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Autore: Spoocky    12/07/2018    1 recensioni
Una tranquilla serata in famiglia ad Ashgrove Cottage viene interrotta dall'arrivo inaspettato di un vecchio amico bisognoso di aiuto.
La malattia che lo affligge non è che la punta dell'iceberg: un dolore più profondo lo sta consumando dentro.
Partecipa alla 26 prompt Hurt/Comfort Challenge del gruppo Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart [https://www.facebook.com/groups/534054389951425/ ] Prompt 9/26 Fiamma + 10/26 Assenza
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Missing moments in Patrick O'Brian'
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Disclaimer: sarebbe che non ho alcuna pretesa di possedere i personaggi e non guadagno nulla da questa storia.
Grossomodo la storia è ambientata tra "Missione sul Baltico" e "Duello nel Mar Ionio" 

Buona Lettura ^.^


Era una sera come un’altra ad Ashgrove Cottage.

I bambini erano andati a letto presto, sfiancati dalla gita del pomeriggio: essendo ospite dell’amico in seguito all’ennesima scappatella di Diana, Stephen si era offerto di prenderli con se mentre per distrarsi faceva un censimento delle nidiate nella proprietà.
Grazie a Dio, Jack aveva accettato il consiglio di Sophia di accompagnarlo altrimenti a quell’ora sarebbe stato ancora in giro, con i piccoli al seguito.  Al momento era scomparso, rintanatosi in chissà quale anfratto della biblioteca a fare esperimenti su qualunque cosa avesse raccattato mentre Aubrey non guardava.
Il che non era un male, almeno finché non avrebbero dovuto ripulirne le conseguenze, perché dava ai coniugi Aubrey un raro momento di tranquillità.

Seduti davanti al caminetto, si godevano il tepore delle fiamme che vi guizzavano allegre e il piacevole crepitio del legno, misto al fruscio della pioggia che scrosciava all’esterno.
Jack, Stephen e i ragazzi erano appena rientrati quando le cataratte del cielo si erano aperte dando sfogo ad una vera e propria tempesta primaverile che non dava cenno di smettere presto.
Ma i giorni in cui il tetto della residenza cadeva a pezzi e si formavano pozzanghere ovunque erano ben lontani: la stanza era inondata da una luce calda e da un tepore confortevole, nessuna preoccupazione e nessun problema all’orizzonte.

La Surprise, alla fonda a Portsmouth, era nelle mani capaci del tenente Pullings che ne avrebbe curato il raddobbo nei minimi dettagli mentre aspettavano gli ordini dell’ammiragliato prima di salpare alla volta dell’Irlanda.  Apparentemente li aspettava una ricognizione, in pratica  dovevano permettere al dottor Maturin di prendere contatto con un amico d’infanzia che era anche un’agente del Servizio Informazioni della Marina sotto copertura a Parigi e che la Surprise avrebbe poi sbarcato sulle coste della Britannia nel viaggio di ritorno.
Ma tutto questo era ancora a secoli di distanza.

Al momento i bambini erano a letto e l’abominevole Mrs Williams li aveva seguiti poco dopo, lamentando un fastidioso quanto inesistente mal di testa.
Qualunque cosa stesse facendo, Stephen era sicuramente felice nel farla e Jack non aveva altre preoccupazioni se non il tracciare il sorgere ed il tramonto di Venere in quel periodo dell’anno.
L’improvvisa tempesta aveva impossibilitato lo svolgersi di quella specifica attività e si era dovuto rassegnare alla lettura di un utile ma noioso manualetto sulla semina dell’orto, mentre Sophia ricamava un centrotavola.
Nessuno dei due avrebbe potuto prevedere quello che sarebbe accaduto di lì a poco.
 

Bussarono alla porta e il facente funzioni di maggiordomo Preservato Killick accorse ad aprire.
Certo, il garzone del postino se lo ricordava un po’ diverso e non aveva certo l’abitudine di arrivare a quell’ora, ma aveva in mano una busta di tela cerata che rendeva impossibile scambiarlo per qualcun altro.
Per cui lo trattò di conseguenza: lo afferrò bruscamente per il bavero e lo trascinò dentro mentre urlava a Bill di mettere il fottuto cavallo di quello stramaledetto leccapalle trita coglioni nella stalla, che non stesse a nitrire davanti alla porta.
L’intera servitù, costituita interamente da marinai in pensione o congedati per invalidità, aveva approfittato dell’uscita del padrone per lucidare i pavimenti per cui il famiglio prese le dovute precauzioni prima di introdurre l’ospite indesiderato in salotto.

 
“Ci sarebbe qui il garzone del postino, signore.”
“Il postino? A quest’ora?”
Killick scrollò le spalle mentre si scostava per lasciare avvicinare il padrone al nuovo arrivato.
Come Jack aveva immaginato, quello era il garzone del postino tanto quanto poteva esserlo lui.

Onestamente, avrebbe fatto fatica anche lui a riconoscerlo in un primo momento: pallido, con i capelli arruffati, infradiciato dalla pioggia battente e con un’ombra di barba sulle guance, però quello era Thomas Pullings.
Sicuro come due più due fa quattro.

Il tenente abbozzò un timido sorriso per facilitare le cose al superiore, che ovviamente non si aspettava di trovarselo davanti ed era rimasto con la bocca aperta: “Vi prego di scusarmi per il mio aspetto, signore. Temo che Killick non mi abbia riconosciuto e appena sono entrato mi ha strappato di dosso il pastrano e la giacca, mi ha anche costretto a togliermi gli stivali.”
Jack strabuzzò gli occhi poi abbassò lo sguardo e vide i piedi nudi del giovane spuntare dai pantaloni dell’abito da lavoro. Non gli aveva lasciato nemmeno tenere le calze.

L’occhiata che lanciò al famiglio avrebbe trasformato chiunque altro in un bagno di sudore ma Preservato Killick si strinse di nuovo nelle spalle, con noncuranza: “Sarebbe che non volevo sporcasse di nuovo il pavimento, signore. Non dopo tutta la fatica che abbiamo fatto per...”
“Sì, sì. Preparare subito una caffettiera per il Signor Pullings, che è meglio.”
“ ‘gnor sì, signore.”

Non appena il famiglio si fu rintanato in cucina, Sophia scattò in piedi.
Dopo aver riposto il ricamo sul tavolino tra le due poltrone, si avvicinò all’ospite per ovviare alla difficoltà del marito che non sapeva come comportarsi in tale circostanza.
Quando gli fu a un braccio di distanza si rese conto che stava tremando e che la pioggia gelida doveva essere penetrata fino alla camicia, era ancora umida.
Con dolce fermezza gli prese un gomito e lo accompagnò verso la poltrona che aveva occupato lei stessa fino ad allora: “Caro signor Pullings, che piacere vedervi. Venite: sedetevi accanto al fuoco. Dovrete essere terribilmente infreddolito, povero caro. Stephen adesso è impegnato ma volete che lo vada a chiamare? Sarà sicuramente felice di vedervi.”
Il tenente si lasciò condurre docilmente verso la sedia e vi si lasciò cadere come se non avesse più un’oncia di energia in tutto il corpo, cosa anche probabile dato il filo di voce con cui rispose alle premure della padrona di casa: “Vi ringrazio di cuore, signora Aubrey ma non c’è motivo di disturbare il Dottore. Non mi tratterrò a lungo.”

Sophia scambiò un occhiata con il marito che le comunicò silenziosamente di far preparare la stanza degli ospiti: era ovvio che il poveretto era esausto e non sarebbe riuscito ad andare da nessuna parte nel prossimo futuro, tanto valeva ospitarlo per la notte.
Lei lo capì e si congedò con la scusa di aiutare Killick con il caffè, lasciando i due uomini da soli.

Jack rimase per un momento a contemplare il profilo affilato del suo secondo: la luce aranciata del fuoco mitigava il pallore del suo volto ma evidenziava i cerchi scuri attorno alle sue palpebre gonfie. Raramente lo aveva visto tanto provato.
Riuscì tuttavia a dissimulare la propria preoccupazione quando finalmente si riscosse dal proprio stupore tanto da sedersi di fronte a lui e accettare finalmente l’involto che gli porgeva.

“Perdonate la scortesia di Killick, Tom. Ovviamente non vi ha riconosciuto, se lo avesse fatto...”
“Se lo avesse fatto si sarebbe comportato allo stesso modo, signore.” Un sorriso stanco ma sincero distese i lineamenti del giovane “Non avete niente di cui scusarvi. Anzi, sono io a dovermi scusare per essere piombato qui a quest’ora ingrata. Il capitano Dundas mi ha consegnato personalmente quella busta tre ore fa e mi ha fatto giurare che ve l’avrei consegnata a mano stasera stessa. Sono partito appena ho trovato un cavallo decente.”
“E la Surprise?”
“Ha preso lui il comando delle riparazioni, signore. Per ordine diretto dell’Ammiraglio Schank, mi ha spiegato. Poi mi ha dato in mano quella busta per voi: “Ordini di Lord Melville”  ha detto. Non mi ha lasciato scelta.”
“Sì, immagino.”

Mentre Jack apriva l’involto con l’aiuto di un tagliacarte, Killick depose senza troppa delicatezza il vassoio del caffè sul tavolino, facendo sobbalzare il povero Pullings che si era momentaneamente assopito.
Senza una parola di scuse per l’affronto di poco prima, il famiglio riempì una tazza e ci mise tre zollette di zucchero, il suo personalissimo modo di essere gentile, prima di metterla in mano all’ospite che non ebbe nemmeno il tempo di ringraziarlo prima che sparisse.
Ritrovatosi in mano la busta vera e propria, Aubrey capì subito che qualcosa non andava: la carta da lettere, l’involto e il sigillo erano quelli di Melville ma la grafia era di un altro.
Ormai riconosceva a colpo d’occhio la scrittura di Heneage Dundas, suo amico di lunga data e fratello minore dell’ammiraglio, enfant terrible della Marina di Sua Maestà e padre di un gregge in continua espansione. Non era la prima volta che ricorreva a simili sotterfugi per mandargli una lettera, spesso di natura privata, ma questa volta non si era nemmeno preoccupato di camuffare la propria grafia e il contenuto della lettera gliene spiegò subito la ragione.

Alla cordiale attenzione del Capitano Jno Aubrey,
Carissimo amico mio, sicuramente ti starai chiedendo la ragione della presente.
La questione è di una certa urgenza, pertanto verrò subito al sodo.
Melville è notevolmente contrariato con me. Penso abbia a che vedere con Amita, una graziosa giovane africana che ho conosciuto durante la mia ultima sortita al Capo.
Ci siamo piaciuti fin dal primo momento e... fatto sta che è incinta e non potevo certo lasciarla con suo padre: l’avrebbe linciata, quel barbaro.
Così l’ho portata con me e l’ho nascosta in un posto sicuro.
Non so come abbia fatto mio fratello a scoprire della sua esistenza ma si è imbestialito e mi ha messo gli ufficiali giudiziari alle costole, accusandomi di dovergli una discreta somma che ovviamente non mi ha mai prestato.
Il tutto nella speranza che gli riveli dove ho nascosto la madre di mio figlio perché possa rispedirla a casa.
Ad ogni modo, sai che non hanno giurisdizione sulle navi della Marina per cui stamane ho convinto Vecchia Puleggia ad assegnarmi la sovrintendenza alle riparazioni della Surprise. Mi conosci e sai che la tratterò con il dovuto rispetto, non hai nulla da temere per lei.
Quanto al tenente Pullings, che spero in questo momento sia nella stessa stanza con te, ti prego vivamente di tenerlo con te per qualche giorno. Non importa come: legalo, se devi.
Sono giorni che lo vedo affaccendarsi da solo su e giù per il sartiame, avanti e indietro per il ponte di coperta e di notte resta fuori per ore sulla barcaccia nella speranza di reclutare a forza qualche marinaio decente perché gli hanno assegnato solo degli incapaci. Non credo abbia fatto un pasto che possa essere definito tale da quando è arrivato e anche con me non ha quasi toccato cibo.
E’ un ragazzo d’oro e raramente ho visto ufficiali tanto efficienti ma, come sicuramente noterai, è sfinito.
Ieri l’ho invitato a mangiare un boccone con me: non ha quasi toccato cibo e per poco non mi crollava sul tavolo. Quando gli ho chiesto se avesse bisogno di riposare ha scosso la testa e mi ha detto: “Non sapete cosa darei, signore, per qualche ora di sonno. Ma è tutto sbagliato, tutto da rifare: giusto stamattina hanno montato le gomene dell’albero di maestra al contrario. Io sono stato nella stiva tutta mattina con il carpentiere e ora che me ne sono accorto era pomeriggio. Abbiamo finito di rimontarle appena prima che arrivassi qui.”
Non ho mai visto nessuno tanto sconsolato, te lo posso giurare.
Così ho pensato di prendere due piccioni con una fava e venire incontro ad entrambi sostituendolo.
Mi ha detto che il Dottore è venuto a stare da te in questi giorni e credo sia meglio se si faccia visitare: non ha una bella cera.

Purtroppo non ho molto tempo a disposizione e ti devo lasciare.
Non disturbarti ad accorrere qui: avrò cura della tua nave meglio che se fosse la mia.
Ti prego di portare tutto il mio affetto a Sophia e ai vostri bambini, i miei più cordiali saluti al Dottor Maturin.

Cap. George Heneage Lawrence Dundas

PS: Melville non sa e non deve sapere di questa lettera. 

 
  
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