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Autore: Frulli_    21/06/2018    3 recensioni
Inghilterra, 1911. L'Europa sta attraversando un periodo di serenità e ricchezza, la "Belle Epoque". E se Parigi è il fulcro della moda e del divertimento, Londra certo non è da meno! Lo sanno bene i membri della famiglia Norton e dei suoi servitori, che per la Stagione londinese vengono catapultati in un mondo di divertimenti e finzione, dove tutti sono un pò "sottosopra", e rischiano di perdere di vista le cose vere e reali della vita, come i sentimenti e l'amicizia...
Genere: Romantico, Slice of life, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Il Novecento
Capitoli:
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15. Farewell

Norwich, 20 Agosto 1911
 
Era stata ben poche volte in città, ma andò comunque dritta per la sua strada in quel giorno estivo e soleggiato. Tutti conoscevano la pensione di Miss Rose, quella vicino alla stazione. Un punto strategico ideale, da dove passavano i membri della servitù, in attesa di essere trasferiti alla vicina Rose Castle. Lì, tutti conoscevano i Norton e Miss Rose aveva fatto un prezzo di favore a Charlotte, che aveva candidamente omesso il fatto di essere stata licenziata.
Attraversò velocemente la strada, prima che una vettura ed una carrozza a traino la investissero. Si guardò attorno, sorridendo tra sé: tutto sommato, Norwich era una bella cittadina, vivace e movimentata. Ma nulla in confronto a Londra, che le metteva sempre uno stato di ansia e frenesia addosso. Camminò sul marciapiede per una decina di minuti, incrociando mamme con bambini, coppie di anziani, qualche ragazza che faceva compere nelle boutique...e finalmente, la pensione di Miss Rose.
Salutò la padrona e tirò dritto verso la stanza di Charlotte, dove era già stata quando l'aveva accompagnata più di un mese fa.
«Charlotte, cara...come stai?» andò subito ad abbracciare l'amica, accarezzandole i capelli. Si sentiva così in colpa per lei, così responsabile per quanto accaduto: lei era la capo cameriera, era lei che avrebbe dovuto sorvegliare le sue sottoposte, e capire chi aveva incastrato Charlotte.
«Josephine...grazie di essere passata a trovarmi. Vogliamo fare due passi fuori?» le chiese subito Charlotte, il sorriso finto di chi cerca di trasmettere calma e sicurezza.
«Certo...andiamo»
«Allora...ci sono novità dalla tenuta?» chiese la ex cameriera, mentre uscivano dalla pensione. Il sole illuminava la via principale, costringendola a socchiudere gli occhi prima di poter svoltare verso il parco cittadino.
«Oh di novità ce ne sono tante, ma nulla di positivo. Tranne una: abbiamo trovato la colpevole del tuo licenziamento» annunciò trionfale Josephine, sorridendo.
«Davvero?! E chi?» chiese curiosa l'amica, continuando a camminare, lentamente.
«Betsy...»
«Betsy?! Ma non è possibile, non può essere stata lei, era...»
«Lontana, a trovare la famiglia? Certo, in questo modo hanno potuto scaricare la colpa su di te, lei e Miss Norton. Ma a quanto pare Betsy è stata obbligata da Miss Norton a mettere i gioielli nel tuo cuscino la sera prima. Ti ricordi che tu la notte prima hai dormito nel mio letto, perchè io ho vegliato sulla Lady? Loro ovviamente ne erano a conoscenza, e sapevano anche che quindi non te ne saresti accorta...»
«Per quello Miss Norton è andata a colpo sicuro, in camera nostra, nel recuperare i gioielli. Solo adesso capisco...! Ma perchè? Perchè mi hanno voluto fare una cosa simile?»
«Per fare uno sgarro a Miss Herbert, povera cara. Miss Norton non l'ha mai sopportata, era gelosa della vostra amicizia e così, non potendo colpire lei direttamente, l'ha colpita alle spalle, togliendole l'unica amica che aveva in quell'enorme castello»
«Povera Miss, mi spiace così tanto. Ma tu come hai scoperto tutte queste cose?»
«Oh non ci siamo nemmeno dovuti sforzare più di tanto» ammise Josephine ridacchiando «ce lo ha riferito Mr Herbert, che a sua volta lo aveva carpito da Miss Norton, ubriaca. Ha confessato tutto. Betsy è stata licenziata e Miss Norton è stata praticamente cacciata via. Si è trasferita a Londra, questa è la versione ufficiale, ma la verità è un'altra»
«Santo cielo, quante cose sono cambiate nel giro di un mese...» ammise Charlotte, accomodandosi su una panchina davanti al laghetto dei cigni.
«E questo non è niente! Le cose sono peggiorate, praticamente per tutti. Ti ricordi di Miss Cassie, vero? Beh è andata via lo stesso giorno che sei andata via tu, e da quel giorno Mr Herbert è come...non lo so, cambiato. E' sempre stato un bravo ragazzo, ma ora sembra rinato come se si volesse far perdonare, come se volesse cambiare. Dicono che stia risparmiando, per riacquistare il titolo di Barone ed avere una sua personale rendita»
«Mi fa molto piacere. E Lady Maud, come sta?»
Il sorriso di Josephine scemò lentamente, trasformandosi in una leggera smorfia di tristezza.
«Male, purtroppo. La sua salute è peggiorata, non può più camminare, ha dei profondi momenti in cui si assenta, o dorme per giorni. Il medico...il medico dice che ormai è questione di giorni, forse settimane. Qualche giorno fa è passato il notaio, per aggiornare il testamento, mi pare si dica così»
«Povera Lady Maud, mi spiace così tanto...»
«Già. Ed oltre per lei, devi dispiacerti anche per noi...»
«Perchè?»
«Perchè quando Lady Maud morirà, non si saprà di preciso che fine faremo tutti noi. Miss Norton è a Londra, ed ha una nuova servitù che non sa niente di lei. In quanto a Lord Norton...ormai è uno straniero in casa sua, se prima veniva poche volte adesso è un'apparizione, come un fantasma. Alla morte della padrona, potremmo perdere il lavoro»
«Oh santo cielo, ma sono sicura che la Lady e suo figlio non lo permetteranno...»
«Tu forse non hai capito. Lord Alfred non esiste più. Da quando ha mollato pe l'ennesima volta Miss Herbert, ormai non possono più vedersi. Viene raramente a trovare la madre e, quando lo fa, Miss Herbert cerca di non stare nei paraggi. Si salutano a malapena»
«Che peccato. Quei due si amano follemente, ma non riescono a incontrarsi»
«Il problema è un altro, Charlie, e tu lo sai. Miss Herbert è nulla tenente, come me e te, e secondo te chi sposerebbe una allo stesso livello di una cameriera? Nessuno, nemmeno una persona di cuore come Lord Norton»
«Ma loro si amano...»
«Possono amarsi quanto vuoi, ma l'amore non paga la servitù, non cucina, non fa le feste, non crea affari vantaggiosi. L'amore rovina solamente, e per i ricchi questo vale ancora di più»
«E quindi ora che faranno?»
«Ah non lo so. Lord Norton viene raramente, ma da quel che so è a Londra e lì rimarrà a vita. In quanto a Miss Herbert, mi ha detto di riferirti che a fine mese lei partirà per New York, con Mr Mallard»
«Lo sposa...»
«Già, così pare. Non sembra molto felice, seppur non lo dia a vedere, ma d'altronde anche lei ha la sua età. Ed ora che Lady Maud è in fin di vita, potrebbe mettersi male anche per lei e suo fratello. Ma capisci che significa questo per te, Charlie, vero?»
Charlotte sospirò, tacendo. Una morsa le strinse lo stomaco. «Significa che devo partire per New York anche io»
«Se vuoi, Miss Herbert ti dà modo di scegliere. Ma...beh, non credo tu abbia molta scelta. Puoi sempre portare Mark con te»
«Lo sai che non può. Sta risparmiando per la pasticceria, dice che quando sarà pronta mi verrà a riprendere...» mormorò la ragazza, deglutendo a fatica.
Josephine le strinse dolcemente la mano. «Mi dispiace che sia andata così...se fossi stata più attenta, mi sarei resa conto di quel che stava tramando Miss Norton. E forse tu avresti ancora il tuo lavoro, Miss Ethel un'amica e tu e Mark...»
«Non avresti comunque potuto fare nulla, Josephine. Va bene così...» mormorò Charlotte, ricambiando la sua stretta di mano, il cuore gonfio di tristezza «Va bene così...».


Il pendolo rintoccò le dodici ore, facendo rimbombare il suono lugubre e maestoso nel silenzioso e desolante castello dei Norton. Ethel si svegliò di soprassalto, catapultata dal suo solito incubo alla realtà. La luce soffusa nella stanza di Lady Maud sembrava pugnalarla gli occhi, e ci mise qualche istante per mettere a fuoco l'interno della camera e la donna, sdraiata nel suo letto ma sveglia, che le sorrideva. Ethel sapeva benissimo che ormai la donna era quasi completamente cieca, e che percepiva solo le ombre e gli odori delle persone.
Si alzò, assonnata, avvicinandosi. «Zia...ti senti bene?» chiese a bassa voce, sedendosi al suo fianco.
«Mai stata meglio, cara...dormivi? Fai ancora gli stessi incubi, vero? Non te l'ho più chiesto...»
«Non fa niente, zia. Sono solo incubi...»
«No, è la realtà, purtroppo. Avremmo dovuto capire che i tuoi genitori avevano bisogno di aiuto, erano nostri amici, e li abbiamo ignorati...»
«Zia, ti prego, non ti agitare. Ora sono in pace, è questo quel che conta no? Sono in pace, e tu e lo zio vi siete presi cura di me e George come due figli»
«Avrei dovuto fare di più, ma ora vedrai...ora che io me ne andrò, voi sarete ben sistemati. Mi premeva farlo, premeva anche al mio caro amore...Siete ben sistemati cara, non serve che tu vada via...non serve...» sussurrò l'anziana donna, gli occhi velati di lacrime.
Il cuore di Ethel si rimpicciolì tanto che le mancò il fiato. «Zia, non fate così, vi prego...va bene, non partirò più. Siete contenta? Rimarrò qui, con voi»
«Anche dopo che morirò?»
«Anche dopo che...che ve ne andrete»
«Grazie...sono più tranquilla ora» mormorò Lady Maud, socchiudendo gli occhi, stanca. Rimasero in silenzio, ad ascoltare ognuno il respiro dell'altra, in pace. Ethel accarezzava lentamente la mano della donna, osservandone le macchie della pelle, le rughe, le unghie curate, le dita che ogni tanto stringevano le sue, debolmente. Poi lentamente la donna aprì gli occhi e sollevò appena un dito verso un quadro, appeso alla parete davanti a lei. Non le serviva guardare davvero, per indicare oggetti nella sua stanza. A Ethel sembrò di osservare quel quadro per la prima volta, seppur ci avesse posato gli occhi innumerevoli volte. Era un ritratto di una giovane donna, forse poco più grande di lei. Grandi occhi castani, uno stile imperiale nell'abito e nell'acconciatura, lo sguardo severo e deciso, la bocca distesa in un'aria pacata e fiera. Somigliava incredibilmente allo stesso sguardo di Lady Maud, anche in quel momento che era malata.
«E' mia nonna, Catheleen Barrington. E' morta quando io avevo otto o nove anni, ma me la ricordo bene sai? Mio padre diceva sempre che le somigliavo tanto, in tutto e per tutto. Era una donna...forte, giusta, e dolce con noi nipoti. Ci raccontava sempre tante storie e favole, ci portava in giro, ci ha educato alla pietà e alla misericordia, all'aiuto verso chi ha bisogno. E gli Herbert, sai...erano loro amici di famiglia, da generazioni. Tuo padre e tuo nonno si erano di origine irlandese...si trasferirono in Inghilterra nel Settecento, facendo amicizia con i Barrington e i Colborne, la famiglia di mia nonna. Conoscevo i tuoi genitori come fossero miei cugini e...e non sono stata capace di aiutarli...» la voce di Lady Maud si ruppe, le lacrime scivolarono lungo le tempie.
Ethel strinse dolcemente la donna a sé, ricacciando indietro le lacrime. «Zia...zia vi prego, non agitatevi. Sono sicura che mamma e papà non siano mai stati adirati con voi, mai! E che vi ringraziano per esservi presa cura di me e di George, vi prego...non fate così...» mormorò a voce tremante, accarezzandole le guance.
«Oh mia dolce Ethel, mio tesoro. Che stolto è stato Alfred a perderti, che stolta Daisy a odiarti così tanto...ma vedrai, ho sistemato tutto io, ho sistemato tutto...» sussurrò la donna.
«Va bene zia, non devi preoccuparti. Ma ora riposati...» Ethel si alzò asciugandosi le lacrime e versò il calmante nel bicchiere d'acqua della zia. L'anziana bevve tutto d'un fiato e, lentamente, tornò a dormire.
Ethel si avvicinò alla finestra, piangendo in silenzio le lacrime più amare e più forti. Dopo aver placato i singhiozzi e il fiume di tristezza che finalmente aveva esondato, lentamente uscì dalla camera della donna, percorrendo il corridoio con gli occhi gonfi di lacrime. Non sapeva bene dove andasse ma conoceva così bene quel castello da poterlo percorrere ad occhi chiusi. Ma dovette subito ricredersi quando andò a sbattere contro qualcosa, o qualcuno.
«Oddio...» mormorò, asciugandosi velocemente le lacrime. Mise a fuoco, nella penombra, la figura seria di Alfred. Arrossì con violenza, non aspettandosi di certo il ragazzo lì, a quell'ora di notte. «Scusa, non ti avevo visto...»
«Non potevi di certo, con quelle lacrime. Come stai...?» mormorò Alfred, osservandola.
«Bene»
«Sicura...?»
«Tua madre sta morendo e mi ha appena chiesto di rimanere qua, anche dopo la sua morte, dove c'è Daisy che mi odia. Come vuoi che stia?»
«Ah, pensavo stessi piangendo perchè parti con quel Mallard, lì, in America» rispose secco Alfred.
«Sono felice di partire, invece»
«Ah si? Quindi partirai nonostante la richiesta di mia madre...?» insinuò Alfred sorridendo.
«E tu? Lo sai che ti chiederà di rimanere anche a te, si? Che fai, rimarrai o tornerai nella bella Londra?»
«Non sono affari tuoi...» brontolò secco Alfred, superandola.
«Ah no, certo che no. I tuoi “affari”, come dici tu, non sono un mio interesse. Ti auguro una bella vita a Londra, con la tua Candice»
«Il mio fidanzamento con Candice è rotto, ti ricordo. Io le promesse le mantengo...» precisò Alfred davanti la porta della madre.
Ethel si volse verso Alfred, fissandolo qualche istante, perplessa. Il ragazzo aprì la porta e sparì nella stanza della madre. Ethel rimase lì, con l'amaro in bocca, fissando il corridoio ormai vuoto.
Alfred aveva davvero rotto il fidanzamento con Candice? E perchè allora non le aveva scritto, anche dopo il loro mancato incontro? Orgoglio, pensò piccata mentre scendeva velocemente le scale, il suo maledetto orgoglio.
“Io le promesse le mantengo” ripensò all'ultima frase detta da Alfred e si fermò, quasi convinta a chiedergli cosa volesse dire. Da quel che le risultava, era lei tra i due ad aver ricevuto tre delusioni da lui, non il contrario. Lei le sue promesse le aveva mantenute, che cosa voleva intendere Alfred? Scosse la testa, arresa: probabilmente non sapeva cosa dirle, ed ha provato a stuzzicarla, senza grossi risultati.
Sospirò, continuando a scendere le scale. Il suo rapporto con Alfred ormai era perso.



«Ehi...»
«Ehi, Lulù...come stai...» la voce del fratello era roca e bassa, segno che, come suo solito, era stato molto tempo in silenzio. Andò a sedersi vicino a lui e rimasero abbracciati, lì seduti sul divano del suo studio. Ascoltò il cuore di suo fratello, energico e pimpante. Quello di Lady Maud batteva lento e malato, come una vettura ormai vecchia e rotta che non riusciva più a camminare.
«Triste. Sono triste» ammise alla fine, osservando la finestra davanti a sé.
«E stanca. Perchè non vai a dormire? E' passata la mezzanotte da un bel po'. Riposati...»
«No, no, non sono stanca. Sono preoccupata, sono...ho come un dolore qua, nel petto»
«E' il tuo cuore, tesoro...soffre» George la strinse più a sé, accarezzandole i capelli «mi dispiace che tu debba vivere tutto questo, sarebbe stato meglio che tu fossi partita prima»
«No, volevo essere qui quando la zia se ne sarebbe andata. Ma perchè non vieni con me, in America? Non c'è più niente per noi qua»
George scosse il capo. «Vorrei, ma non posso. Devo prima cercare me stesso, e devo farlo qua. Devo trovare la mia strada, scappare non avrebbe senso. Devo sistemare le cose, ed ho cominciato già da Daisy»
«Daisy?»
«Mh-mh. Le ho scritto, due giorni fa. Una lunga lettera dove le ho scritto la verità, i miei sentimenti fraterni verso di lei... Le ho anche scritto che sua madre sta morendo, e che se ha un briciolo di umanità dovrebbe tornare per salutarla»
«Hai fatto bene. Devono parlare, devono sistemare le cose, prima che zia Maud parta. Non possono lasciarsi così. Tu credi che verrà?»
«Sarebbe dovuta già arrivare, tecnicamente...» ammise George mesto.
«E a Cassie? A lei hai scritto?» chiese la sorella dopo qualche secondo di silenzio.
George rimase in silenzio, poi sospirò «Ancora no. Te l'ho detto, devo prima risolvere delle cose tra me, devo...capire cosa voglio fare “da grande”. E poi le scriverò..»
«Sei innamorato di lei?»
«Come tu di Alfred»
Ethel deglutì, sciogliendo l'abbraccio col fratello. «Non è la stessa cosa»
«Oh si che lo è» precisò George, ancora ben spaparanzato sul divano «è esattamente la stessa cosa, solo che nel nostro caso è lei quella ricca e io il nullatenente. E siccome non posso sposarla senza offrirle nulla, prima devo trovare la giusta “offerta”»
«Cioè vuoi metterti a lavorare?» chiese curiosa Ethel.
«Una mezza specie. Vedrai, non posso dirti nulla prima che accada. Tu piuttosto...tornerai a trovarmi vero?»
Ethel fissò qualche istante il gemello, prima che gli occhi si velassero di lacrime «Certo che tornerò...»
«Non piangere, dai, al giorno d'oggi i mezzi di trasporto sono veloci, e nella tua ricca casa avrai sicuramente il telefono. Potremmo sentirci spesso!»
«Si...certo...» mormorò Ethel distratta. Stava davvero lasciando suo fratello gemello, per andare dall'altra parte del mondo? Si alzò sospirando. Aveva la testa completamente piena di dubbi e domande, e il cuore ricolmo di ansia e tristezza. Non si era mai sentita così, in un profondo bivio. Pensava di aver agito bene, di aver fatto la scelta giusta, finchè non aveva rivisto Alfred. Ma era davvero solo colpa di Alfred? La verità era che nemmeno lei sapeva se stesse facendo la scelta giusta.
«Non ci pensare» mormorò alla fine George, osservandola. Si alzò e lo abbracciò in silenzio, prima di strofinarsi appena gli occhi «Riposati Lulù, almeno qualche ora, ti prego. Se succede qualcosa ti chiamo»
«Solo cinque minuti, mi sdraio qui sul divano» precisò Ethel, accomodandosi. George le sistemò la gonna prima di coprirla con una coperta lì vicina. Le posò un bacio sulla fronte. Il tempo di uscire ed Ethel si era già addormentata.


Le sembrò di aver dormito davvero per soli cinque minuti, ma quando aprì gli occhi vide il sole penetrare dalle finestre, inondando di luce lo studio di George. Era una splendida giornata estiva e per un attimo si dimenticò di ogni problema, di ogni lutto imminente: solo il sole sembrava l'unica certezza reale della sua vita, in quel momento.
Si alzò, stiracchiandosi. Si specchiò, sistemandosi i capelli e l'abito alla bell'e meglio quindi uscì dalla stanza e si diresse verso la sala per la colazione. Aveva un appetito famelico, cosa assai strana negli ultimi giorni, ma si ricordò solo sulla soglia della stanza che la sera prima non aveva nemmeno cenato per stare al fianco di Lady Maud. Sospirò, dandosi un contegno prima di entrare, consapevole che oltre quella porta ci sarebbe stato Alfred, il suo incubo vivente.
«Buongiorno» annunciò, composta, senza guardare i presenti in sala. Per questo, quando alzò lo sguardo su di loro, sobbalzò appena, sorpresa, nel vedere Daisy seduta che sorseggiava il thè.
«Buongiorno a te, Ethel. Sorpresa di vedermi?» chiese calma la ragazza. Aveva un aspetto diverso rispetto al mese scorso: era magra fino allo stremo, pallida sotto il trucco calcato sul viso, un abbigliamento succinto e alla moda, ma troppo estremo per i suoi gusti. Sembrava malata, o comunque poco in salute.
«N-no, certo che no. In verità non sapevo che saresti venuta così presto questa mattina. Ti trovo...bene» azzardò Ethel, sedendosi vicino a George, ritrovandosi così davanti a Ethel ed Alfred.
«Non era necessario che tu lo sapessi, infatti. Anche io ti trovo bene comunque. Quand'è che parti?» chiese la ragazza, con improvviso interesse.
«Alla fine del mese corrente»
«E quando ti sposi?»
«Ancora non c'è una data...pensavamo a prima dell'arrivo dell'inverno, pare che a New York sia molto rigido»
«Beh, ti auguro un felice matrimonio allora» precisò secca Daisy, prima di lanciare un'occhiata a suo fratello, chino sulla colazione e che fingeva una totale indifferenza circa l'argomento.
«Grazie...» precisò vaga Ethel, prima di lasciar cadere il silenzio nella sala. Fecero colazione, ognuno per conto loro, senza dire più una parola.
Fu Josephine a interrompere quella quiete apparente, aprendo la porta della sala con gli occhi gonfi di lacrime. Tutti si girarono verso di lei, fissandola.
«Mi dispiace disturbare, Lord Norton...ma vostra madre vorrebbe vedervi...tutti e quattro» mormorò la capo cameriera, la voce rotta da un pianto trattenuto a stento. Si alzarono tutti insieme, uscendo dalla sala e salendo lungo le scale, in rigoroso silenzio, i cuori pesanti d'ansia e tristezza.
La camera di Lady Maud era fresca e ben ordinata, le tende chiuse per via della quasi cecità della Lady; dei fiori freschi erano stati sistemati al posto di quelli vecchi, come a poter bilanciare in qualche maniera l'aspetto malato e vecchio che aveva assunto la padrona di casa negli ultimi mesi. Si sedettero intorno al suo capezzale, ed Alfred le strinse dolcemente la mano, facendole aprire debolmente gli occhi.
Non appena posò lo sguardo cieco su di lei, Ethel sentì gli occhi bruciare di lacrime. Chinò il capo per non farsi scoprire, e vide due grosse lacrime crollare sulle sue gambe, prima di diventare completamente cieca per il pianto.
«Non dovete piangermi, né essere tristi...la morte è una cosa naturale, come la nascita. Ho vissuto una vita piena e felice, vi ho visto crescere e maturare, litigare e sorridere. Ho vissuto un solo rimpianto: non avervi sistemato a dovere, o con una famiglia o con una rendita. Ma ho risolto tutto, ora che sto per salutarvi...sarete a posto, ed io in pace»
Si interruppe, riprendendo fiato e forze.
«Madre, vi prego, non vi sforzate...» mormorò Alfred, stringendole la mano con affetto.
«Fammi parlare, Alfie, prima che mi addormenti. A te lascio la nostra famiglia, Alfred: è tuo il compito di far stare tutti loro al sicuro e protetti, senza problemi e senza necessità. Devi prometterlo, qui davanti a tutti e davanti a Dio Onnipontente, che sta venendo a prendermi. Prometti»
Alfred deglutì, ricacciando indietro le lacrime. Guardò Daisy, pallida, Ethel in lacrime e George, serio e rigido come una statua di cera.
«Lo giuro» annunciò solenne alla fine.
Lady Maud sembrò accennare un sorriso, prima di chiudere lentamente gli occhi, lasciando sulla bocca fredda e rigida un leggero accenno di pace e felicità.



 
Rose Castle, 22 Agosto 1911


«Condoglianze...»
«Ancora sentite Condoglianze, Miss...»
«Oh Miss Herbert, forza e su con la vita...condoglianze...»
Doveva essere sincera: non pensava che Lady Maud conoscesse tutta quella gente. I funerali si era svolti nella cappella privata di Rose Castle che, per quell'occasione, aveva accolto pubblicamente chiunque avesse voluto salutare un'ultima volta la donna. Ma la cappella non poteva contenere nemmeno un quarto delle persone venute ai funerali. Il bel tempo aveva concesso ai più di sostare fuori, durante la Messa, e di viaggiare serenamente verso il cimitero dove sarebbe stata sepolta, vicino a suo marito.
Dopo i funerali, come d'usanza, i padroni di casa offrirono un rinfresco per i loro ospiti che andarono via solo dopo pranzo, nel primo pomeriggio. L'unico a rimanere a Rose Castle fu il notaio testamentario di Lady Maud.
Ethel lo osservava, ancora in piedi sulla soglia della porta, che parlottava serio con Alfred, che annuiva con altrettanta serietà.
«Signori...» annunciò alla fine il notaio «quando volete, possiamo aprire i testamenti»
Si spostarono così nello studio di George, sedendosi tutti e quattro davanti alla scrivania, oltre cui si era accomodato il notaio. Questi inforcò un paio di occhiali ed aprì non una ma due lettere sigillate. Poi osservò i quattro presenti da oltre gli occhialini a mezzaluna.
«So che il dolore vi sta lacerando il cuore, perchè è quel che sto vivendo anche io, quindi sarò breve: i testamenti rimarranno sotto la mia custodia, ma siete liberi di poterli leggere, una volta annunciata l'eredità. Andremo a leggere anche il testamento di Lord Norton che, per suo espresso ordine, doveva essere aperto solo quando sua moglie sarebbe morta a sua volta. Dunque possiamo proseguire?»
Tutti e quattro annuirono, seri, quindi il notaio prese il primo foglio.
« “Io sottoscritto, il Conte Alexander Struan McKanzie Norton nomino mio figlio, William Albert Alfred Norton, unico erede della famiglia. A lui il compito di proteggere e custodire la famiglia, la servitù e le proprietà che gli competono. A lui rimane il titolo di Conte, da concedere ai figli venturi. A mia figlia secondogenita lascio in eredità Little Hall di Londra, dato il suo amore per la città: ne potrà fare l'uso che più crede...” »
«Bene» annunciò Daisy interrompendo il notaio. Fece per alzarsi, ma l'uomo la fulminò. «Se volete sedervi, Miss Norton. Ancora non abbiamo finito. Ci sono ancora le volontà di vostro padre e vostra madre circa Mr e Miss Herbert»
«Cosa? Anche loro hanno ereditato?!» esclamò sconvolta Daisy. Ethel assunse la stessa espressione, ma George e Alfred non si scomposero.
«Siediti...» sibilò quest'ultimo fra i denti, fulminando la sorella. Daisy si sedette sbuffando, visilmente contrariata da quella notizia.
«Dicevamo...» riprese seccato il notaio « “lascio a George James Herbert, primogenito dei miei cari e sfortunati amici, cinquemila sterline, una somma da usare solo ed esclusivamente per il recupero del titolo di Barone, da elargire di conseguenza, come unico capostipite rimasto, anche a sua sorella e alle future generazioni. Spero che questo sia un inizio da cui poter ripartire, per te e per tua sorella»
«Ah fantastico, adesso i poveri sono tornati ricchi!» esclamò acida Daisy, alzandosi di nuovo. Alfred si alzò a sua volta e le strinse così forte il braccio che la fece risedere, facendo poi lo stesso poco dopo.
«Queste...sono le volontà di nostro padre, ti ricordo. Qualunque cosa ci sia scritto lì dentro deve valere ed essere rispettato, e passerai sotto le mie mani se commenterai di nuovo quanto deciso da loro. Porta rispetto per i morti, Daisy, soprattutto per chi ti ha dato la vita»
Daisy deglutì a vuoto, poi lanciò un'occhiataccia a George ed Ethel prima di tornare ad ascoltare il notaio.
«Passiamo ora al testamento di Lady Maud» annunciò l'uomo, cambiando foglio « “Non ho molto da lasciare ai miei figli, dato che quel che avevo l'ho donato a mio marito che, a sua volta, lo donerà sicuramente ad Alfred e Daisy. Lascio perciò l'unica proprietà che ho, la mia tenuta in Cornovaglia, al mio nipote acquisito George James Herbert, affinchè possa occuparsi delle terre circostanti, dei fattori che vivono nella tenuta e di trovare così, forse, la sua strada»
Il viso di Daisy era paonazzo, sembrava che stesse per scoppiare. E finalmente ci fu una reazione anche da George, che sgranò appena gli occhi come se lo avessero pugnalato o fucilato.
«Bene, questo è quanto» annunciò il notaio, togliendosi gli occhialini dal naso.
Daisy si alzò di scatto, con aria stizzita, e si girò verso George ed Ethel.
«Spero siate contenti, finalmente. Avete raggiunto il vostro scopo: dilapidare l'eredità dei miei genitori, senza nessun diritto. Gli avete incastrati, eh? Avete recitato la parte dei poveri orfani in maniera eccellente»
«Daisy, ti prego, lo sai che noi non sapevamo nulla...» la supplicò Ethel, stanca di tutti quei litigi.
«Ad essere precisi, chi sta dilapidando l'eredità dei tuoi genitori...sei tu, Daisy» precisò secco e gelido George, facendo arrossire Daisy.
«Come osi...» sibilò la ragazza, sputando odio e veleno dallo sguardo.
«Ora basta» annunciò secco Alfred «nostra madre è morta da appena due giorni, Daisy, non serve buttarci veleno addosso. Hai ottenuto ciò che volevi, ora basta»
La ragazza sollevò gli occhi sul fratello, seria. «Tu li difendi...lo hai sempre fatto, sempre. Ti sei fatto fregare anche tu, Alfred, non me lo sarei mai aspettato da te. Il finto amico e la finta fidanzata» sorrise divertita, Daisy, facendo arrossire Ethel di vergogna.
«Non sai quel che dici, Daisy, quindi per favore taci e scompari dalla mia vista prima che...»
«Prima che cosa? Prima di darmi un altro ceffone? Sono una donna, ormai, gli schiaffi non mi fanno più effetto» precisò Daisy, che aveva già preso le distanze del fratello e si dirigeva verso la porta della stanza.
«Tu disonori il ricordo dei nostri genitori, Daisy. E' solo per loro che ti faccio ancora entrare dentro questa casa, sappilo» precisò serio Alfred, vedendo solo in quel momento Ethel e George alzarsi. Daisy, in tutta risposta, uscì e chiuse la porta violentamente.
«Miss Herbert» il notaio distrasse i tre dal pensiero di Daisy. L'uomo si avvicinò ad Ethel, porgendole quel che pareva una lettera chiusa. «Questa è per voi Miss Herbert: è una lettera, che vi ha lasciato Lord Norton all'interno del suo testamento»
«Cosa c'è scritto?»
Il notaio scrollò le spalle. «Non lo so. Il Lord mi diede il preciso ordine che venisse aperta solo da voi, e solo alla morte di Lady Maud. Ora, se volete scusarmi...ancora le mie più sentite condoglianze» e detto questo, uscì delicatamente dalla stanza.
Ethel osservò incerta George ed Alfred, quindi lentamente aprì la lettera e si avvicinò alla finestra, per vedere meglio.

14 Aprile 1900

Mia cara Ethel,
Mi immagino già la tua espressione di sorpresa nel constatare che ho lasciato una lettera privata a te, e non ai miei figli o a George. Non me ne vogliano, ma tu mi sei sempre stata cara. Forse per la tua indole mite e quasi “trasparente”, non ci hai mai dato problemi, né ansie. Eppure sei una ragazza -una donna, forse, quando leggerai questa mia- che ne ha passate molte già in tenera età. Sei orfana, e come tuo tutore mi sento in dovere di aiutarti, come ho fatto con tuo fratello George, come forse già saprai. Non posso donarti una rendita né una dote, non essendo tu mia figlia nemmeno acquisita. La cifra che ho lasciato a George è solo un piccolo inizio, che gioverà anche a te. Per questo ti lascio in dono nessun bene, ma solo un indirizzo. In questo indirizzo troverai tuo cugino di secondo grado, il reverendo John Herbert, che vive con sua moglie e i suoi figli. E' l'unico parente che vi è rimasto, mia cara Ethel, e spero che tu possa un giorno abbracciarlo. Perchè tutti, nel mondo, abbiamo bisogno di una vera famiglia. Tu e tuo fratello più di tutti.
Se ti sentirai sola, o avrai bisogno di aiuto, potrai contare su tuo cugino John, ne sono sicuro.

Che Dio ti protegga sempre, mia dolce Ethel.
Tuo,
Zio Alexander.


Le lacrime offuscarono la sua vista. Si portò la lettera al petto, cercando di placare i singhiozzi che le scuotevano il petto. Sentì l'abbraccio del fratello, la sua colonia impregnarsi sugli abiti. Si lasciò consolare, la lettera ancora stretta al petto.
Quando finì di versare tutte le lacrime si asciugò gli occhi e mostrò al fratello e a George la lettera e l'indirizzo allegato.
«Bushmills?» lesse Alfred, confuso.
«Pare che sia nella contea di Antrim, nell'Ulster. Mai sentito in vita mia» commentò George serio. «Perchè non vai a trovarli?» chiese poi, osservando la sorella.
Ethel deglutì, gli occhi gonfi di lacrime. «Tenterò, prima di partire. Salperemo da Belfast, spero non sia così lontano da questa...Bushmills»
«Ma non sei contenta? Hai un cugino, un parente...» commentò incoraggiante Alfred.
«E cosa me ne faccio, ora che sto partendo?» precisò Ethel amareggiata, facendo per uscire dalla stanza.
«E allora nemmeno mi saluti?» precisò Alfred. Ethel si fermò, girandosi verso di lui.
«Cosa? Vai già via?»
Alfred annuì. «Riparto oggi, starò via qualche giorno. Il tempo del mio trasferimento...»
«Trasferimento...?»
«Si. Torno ad abitare qui» precisò Alfred, sorridendo «è quel che avrebbe voluto mamma, ed anche mio padre. George si occuperà della tenuta finchè non tornerò, e poi sarà libero» annunciò, cingendo le spalle dell'amico, che sorrise appena di rimando.
«Davvero...davvero lasci Londra?» chiese confusa Ethel.
«Sì, perchè ti sorprendi tanto? Non ho più nulla da condividere con quella città, ad eccezione del Parlamento. Ma ormai i treni sono veloci, basterà pernottare qualche giorno in hotel, durante le sedute importanti, e per il resto del tempo me ne starò qui...a curare le tue piante»
Ethel sorrise appena, sentendo le lacrime che risalivano di nuovo. «Grazie...che te ne occuperai tu, dico»
«Figurati, spero di esserne all'altezza»
Ethel sbuffò appena una risata. Poi si avvicinò e abbracciò delicatamente Alfred. «Addio, allora, Alfred. Buona fortuna per ogni cosa»
«Buona fortuna a te, Lulù» rispose il ragazzo, abbracciandola appena. Le posò un bacio sulla fronte, sorrise e la lasciò andare. Fu come se in quel momento ogni litigio, ogni screzio, ogni rancore venisse spazzato via dal dolore che li accomunava, e da quasi una vita trascorsa insieme.
Ethel lanciò un'occhiata al fratello, che come sempre aveva il volto privo di ogni espressione, quindi fece per uscire, lentamente. Incerta, sempre più confusa. Prese a camminare in quel castello vuoto e silenzioso, sospirando.
Non pensarci nemmeno, pensò tra sé. Lo hai inseguito fin troppe volte, ora è lui che deve farlo, se ti vuole.
Era vero, la sua razionalità aveva ragione. Aveva dato tre possibilità ad Alfred, e in tutte e tre aveva fallito. Non poteva più sprecare tempo ed energia per lui. Non aveva più ragioni per restare.
Non aveva più amici, non c'era più nemmeno Lady Maud. Rimanendo a Rose Castle, sarebbe stata comunque lontana da George, e sotto lo stesso tetto di Alfred e, sicuramente, anche di Daisy. Non poteva sopportare l'idea di vivere insieme ad Alfred, come una cugina zitella, sapendo che non avrebbe mai potuto averlo. No, bastava così.
Doveva pensare al suo bene. E il suo bene era dall'altra parte dell'Oceano.
  
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