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Autore: Shireith    04/07/2018    1 recensioni
«Vuoi essere la mia Ladybug?»
«La tua chi?»
«La mia Ladybug! La mia partner. Due supereroi che la notte di Halloween difendono i deboli e gli innocenti dai cattivi, portando caramelle ai bambini buoni.»
Marinette pensò che quel bambino dovesse averne davvero tanta, di fantasia, ma doveva ammettere che c’era qualcosa in lui che l’attirava. Aveva un sorriso raggiante, di un’intensità pari a quella del sole. Era comparso dal nulla, l’aveva salvata da quei bulli e adesso blaterava idee strane sui supereroi – strane, già, ma anche divertenti, motivo per cui accettò. «Va bene.»

{Adrien/Marinette, Nino/Alya, side!Chloé | Volleyball!AU}
Genere: Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 12
   

26 ottobre 2017, giovedì,
  ore 17:47, Parigi

  Marinette ci aveva pensato a fondo. Aveva creduto che le ci sarebbe voluto un po’ di tempo per assimilare la notizia, tuttavia le parole di Adrien le avevano fatto assumere una concezione differente: contrariamente a quanto aveva sempre immaginato, anche lui pensava ancora al loro incontro di dieci anni prima, e in verità gli sarebbe piaciuto poter nuovamente rivedere quella bambina. Sarebbe stato felice di sapere che si trattava della stessa ragazza con cui era ormai abituato a passare buona parte dei suoi pomeriggi, giusto?
  Probabilmente, la novità che non avrebbe preso altrettanto bene era la confessione di Marinette. La ragazza, infatti, era convinta di non essere ricambiata; tuttavia, tenere Adrien all’oscuro dei suoi sentimenti non avrebbe fatto altro che peggiorare le cose, perché, dopo la fine dell’amichevole che avrebbero disputato di lì a poco, le Coccinelle e i Gatti Neri non si sarebbero più allenati né avrebbero giocato assieme. Quindi, qualunque riscontro avrebbe ottenuto, Marinette preferiva essere franca con Adrien una volta per tutte: essere rifiutata avrebbe fatto male, certo, ma la ragazza non voleva vivere con il dubbio che se solo avesse parlato al momento giusto, allora le cose avrebbero potuto andare diversamente.
  In quanto al modo per farlo, Marinette non ne aveva la più pallida idea. In ogni caso, comunque, aveva deciso di aspettare il momento opportuno, ossia dopo la fine della partita, perché non voleva che né lei né Adrien venissero distratti da qualsiasi cosa sarebbe scaturita a seguito della sua confessione.
  Marinette era così assorta nei suoi pensieri che intravide a malapena la figura di Adrien farsi sempre più vicina. «Nervosa?» le domandò quest’ultimo, il tono di voce moderato e gentile.
  «Abbastanza. Tu?»
  «Non pensavo che ci sarebbe stata tutta questa gente ad assistere.»
  L’altra sorrise con aria colpevole. «Sì, be’, credo che sia in parte a causa mia…» disse, ricordando la recente conversazione avuta con Nadja Chamack, quando le aveva rivelato che le amichevoli contro le Aquile e le Serpi avevano attirato l’attenzione di una piccola rete locale, nonché di un considerevole numero di spettatori – questo grazie alla voce sparsa in giro dai quattro allenatori.
   
  Poco più tardi, la partita ebbe inizio dopo che le Aquile e le Serpi ebbero scelto il possesso di palla, lasciando così agli avversari la scelta del campo.
  La squadra rivale partiva sempre schierando al servizio un giocatore di nome Julien, ossia il capitano delle Aquile noto per la sua grande potenza e precisione. Il suo era un servizio scomodo da domare anche per un libero, nonostante Paul1, che aveva giocato tre partite su cinque inclusa quella ora in corso, ci avesse fatto ormai l’abitudine.
  «Quel tipo non mi era affatto mancato» commentò Adrien.
  «Tranquilli, ci penso io!» esclamò Paul rivolgendosi a tutti i compagni attualmente in campo.
  Prima che Julien servisse, il ragazzo fletté ulteriormente le gambe e si posizionò con le braccia pronte a ricevere in bagher o in palleggio, in un invito implicito a servire con tutta la forza di cui disponeva, tanto non sarebbe riuscito a fare suo quel punto con il solo utilizzo del servizio.
   
  Com’era ormai risaputo agli spettatori, le quatto – o meglio due – squadre disponevano di eguale forza, e continuarono a darne prova per tutta la durata del primo set e anche oltre. Una delle due passava in vantaggio, ma veniva presto raggiunta ed eventualmente superata, oppure riusciva a tornare nuovamente in vantaggio, senza però un distacco di più di tre punti. Continuò così finché le Coccinelle e i Gatti Neri non strapparono agli avversari il primo set, mentre sia il secondo sia il terzo gli furono portati via per un soffio. Era una battaglia lunga, estenuante, e, man mano che si andava avanti, di logoramento.
  Di comune accordo, i quattro allenatori avevano deciso che l’ultima partita si sarebbe disputata al massimo di cinque set; così, arrivati agli inizi del quarto, i giocatori di entrambe le squadre erano vistosamente affaticati. Erano tuttavia i Gatti Neri e le Coccinelle a essere maggiormente sotto pressione, poiché perdere quel set avrebbe segnato la loro sconfitta. Anche le Aquile e le Serpi, comunque, erano più agguerrite che mai: sebbene potessero permettersi di cedere il quarto set agli avversari, erano più determinate che mai a non lasciare che ciò accadesse.
  Nel frattempo che la partita procedeva, diversi cambi vennero fatti, e presto giunse il momento per Adrien e Marinette di cedere momentaneamente il testimone. Per una quindicina di minuti si ritrovarono seduti in panchina allo stesso momento.
  Anche da quella postazione, Marinette sentiva la passione bruciare dentro di sé e l’adrenalina scorrerle nelle vene; i suoi occhi erano attenti a seguire e analizzare ogni singola azione, fino al più piccolo e banale movimento. Quando fu il momento di effettuare l’ennesima rotazione, tuttavia, il suo sguardo si permise di viaggiare altrove, e tutta la sua attenzione fu attirata dall’ultima persona che si sarebbe mai aspettata di vedere lì. In cima agli spalti, dove un corridoio correva lungo tutta la lunghezza dell’ampia palestra, Marinette aveva adocchiato Gabriel Agreste. L’uomo, probabilmente per attirare meno attenzione possibile, si era sistemato in un angolo, e se ne stava in piedi e con le mani congiunte dietro la schiena ad osservare la competizione.
  Marinette ripensò alle parole che gli aveva rivolto poco tempo prima, quando gli aveva detto che ad Adrien avrebbe fatto immensamente piacere vederlo assistere a una delle sue partite; lo stilista, tuttavia, aveva risposto in un modo che le era parso sinonimo di no, e ora l’unica cosa che si aspettava era che quello si presentasse lì.
  La ragazza diede una leggera gomitata all’amico, indicandogli il punto in cui aveva adocchiato Gabriel Agreste.
  Adrien lo riconobbe immediatamente e rimase senza parole, limitandosi a sorridere come fosse la persona più felice del mondo. «Che cosa ci fa lui qui?» disse, una domanda rivolta più che altro a se stesso che a Marinette.
  L’amica avrebbe voluto spiegargli che era probabilmente merito suo, ma non fece in tempo a schiudere le labbra che le voci esultanti dei loro compagni di squadra attirarono tutta la loro attenzione: i Gatti Neri e le Coccinelle erano appena riusciti a strappare il quarto set agli avversari, rimandando così la resa dei conti all’ultimo e quinto set. Christian, che era entrato in campo a metà del terzo, venne nuovamente sostituito da Marinette, assieme alla quale subentrarono in campo altri due rimpiazzi, uno dei quali era Adrien.
  Il quinto set sarebbe stato giocato al massimo dei quindici punti, ed entrambe le squadre sapevano bene che avrebbero dovuto imporre il proprio ritmo di gioco prima che quella avversaria riuscisse a fare lo stesso. Ma nonostante queste premesse, la competizione proseguì ad alti e bassi, senza che nessuna delle due parti potesse prevalere a lungo sull’altra.
  Con il risultato fermo a 13 a 12 per le Aquile e le Serpi, il turno al servizio era di Adrien. Era un brutto momento per ritrovarsi in quella posizione, perché guadagnare quel punto avrebbe significato annullare il vantaggio avversario, ma perderlo avrebbe significato contribuire ad incrementare quel vantaggio. E se così fosse stato, sarebbe stata un’ardua sfida impedire alla squadra rivale di guadagnare il quindicesimo ed ultimo punto. Ad Adrien spettava dunque la spiacevole sorte di decidere se optare per un servizio più facile e sicuro o se provare a recuperare lo svantaggio tentando di effettuare un ace2. La seconda opzione era rischiosa, certo, ma non doveva dimenticare che, se fosse andata a buon fine, sarebbe anche servita a portare alle stelle il morale della squadra.
  Poi l’arbitrò fischio. Aveva 8 secondi prima di prendere la sua decisione e agire di conseguenza.
Al diavolo!
  Adrien indietreggiò di alcuni passi e inspirò a fondo, concedendosi poco più di un attimo per osservare la visuale che si apriva di fronte ai suoi occhi: i compagni girati di spalle, la squadra avversaria, il campo in cui stavano giocando. All’infuori delle quattro linee bianche che ne delimitavano il perimetro, nient’altro esisteva, tutto perdeva d’importanza. Ad esistere, adesso, erano solo lui e la rete: una nemica contro cui combattere, in un certo senso, ma che poteva anche trasformarsi in una preziosa alleata.
  Circa tre secondi dopo il fischio dell’arbitro, Adrien alzò la palla a un’altezza ideale – proprio quella che aveva sperato di raggiungere – e la colpì saltando. Quella viaggiò a una media potenza, senza disegnare una traiettoria che suggerisse un servizio diverso dal normale. Tuttavia, nel momento in cui stava per raggiungere la metà campo avversaria, entrò in collisione con la parte più alta della rete: la traiettoria cambiò drasticamente, e in un attimo la palla minacciava di toccare terra a pochi centimetri della rete. Con i pochi attimi a loro disposizione per processare ciò che era appena accaduto, i riflessi dei giocatori avversari non furono sufficienti a evitare che ciò accadesse.
  L’arbitro fischiò, protendendo un braccio in direzione della metà campo dei Gatti Neri e delle Coccinelle per assegnare loro il punto. E mentre Adrien già si preparava per il prossimo servizio, Marinette, senza voltarsi, si concesse la libertà di osservarlo con la coda dell’occhio e sorridere tra sé e sé, lieta che tutti i pomeriggi passati ad allenarsi su quelle che erano le sue maggiori lacune stessero finalmente dando i loro frutti. Un tempo non sarebbe mai riuscito a effettuare un tale servizio, poco ma sicuro.
  La seconda volta, Adrien non disponeva più dell’elemento sorpresa; decise dunque di optare per un servizio più classico, indirizzando la palla in una zona di conflitto tra due giocatori avversari nell’eventualità che ciò potesse creare indecisioni su chi l’avrebbe ricevuta. Non ci sperava troppo, ma valeva la pena provare.
  Ciò non avvenne. Al contrario, gli avversari effettuarono una ricezione pulita e riuscirono a rispedire la palla nella metà campo avversaria con una giocata che i Gatti Neri e le Coccinelle riuscirono però a contrastare. Dopo alcuni scambi da una metà all’altra, i Gatti Neri e le Coccinelle riuscirono a prevalere.
  Il punteggio era ora di 14 a 13 per le Coccinelle e i Gatti Neri. Tutto dipendeva dal prossimo punto: se l’avessero conquistato, i ragazzi avrebbero vinto il set e con quello l’intera partita; se l’avessero lasciato agli avversari, avrebbero bruciato l’occasione per mettere la parola fine al gioco e rischiato di vedersi scivolare via dalle mani la vittoria stessa. Un pareggio 14 a 14 era una strada che non volevano imboccare.
  Il servizio avversario fu mediamente potente e quindi facile da ricevere, ma la palla arrivò proprio tra le mani di Marinette, che, effettuando un tocco nella ricezione, non avrebbe potuto effettuarne un secondo. Questo spettò invece a Thomas, che l’alzò ad Adrien; non era certo un’alzata di Marinette o di Christian, ma era e pulita e precisa al punto giusto. I tentativi di schiacciare di Adrien, tuttavia, furono resi vani dal muro avversario, che rimise in gioco la palla nella propria metà campo: a toccarla per primo fu il numero 6, poi l’alzatore e infine Julien.
  Il muro delle Coccinelle e dei Gatti Neri saltò parallelamente a Julien, il quale, messo alle strette, dovette ripiegare per una diagonale. Nel settore in cui indirizzò la palla era situato Paul, che ricevette la schiacciata in bagher. La potenza straripante di Julien era ancora viva in lui nonostante i quattro set precedenti, e Paul non riuscì a effettuare la ricezione come avrebbe desiderato. «Scusate!»
  «Ce la faremo andar bene!» esclamò di rimando Marinette, correndo incontro alla palla che intanto stava volando fuori campo. Si fermò a circa mezzo metro di distanza dalla linea: una semplice occhiata e, nonostante la posizione sfavorevole, riuscì a servire ad Adrien una delle sue solite alzate.
  Dal canto suo, il giovane aveva già compreso i suoi scopi: mentre Marinette ancora inseguiva la palla era corso sotto rete e, sincronizzandosi con i suoi movimenti, era saltato al momento più opportuno. Schiacciò quella palla con tutta la potenza che gli era rimasta, riponendo in essa tutte le speranze dei compagni la cui collaborazione aveva condotto a quel momento.
  Uno degli avversari si lanciò in direzione della palla nel tentativo di impedire che toccasse il terreno, ma ottenne come risultato una deviazione che riuscì solamente a indirizzarla alcuni metri più in là, dove nessun altro compagno fece in tempo a raggiungerla.
  L’arbitrò fischiò e assegnò ai Gatti Neri e alle Coccinelle il punto che decretò la loro vittoria, nonché la fine della partita. Di lì a breve tutte le riserve si riversarono in campo per festeggiare con i compagni la tanto sudata vittoria.
   
26 ottobre 2017, giovedì,
  ore 21:06, Parigi

  Un getto d’acqua moderatamente caldo lo investì dall’alto, e Adrien rilassò i muscoli mentre applicava una prima dose di shampoo ai capelli fino ad allora sudati. Dopo le fatiche di una partita, adorava l’effetto rilassante che esercitava su di lui una normale doccia calda. Quella che avevano da poco finito di disputare, poi, si era rivelata una battaglia particolarmente lunga ed estenuante, che tuttavia l’aveva lasciato con il senso di soddisfazione più grande che avesse mai provato in tutta la sua vita. Lui e i suoi compagni si erano battuti con le unghie e con i denti e i loro sforzi erano stati ripagati dalla vittoria che avevano appena ottenuto. Era gratificante sentirsi parte attiva di un tale quadro. Lui, che prima d’ora non aveva mai avuto una tale quantità di amici con cui condividere le gioie e i dolori della vita. E a renderlo ancora più felice – quasi a tal punto di credere che stesse sognando – era il fatto che suo padre avesse assistito di persona al raggiungimento di quel traguardo.
  Fu quel pensiero a tenergli compagnia mentre si apprestava a uscire dalla doccia, vestirsi e andare in cerca del padre con la speranza che si trovasse ancora lì. Il primo luogo in cui aveva qualche possibilità di imbattersi in lui era l’esterno, poiché il genitore non amava i luoghi affollati.
  La sua intuizione fu giusta: una volta al di fuori dello stabile, Adrien intravide, accostata poco più in là, l’automobile di famiglia. Vi si avvicinò e picchiettò con due dita contro il finestrino per farsi notare.
  Da dietro la portiera che si aprì poco dopo fece capolino la figura di suo padre. Questi lo guardò, gli sorrise e disse: «Complimenti per la vittoria, Adrien.»
  Il sorriso in cui si aprì il giovane fu decisamente molto più radioso di quello del padre. «Grazie per essere venuto a vedermi giocare, papà.»
  «Dovresti ringraziare la tua amica per questo.»
  Le parole che Marinette gli aveva rivolto giorni prima avevano lasciato il segno: sebbene Gabriel avrebbe dovuto essere capace di capire da sé che quello era il volere del figlio, Adrien non gli aveva mai esplicitamente detto che gli avrebbe fatto piacere vederlo assistere a una delle sue partite. Ripensandoci, era forse quello il loro problema più grande: la comunicazione. E la colpa, Gabriel lo sapeva, era la sua chiusura nei confronti di tutti, il figlio compreso, perché se solo avesse potuto, Adrien avrebbe condiviso il mondo, con lui. Tuttavia, Gabriel era sempre molto serio, chiuso e reticente a esprimere le proprie emozioni, motivo per cui Adrien non si sentiva a suo agio nel parlargli a cuore aperto. Il fatto che fosse stata una sua amica a chiedergli di fare una cosa che l’avrebbe reso molto felice la diceva lunga sul loro tipo di rapporto.
  «Chi, Marinette?»
  «È stata lei a convincermi che venire qui fosse la cosa più giusta. Avrei preferito sentirlo da te, ma non mi sorprende che tu non abbia trovato le parole.» Adrien schiuse le labbra, pronto a spiegare al padre le sue ragioni, ma Gabriel lo anticipò: non doveva giustificarsi, era colpa sua e lo sapeva. «Lo so di essere una persona complicata con cui avere a che fare, ma è importante che riusciamo a fidarci abbastanza da essere onesti l’uno con l’altro. Devi capire che per me sei la cosa più importante che ho.»
  Adrien, in un modo o nell’altro, aveva sempre saputo che suo padre provava per lui un genuino affetto, ma sentirglielo dire ad alta voce e con tutta la franchezza di cui era capace era un traguardo che il loro rapporto aveva raggiunto solo ora.
  «Lo so, papà, e hai ragione» asserì Adrien con convinzione. Gabriel era l’unico genitore che gli era rimasto, e aveva molto a cuore il loro rapporto.
  Gabriel accennò un sorriso e annuì. «Ora, se lo desideri, puoi andare a festeggiare con i tuoi compagni.»
  «Gli allenatori parlavano di offrirci una pizza, prima…»
  «Nathalie verrà a prenderti per le undici.»
  «Potrei tornare a piedi con gli altri, non è poi così lontano.»
  Gabriel lo osservò un attimo senza dire niente, e Adrien temette che persino per la nuova versione migliorata di suo padre quello fosse troppo. «Che sia prima delle undici, però.»
  Adrien sorrise. «Non tarderò di un secondo, te lo prometto!» Così dicendo il ragazzo si allontanò dal padre e tornò dentro, dove gli altri si stavano ancora radunando.
  Quando li raggiunse, Christian lo guardò con un’aria di sorpresa. «Adrien, vieni anche tu?»
  «Sì, mio padre mi ha dato il permesso.»
  «Grandioso! Allora ci siamo tutti.»
  In quel momento sopraggiunsero anche gli allenatori. Felicissimo, Antoine esclamò: «Ragazzi, ordinate ciò che più vi piace, ché stasera pagano le Aquile!»
  «Antoine, ma insomma!» Jacqueline, decisamente la più assennata tra i due, lanciò ai ragazzi un’occhiata severa e disse: «Non approfittatene troppo, mi raccomando.»
  Christian e Adrien si avvicinarono a Camille e Marinette e il primo dei due domandò: «Ma allora è vero che gli allenatori avevano scommesso che chi avrebbe perso avrebbe offerto la cena?»
  Marinette rise. «Così pare.»
  «In pratica hanno scommesso su di noi come fossimo dei cavalli all’ippodromo» osservò Adrien.
  «Begli allenatori!» ridacchiò Camille.
  «Lamentatevi di meno e camminate di più, cavalli» disse Paul, facendogli notare che gli altri si erano già incamminati fuori.
  «Guarda che anche tu sei un cavallo.»
   
26 ottobre 2017, giovedì,
  ore 22:14, Parigi

  Passare una serata in allegria con i suoi compagni di squadra – Coccinelle o Gatti Neri non faceva più differenza, ormai – senza pressioni di alcun tipo era rilassante: niente allenamenti né strategie, solo dei ragazzi che si divertivano insieme. Tuttavia, più la fine della serata si avvicinava, più Marinette si sentiva nervosa: si era ripromessa che avrebbe rivelato i suoi sentimenti ad Adrien prima che Gatti Neri e Coccinelle dovessero dirsi addio, ma ora che non c’era più la partita a preoccuparla e tutte le sue attenzioni erano riposte in quello, si accorgeva che era ancora più difficile di quanto avesse immaginato. Non si era mai trovata in una situazione del genere: come ci si doveva comportare, esattamente? C’erano delle parole giuste e altre sbagliate da dire? Non lo sapeva. Forse, dopotutto, era meglio lasciare che fosse il suo cuore a parlare, senza il bisogno di struggersi troppo su cosa dire e non dire.
  Con questo pensiero a tenerle compagnia per il resto della serata, Marinette aspettò che gli altri decidessero di concludere lì l’uscita e salutarsi, quando avrebbe potuto prendere in disparte Adrien senza che gli occhi di tutti fossero puntati su di loro.
  Ora il ragazzo si trovava unicamente in compagnia di Christian, perciò Marinette si avvicinò ai due giovani e chiese ad Adrien se potesse parlargli in privato di una cosa importante.
  Christian li guardò un po’ perplesso, ma decise di lasciarli soli senza protestare. «Raggiungeteci quando avete finito» disse, e con quell’ultima frase si apprestò a unirsi al resto del gruppo.
  Rimasti soli, Adrien guardò Marinette sorridendo e disse: «Mio padre mi ha detto che cosa hai fatto per me. Grazie, davvero.»
  «Non ti ha dato fastidio che abbia agito alle tue spalle?» domandò, avendo temuto che la natura di quel gesto potesse venir fraintesa.
  «No, perché so che l’hai fatto con buone intenzioni. Allora, di cosa volevi parlarmi?»
  Eccolo lì, il momento della verità.
  Giunta finalmente l’ora, Marinette era incerta sul da farsi. Avrebbe potuto introdurre l’argomento in tanti modi diversi, ma alla fine pensò che farlo con un gesto fosse più efficace – e meno imbarazzante, visto che le avrebbe evitato lo spiacevole inconveniente di ritrovarsi a corto di parole. Prendendo coraggio, la ragazza frugò nella tasca della giacca e ne estrasse il braccialetto che un piccolo Adrien le aveva regalato dieci anni prima e glielo mostrò.
  Per il giovane fu impossibile non riconoscerlo. Strabuzzò gli occhi, continuando a osservare l’oggetto con espressione smarrita.
  «Anch’io l’ho conservato per tutto questo tempo, e anche se fino a poco tempo fa lo ritenevo impossibile, speravo di poter rincontrare quel bambino, un giorno o l’altro.» Mentre stava ancora parlando, Marinette decise di cogliere l’occasione al volo: ora o mai più, si disse. «E… E in tutta onestà sono più che felice che si tratti proprio di te, perché…» spostò il peso da un piede all’altro, nervosa «be’, perché tu mi piaci, Adrien.»
  La bomba, finalmente, era stata sganciata. Marinette non sapeva che cosa sarebbe successo dopo, e l’attesa la metteva così in agitazione che una parte di lei sarebbe volentieri sparita all’istante, se solo avesse potuto.
  Adrien alzò lo sguardo su di lei solo allora, l’espressione ancora smarrita, e di nuovo non disse niente. Le informazioni che Marinette gli aveva appena dato erano talmente grandi che in tutta franchezza non avrebbe saputo da dove partire.
  Marinette gli sorrise debolmente, timorosa che, come aveva predetto, la seconda informazione l’avesse messo in una situazione scomoda. «Prenditi tutto il tempo che ti serve per elaborare la cosa, dopotutto io ho avuto ben due giorni per farlo.»
  Adrien si rese conto di essere rimasto immobile come una statua solo quando Marinette gli aveva già voltato le spalle e raggiunto il resto del gruppo. A quel punto era già troppo tardi per raggiungerla – anche se forse, dopotutto, era meglio così: se non aveva fatto una bella figura era poiché aveva appena scoperto due grandi verità sul conto di Marinette che l’avevano completamente spiazzato. Aveva bisogno di un po’ di tempo tutto per sé per elaborare al meglio l’accaduto.
  Ora come ora, l’unica certezza assoluta era che le parole di Marinette non potevano renderlo più felice. In lei aveva appena trovato tutto quello che aveva sempre cercato: un’amica fidata, la possibilità di rivedere la bambina di dieci anni prima, ma, soprattutto, che la ragazza di cui si era innamorato ricambiasse i suoi sentimenti. Era tutto perfetto, come i pezzi di un puzzle che combaciano l’uno con l’altro fino a dar vita a un unico disegno.
   
31 ottobre 2017, lunedì,
  ore 17:11, Parigi

  I giorni che seguirono furono per Adrien come un sogno bellissimo da cui aveva paura di svegliarsi.
  Venerdì mattina, a colazione, Gabriel era sicuro che Adrien fosse fin troppo felice perché quella felicità provenisse solamente dalla vittoria del giorno precedente. E il fatto che Gabriel avesse esposto le sue considerazioni ad alta voce era segno che quello che aveva detto la sera precedente corrispondeva a verità: ci teneva davvero a far sì che il rapporto tra lui e il figlio migliorasse.
  Sabato, Adrien ne ottenne un’ulteriore conferma. Era una persona fin troppo onesta per lasciare che quel nuovo inizio fosse basato su una bugia, dunque aveva deciso di essere completamente franco col padre, dicendosi pronto ad affrontarne le conseguenze. Prendendo coraggio, aveva rivelato al genitore che aveva mentito sul cambio d’orario degli allenamenti solo per potersi sdebitare con Marinette aiutandola in una materia in cui aveva difficoltà. Aveva cercato di spiegare le ragioni che l’avevano portato a mentire, usandole però solo come movente, non come giustificazione per uscirne innocente.
  A quella rivelazione, con grande sorpresa di Adrien, Gabriel non l’aveva rimproverato. Al contrario, il genitore aveva riconosciuto che in passato aveva compiuto dubbie scelte educazionali, spinto, più che dalla ragione, dal desiderio di proteggere Adrien a qualunque costo. Un tale metodo educativo, tuttavia, non era necessario, perché riconosceva ad Adrien la maturità e le capacità necessarie a sopravvivere al mondo senza la sua costante protezione. Non era solo nei tratti fisici di Adrien che Gabriel rivedeva sua moglie, ma anche nel suo carattere, motivo per cui era giunto il momento che gli desse più fiducia. E assieme a quella anche più libertà.
  Gabriel ci aveva pensato a lungo nel corso degli ultimi giorni. Adrien era uno spirito libero, gli piaceva entrare in contatto con gente sempre diversa e detestava la solitudine. Se voleva esplorare il mondo, perché vietarglielo? D’altro canto, presto o tardi, Adrien sarebbe comunque uscito dalla campana il vetro sotto il quale l’aveva cresciuto, e a quel punto avrebbe dovuto affrontare il mondo esterno: non era dunque meglio che fosse già preparato? Così, alla fine, senza che fosse Adrien a domandarglielo, Gabriel aveva acconsentito al suo ritorno a scuola.
  Nel frattempo, nel passare degli ultimi tre giorni, Adrien aveva anche avuto modo di metabolizzare l’accaduto con Marinette e di decidere come comportarsi. Le avrebbe detto che anche lui era più che felice che fosse lei la bambina di dieci anni prima, perché anche lui l’amava.
  Lui e Marinette non si vedevano dalla partita di giovedì, ma quel giorno si sarebbero ritrovati a giocare ognuno la propria finale in due palestre diverse all’interno dello stesso stabile. Adrien aveva deciso di approfittarne per chiarire le cose una volta per tutte.
  Quand’era toccato a lei, Marinette aveva preferito farlo dopo la partita, ma Adrien, certo di portarle buone notizie, aveva deciso di rimandare a prima dell’inizio. Voleva giocare quella finale certo che Marinette sapeva che cosa provasse per lei.
  Le due partite sarebbero iniziate entrambe alle 18:00.
  Adrien si recò sul luogo con più di un’ora d’anticipo, non volendo che per questioni di tempo non riuscisse a parlare con Marinette. Assicuratosi che non fosse ancora arrivata, decise di aspettarla all’entrata, e non dovette attendere più di qualche minuto prima di vederla entrare con addosso normali abiti civili e un borsone da palestra in spalla.
  Non esitando un momento di più, Adrien le andò subito incontro. «Marinette» la chiamò, attirando la sua attenzione.
  Vedendolo, la ragazza s’immobilizzò sul posto: dopo la sua dichiarazione di qualche giorno prima, rivederlo era imbarazzante. Certo si era aspettata che Adrien approfittasse di quell’occasione per parlarle, ma aveva creduto che l’avrebbe fatto dopo la partita, non prima.
  Dopo un breve momento di silenzio dovuto alla sorpresa, Marinette si ricompose e gli sorrise. «Ciao» lo salutò con calore – perché qualsiasi riscontro avesse ottenuto, non avrebbe di certo smesso di essere sua amica. «Be’, immagino che tu voglia a parlare a proposito di giovedì…»
  Adrien annuì. Si concesse un attimo di tempo per racimolare tutto il coraggio che aveva in corpo e disse: «Ci ho pensato tanto in questi ultimi giorni, e anch’io sono felice che sia tu la bambina di dieci anni fa. E anche che tu abbia tenuto il braccialetto, perché in tutta franchezza temevo che mi avessi dimenticato tempo fa.»
  L’altra scosse la testa. «È vero che crescendo ho incontrato nuovi amici, ma non avrei mai potuto dimenticarmi di te come se non fossi mai esistito.»
  Adrien sorrise: quelle erano le parole che aveva sempre sognato di sentirsi dire, benché, da un punto di vista più realistico, ci avesse sperato ben poco. «C’è un’altra cosa» aggiunse. In un gesto istintivo, il ragazzo prese la mano di Marinette e intrecciò le sue dita con le proprie, facendo arrossire entrambi – per via della sorpresa, tuttavia, il rossore sulle guance di Marinette fu il più evidente tra i due. Adrien la guardò negli occhi senza indossare alcun tipo di maschera e disse: «Anche tu mi piaci, Marinette. E tanto, anche.»
  La giovane avvertì le guance andarle a fuoco. Sembrava l’idillio di un sogno bellissimo, ma era tutto reale; riusciva chiaramente ad avvertire le loro dita che si sfioravano, gli occhi verdi di Adrien puntati su di lei, il suo cuore che aveva preso a battere a un’altissima frequenza.
  Alya, quelle cose, gliele aveva sempre dette. Ogni qualvolta Marinette fosse giù di morale per via di quell’amore non ricambiato, Alya le ricordava che non poteva sapere con certezza che fosse veramente così, anzi, le elencava tutti i complimenti che Adrien avanzava sul suo conto, facendole presente che quello, secondo lei, poteva essere un segno di un interesse ricambiato. Marinette, però, non ci aveva mai completamente creduto, non fino a quel momento. Invero, era stata più propensa a pensare che Adrien, vedendola come una cara amica, ci tenesse a trattarla con la sua innata gentilezza – una gentilezza che del resto dimostrava nei confronti di tutti.
  Adesso, tuttavia, era lo stesso Adrien a confermarle che anche i suoi sentimenti erano di natura romantica, e non v’era più dubbio alcuno che potesse annullare quella certezza.
  «Adrien! Marinette!»
  La voce di Christian giunse alle loro orecchie senza preavviso di alcun tipo, e Adrien, colto alla sprovvista, lasciò andare la mano di Marinette.
  Christian non fu in grado di vedere quel gesto, perciò si avvicinò a loro con la convinzione che stessero semplicemente parlando come i due buoni amici che erano. Di questo Marinette e Adrien ne furono sollevati, perché non se la sentivano di rispondere alle insinuazioni di Christian che, per quanto amichevoli e prive di malizia potessero essere, li avrebbero comunque messi in una situazione scomoda e imbarazzante.
  «Anche voi già qui, eh?» disse il giovane alzatore.
  Marinette sorrise con nervosismo. «Già.»
  «Questa notte quasi non riuscivo a chiudere occhio» commentò Christian. «Ci avviamo insieme?»
  Marinette stava per rispondere affermativamente, ma l’intervento di Adrien l’anticipò. «In realtà, io e Marinette stavamo discutendo di una cosa abbastanza importante.» Sapeva che quelle parole potevano facilmente portare Christian a fare insinuazioni di vario tipo – come già era successo in passato, quando l’amico aveva avanzato dei commenti sulle scintille che vedeva tra lui e Marinette –, ma ora non aveva più importanza: aveva accettato i suoi sentimenti per Marinette, e, sapendo di essere ricambiato, era disposto a gridarlo al mondo intero.
  Christian li squadrò con una certa curiosità nello sguardo, ma acconsentì alla richiesta di Adrien senza fare osservazioni di alcun tipo.
  Di nuovo soli, Adrien tornò a guardare Marinette negli occhi e, quasi di punto in bianco, disse: «Ti va una scommessa?»
  Marinette arcuò un sopracciglio. «Un patto? E di che tipo?»
  Il giovane tornò a reclamare la sua mano, ma questa volta se la portò alle labbra e vi applicò un leggero bacio sul dorso. «Se vinco, accetti di uscire con me.»
  Marinette, arrossendo fino alla punta delle orecchie per quel gesto inaspettato, pensò che non serviva di certo un patto del genere per convincerla a uscire con il ragazzo dei suoi sogni. Tuttavia non lo disse. Al contrario, scacciò via l’imbarazzo e lo sfidò dicendo: «E se fossi io, a vincere?»
  «Touché» rise l’altro. «Facciamo così, allora: se vinciamo entrambi, alla fine delle due partite, la squadra che avrà totalizzato più punti decreterà chi di noi due potrà decidere dove andare e cosa fare. Ci stai?»
  «Ci sto.»
   
31 ottobre 2017, lunedì,
  ore 19:22, Parigi

  Fu una battaglia lunga, ma, dopo aver lottato con le unghie e con i denti, le Coccinelle riuscirono a conquistare la vittoria.
  Marinette, affrettandosi negli spogliatoi, fece in tempo a raggiungere la palestra in cui i Gatti Neri stavano ancora giocando – e questo, quando gliel’avevano detto, l’aveva stupita non poco. Chiese dunque maggiori informazioni a Nino, che, a differenza di Alya, sopraggiunta poco prima, aveva seguito il match fin dall’inizio.
  «C’è stato un problema tecnico con la rete» spiegò l’amico, «e in tutti e quattro i set precedenti le squadre hanno superato i 25 punti.»
  Marinette annuì. Riportando la sua attenzione sulla competizione, notò che il punteggio era ora di 14 a 13 per i Gatti Neri, che avevano appena conquistato quel punto così importante per la vittoria. Marinette sperava che sarebbero riusciti a fare loro anche il successivo, altrimenti gli avversari sarebbero riusciti a pareggiare e forse anche a vincere.
  Durante l’ultima giocata, quando la palla stava facendo ritorno nella metà campo dei Gatti Neri, il primo tocco parve fosse desinato a Christian, ma il ragazzo non si mosse. Da dietro Christian spuntò inaspettatamente Paul, il quale, saltando un attimo prima di sfiorare la linea di attacco, effettuò un’alzata all’alzatore stesso. Christian, prendendo gli avversari di sorpresa, saltò e schiacciò la palla con successo.
  Il tifo dei Gatti Neri esplose.
  «Non è contro le regole che il libero effettui l’alzata?» domandò Nino.
  «No, se il libero non supera né tocca la linea d’attacco» spiegò Marinette.
  In campo, intanto, i Gatti Neri stavano ancora esultando, e nel guardarli, Marinette avvertì una sensazione di calore all’altezza del petto. Era felice per ognuno di loro, in particolar modo Adrien, che, dopo tanti anni passati in solitudine, poteva finalmente lasciarsi quello spiacevole passato alle spalle.
  Poi le vennero in mente le parole di Nino sui primi quattro set che erano proseguiti tutti oltre i 25 punti, e si rese conto che Adrien aveva sicuramente vinto la scommessa. Certo sentiva le farfalle nello stomaco al solo pensiero di avere un appuntamento con lui, ma un’altra sensazione che il suo stomaco avrebbe presto sperimentato era il mal di stomaco che le veniva alla sola idea di affrontare nuovamente tutte quelle giostre infernali che ad Adrien piacevano tanto – perché, conoscendolo, era certa che ci sarebbero tornati.
   
1. Il libero dei Gatti Neri.
  2. Un ace è un servizio che cade direttamente nella metà campo avversaria senza che nessuno dei giocatori sia in grado di toccare la palla.



Note dell'autrice
 Spoiler: sì, ci torneranno. La long non prevede di raccontarlo – l’epilogo sarà infatti incentrato su altro –, ma ci torneranno eccome su quelle maledette giostre, e Marinette si chiederà se un Dio davvero esiste e, se sì, perché la odia a tal punto.
  Chiusa questa parentesi, buonasera! Voglio iniziare queste note porgendovi le mie più sincere scuse per il ritardo, delle scuse che sono più grandi dei problemi di vista che affliggono ogni singolo personaggio di Miraculous. L’ultimo aggiornamento risaliva al 24 aprile e avevo detto che questo capitolo sarebbe uscito la settimana successiva, tuttavia ho dovuto cambiare i miei piani. A maggio sono stata impegnata con una raccolta che mi ha portato via tutto il mese, e a giugno, invece, ho avuto poco tempo per scrivere/revisionare/pubblicare, oltre a un calo di ispirazione che per un po’ mi ha tolto la voglia di scrivere.
  Dopo due mesi ci sarà ancora qualcuno a ricordarsi della long? Spero di sì!
  Ma andiamo avanti, eh?
  Dunque, questo era il secondo capitolo con più narrazione relativa alla pallavolo. Onestamente non so quanto sia riuscita nell’intento di rendere le descrizioni comprensibili, coinvolgenti e prive di errori da un punto di vista puramente teorico; credo di avere delle buone conoscenze di base – o forse no? –, ma, nel caso qualcuno più esperto di me abbia qualche appunto da fare per quanto riguarda soprattutto l’aspetto teorico, che mi faccia pure un fischio. Io ho cercato di fare tutto per bene, ma non si sa mai quali errori si possono commettere.
   
 
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