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Autore: steffirah    25/06/2018    2 recensioni
Un sogno che diventa realtà, o forse la realtà che si mostra tramite un sogno? E' ciò che Sakura cerca di capire, durante un giorno di pioggia in cui si ritrova a vivere emozioni più grandi di lei stessa.
Genere: Fluff, Mistero, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sakura Kinomoto, Syaoran Li, Tomoyo Daidouji | Coppie: Shaoran/Sakura
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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AIAIGASA
 
 
 
Questa era la nostra condizione: non era ammesso che noi donne uscissimo con altri uomini e ciò poteva essere accettato soltanto se essi fossero stati membri della propria famiglia. Un fratello. O un padre. Altrimenti era considerato sconveniente e, per questo, molti giovani che si amavano dovevano servirsi di diversi stratagemmi pur di incontrarsi. Il più usuale era approfittare della stagione delle piogge e fingere di dimenticare l’ombrello, in modo tale che il proprio innamorato potesse comparire all’improvviso col suo e proteggere entrambi, garantendo così intimità.
Molte mie amiche ricorrevano a ciò pur di trascorrere un po' di tempo con la persona che amavano e, visto dall’esterno, sembrava un puro gesto di galanteria.
La mia situazione, invece, era un po’ differente: vivendo col mio unico genitore, rimasto vedovo poco dopo la mia nascita, e mio fratello maggiore mi era stata concessa un po’ più di libertà. Almeno da parte di mio padre, perché per quanto riguarda onii-sama, se era in casa e sapeva che dovevo uscire per una ragione o per un'altra subito mi veniva dietro, soprattutto durante lo tsuyu. E così era impossibile che io venissi corteggiata. Tra l’altro, lui non ne voleva assolutamente sapere di un fidanzamento, mentre per otou-sama ero libera di scegliere un uomo che avrei amato. Insomma, non avevo alcuna costrizione, ma col tempo una cosa si fece evidente: se da bambina mi rendeva felice la presenza di onii-sama, che vedevo come una lieta compagnia, col passare degli anni cominciò a diventare quasi scocciante. Quanto più crescevo tanto più la vedevo come una mancanza di fiducia nei miei confronti. Ero perfettamente in grado di cavarmela da sola e, in ogni caso, poteva pacificare il suo animo perché almeno in quel piccolo villaggio in cui vivevamo non c’era nessuno che avesse attratto particolarmente la mia attenzione. Fortunatamente sembrò capirlo e così anche se talvolta decidevo di uscire da sola smetteva di fare storie e me lo permetteva.
Era proprio un giorno di quella stagione quando, improvvisamente, mentre passeggiavo tra i solitari campi di riso all’ora del tramonto, fui sorpresa da delle goccioline di pioggia. Allungai una mano dinanzi a me, lasciando che una di esse vi cascasse sul palmo e scivolasse giù lungo esso. Sospirai tra me, ricordando che proprio quel mattino i miei capelli erano stati acconciati e il kimono che indossavo era un regalo confezionatomi da mia cugina Tomoyo. Se avesse saputo che consapevolmente avrei permesso si bagnasse non me lo avrebbe mai perdonato. Mi guardai intorno alla ricerca di riparo e poco più avanti notai il portale di un tempio. Mi coprii i capelli con una mano, pronta a correre in quella direzione, quando improvvisamente le gocce cessarono di bagnarmi. Alzai il capo, aprendo la bocca sbigottita. Un wagasa? Mi voltai, spalancando gli occhi, trovandomi innanzi un ragazzo che ero certa di non aver mai visto. Inclinai la testa su un lato, incuriosita, e lui seguì il mio movimento.
«Puoi tenerlo tu.», concesse, lasciando che prendessi il suo ombrello.
«Ma così ti bagnerai!», gli gridai dietro quando cominciò a correre, allontanandosi.
«Stai tranquilla, ho il cappello che mi ripara!»
«No, aspetta!»
Affrettai il passo per raggiungerlo, notando che come previsto la pioggia si stava infittendo. Era stato così gentile con me, anche se non ci conoscevamo. Non potevo permettere che poi si sentisse male a causa mia.
Quando giunsi alle sue spalle gli ripetei di aspettare, ma a quel punto inciampai in una pietra e finii su di lui, nel momento stesso in cui stava per voltarsi, ritrovandomi quindi a pochi centimetri dal suo viso. Vedendolo così da vicino, mi accorsi di quanto i suoi tratti fossero delicati e insieme nobili, ma ancora più straordinario mi sembrava il colore delle sue iridi, così inusuale, quasi quanto il mio.
Dinanzi al suo sguardo tra il costernato e l’imbarazzato ricordai le buone maniere e mi spostai, alzandomi. Stesi una mano per aiutarlo ma lui si rimise in piedi da solo e recuperò l’ombrello, porgendomelo nuovamente senza pronunciare parola. Era un ragazzo così strano, chiunque altro si sarebbe arrabbiato di certo per una mia azione così indecorosa, seppure involontaria. Lui invece mi stava di nuovo proteggendo.
Stavolta posai la mia mano sulla sua, chiedendogli con un sorriso: «Possiamo usarlo entrambi?»
Notai che le sue guance divennero un po’ più rosee, ma non disse di no. E così lo affiancai, lasciando che fosse lui a tenerlo al di sopra delle nostre teste, indicandogli la strada che portava a casa, avvicinandoci poco alla volta l’uno all’altra.



 
«Tomoyo-chan.», sussurro coprendomi con una mano, allungandomi verso di lei, sperando di non farmi notare dal sensei.
«Dimmi, Sakura-chan.»
Si volge nella mia direzione e io abbasso la voce.
«Stanotte ho fatto un sogno piuttosto… particolare.»
«Cosa intendi dire?», mi chiede accigliata.
Prendo carta e penna, decidendo di trascriverglielo per quel che ricordo, di tanto in tanto fingendo di mostrarmi attenta alla lezione. Glielo passo poi sotto banco e mentre lei lo legge io ci ripenso, scarabocchiando distrattamente sul quaderno. Era stato così vivido, quasi come se lo stessi rivivendo. Eppure, allo stesso tempo, lo vedevo, come un’osservatrice esterna. O meglio, ci vedevo. Vedevo me, avvolta in un splendido kimono rosa decorato con ciliegi, che mi abbellivano anche i lunghi capelli color miele con un fermaglio inserito in un’elaborata acconciatura. Vedevo poi Syaoran-kun, i suoi abiti con colori così affini alla terra, e al di sopra un haori nero. In testa indossava un berretto d’un verde simile alle piantagioni che ci circondavano, al di sotto del quale spuntavano le sue ciocche marroni, rivolte in tutte le direzioni. Chissà qual era il suo ruolo in quel sogno. Ma, in effetti, non ricordo più nemmeno il mio. Mi è rimasto soltanto vivamente impresso il momento in cui lui ha messo il suo wagasa rosso sulla mia testa, per coprirmi, e poi, quando mi ero girata a guardarlo, è come se il cielo attorno a noi fosse diventato di un porpora-violaceo con striature celesti, simile al colore delle ortensie che in questo periodo sbocciano accanto al ponte su cui passiamo per venire a scuola. E potevo vedere le gocce di pioggia in maniera ravvicinata, quasi come se le osservassi attraverso una lente di ingrandimento, i cui contorni avevano sfumature di tutti i colori.
Poi ricordo il momento in cui sono caduta, e i nostri volti erano così vicini… Scuoto il capo, liberandomi di questo pensiero, tornando con la mente in classe prima di rischiare di essere ripresa dal sensei.
Sposto l’attenzione sul mio quaderno, ma quando mi accorgo di quello che stavo disegnando senza rendermene conto mi faccio sfuggire un sonoro: «HOEEEEEEE!!!!»
Tutti si voltano a guardarmi, ovviamente. Balzo in piedi, chiedendo scusa mortificata, morendo quasi per l’imbarazzo. Fortunatamente sembra che i professori si siano tutti abituati a questo mio modo di fare e, oramai, non indagano più sulle ragioni che mi portano ad interrompere forse troppo spesso le lezioni. Ma è più forte di me, anche se provo a trattenermi ci sono casi in cui, semplicemente, mi sfugge. E questo è uno di essi.
Mi risiedo, abbassando lo sguardo sul foglio aperto dinanzi a me, sentendomi le orecchie in fiamme. Inconsciamente, ho finito col tracciare un ombrello stilizzato con un cuore sulla punta, scrivendo a destra e sinistra del manico il mio nome e quello di Syaoran-kun. Un aiaigasa. Ne ho sentito tanto parlare, sono numerose le coppie che lo disegnano, dato che è considerato un simbolo degli innamorati, ma mai avrei pensato che sarei arrivata a farlo anche io.
In quel momento mi arriva un bigliettino da parte di Tomoyo-chan. Lo dispiego e vi leggo: “Forse era un sogno su una vostra vita passata!”
“Una nostra vita passata?” le scrivo, rilanciandoglielo. Ci rifletto su. Sono in grado di fare anche questo genere di sogni?
“Oppure era un sogno premonitore!” ipotizza.
Mm, di questo non sono così sicura.
Decido si smettere di pensarci, volto pagina al quaderno per non rischiare veramente un infarto e mi dedico finalmente alla lezione di inglese, sebbene sia ormai giunta alla fine. Ma tanto in ogni caso non ci avrei capito granché. Per fortuna Syaoran-kun è disposto ad aiutarmi ogni volta che ne ho bisogno. Lui è la mia salvezza, in tutti gli aspetti della mia vita.
A fine giornata mi attardo perché oggi sono incaricata alla classe e per quando finisco è già pomeriggio inoltrato. Consegno il registro in sala professori ed esco dall’istituto, notando soltanto ora che il cielo s’è annuvolato. Giugno è decisamente un mese imprevedibile. Apro la mia cartella, alla ricerca dell’ombrello, non trovandolo. Hoe? Ero sicura di averlo portato. Ma poi ricordo che stamattina, al solito, mi sono svegliata tardi, ho fatto tutto di fretta, l’ho appoggiato sul mobile accanto alle statue dei gatti che papà portò dall’Egitto mentre mettevo le scarpe e là devo averlo dimenticato. Fantastico. Sospiro, notando che hanno cominciato a cadere le prime gocce di pioggia e decido di aspettare al riparo per un po’, nella speranza che a un certo punto smetta.
Ripenso al disegno che ho fatto e al suo significato. Scrivere i due nomi al di sotto dell’ombrello è simbolo di una relazione. Una relazione… Io, e Syaoran-kun, una relazione…
Deglutisco, assimilando tutto ciò che quel termine implica. Sì, noi ci amiamo ed è del tutto naturale provare queste emozioni, questi sentimenti, questo batticuore… In fondo, siamo sempre stati a stretto contatto, ci siamo abbracciati in molteplici occasioni, quindi non dovrei imbarazzarmi tanto all’idea di averlo di nuovo tanto vicino, magari a quella distanza del sogno….
Scuoto vigorosamente la testa, vergognandomi di me stessa, quando ecco che proprio la voce di Syaoran-kun mi fa sobbalzare.
«Sakura, sei ancora qui?»
«Sya-Syaoran-kun!», balbetto agitata, voltandomi verso di lui, stringendo la cartella tra le dita. «Oggi toccavano a me le pulizie.», spiego.
«Oh. Anche io sono dovuto rimanere per lo stesso motivo.»
Faccio un cenno di comprensione e lui si avvicina alle scale esterne, guardando verso il cielo. Poi rovista nella sua borsa, prendendo l’ombrello, e lo apre, rivolgendomi un sorriso.
«Lo condividiamo?»
Trattengo il fiato, incredula. Non può essere vero.
«Ti accompagno a casa.», aggiunge, quasi dovesse giustificarsi.
Senza dire una parola lo affianco, timidamente, mantenendo lo sguardo basso. Cammino insieme a lui, senza riuscire a trovare il coraggio di guardarlo in viso. Ma dopo un po’ non mi trattengo e sbircio nella sua direzione, notando che nonostante tenga gli occhi fissi davanti a sé le sue guance sono rosse, segno che anche lui è agitato per quanto si mostri calmo. Almeno, non sono sola in questo.
Sorrido tra me e, con un rinnovato coraggio, decido di rivelare anche a lui il sogno di stanotte. Il racconto dura per tutto il tragitto, terminando esattamente quando ci fermiamo fuori il mio cancello. Allora lui si mette di fronte a me, finendo così per bagnarsi un po’ dato che adesso l’ombrello copre più me che lui, ma sembra non curarsene minimamente.
«Sarà stato un sogno premonitore?», suppone anche lui, guardandomi interrogativo.
«Probabilmente.»
Non nego che abbia potuto esserlo, ma una parte di me improvvisamente desidera che sia stato, invece, un sogno su un’altra vita. Una vita in cui, seppure casualmente, io e Syaoran-kun avevamo avuto modo di conoscerci e, forse, anche lì ci saremmo innamorati e avremmo potuto stare felicemente insieme.
Lo vedo sviare lo sguardo, come imbarazzato.
«Syaoran-kun?»
Mi allungo verso di lui, poggiando una mano sul cancelletto di casa mia. Stavolta volta la testa dall’altro lato, quasi si rifiutasse di guardarmi. Hoe?
«Almeno è stato un bel sogno?», si accerta sottovoce. Che comportamento strano. Chissà che gli sta passando per la testa.
«Assolutamente.», confermo, rievocandone il finale.
Si decide finalmente a guardarmi, rivolgendomi uno sguardo deciso.
«Ti accompagno fino all’ingresso.»
«Ma non ce n’è bisogno!», ribatto, trovandolo certamente dolce da parte sua, ma anche superfluo. La pioggia si è ridotta e così non fa altro che allungare ulteriormente la strada che lo riporta a casa.
Senza rispondermi apre il cancello, facendomi un cenno con la mano per farmi proseguire. Sospiro seguendolo nel breve vialetto, ma non appena mettiamo piede al di là di esso mi prende per mano. Lo guardo col cuore in gola e lo trovo ancora abbastanza paonazzo. Mi sento bruciare il viso, soprattutto dal momento in cui, una volta raggiunto l’ingresso, si gira completamente verso di me e, nel salutarmi, mi lascia la mano, soltanto per carezzarmi una guancia, rivolgendomi il suo dolce, gentile sorriso.
«Potrebbe essere stato un sogno premonitore, ma credo anche che avremmo potuto essere noi stessi in una vita passata. Suona assurdo?»
«Per niente.» Nego col capo, colpita dalle sue parole che ripetono le mie. «Quindi è possibile fare questo genere di sogni?»
«Quando si ha un grande potere magico, sì.» Sembra come combattuto mentre dice ciò, ma non mi rivela di più e neanche io lo interrogo oltre, imbarazzata. Forse esagera un po’.
Tuttavia annuisco, comprendendo, e il suo palmo riposa per qualche secondo sulla mia guancia. Mi alza il viso verso il suo e lo vedo chiudere gli occhi, abbassandosi per porre le sua fronte contro la mia. Il mio cuore parte alla rincorsa, la stessa che sento fare dal mio sangue mentre si raccoglie tutto sul mio volto, avvolgendomi sicuramente anche il collo e le orecchie. Tante volte siamo stati a poca distanza l’uno dall'altra, in diverse occasioni, ciononostante non mi ci sono per niente abituata. Soprattutto quando lo fa così di punto in bianco mi sento le farfalle nello stomaco, la terra si apre sotto i miei piedi e mi vengono le vertigini perché sono momenti in cui tutto ciò che lui prova per me mi scivola addosso, proprio come pioggia d’estate. E i suoi sentimenti sono sempre così caldi e sicuri, così forti, mi fanno sentire protetta da tutto e tutti. La sua stessa presenza al mio fianco mi rende più coraggiosa, più sicura di me stessa. Senza Syaoran-kun non sarei mai riuscita a fare nulla.
«Syaoran-kun...», lo richiamo con un sussurro, ponendo la mano sulla sua. Attendo che riapra le palpebre, ma non gli permetto di allontanarsi. «Grazie, davvero.»
«Per cosa?», domanda spaesato.
«Per farmi stare bene.»
Gli rivolgo un sorriso enorme e vedo le sue iridi illuminarsi, sebbene vengano nuovamente traversate da una scintilla tormentata. Si mordicchia il labbro, prima di abbandonare la borsa e l’ombrello e, quasi fosse un’azione impulsiva, stringermi tra le sue braccia. Solitamente rimango spiazzata da questo suo gesto, non me l’aspetto mai, e non sono mai sicura di come sia giusto reagire. Tuttavia, col tempo ho capito che non devo far altro che ascoltare il mio cuore. E ciò che esso mi suggerisce è di ricambiare, con tutte le mie forze. Per cui abbandono anche la mia cartella, avvolgendo le mie braccia attorno al suo corpo, affondando col viso contro il suo collo, lasciandomi avviluppare anche dal suo calore.
Restiamo così, immobili, semplicemente beandoci della presenza dell’altro, perdendo ogni cognizione del tempo e di ciò che ci circonda, finché non è lui il primo ad allentare la presa, tirandosi lievemente indietro, guardandomi con quei suoi occhi straripanti d’amore. Un amore che ricambio, con tutta me stessa.
Con delicatezza si stacca da me, recuperando le sue cose e quando mi abbasso anche io mi accorgo che ha quasi smesso di piovere: sono rimaste poche gocce sporadiche e il sole è spuntato fuori dalle nubi, creando un arcobaleno che ancora va colorandosi.
Sorrido lieta, facendolo notare a Syaoran-kun, il quale si rimette dritto, col viso alzato verso il cielo e un’espressione serena. Poi mi guarda, dandomi un piccolo bacio su una guancia prima di salutarmi e andarsene con aria leggera, come se si fosse liberato di qualche peso. Lasciandomi qui, pietrificata davanti casa, con tutti i miei organi in tumulto, perché è vero che ci siamo abbracciati tante volte, ma questa è la prima in cui le sue labbra si posano sulla mia pelle. Porto una mano al petto, sperando che il mio organo vitale deceleri prima che esploda, e riprendo fiato, alzando gli occhi su quel cielo che si rasserena, ringraziandolo per questo piccolo grande dono che mi ha fatto.






 
Angolino autrice:
Buongiorno! In primis, specifico che questa one-shot è ispirata ad un'illustrazione realizzata dalle CLAMP per la lotteria Wa-Modern dell'Ichiban Kuji (non ne so molto, ma credo che stesso per questa ragione Syaoran e Sakura indossino wafuku, ossia abiti tipicamente giapponesi). Ecco perché nel sogno - che dovrebbe essere ambientato all'inizio del Novecento - lei indossa il kimono, mentre l'haori viene indossato al di sopra del kimono, è lungo solitamente fino al di sopra delle ginocchia ed è lasciato aperto.
Il titolo, "aiaigasa", significa letteralmente "condividere l'ombrello" ed è diventato nella cultura di massa simbolo degli innamorati. Come spiega stesso Sakura, si tratta di un ombrello stilizzato con cuore sulla sommità e al di sotto di esso vengono scritti i nomi della coppia. La sua origine l'ho ripresa nel sogno, quindi parte da una sorta di rituale di corteggiamento effettuato soprattutto durante lo tsuyu, ossia la stagione delle piogge (dura per tutto giugno fino a inizio luglio) in cui veniva usato il wagasa (l'ombrello tradizionale di bambù e carta laccata) come espediente per stare accanto alla donna che si amava. 
Traduzioni: onii-sama = fratello maggiore, otou-sama = padre (il "-sama" è un suffisso onorifico estremamente gentile), sensei = professore.
Infine, la dedico ad Aretha, come regalo per il suo compleanno. Spero di non averti delusa e che ti sia piaciuta >///< Ero molto indecisa sul cosa scriverti e alla fine ho optato per qualcosa di "soft", restando a tema CCS. Quindi, tanti auguri a te! *canticchia la canzoncina*
  
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