Promessa
«Insomma,
Zero!»
A
riscuoterti dai tuoi pensieri è una brusca affermazione:
sposti lo sguardo alla tua destra e osservi Wataru, un ragazzino non
troppo sveglio che non ha mai niente di meglio da fare che prenderti in
giro per i tuoi tratti stranieri. Ha preso a chiamarti
“Zero” per dispetto, ma non sa che quel soprannome
ti piace. Certo, sentirglielo usare non ti fa impazzire, ma neanche ti
ferisce.
Lo
guardi annoiato, hai ben altro a cui pensare ora.
«Sei
diventato anche sordo?» prosegue lui irritato dal tuo
atteggiamento indifferente. Improvvisamente però ghigna.
«Oggi sei solo».
Se
il suo scopo era indisporti, lo raggiunge. L’oggetto dei
pensieri che ti hanno tormentato per tutta la mattinata è
proprio quello che lui ha appena sottolineato: lei non
c’è.
Akemi
non manca mai da scuola. Ti rifiuti di ammetterlo, ma sei preoccupato.
Negli
ultimi giorni la tua amica, normalmente sempre solare – anche
troppo, a volte – si è incupita.
Non
sei riuscito a farti dire cos’avesse; non gliel’hai
nemmeno chiesto, in realtà. Ogni volta che avresti voluto
provarci lei si stampava un sorriso in faccia e tornava la ragazzina
dispettosa e iperattiva di sempre.
Avevi
pensato anche che fosse stato tutto frutto della tua immaginazione,
ma… la verità è che sei bravo, a
capire le persone. Ti capita fin troppo spesso di notare dettagli a cui
nessun altro fa caso, di indovinare cosa sta per dire o fare quella
determinata persona.
Questo,
tuttavia, non vale per Akemi. Lei è imprevedibile, con la
sua esuberanza ti stupisce nove volte su dieci. Anche per questo ti
piace.
Ma
perfino con lei sei in grado di notare se c’è
qualcosa che non va.
Ti
eri convinto d’esserti sbagliato, che andava tutto bene
– ma allora, perché non è venuta a
scuola?
Stringi
il pugno, un gesto che nelle ultime ore hai fatto spesso. Dove
sei, Akemi?
Perso
come sei – di nuovo –
in questi pensieri, non vedi arrivare il pugno di Wataru.
«Chi
ti credi di essere?» ti provoca lui. Si volge verso il resto
dei vostri compagni – contro i tre, quattro del suo
gruppetto, per la verità. Gli altri non vi prestano
attenzione.
«Zero
si è montato la testa solo perché Miyano gli va
dietro! Poverino, non capisce che la sua è solo
pena!»
Ti
riprendi presto dal pugno. Lo guardi con disprezzo.
Un
tempo ti saresti scagliato addosso a lui, avresti ricambiato ogni colpo
finché avessi avuto un briciolo d’energia.
Adesso
è diverso, però. Sai benissimo che Akemi
s’infurierebbe se ti vedesse fare a botte –
è già capitato, e la sua reazione non
è stata affatto piacevole.
«È
sbagliato, Rei!» ti ha gridato contro. È
imbronciata. Non l’hai mai vista guardarti
così… è delusione, quella che scorgi
nei suoi occhi? Ti ferisce, più dei lividi che ti hanno
procurato gli altri bambini.
«Che
ne vuoi sapere tu?» ribatti arrabbiato. Akemi è la
tua unica amica; perché non capisce?
Non
sei stato tu ad iniziare, sono stati loro. Come sempre.
Difenderti
è l’unica cosa che puoi fare.
«Mamma
dice sempre che picchiarsi è sbagliato!»
«Anche
tu hai picchiato Yuma e Saito, l’altro giorno! Ti ho
vista!»
A
quell’accusa la vedi arrossire. «Sei uno
stupido!» urla con le lacrime agli occhi. «Stupido,
stupido Rei!»
Non
ti piace che ti chiami così.
«Sì,
sono stupido a stare qua!»
Te
ne vai arrabbiato. Non pensi davvero ciò che hai detto, ma
questo lo capisci solo dopo.
Dopo
quella litigata, non vi siete più parlati per due settimane,
limitandovi a guardarvi storto in classe.
Quel
periodo è uno dei tuoi ricordi più brutti. Per
farvi far pace è intervenuta Elena, sua mamma, e tu ti sei
ripromesso di non farla più arrabbiare in quel modo.
Ora
resisti alla tentazione di assestare un pugno sul naso del tuo
compagno, limitandoti a guardarlo storto.
«Io
almeno non ho bisogno di essere circondato da ragazzini insicuri per
nutrire il mio ego».
Speri
di averlo detto bene; te l’ha spiegato Elena, che chi ti
prende in giro lo fa solo perché ha un ego molto fragile, ma
non sei sicuro di averlo capito fino in fondo.
Dirlo,
però, ti fa sentire importante. E poi, se anche avessi
sbagliato un termine sai bene che Wataru e i suoi amichetti non se ne
accorgerebbero.
Ti
guardano tutti confusi, infatti. Ti alzi.
«Che
hai detto?» ti dice Wataru con il suo tono più
insolente. Non ti inganna: vedi chiaramente che è a disagio.
Si rivolge di nuovo agli altri ragazzi. «Lo straniero si
è dimenticato il giapponese!»
Un
paio di loro ride, ma gli altri sembrano incerti. Uno si fa timidamente
avanti.
«Non
so, Taru… a me sembrava un po’ un insulto. Anche
se non ho capito».
La
faccia del ragazzino diventa tutta rossa; ti guarda furioso e carica un
altro pugno, ma stavolta lo vedi arrivare. Ti sposti due secondi prima
che ti colpisca, e Wataru cade rovinosamente a terra, sbattendo sulla
tua sedia.
«Zero!!»
urla furioso, ma tu già non gli dai più retta.
Hai
preso una decisione e sei uscito dall’aula; sai bene come
lasciare la scuola senza essere notato, le ultime lezioni di oggi
dovranno fare a meno della tua presenza.
Trovare
Akemi è più importante.
Hai
girato come un matto per due ore, cercandola in tutti i posti che
frequentate di solito, sei passato persino a casa sua; praticamente ti
manca solo la clinica dei suoi genitori, ma esiti ad andarci: se Akemi
non fosse neanche lì, cosa potresti dire a sua madre?
Ti
ci avvii comunque, incerto, ma resti folgorato a metà strada.
Quello
lì accanto è… il
parco dove avete parlato la prima volta.
Tendi
ad evitare quella zona, perché ti riporta brutti ricordi
alla mente, ma… è lì che hai
incontrato Akemi. Possibile che sia lì?
Possibile
o meno che sia, decidi di controllare. Entri nel parco.
Non
impieghi molto ad individuare una figura rannicchiata vicino allo
scivolo, ma quando sei più vicino ti accorgi che sta
singhiozzando.
Ti
congeli sul posto.
Non
ti piace vederla piangere.
La
raggiungi e ti accucci accanto a lei. «’kemi, che
fai qui?»
Lei
sobbalza, spaventata, e per poco non ti fa venire un infarto.
«Sono
io» mormori, confuso dalla sua reazione brusca.
Ti
guarda ancora un po’ scioccata; dopo qualche secondo ti
sembra che si tranquillizzi.
«Non
ti ho sentito arrivare…» dice. Un attimo dopo, te
la ritrovi tra le braccia incerto su come ci sia finita.
«Rei… non voglio…»
D’istinto,
la circondi con un braccio e le dai qualche pacca gentile sulla spalla.
Non è mai successo prima, quindi non sai bene come
comportarti, ma sembra che voglia sfogarsi e decidi di assecondarla.
«Cos’è
successo?»
Lei
continua a piangere sulla tua spalla.
«…iho…»
«Non
si capisce niente» commenti piatto. Vorresti aiutarla, ma se
non si fa capire non puoi far nulla.
«Shiho!»
urla lei, sempre contro la tua spalla. La senti tremare.
«Vogliono portarla via…»
Spalanchi
gli occhi. Non sapevi cosa aspettarti, ma certo non questo; chi poteva
portar via sua sorella?
«Di
che parli, Akemi? Chi è che vuole portarla via?»
Lei
continua a singhiozzare, ma si fa forza e ti risponde. «Li ho
sentiti… mamma e papà litigavano con quegli
uomini… quelli sempre neri… la
prenderanno…» improvvisamente si stacca da te.
«Io non voglio!» urla arrabbiata e triste insieme.
Rimani
un po’ spiazzato.
«Elena
non lo permetterà» affermi, convinto. Non hai
capito molto di quella storia, ma le persone non possono semplicemente
venire e prendersi i bambini degli altri, no?
«Mamma
ha paura» ti confessa Akemi, «l’ho visto.
E ho paura anch’io».
«Non
devi!» esclami con impeto. «Proteggeremo Shiho
insieme! Ce la possiamo fare!»
La
vedi tirar su con il naso. Le lacrime hanno smesso di scendere, ma ha
ancora gli occhi lucidi.
«Ne
sei sicuro?» mormora. «Papà dice che
quegli uomini sono pericolosi…»
«Certo!»
ribadisci. Non sai chi siano, ma vuoi proteggere il sorriso di Akemi a
tutti i costi.
Vederla
così ti fa troppo male.
Le
prendi le mani. «Fidati di me, ci riusciremo».
Il
suo sguardo si accende un po’. «Me lo prometti,
Rei?»
Sorridi.
«Solo se ti togli quest’espressione brutta dalla
faccia».
Fa
un salto indietro. «Che cattivo!!» esclama,
stropicciandosi il viso. «E io che stavo pensando che da
gentile eri quasi carino!»
Ridi,
perché finalmente rivedi l’Akemi di tutti i
giorni. Sei riuscito a distrarla.
Ti
avvicini a lei, che continua a guardarti in cagnesco. «Se
vuoi prendermi ancora in giro…»
La
zittisci poggiandole un dito sulle labbra.
«Te
lo prometto, ‘kemi».