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Autore: Jeo 95    11/07/2018    3 recensioni
(All27-Family centic)
Disperati. Distrutti. Pronti a tutto pur di riavere ciò che hanno perduto, ciò che gli è stato tolto ingiustamente, e che non sono disposti a lasciarsi alle spalle.
A costo di perdere sè stessi, faranno tutto ciò che è in loro potere per salvare la vita di colui senza il quale non possono vivere.
Perchè un Cielo senza Elementi può vivere ugualmente.
Ma gli Elementi senza un Cielo non possono far altro che perire.
***
(Titolo provvisorio)
Genere: Angst, Comico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: Otherverse | Avvertimenti: Spoiler!
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N.d.A.- Chaossu! Era da un po' che non scrivevo su questo fandom, ma siccome nell'ultimo periodo, tra rileggere il manga e rigardare l'anime, mi ci sono riappassionata forse più di prima, non potevo non scriverci qualcosa, ed ecco quindi una bella fic per celebrare l'evento!
Sarà una storia un po' particolare, che coinvolgerà diverse persone, e cambierà radicalmente alcuni rapporti tra i personaggi!
Spero possa attirarvi almeno un po', fatemi sapere se ci sono errori, imprecisazioni o se le descrizioni risultano pesanti e noiose! Mi lascio troppo andare ultimamente!
Un bacio a tutti e alla prossima!


Jeo95/ArhiShay


p.s.

«.» -dialoghi
"." -pensieri
corsivo -I discorsi che solo il misterioso protagonista può sentire.

 

Enjoy the reading!
 

*w*w*w*w*w*



Il bianco accecante del soffitto gli ferì gli occhi nell'istante in cui riuscì a riaprirli. Si strofinò le palpebre con la mano, mentre cercava di riportare alla mente gli ultimi avvenimenti accaduti, nel disperato tentativo di recuperare quei frammenti di ricordo utile a capire dove si trovasse.

Il fastidioso olezzo di medicinali gli infastidì le narici, stordendo ancora di più i suoi sensi già confusi e debilitati, ma abbastanza presenti da fargli notare che un paio di manette legate al suo polso destro lo tenevano inchiodato al letto. Un letto sconosciuto. Un letto nemico.

“Merda.” fu la sola cosa che riuscì a pensare, prima di imporsi calma e freddezza. Il panico non l'avrebbe aiutato a tirarsi fuori da quella scomoda situazione.

Provò a muoversi, ma sembrava quasi che il suo corpo si rifiutasse di rispondere ai suoi comandi, immobilizzato da ferite che non ricordava di essersi procurato. Sentiva freddo, brividi fastidiosi gli correvano lungo la schiena, causati probabilmente da una febbre che non sapeva di avere.

Se ne era accorto solo in un secondo momento, quando il primo brivido l'aveva scosso, subito dopo una profonda fitta all'addome che gli aveva impedito di mettersi seduto.

Gli occhi bruciavano alla luce, e tutto di quella maledetta stanza bianca sembrava volerlo portare ad una cecità perenne: non credeva di aver mai visto una stanza a tinta unita prima d'ora, e sperò che quella fosse anche l'ultima.

“Ma dove diavolo sono?” pensò, tenendosi la gola secca con una mano, incapace di proferire anche solo una parola. Doveva essere rimasto incosciente per diverso tempo -non sapeva dire quanto però, troppo stordito per azzardare ipotesi- la gola gli bruciava da morire.

Provò ancora una volta a raccogliere i propri ricordi, ma un feroce mal di testa gli impediva di pensare con lucidità, quasi come se qualcuno si stesse divertendo a martellargli il cranio dall'interno, nel tentativo di fargli esplodere il cervello e mettere così un punto alla sua vita una volta per tutte.

Kfufufu melodrammatico.

Si alzò di scatto, forse troppo in fretta, respingendo un conato di vomito causato dalle fastidiose vertigini che il movimento brusco aveva causato. Boccheggiando, si strinse la fronte con una mano, passandosela tra i capelli con forza nervosa.

Dei, che sgradevole sensazione aveva appena provato. Quasi come se mille aghi gli avessero trapassato lo stomaco ed il cervello -fanculo, a confronto il suo corpo era in forma smagliante- al solo sentire la voce estranea che gli aveva parlato nella testa.

Chi o cosa fosse però, non era sicuro di saperlo. O forse non lo ricordava, dopotutto sembrava essere affetto da una fottutissima amnesia, come poteva sapere perché una strana voce -irritante e fastidiosa, di permise di aggiungere- riecheggiava nella sua testa?

Trasse un profondo respiro, cercando di arginare quantomeno il dolore fisico che limitava i movimenti del suo corpo, così da essere almeno in grado di compiere anche gesti minimi senza che il dolore gli mozzasse il respiro.

Tze, erbivoro.

E di nuovo, la sgradevole sensazione gli attanagliò lo stomaco e la testa, mentre una nuova voce gli rimbombava nel cranio, strafottente. Non credeva avrebbe retto per molto, probabilmente sarebbe crollato in poco tempo.

Ora che era seduto, finalmente potè esaminare la stanza con calma, restando ancora ferito da tutta quella luce bianca che sembrava volergli impedire di vedere oltre, come se celasse segreti che dovevano assolutamente restare celati ai suoi occhi.

Non fu così, ovviamente. Non c'era molto in quella stanza bianca, che ad una seconda occhiata riuscì a catalogare come una specie di infermeria.

Piuttosto grande, con sei letti e due grandi armadi dentro i quali venivano probabilmente conservati i medicinali e le macchine necessarie a tenere in vita chiunque vi fosse ospite. Lui, in questo caso specifico.

Guardò i monitor che ticchettavano fastidiosamente al suo fianco, monitorando ogni minimo cambiamento nel suo fisico, riscontrando anche la più piccola variazione che avrebbe potuto essergli fatale. Sembrava tutto nella norma comunque, quindi si sentì libero di togliersi il respiratore e quei dannati aghi che qualcuno gli aveva lasciato conficcati nelle braccia, probabilmente dovuti ad una trasfusione. Cazzo, bruciavano come la morte.

A-Aghi?! Re... si... sti...

Mentre l'ennesimo eco gli perforava la mente, stavolta riuscì a stento a trattenere un conato di vomito, costringendolo a stendersi di nuovo per cercare almeno in parte di attenuare le vertigini.

Le manette che gli legavano il polso tintinnarono lungo la sbarra di ferro a cui erano attaccate. Nonostante tutto gli avevano dato abbastanza mobilità, ciò quindi poteva avere due diversi significati: chi l'aveva catturato era, in fondo uno sprovveduto, e questo avrebbe favorito una sua possibile fuga, oppure chiunque possedesse quel luogo era molto sicuro delle proprie abilità e non temeva di compiere una qualche leggerezza a cui avrebbe potuto rimediare facilmente. Sperò che fosse il secondo caso.

Lo scatto della porta lo mise in allarme, e subito le mani andarono a posarsi nella tasca della giacca, in cerca delle proprie armi con cui avrebbe potuto difendersi.

Si ricordò in un secondo momento di indossare solo una semplice canotta bianca che non ricordava di aver avuto prima, senza pantaloni e, soprattutto, disarmato.

Maledizione, chi l'aveva rapito sapeva il fatto suo.

Che situazione estremamente pericolosa!

Stavolta non riuscì a trattenersi, e mentre il suo presunto rapitore faceva capolino nella stanza, un misto di acidi e saliva gli risalirono l'esofago con violenza, per poi riversarsi con un getto sul pavimento prima immacolato. Dei, credeva di rigettare perfino l'anima.

«Oh santo...! Gennaro, presto! Chiama Orazio, lo voglio qui in dieci secondi!»

«Agli ordini, Boss!»

Lo scalpitio di tacchi gli arrivò chiaro alle orecchie, forse ancora più nitido delle voci che aveva appena sentito. Un profumo intenso gli investì le narici, una piacevole fragranza di fiori freschi portata dal vento, che sapeva di terra e cielo nello stesso momento.

Provò ad aprire gli occhi, sforarsi di mettere a fuoco chi si trovasse davanti a lui, di chi fossero le mani gentili che gli stavano accarezzando il viso con delicatezza, fresche come un balsamo capace di placare le fiamme dentro di lui.

Aveva il respiro affannato, e sentiva caldo, più caldo di quanto non potesse sopportare. Probabilmente la febbre era salita in un istante.

Non svenire! Rimani cosciente!

E ancora, un nuovo coniato di vomito gli rantolò nello stomaco, salì su per la gola e trovò di nuovo l'uscita, bruciandogli la gola e sfiancando quelle poche energie che aveva recuperato. La vista sfocata non sembrava volersi assestare, e tutto stava diventando sempre più buio.

«Oddio, la febbre è salita più del previsto! Ehi mi senti?! Ti prego, resisti!»

La dolce voce femminile che lo chiamava era calda e rassicurante, quasi nostalgica in un certo senso. Un nuovo tepore lo avvolse, una piacevole sensazione di calore che gli purificò il corpo, acquietandogli l'animo e donandogli quella pace che, sin dal suo risveglio, non era stato capace di trovare. Come un bellissimo cielo che lo avvolgeva nel suo caldo abbraccio.

Una sensazione nostalgica gli morse la bocca dello stomaco e strinse, sempre più forte, sempre più dolorosa. Faceva male, dannatamente male... come se gli fosse stato strappato qualcosa, qualcosa d'importante che quel calore gli aveva ricordato.

Eppure qualcosa era fuori posto. Era un calore simile, familiare in un certo senso, ma sbagliato. Non era quello giusto. Non era il Cielo da cui sperava di essere sorretto.

Nessuno... nessuno potrà mai sostituirlo.

Con l'ultima voce a trapanargli la mente, alla fine fu troppo da sopportare e le forze lo abbandonarono.

Presto, tutto fu buio.

 

***

 

Stringendo il ciucciotto tra le mani, una muta e disperata preghiera al potere che custodiva dentro, si chiese se non ci fosse altro che potesse fare per aiutare quel ragazzo a stare meglio.

Mentre la luce arancione della sua fiamma avvolgeva il corpo del giovane, cercando di dargli conforto nel delirio a cui la febbre sembrava volerlo sottoporre, sentì i passi dei propri sottoposti alle spalle, agitarsi e raggiungerlo nell'infermeria della loro dimora con più persone di quanto non avesse richiesto.

Gennaro, il suo più fidato e caro amico, le fu accanto in un istante, osservando esterrefatto la donna che provava con ogni sua forza a compiere un vero e proprio miracolo.

«Ho chiamato Orazio come richiesto, Luce-sama!»

Luce lo ignorò, lasciando che la luce della propria fiamma fluisse nel corpo del giovane, fino a quando non fu sicura che fosse definitivamente fuori pericolo, abbastanza stabile da poter essere trattato anche con delle semplici Fiamme del Sole.

Quando il ciuccio arancione smise di brillare e di avvolgere il corpo del ragazzo, Luce si allontanò con un sospiro, guardando il viso addormentato del suo... ospite? Prigioniero? Ancora non sapeva come trattarlo, tutto ciò che sapeva di lui era una visione sfocata e frammentata che non era stata in grado di decifrare.

Sapeva solo che doveva trovarlo e parlargli, che lui era la “soluzione”, anche se non sapeva a cosa.

Sospirando, cercando di riprendere fiato per l'enorme uso di energia a cui si era esposta, Luce si voltò verso i suoi sottoposti sorridendo, ringraziandoli per il supporto e pregando Orazio di fare tutto il possibile per salvare il loro giovane ospite.

Il subordinato si chinò con rispetto, assicurando il proprio Boss che avrebbe fatto di tutto per tenere in vita quella persona. Tutto, pur di soddisfare le richieste di Luce-sama.

Sedendosi su uno dei letti vuoti lì accanto, Luce si lasciò scivolare sul morbido cuscino, poggiando la testa e cercando di regolare il proprio respiro. Ormai era al limite, non le restava molto tempo.

«L-Luce-sama! Non vi sentite bene?!»

Luce sorrise alle premure di Gennaro e negò col capo rassicurandolo che con un po' di risposo, sicuramente, avrebbe ripreso le forze. Non poteva farli preoccupare, non quando in gioco c'era molto di più che la sua misera vita.

Aria presto sarebbe stata abbastanza grande da portare il peso della maledizione al posto suo, ed era pronta a cederle il posto senza alcuna paura verso la morte, spazzando via i rimpianti che si sarebbe portata nella tomba, ma che non poteva permettere minassero la sua stessa convinzione.

Con la venuta di quel giovane però, tutto era cambiato. Luce percepiva qualcosa in lui, qualcosa di grande e potente, come se non fosse solo, come se nel corpo che Orazio cercava di curare con le sue calde Fiamme del Sole più spiriti avessero trovato alloggio.

Lo fissò per qualche secondo, attenta ad ogni possibile cambiamento in lui e nei suoi sottoposti. Strinse forte un lembo di lenzuolo fra le dita affusolante, le unghie lunghe e curate graffiarono la pelle protetta dal telo, ma Luce non sentì dolore. Non poteva fare altro che guardarlo e pensare.

Lui era una soluzione, e anche se non sapeva a quale problema, per ora questo le bastava. Era una speranza, non le serviva sapere altro.
 

***


La seconda volta che riaprì gli occhi, lo stesso bianco candore lo accecò, impedendogli di mettere a fuoco ciò che lo circondava. Sentiva la testa pesante come un macigno, il corpo immobile e rigido, incapace di muoverlo secondo la propria volontà.

Era ridotto davvero ad uno schifo, forse una delle condizioni peggiori in cui avesse mai versato. Che vergogna, per lui, mostrarsi in quelle condizioni.

Provando a mettersi seduto, una fitta allo stomaco lo fece gemere, e fu allora che un paio di mani gentili gli si posarono sull'addome, aiutandolo delicatamente a ritornare coricato sul cuscino.

«Fa piano, non ti sei ancora ripreso del tutto.»

Era una voce dolce e gentile, la voce di una donna apprensiva e preoccupata, che non mancava di provare affetto anche per un apparente estraneo come lui. Aveva un che di famigliare, ma non ricordava dove avrebbe potuto incontrare la sua salvatrice. O la sua carceriera, visto che era ancora ammanettato al brodo del letto.

Oh insomma, apri gli occhi! Sono estremamente curioso di vederla!

Di nuovo, una delle tante voce nella sua testa gli urlò nelle tempie, ma stavolta riuscì a contenere la nausea ed il dolore. Pian piano si stava abituando a quella condizione, doveva soltanto trovare il modo di zittire tutte quelle voci che gli sovraccaricavano il cervello.

Kfufufu buona fortuna. Se trovi l'interruttore per spegnere l'esaltato e la pulce fai un fischio, sono anni che ci proviamo.

Ignorando il lancinante dolore alle tempie ed i commenti dell'altra voce, la prima che l'ultima volta gli aveva parlato, riuscì finalmente ad aprire gli occhi.

Dapprima, tutto era sfocato e opaco, sfumature di colore confuse e senza contorni, mischiati tra loro come una tela di arte astratta di cui non si riesce a carpire il significato. Poi tutto prese una forma, e sembrò di perdersi in un cielo blu limpido come pochi, dipinto negli occhi azzurri della donna che gli sorrideva gentile dalla sua posizione accanto al letto.

Corti capelli scuri le incorniciavano il viso, sotto l'occhio sinistro, un dettaglio che impiegò diversi secondi ad analizzare, spiccava l'inconfondibile marchio arancione che riconobbe a stento, perso nella nebbia che ancora aleggiava nei suoi ricordi.

Poi un flash, ed il nome della Famiglia che portava quel marchio gli uscì dalle labbra senza che potesse fermarla.

«G-Giglio... N-Nero...» fu un suono rauco, ma udibile.

Tossì diverse volte, sentendo la gola bruciare per lo sforzo, mentre le caotiche voci nella sua testa sembravano agitarsi per l'inaspettata presenza della donna al suo fianco.

Uno strano calore gli si agitò in corpo, fiamme pure e feroci scalpitavano sotto la punta delle dita, indispettite da quell'improvvisa prigione da cui non riuscivano a liberarsi, sovreccitate dalla sorpresa che quella donna aveva causato tra le voci.

Luce sentì l'energia di quel ragazzo pulsare furiosamente, scalciando sotto la pelle per poter uscire, sfogarsi, ritrovare quell'armonia che sembrava aver perduto all'improvviso. Guardò il bel viso del giovane -non più di ventisei anni, di questo era certa- e si chiese quale peso dovesse sopportare, come avesse fatto a ridursi nello stato pietoso in cui l'avevano trovato.

«Dovresti riposare ancora un po'. Le ferite stanno guarendo, ma hai ancora la febbre.» sorrise gentile, posandogli un panno umido sulla fronte.

Era fresco e piacevole, tanto che per un attimo gli sembrò di sprofondare ancora in un piacevole sonno ristoratore.

Non abbassare la guardia, erbivoro.

Reprimendo l'irritazione, il dolore e la nausea che sembravano coglierlo ogni volta che uno di quelli parlava, ammise a sé stesso che quell'ultima frase era un saggio consiglio da seguire. Era pur sempre in presenza di una nemica -per quanto ne sapeva lui, potevano essere stati i Giglio Nero ad attaccarlo la prima volta- non poteva permettersi di abbassare la guardia e distrarsi.

«C...Cosa v-vuoi?» trovò la forza di chiedere, puntando lo sguardo in quello azzurro della donna, che ancora lo fissava sorridendo, per nulla intimorita dalla nota minacciosa che aveva cercato di usare.

Non c'era da stupirsi dopotutto: chi si sarebbe lasciato intimorire da un moribondo ammanettato?

«Veramente, speravo potessi dirmelo tu.»

Il giovane uomo dilatò gli occhi, confuso, sorpreso da quelle parole, mentre sentiva la nebbia pressare sui suoi ricordi ed offuscargli la mente.

«I-Io...n-non... r-ricordo...»

Luce annuì comprensiva, portandosi una mano sotto il mento e stringendoselo tra due dita, pensierosa.

«Be si, credo sia normale essere un po' confusi. Dopotutto non è una cosa da tutti i giorni, viaggiare attraverso il tempo come hai fatto tu, è normale che tu sia confuso.»

Il giovane si pietrificò. Viaggiare attraverso il tempo? Cosa... cosa cazzo significava?

Maa maa, cerca di non andare nel panico.

Gli suggerì una delle voci, ed ebbe il sentore che chiunque si nascondesse dentro di lui, probabilmente sapesse quello che gli stava succedendo. Ed il fatto che loro sapessero e lui no lo mandava in bestia.

N-Non è colpa nostra. T-Tra poco dovrebbe andare meglio... spero.

La voce dell'unica ragazza che sembrava infestargli la mente gli arrivò chiara, dolorosa ancora, ma gli sembrava sinceramente dispiaciuta che lui fosse l'unico a non sapere.

«Però, forse posso aiutarti a ricordare. Sono molto interessata a quello che hai da dire, in verità.»

Guardò per qualche secondo la donna avvicinarsi a lui, sempre sorridente, con un ciuccio arancione stretto tra le dita sottili, che delicatamente posò sulla fronte, al posto del fresco panno umido.

Fu come una magia.

Il blocco che gli oscurava la mente parve quasi sciogliersi a contatto con la calda luce aranciata dell'oggetto, e sentì i pensieri fluirgli nell mente come un mare in piena, vogliosi di ricordargli cose del passato che aveva dimenticato -ma troppo importanti per andare perdute.

Quando il flusso finì e la luce del ciuccio si dissolse, sentì la testa più leggere, le vertigini attenuarsi, e la consapevolezza del ricordo farsi strada dentro di lui con prepotenza e avidità.

Come aveva potuto dimenticare? Era lì per un motivo preciso, una missione che doveva compiere a costo della vita, e invece... aveva semplicemente dimenticato.

Aveva dimenticato loro, aveva dimenticato lui. Era un crimine che non poteva proprio perdonarsi.

Su ora non esagerare, il ruolo da prima donna non ti si addice proprio.

Ora che la sua mente era stabile poteva sentire distintamente le voci nella testa senza collassare, benché ancora provasse un leggero fastidio dovuto forse alla poca praticità che possedeva nel condividere il corpo con altri sei individui -uno più fastidioso dell'altro, oltretutto.

«Cuciti la bocca, piagnone. Da te, la predica, non la voglio proprio.» sentenziò, mettendosi a sedere e guardando serio la donna che l'aveva appena aiutato.

Luce lo guardava confusa, chiedendosi se avesse fatto la cosa giusta nel rilasciare il blocco che gli aveva bloccato la mente, messo probabilmente nel tentativo di proteggere ciò che era nel viaggio tra un mondo e l'altro. Quando lo vide accennare con il capo un segno di gratitudine e rispetto, penso che sì, aveva decisamente fatto la scelta giusta.

«Si si, lo so! Ora glielo chiedo.» lo guardò curiosa, mentre conversava tra sé e sé come se ci fosse qualcun altro lì con lui, ma non osò disturbarlo. Semplicemente gli rimase seduta accanto, ascoltando e cercando di capire.

Il giovane si voltò verso di lei serio, composto, schiena dritta e muscoli tesi, come se si aspettasse un attacco da un momento all'altro.

«Per caso, lei è la prima Arcobaleno del Cielo?» Luce sobbalzò.

Certo non era mistero che altre persone conoscessero l'esistenza degli Arcobaleno, erano diventati piuttosto famosi tra la mafia -lei stessa aveva già un nome in essa, prima della maledizione- tuttavia aveva fatto in modo che poche persone sapessero che era lei, Luce Giglio Nero, il capo dei sette bambini più forti del mondo.

Soltanto i membri della Famiglia Giglio Nero e pochi altri eletti ne erano a conoscenza -tutte persone fidate a cui Luce avrebbe affidato la propria vita, se necessario- quindi non riusciva a spiegarsi come facesse quel ragazzo a saperlo.

Perchè lui è dell'altra parte. La vocina nella sua testa gli ricordò, e si diede della stupida per non averci pensato da subito.

Annuì, incerta.«Il mio nome è Luce Giglio Nero, Ottavo Boss della Famiglia Giglio Nero e, come hai già detto tu, Arcobaleno del Cielo.»

«Lo immaginavo. Siete la copia di Yuni-sama, o meglio, lei è la vostra.» rise amaro, per poi tornare serio a rivolgersi alla donna.«Luce-sama, come ci avete trovato?»

'Ci', al plurale. Non era stato un errore, ne era sicura.

Con un profondo respiro, la donna lo guardò, senza sapere bene come spiegargli la situazione. Si trovavano entrambi davanti a qualcosa di incredibile, ed erano certi che qualunque parola fosse uscita tra loro, in quel momento, non avrebbe mai lasciato le quattro mura in cui si stavano fronteggiando.

«Ho avuto delle visioni.» torturandosi una ciocca scura, Luce sentì di dovere una spiegazione al giovane, che ascoltò senza interrompere nemmeno una volta.«Ti ho visto, lì nel bosco dove ti abbiamo trovato. Ho visto il tuo arrivo, il patto che hai fatto per arrivare fino a qui, e ho visto il tempo da cui provieni.»

Non aprì bocca, lasciando a Luce il tempo di elaborare le prossime frasi, impaziente di conoscere la verità.

«Non so chi tu sia, né quale sia il fine ultimo che ti ha spinto a tornare indietro, tutto ciò che so è un nome che non smette di tormentare le mie notti, la ragione principale per cui tu, per cui voi, siete qui.» l'ennesimo respiro, poi continuò.«Tsu...»

«Basta così.» il ragazzo la interruppe, gli occhi velati di una tristezza indefinita che -Luce poteva dirlo con sicurezza- sembrava non appartenere solo a lui.

C'era qualcosa -qualcuno- dentro quel ragazzo -quell'uomo- che non riusciva a decifrare.

«Odio dover concordare con lui, ma credo sia la scelta migliore.» di nuovo lo sentì parlare da solo, assorto nei suoi pensieri, prima di tornare a guardare lei con l'espressione più malinconica che gli avesse visto fino a quel momento.

Ma sotto a quella malinconia -una struggente, profonda, incurabile malinconia- splendeva una delle fiamme di determinazione più brillanti che avesse mai visto -e Luce ne aveva viste tante, di fiamme.

«Luce-sama... ascolterebbe la nostra storia?»

Deglutendo, Luce annuì, sistemandosi meglio sulla sedia e stringendo con forza due lembi della gonna della sua veste bianca, cercando di scaricare in qualche modo la tensione che le si era accumulata addosso. Stava per rivelarle qualcosa, qualcosa di grosso, e voleva essere pronta a ricevere qualsiasi cosa lui le volesse raccontare.

Prese un profondo respiro, e guardandola dritta negli occhi -aveva dei bellissimi occhi verdi, Luce li aveva notati solo in quel momento- iniziò a raccontarle la sua storia.

«Mi chiamo Gokudera Hayato. Noi... siamo la Decima Generazione Vongola.»


 


 

   
 
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