidio della febbre, nessuno a reggergli la testa o accarezzargli la schiena mentre vomitava, nessuno che lo consolasse dopo un incubo.
E soprattutto non c’erano farmaci compatibili con la sua fisiologia per tamponare i sintomi.

Però aveva accanto un essere interdimensionale, una creatura che aveva il potere di modificare dietro suo comando il Tempo e le Dimensioni Relative nello Spazio[1].
Perché la sua cabina era una creatura vivente, con un cuore pulsante di energia cosmica ed un solo obiettivo: avere cura del Dottore.
Con Lei era al sicuro da tutto e da tutti.
Grazie al suo aiuto sarebbe guarito anche dalla temutissima Febbre Itrifichea, oltre che da ogni altra malattia o ferita.
Perché Lei lo amava di un amore puro e infinito che concretizzava nell’accoglierlo nel proprio grembo e cullarlo quando soffriva, stringendosi attorno a quell’essere che era più solo di chiunque altro nell’intero Universo e che era più fragile di quanto non sembrasse.
Il Dottore non aveva segreti per Lei: conosceva intimamente ogni sfaccettatura di tutte le sue rigenerazioni e provava per ognuna lo stesso, immenso affetto.
Per questo ora faceva tutto quanto in suo potere per alleviare i suoi sintomi ed accelerare il suo fattore rigenerante: perché non sopportava di vederlo stare male.

Nel proprio intimo, però, T.A.R.D.I.S. era perfettamente consapevole di stare combattendo una battaglia persa.
Perché non è mai esistita, non esiste né mai esisterà una cura all’essere il Dottore.

 
- The End -
 
  Note:


[1] T.A.R.D.I.S. = Time And Relative Dimensions In Space

Piaciuta? Non piaciuta?
Comunque sia, non mandatemi contro gli Zygon, per favore!


 
  
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