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Autore: vaniglia_lovefantasy    28/06/2018    0 recensioni
Perché, tutto sommato, il grigio non è tanto male, posso perfino conviverci.
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Tematiche delicate
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Se dovessi descrivere il luogo dove vivo con una parola, penso che questa sarebbe "grigio". Non spoglio, non decrepito, non lussuoso, spazioso… grigio. Qui tutto è grigio. I muri, i mobili, i vestiti, il cibo perfino. L’unica nota di colore sono le caramelle che ci consegnano una volta al giorno. Ma d’altronde i medici pensano che il giallo, l’arancione e il blu siano colori allettanti. Non che abbiamo scelta, s’intende. Dobbiamo prenderle per forza, e il fatto di chiamare antidepressivi e antipsicotici "caramelle" non rende la cosa meno deprimente, anzi.
Se non altro ho lui, o credo che, ed è quasi ridicolo dirlo, sarei impazzita definitivamente senza il suo aiuto.
Chiariamoci, se sono qui non è a causa di un errore o altro, me lo merito, ma non sono ai livelli di certi psicopatici seri, come la donna che crede di essere invisibile o il tipo che afferma di essere un dottore, ma anch’io mi sono meritata il biglietto di sola andata per farmaco-city. Lorenzo però mi sta aiutando, lui è qui per depressione, come me d’altronde, ma ne stiamo uscendo, insieme. Stava andando tutto bene, ma un giorno le cose sono cambiate…

«Ciao Rebecca!» sento qualcuno che mi saluta da dietro, e mi giro avendo riconosciuto la voce, sorpresa.
«Christian? Quanto tempo! Ti hanno ritrasferito? E hai un nuovo amico vedo.» osservo il peluche del gatto che ha in braccio, chiedendomi dove accidenti lo avrà rimediato.
«Eh già, c’era un sovraffollamento nell’altro istituto, perciò mi hanno momentaneamente mandato qui. Lui è il Generale Miao, comanda l’armata della rivolta felina, e diciamo che parlo per lui.»
«E la contessa leonessa?» continuo ad alternare lo sguardo fra lui e il peluche, strisciando sul sedile cercando discretamente di allontanarmi da lui, in ricordo della nostra ultima chiacchierata qualche anno prima, motivo del suo trasferimento. Christian è veramente pazzo, quando era piccolo, ha cercato di bruciare la madre perché credeva che lei volesse venderlo come schiavo alle cimici del letto. Lei è sopravvissuta fortunatamente, e non ha sporto denuncia contro il figlio, ma l’ha fatto internare immediatamente.
«Mi hanno fatto capire che di solito le leonesse non hanno la targhetta sulla coda. E sì che ne ero convinto! Ma non rifarò lo stesso errore, vero Generale Miao?» vedo Lorenzo entrare alle sue spalle, e gli rivolgo un’occhiata d’aiuto, che lui fortunatamente coglie al volo.
«E tu chi saresti?» gli si rivolge con tono leggermente aggressivo, attirando la sua attenzione.
«Sono Christian, migliore amico d’infanzia di Rebecca, ero in questo istituto qualche anno fa. Tu invece chi saresti?»
«Lui è Lorenzo…»
«…e sono il fidanzato.»
«Ah, capisco...» mi rivolge un’occhiata ferita. Ma cosa si aspettava? «Rebecca, possiamo parlare un secondo? Da soli.» Marca eccessivamente quel "soli", fissando Lorenzo con sfida.
«Tutto quello che devi dire a me, può sentirlo anche lui.»
«Cos’è, hai bisogno del babysitter? Credevo fossi abbastanza grande da poter avere una conversazione da sola. Che c’è, hai paura di me?»
«Scherzi vero?» lo fisso alzandomi in piedi, puntandogli un dito contro. «Ricordi la nostra ultima conversazione? Ricordi cosa hai fatto?» mi alzo i capelli mostrando la cicatrice sul collo, e Lorenzo collega i puntini. Non gli avevo mai detto chi fosse stato, ma a questo punto...
«Sei stato tu quindi? Bastardo…» si vede che si sta trattenendo dal picchiarlo, a causa dell’infermiere seduto discretamente nell’angolo, pronto a intervenire in qualsiasi momento.
«Lorenzo, lasciaci.» è troppo agitato, e non voglio che si becchi un isolamento per me.
«Ma…» cerca di obiettare, ma lo fermo prima.
«Vai, ci vediamo dopo. In caso c’è l’infermiere.»
Lorenzo annaspa un attimo, vorrebbe rispondermi, ma si limita a fissare con odio Christian, per poi lasciarci, fumando di rabbia.
«Rebecca, in questi tre anni ho pensato sempre e solo a te!» ora sta urlando, senza alcun motivo evidente fra l’altro.
«Troppo poco e troppo tardi.»
«Ma lo sai che soffrivo di allucinazioni, e Annalisa ti odiava, lo ha fatto apposta.»
«Questo non cambia nulla. E come la metti per l’aggressione? Io sto con Lorenzo, lo amo, mi rende felice e non puoi fare nulla per cambiare le cose.»
«Ah no? Generale Miao, ma la senti? Rebecca, io senza di te non posso vivere!»
«Dovrai imparare a farlo.»
«Rebs, ti prego, non farlo…»
«L’ho già fatto. Tu ed io non staremo mai più insieme. Ti rendi conto che eri tutto ciò che avevo? Quando avevamo sedici anni ero troppo stupida e ingenua per capirlo. Dichiaravi di amarmi e poi non solo ti trovo con quella, ma cerchi anche di aggredirmi!»
«No, non lo accetto!»
«Christian, per favore, smettila!» A quel punto è l’infermiere in fondo a intervenire, alzandosi e avvicinandosi.
«Sono calmo, non le farò del male. Ti prego, ti supplico, perdonami.»
«Christian, basta, arrenditi. Non sarò mai tua.»
Christian boccheggia in silenzio, poi esce dalla stanza, con la schiena curva, lasciando cadere il peluche che ha stretto fin’ora con rabbia. Rientra Lorenzo, che evidentemente stava aspettando qui fuori.
«Tutto a posto?» mi domanda, prendendomi una mano e facendomi sedere vicino a lui.
«Certo.» mi sforzo di sorridere, accarezzandogli il dorso della mano.
«Non mi sembri convinta, ti ha fatto qualcosa?»
«Sì, ma me l’ha fatto diversi anni fa.»
«Ne vuoi parlare?»
«Onestamente no.»
«Rispetterò la tua volontà, ma se vuoi parlarne io sono qui, lo sai.»
«Lo so, grazie. Ora vorrei andare a stendermi.»

Dopo quell’episodio ho visto Christian raramente, e ogni singola volta che lo vedevo stava sempre peggio. Più pallido, più magro… Sembrava malato, ma non come sempre, fisicamente.
Sembrava l’ombra di se stesso, l’ombra del ragazzo che conoscevo un tempo.

***

Nel nostro istituto, come in ogni struttura pubblica che si rispetti, durante le feste c’è sempre poco personale, e quel Natale non faceva eccezione.
Evidentemente non aspettava altro, perché mi sentii afferrare un braccio da dietro, mi girò di colpo e iniziò a baciarmi, senza che ci fosse nessuno.
Riuscii a staccarmi dalle sue labbra e iniziai a divincolarmi dalla sua presa, ferrea nonostante la magrezza.
«Lasciami!»
«Oh avanti, so che lo vuoi anche tu.» Christian era completamente impazzito, mi fissava con gli occhi fuori dalle orbite, e non accennava a lasciarmi.
«Lasciami in pace! Per favore! Lorenzo!» inizia a urlare, ma lui mi tappò immediatamente la bocca.
«Zitta stupida!» gli morsi la mano, e lasciò immediatamente, con un gemito, così ripresi a urlare. Ma dove diavolo erano gli infermieri?!
«Smettila di urlare!» m’intimò, cercando nuovamente di baciarmi, e finalmente arrivò Lorenzo, livido di rabbia.
«Tu, lasciala immediatamente!» si avvicinò con i pugni serrati, fissandolo con un carico di odio che non credevo possibile.
«Lo vuole anche lei! Tu vattene!»
«Hai mezzo secondo per lasciarla.»
«Vattene, tu hai mezzo secondo.»
A quel punto Lorenzo era accanto a noi, e tirò un calcio a Christian che immediatamente mi lasciò, iniziando poi a prenderlo a botte. Fu solo all’ora che arrivarono due infermieri, che separarono i due, portando via Christian di peso, mentre un medico stava assistendo Lorenzo, svenuto a terra, pieno di sangue.

***

Lorenzo non ce l’ha fatta. È morto due giorni dopo la rissa a causa di un’emorragia interna di cui non si erano accorti.
Lo hanno sepolto nel mausoleo di famiglia, il che è una fregatura se sei chiusa in un ospedale psichiatrico.
Dopo il funerale mi sono messa a letto, ero troppo stanca. Non per tenere il muso, piangere o altro. È solo che non ne vedo il motivo. Perché vivere, soffrire, quando mi danno pillole capaci di annullare tutto?
«Almeno mangia qualcosa, ti prego.» questo è Mattia, un caro amico, è un infermiere, ed è l’unico a trattarmi come una persona vera e non come una povera pazza.
«Vattene.» sono tre giorni che non parlo, la mia voce è graffiante, rauca, bassa, ma sembra rincuorarlo.
«Non c’è nulla che possa fare?»
«No.»
«Qualcosa che vorresti?»
A quel punto mi alzo di scatto a mezzo busto, sento i muscoli tirare, le ossa scricchiolare, mi fa male tutto, ma non m’importa.
«Qualcosa che vorrei? Scherzi vero? C’è solo una cosa che vorrei, una persona che vorrei. Perciò non farmi queste domande stupide, perché tutto ciò che vorrei è lui, ma mi è stato portato via.»
«Capisco… Non c’è qualcos’altro che vorresti?»
Mi prendo un istante prima di rispondere, riflettendoci bene.
«Sì, una cosa.»
«Dimmi.»
«Non fatemi uscire, mai.»
Perché, tutto sommato, il grigio non è tanto male, posso perfino conviverci.

  
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